Io D’amore Non Muoio: all’ Unical il libro sul femminicidio di Arcangelo Badolati

unical 2Ipazia D’Alessandria, Olympe de Gouges, Giovanna D’Arco, Artemisia Gentileschi. E poi ancora  Roberta Lanzino, Maria Rosaria Sessa, Fabiana Luzzi. Donne di ieri come di oggi. Vittime della loro intelligenza, del loro desiderio di libertà, di una dignità morale che non si piega alla volontà del maschio. Su loro e sulla loro tragica morte, Arcangelo Badolati, giornalista e autore del libro “IO D’AMORE NON MUOIO”, intesse pagine e pagine d’emozione, come direbbe il procuratore Vincenzo Luberto ospite il 6 aprile della conferenza all’Università della Calabria, indetta per promuovere il libro. Un incontro dai toni forti, emotivamente toccanti, destinato a giovani platee di uomini, creature “capaci dei più grandi slanci, come delle più grandi brutture” e a giovani platee di donne, perché non si arrendano mai a ciò che intere società, nei secoli dei secoli, hanno scelto per loro.

A raccontare, con urlata passione, il suo saggio, lo stesso autore, che in lungo excursus storico, attraversa la vita e la storia di quante, in quel loro destino beffardo che le ha condannate in qualità esseri femminili, hanno trovato la peggiore delle morti. Donne strappate alla vita con forza, bruciate, accoltellate, lapidate, fatte  a pezzi. A loro, per le quali non sembra essere esistita alcuna pietà, trattate come schiave, oggetti sessuali da gestire, inanimate creature vittime della follia umana, sono riservati fiumi accorati di appelli al cambiamento sociale, culturale, alla decostruzione di vecchie mentalità.

A presenziare l’incontro, oltre all’autore e alla giornalista Federica Montanelli, curatrice della parte artistica del testo, Cinzia  Falcone, presidente dell’Aimed, Mario Luzzi, padre di Fabiana Luzzi, bruciata viva dal fidanzato a soli 16 anni,  e Vincenzo Luberto, procuratore antimafia Catanzaro. Ed è proprio quest’ultimo, in un intervento che desta  perplessità,  profondo conoscitore del sistema ‘ndrangheta, che invita a rinnegare l’emozione in funzione di una conoscenza maggiore del cambiamento in atto della società. Sulle donne e sul loro ruolo variegato che passa dal concetto di merce di scambio, a quello di creatura affetta da fragilità, è imperniato il suo discorso che chiude inneggiando all’autonomia e all’indipendenza. Un disincanto apprezzabile, se non fosse per il dolore sordo di un padre a cui hanno tolto la giovane figlia nel peggiore dei modi. Lui, Mario Luzzi, chiuso nel suo mesto silenzio, prende la parola  solo per chiedere giustizia e pene più severe. “Quelli per cui ci emozioniamo stamattina, non sono proprio fattarelli”, sentenzia. Qualcuno, potrebbe mai dargli torto?

 Lia Giannini

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