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Apriamo le porte alla cultura

21 DIC 2011 – E’ stato inaugurato nei giorni scorsi il Museo delle Arti e dei Mestieri che ha trovato sede all’interno dello storico palazzo della Fondazione Carical, in Corso Telesio 17.Il palazzo in questione è stato acquisito dalla Provincia di Cosenza, impegnata da tempo nel recupero e nella rivalutazione degli edifici storici della città.
“Cosenza preziosa – Arti orafe cosentine in mostra” ha dato l’avvio a questo interessante progetto che combina innovazione e tradizione.
Le teche, allestite in egual modo per tutti i partecipanti al fine di garantire equità ed omogeneità, rimarranno esposte fino al 22 gennaio 2012; quest’ultime attualmente contengono manufatti orafi ma, di volta in volta, ospiteranno altri oggetti preziosi legati anche all’arte tessile, alla liuteria, alla ceramica e al legno.

Alla realizzazione dell’evento hanno anche contribuito alcuni enti tra cui: CNA, Casartigiani e Confartigianato.A tagliare il nastro di apertura è stato il Presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio affiancato da altre presenze quali il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto e Giovanni Latorre Rettore dell’Università della Calabria; assente, invece, Mario Caligiuri assessore regionale alla Cultura e ai Beni Culturali.Sono 16 i maestri orafi della provincia di Cosenza che hanno deciso di usare il museo come vetrina per valorizzare i propri lavori e il proprio mestiere, molti dei quali tra l’altro, avevano già preso parte all’edizione precedente della mostra.
Quest’anno, oltre ad esaltare le opere degli orafi veterani, si è anche deciso di allestire all’interno del museo un piccolo spazio dedicato ai giovani emergenti, dando loro l’opportunità di esprimere le proprie abilità e il proprio estro.

Alcuni di questi giovani provengono direttamente dall’Accademia orafa di Acri, altri portano avanti il nome dell’azienda di famiglia altri ancora, invece, sono stati proposti e sostenuti dagli stessi orafi.All’interno del Museo delle Arti e dei Mestieri è stato anche concepito un piccolo laboratorio in cui, durante tutto il periodo dell’esposizione, alcuni orafi illustreranno le varie fasi di lavorazione di un gioiello.Nell’ultima settimana, invece, il laboratorio sarà tenuto dallo scultore Eduardo Bruno.

Per l’allestimento della mostra è stato essenziale il tocco raffinato ed elegante della signora Rosetta Scaravello che ha ben espresso il valore della mostra, “Sono sbalordita, ha affermato, c’è una produzione eccellente e mi piacerebbe che ciò varcasse i confini regionali”.
Opere uniche, magnifiche e maestose illuminano il palazzo della Carical, manufatti che tramite la loro bellezza palesano saperi e conoscenze che si sono tramandati da generazione in generazione trasformandosi poi in patrimonio culturale comune.

La mostra potrà essere visionata fino al 22 gennaio 2012, il museo pertanto rimarrà aperto tutti i giorni dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 19,00 tranne i giorni festivi del 24, 25, 26 dicembre 1 e 2 gennaio; l’ingresso è gratuito.

Annabella Muraca

La “Bella Addormentata”; l’apoteosi della danza

10 DIC 2011 – Lodevole l’iniziativa promossa dal Teatro Garden di Rende che, lo scorso 9 dicembre, ha aperto le porte alla più grande compagnia di danza classica, la più nota a livello internazionale, che in “punta” di piedi ha interpretato “La Bella addormentata”.Si tratta del Russian Ballet Moscow, “La Corona del Balletto Russo” fondato nel 1997, un’eccelsa compagnia che consta di un vastissimo repertorio: Giselle, Carmen, Coppelia, Il lago dei cigni, Lo Schiaccianoci, Biancaneve e via discorrendo (www.moscowballet.eu).

Tra questi ultimi compare anche “La Bella Addormentata” coreografata da Marius Petipa su musiche del compositore russo Peter Ilyich Tchaikovsky e ispirato alla celebre fiaba di Perrault.

Durante l’esibizione, tenutasi ieri sera, il pubblico è stato catapultato in un mondo nuovo, magico e fantastico popolato da fate che lottano contro la perfida maga per difendere la neonata Aurora, da principi, re e regine; insomma quel mondo da favola che tutte le bambine, almeno una volta nella vita, hanno sognato.

Possiamo dire che la platea ha assistito ad un balletto magnifico; bellissime e sempre coordinate le parti “corali”, grintose le sei fate, ingegnosa e divertente l’idea di far interpretare il ruolo della maga adirata non ad una donna ma ad un uomo, sfarzosi e curati nei minimi dettagli i costumi di scena, sbalorditivi i due solisti.

La prima ballerina Anastasia Kachaeva ha impersonato la principessa Aurora; leggiadra e soave, generosa con il pubblico grazie ad un’interpretazione e ad una mimica facciale naturale e mai forzata e, soprattutto, tecnicamente impeccabile sia nelle parti da solista sia durante i pax de deux (passi a due).Il ruolo del principe Désiré, invece, è stato interpretato dal primo ballerino Anatoly Emelianov; vigoroso, verace ed elegante, con grandi qualità fisiche e soprattutto con un’indubbia elevazione nei salti.Il ballerino si è dimostrato premuroso nei confronti della Kachaeva e delle sue esigenze, ed ha dimostrato una grande abilità nel partneraggio.

L’unica nota stonata, che si è protratta per tutta la serata, è derivata dalla location: il palco, infatti, era poco capiente ed eccessivamente costrittivo soprattutto per i ballerini uomini che hanno dovuto limitare, per quanto possibile, i grandi salti e prestare maggiore attenzione durante l’esecuzione dei manège, ossia ampi cerchi immaginari che vengono percorsi dal ballerino con dei giri o dei salti.

Dunque un grande plauso a tutti i danzatori che, nonostante le difficoltà sopraelencate, sono riusciti ad esprimere al meglio il proprio talento con caparbietà e, soprattutto, con tanta umiltà.

Dal vigoroso coinvolgimento del pubblico si è compreso che, ancora una volta, il Russian Ballet Moscow è riuscito a toccare gli angoli più remoti e nascosti dell’animo umano e questo perché il linguaggio del corpo comunica, emoziona e vale più di mille parole.

Annabella Muraca

Al Teatro “A.Rendano” stravince la musica di Giuseppe Verdi

5 DIC 201 1- Dopo una lunga e trepidante attesa, giorno 2 e 4 Dicembre, al teatro “A. Rendano” di Cosenza si sono riaccese le luci della ribalta.

Il Nabucco, terza opera di Verdi ma la prima che lo rese famoso nel mondo, ha inaugurato la 52esima stagione lirico-sinfonica del teatro, la prima targata dal direttore artistico Albino Taggeo nominato lo scorso Agosto.

Il tema prescelto, che caratterizza l’intera stagione lirica, è quello dell’Unità Nazionale; e la dimostrazione tangibile viene data non solo dall’opera stessa ma anche dalle note dell’Inno di Mameli, eseguito a sipario calato dalla neonata Orchestra semistabile, guidata dallo stupefacente Giovanni Pelliccia.
Novità assoluta di questa nuova stagione sono stati i sovratitoli presenti nella parte alta del sipario, un sussidio innovativo per permettere agli spettatori di seguire le parole del libretto di Temistocle Solera.

Sanguigna e volitiva l’interpretazione del soprano Francesca Patanè che ha rivestito i panni di Abigaille, dotata di una tecnica impeccabile e di una voce soave con grandi potenzialità soprattutto negli acuti.
Dominante e contemporaneamente struggente l’interpretazione dello statuario Carlo Guelfi (Nabucco), che nella prima parte dell’opera si è mostrato crudele ed arcigno, per poi riscoprirsi uomo comune con le sue paure e le sue debolezze.

Discreti e poco coinvolgenti Elia Todisco (Zaccaria) e Flaviano Bianchi (Ismaele), mentre Fenena, interpretata da Federica Bragaglia, è risultata quasi del tutto anonima; durante la rappresentazione, infatti, è stata spesso oscurata dalle due figure predominanti: Abigaille e Nabucco, ovvero il suo stesso padre.
Presenza interessante quella della cosentina Sarah Baratta che ha impersonato Anna, sorella di Zaccaria.
Protagonista per antonomasia di tutto il dramma è stato Il Coro del “Cilea” di Reggio Calabria, composto da sessanta elementi diretti da Bruno Tirotta, che ha impressionato il pubblico per l’equilibrio e la duttilità timbrica oltre che per un’indubbia capacità di amalgama vocale.

Il coro ha avuto la vigorosa abilità di condurre il pubblico in estasi durante l’esecuzione del “Va’, Pensiero”, tanto da indurre la sala gremita a richiedere un desideratissimo bis.
Deludente il corpo di ballo, non solo per la coreografia realizzata da Ilaria Dima e Antonio De Luca che è risultata scarna, ripetitiva e priva di pahos, ma anche per la scarsa qualità di movimento e per le carenti doti fisiche degli stessi ballerini.
Eleganti ed adeguati i costumi di scena realizzati da Francesca Pipi, magici i giochi di luce grazie a Giuseppe Ruggiero.
Fragorosi gli applausi da parte del pubblico a quest’opera ben rappresentata, grazie, soprattutto, alla regia del pugliese Luigi Travaglio che è riuscito a conciliare innovazione e tradizione.

Per concludere vorrei citare le parole della giornalista e storico della musica Pia Tucci: “Pur non essendo stato concepito con questo intento, possiamo dire che il ‘Va’, Pensiero’ è diventato il canto degli Italiani ”.

 Annabella Muraca