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[#NerdReview] The Sinking City, l’orrore di Lovecraft su schermo

The Sinking City è il nuovo titolo della Frogwares ispirato alle opere horror di H.P. Lovecraft.

Prima di The Sinking City, le trasposizioni dell’orrore lovecraftiano non hanno mai avuto molta fortuna. Se consideriamo i primi Alone In The Dark, Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth, Eternal Darkness: Sanity’s Requiem e gli altri nessuno era riuscito a incarnare appieno la natura orrorifica e al contempo emozionale e psicologica dell’autore di Providence.

The Sinking City si muove su di una strada differente dai suoi predecessori, cerca di spostare l’attenzione dai soliti mostri, ormai quasi mainstream, alle storie dietro e dentro di essi.

Frogware si pone questa meta ma riesce a raggiungerla?

LA STORIA, TRA RAZZISMO E ORRORE

Charles Reed è un investigatore privato che durante la Prima Guerra Mondiale ha prestato servizio in marina sulla Cyclops, nave affondata in modo misterioso. Da allora è affetto da oscure visioni e incubi. Arriva a Oakmont in Massachusetts sotto invito di Johannes van der Berg, un misterioso cittadino in completo giallo che promette una cura per la follia del protagonista. Dal suo arrivo, Charles si trova invischiato negli affari e nelle tradizioni di questa città misteriosa che non vede però di buon occhio i ficcanaso.

Oltre l’odio per lo straniero, un altro infausto cataclisma ha coinvolto la città: l’inondazione. Uno strano fenomeno che ha fatto innalzare il livello del mare al punto da rendere percorribili alcune strade solo attraverso un motoscafo. Faremo a questo punto conoscenza di diverse specie estrapolate dai racconti e romanzi di Lovecraft, come gli Innsmouther, una razza che ha subito il richiamo del mare e che è stata scacciata dal proprio paese per l’oscenità del culto di Dagon.

Come recita anche il cartello all’avvio del gioco, all’interno di The Sinking City è presente in maniera quasi opprimente il razzismo (per via del contesto storico del 1930 americano,  delle tradizioni conservatrici della città stessa e del mito per cui Lovecraft stesso lo fosse). Razzismo non per il colore della pelle – ci sono uomini e donne di diversa etnia – ma per tutto ciò che è esterno e straniero. Lo si può notare dalle animazioni delle persone per le strade, in cui i cittadini, a seconda del quartiere della città, si pongono in modo astioso con gli stranieri arrivati a causa del richiamo della follia, dai quartieri ricchi in cui vengono arrestati a quelli più poveri dove vengono rapinati, pestati o uccisi.

UN GIOCO FATTO DI SCELTE

La storia principale del gioco ci porterà a toccare ogni argomento trattato nei racconti di Lovecraft, dai grandi antichi agli abissali. È però nelle missioni secondarie che il gioco da il meglio di sé. Seppure le meccaniche siano molto simili tra loro (trovare indizi, scoprire la storia, consegnare al personaggio x, ripetere), le scene riescono a raccontare frammenti di vita dei cittadini o avventurieri della città in modo dettagliato ed emozionale tanto da sentire quella fitta al cuore nell’incontrare famiglie massacrate dalla fame, sacrificate dai culti o soggiogate da spiriti.

The Sinking city è un gioco fatto di scelte ma soprattutto di racconti e Frogwares si è impegnata in questo senso, implementando un grande quantitativo di testi di varia natura, dagli annunci pubblicitari alle cutscenes, dalle lettere ai testamenti. Tutto questo perché la maggior parte delle volte si arriva sul posto a eventi già avvenuti e senza la lettura del “racconto” ci si trova davanti scene del crimine o eventi senza senso.

IL GAMEPLAY

Parte dell’avventura risiede nell’investigazione ed è inframmezzata da combattimenti contro mostri, cultisti o esseri interdimensionali. Frogwares ha una decennale esperienza sulle spalle nelle detective story attraverso la serie “Sherlock Holmes” e la possibilità di utilizzare poteri come “l’occhio della mente” o “le visioni dal passato” hanno donato all’area investigativa uno sprint lovecraftiano. La problematica giace però nella monotonia del sistema. La meccanica investigativa è identica per tutta la durata del gioco e le scene action, a volte prevedibili, servono solo da piccola boccata d’aria dopo una lunga apnea di noia.

Le sezioni da sommozzatore sono una distrazione gradita ma di poca durata. Gli abissi intorno e sotto Oakmont sono popolati da esseri giganteschi e creature il cui solo sguardo provoca la pazzia, ma resta una sezione d’intermezzo atta a portare il personaggio solo da un punto all’altro.

La terza parte che compone il gameplay è quella dei combattimenti e della sanità mentale. All’inizio ho trovato molto difficoltoso riuscire a combattere le creature selvagge presenti in The Sinking City complice il basso numero di munizioni trovabili e creabili. Questa difficoltà si è protratta per circa 6 ore di gioco, fino a quando, una volta acquisiti abbastanza livelli, sono riuscito a disseminare di punti i 3 alberi delle abilità. Prese determinate scelte dall’albero del combattimento, uccidere i mostri diventa estremamente più semplice lasciando come unica preoccupazione la sanità mentale. Questa, anche se estendibile e ricaricante, cala in maniera esponenziale per ogni creatura aliena nelle vicinanze minando pesantemente la visibilità e aggiungendo “visioni antagoniste” che danno la caccia.

PREVEDIBILITÀ E SANITÀ MENTALE

Le IA non sono adeguate agli standard odierni, sono anzi piuttosto prevedibili e per nulla organizzate. I set di movimenti sono identici di volta in volta e l’unica cosa che cambia nei nemici sono le abilità. Infatti, in pieno stile Metroidvenia, i mostri cambiano di colore e diventano più forti man mano che andiamo avanti con la missione principale. Al contrario delle creature selvagge, gli esseri umani sono molto semplici da uccidere, basta un unico colpo ben piazzato per fare la differenza, ma molto spesso l’uccisione di umani apre la strada a un successivo pentimento attraverso righe di dialogo più aspre o video cutscene dal forte impatto emotivo.

Come dicevo, The Sinking City è un gioco di scelte. Al termine di un’indagine nelle missioni principali si  deve affrontare il palazzo mentale: un minigioco di collegamenti e deduzioni che porta a compiere una scelta (non definitiva) riguardo la vita o la morte di qualcuno. Molto spesso le vie percorribili sono 3, contraddistinte da una scelta per lo più etica e soggettiva: ad esempio la mia linea di pensiero era quella di favorire il meno possibile i culti optando per il male minore. A essere però sinceri, anche qui viene rispettato lo stile lovecraftiano: il male è ovunque e qualsiasi cosa si scelga ci si porta dietro il peso e i sensi di colpa.

Altra pecca di cui si macchia il gioco, a meno di perdere un’ora a trovare i punti di viaggio rapido fin da subito, è la grandezza della mappa. Oltre la barca che è necessario prendere per attraversare alcune strade o trovare alcune stanze, la città è troppo grande da percorrere a piedi e i punti di interesse, seppur vicini alle cabine telefoniche del viaggio rapido, fanno perdere alcuni minuti di corsa inutile. Sicuramente la corsa è allietata dalle scenografie particolari, ma dopo un po’ il continuo andirivieni annoia.

GRAFICA E SONORO

L’aspetto grafico è curato attraverso Unreal Engine 4. Troviamo infatti dei modelli umani di tutto rispetto. L’imperante pioggia crea una sensazione di umido appiccicaticcio anche da dietro lo schermo, donando molta verosimiglianza all’ambientazione. Frogwares però non è molto pratica del motore grafico, soprattutto per quanto riguarda i modelli che spesso si impantanano nelle porte o negli oggetti di scena e le animazioni delle comparse sono a volte fuori sincrono. Ulteriore pecca nell’aspetto grafico riguarda gli interni delle case, dei magazzini e delle strutture abbandonate. Tutte le case sono strutturalmente identiche per numero e posizione delle stanze. Cambiano solo alcuni inserti specifici nel mobilio per via delle missioni a esse associate.

Il comparto sonoro mi ha soddisfatto molto, alcune tracce musicali all’interno sono particolarmente orecchiabili e c’è perfino una canzone così tanto bella da far perdere la sanità mentale, una citazione al racconto La musica di Eric Zann. Il sottofondo sonoro cambia a seconda della situazione, passando su più livelli di gravità man mano che ci si avvicina a un luogo infestato o a una situazione di nervosismo.

IL PUNTO

Frogwares ha sviluppato questo titolo con uno scopo preciso: rendere omaggio a uno dei più grandi autori dell’orrore. In questo scopo riesce e le storie che racconta toccano il cuore e mettono in crisi sia dal punto di vista etico che personale. Tuttavia, le meccaniche sono noiose a lungo andare e senza una spinta personale si rischia di abbandonare la traversata. Può sembrare una stroncatura, ma in realtà quello che voglio dirvi è di approcciarvi a questo titolo partendo dal presupposto di trovarvi davanti un’avventura grafica in terza persona con inserti action.

Se poi amate lo scrittore di Portland troverete omaggi delicati e mai invasivi che vi faranno spesso sorridere.

Voto: 6.5

Daniele Ferullo

[#NerdReview] Stranger Things 3, gli anni ’80 non sono mai stati così belli

Stranger Things è ormai una di quelle serie che trascendono le immagini su schermo.

L’arrivo degli 8 nuovi episodi di Stranger Things ha infatti portato uno tsunami temporale che ci ha lasciato nella risacca con abiti, musica e luci degli anni ‘80. Oltrepassando, però, la barriera della moda ed entrando nel nostro bunker anti-bombardamento mediatico, com’è la nuova stagione della serie creata dai dei Duffer Brothers?

LA STORIA

Fin da subito saltiamo sul trampolino del tempo e ci tuffiamo negli anni’80: costumi, acconciature e atteggiamenti tipici ci accolgono a braccia aperte, mostrandoci il contesto ambientale della serie. I nostri amati protagonisti sono proprio come li avevamo lasciati ma più alti: Mike e Undi insieme, Lucas e Maxine, Dustin di ritorno da un campo estivo e così via. Tutto sembra tranquillo fino a quando i magneti di casa Byers crollano sul pavimento e Will inizia ad avere delle cattive sensazioni.

L’orrore è tornato.

una delle nuove protagoniste: Robin

La storia raccontata in questa stagione si delinea strutturalmente come le due precedenti: più storie parallele svelano il problema sotto aspetti e sfaccettature diverse. Da qui uno dei primi miglioramenti rispetto alle precedenti stagioni: le storie omaggiano i generi diversi famosi negli anni ‘80, passando quindi dall’horror del gruppo dei ragazzi al thriller di Hopper e Joyce fino alla fantascienza di Dustin e alla detective story di Nancy e Jonathan.

UN RACCONTO CORALE

Tutte e quattro le storie sono presentate perfettamente, senza una nota discordante o superficialità. Gli elementi inseriti vengono spiegati, i nodi vengono al pettine e niente è lasciato al caso o in sospeso. Una delle pecche di Stranger Things però è che sembra che non tutti i personaggi riescano a proseguire in un cammino di maturazione. Diciotto personaggi sono tanti da gestire e se anche nella storia sono tutti presenti e funzionali, singolarmente perdono di spessore o hanno parti minori rispetto alle stagioni precedenti. Mi riferisco soprattutto a Lucas Sinclair che resta identico dall’inizio alla fine senza un progresso psicologico e viene messo in ombra perfino dalla sorella che, invece, tiene banco in molte scene attraverso il suo carattere, sbocciando come personaggio dal ruolo secondario della seconda stagione a quello da coprotagonista in questa.

Altro personaggio che mi ha sorpreso è Will Byers che da bambino che ha subito il peggio nella prima stagione, in questa terza è capace di momenti drammatici e di rivelazione fino alla scoperta del segreto che tutti avevamo pensato fin da metà della seconda stagione.

Come Lucas, anche Mike e Dustin hanno una crescita minima restando per lo più identici dall’inizio alla fine degli eventi e, nel caso di Mike, anche delle stagioni. Lo spazio riservato alla nostra supereroina Undi è questa volta più ampio: la ragazzina affronta le grandi mancanze della sua vita fino ad acquisire una sua personalità, maggiormente decisa e responsabile.

DEMOGORGONE, MIND FLAYER… E ORA?

Le nemesi di questa stagione sono impegnative e danno parecchio filo da torcere ai protagonisti e ai comprimari. Resta la struttura a doppia nemesi con un “esterno” e un “interno” come nelle due stagioni precedenti, ma questa volta si pone in maniera adulta senza cadere nel trash. Questo può essere un fattore positivo o negativo a seconda dello spettatore. La perdita del tipico trash da film di serie B fa decadere quell’aspetto paradossale e comico delle vicende, ma credo che i Duffer questa volta abbiano voluto puntare su di un lavoro più maturo e memorabile e ci sono riusciti a pieni voti.

ATMOSFERE ANNI ’80 TRA MUSICA E LUCI

i molteplici campi lunghi sono meraviglie della fotografia

Quando Netflix decide di sostenere un progetto attivamente con cospicui investimenti, le sue opere riescono a crescere esponenzialmente e Stranger Things ne è un esempio. Il comparto tecnico è migliorato in tutti i campi: dalla computer grafica al montaggio, tutti i settori hanno fatto tesoro delle esperienze passate arrivando a un livello eccellente.

Quello che ci salta subito all’occhio è la fotografia. Nelle altre stagioni era curata, ma a volte le scene avevano dei problemi con le luci dando una sensazione di “finto”. Grazie a un maggiore realismo, alle luci al neon e alle ambientazioni, la fotografia ha subito in questa stagione un’impennata qualitativa, resa poi ancora più mirabile dalle scelte di montaggio che deliziano con transizioni e suspence.

La colonna sonora di Michael Stein e Kyle Dixon si riconferma iconica per la sua esecuzione e pertinente alle scene. Allo stesso modo le scelte delle canzoni da citare da parte dei Duffer Brothers che ci allietano con pezzi come Material Girl di Madonna e Wake Me Up Before You Go Go dei Wham!.

Per quanto riguarda gli easter eggs, ce ne sono e sono ancora più complessi delle altre stagioni. Oltre alle molteplici scene di film nel cinema, abbiamo citazioni a Terminator, La storia infinita, Gremlins, Shining, a volte con un poster altre con riproduzione di scene ed omaggi più diretti.

IL PUNTO

Questa stagione di Stranger Things mi ha tenuto allo schermo dall’inizio alla fine. È un binge-watching caleidoscopico che racconta ogni fase in maniera eccezionale e fruibile. Il miglioramento dalla seconda stagione si percepisce subito e anche se l’interpretazione degli attori della prima è forse migliore (come anche il tempo a loro dedicato), questa terza è riuscita ugualmente nell’ardua missione di innovare e sorprendere.

Insomma, al momento è forse una delle serie più riuscite di questo 2019!

Voto: 9

Daniele Ferullo

https://youtu.be/XcnHOQ-cHa0

[#NerdGames] BloodStained: Ritual of the night, degno successore di Castlevania?

“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.

Così avrebbe esordito Zio Ben con Koji Igarashi, una volta saputo della decisione di avviare il kickstarter per BloodStained: Ritual of the night. Il potere di chi ha dato alla luce la pietra miliare dei Metroidvenia Castlevania: Symphony of the night è un’arma a doppio taglio: da una parte ha la fiducia dei fan del genere che lo seguono, dall’altra il peso di un franchise che non sta dando il suo massimo da diversi anni.

Quanto può essere ben riposta questa fiducia indomita?

Il mondo del crowdfunding, qualche anno fa, è stato invaso da giochi indie di tutti i tipi: Dead Cells, Hollow Knight, Psychonauts 2 e tantissimi altri. Tra questi c’era anche Bloodstained, presentato da Koji in persona come il successore del vero spirito di Castlevania. Niente spin-off strambo né clone, ma qualcosa di nuovo che potesse soddisfare una volta per tutte la voglia dei fan di innovazione e nostalgia.

BloodStained riesce in parte a soddisfare questo bisogno.

UNA BUONA STORIA O FAN-SERVICE?

La storia è ben costruita, raccontata bene e con i giusti tempi, seppure si senta moltissimo l’impronta di Igarashi nella scelta delle ambientazioni e dei mostri. Ha riciclato quasi tutti i biomi dei vecchi Castlevania donando un mash-up piuttosto citazionistico ai fan del franchise Konami.

Abbiamo una protagonista molto simile a Shanoa di Order of Ecclesia, con la capacità di apprendere l’abilità dei nostri nemici tramite dei cristalli; degli aiutanti che avranno base nel villaggio e ci faranno da shop come in Dawn of Sorrow; un personaggio con una storia parallela alla nostra e così via… Insomma, gli elementi di un Castlevania ci sono tutti e anche di più, ma si sente una nota stonata: si avverte quella sensazione di bootleg nei mostri (che hanno forme simili, mosse simili ma nomi diversi), nelle armi che hanno quella vocale o consonante diversa ma forma e animazione simile, a cui si aggiunge una tendenza estetica al fan-service sulla protagonista a cui potremmo cambiare colore di capelli e del vestito come fosse una bambola di porcellana.

warning: attenzione ai gattini e cagnolini demoniaci

GAMEPLAY, TRA VECCHI TRICK E NUOVE MECCANICHE

Andando oltre questo primo impatto che lascia un po’ straniti, il gioco si districa molto bene nel gameplay, mantenendo molti trick dei vecchi Castlevania e aggiungendo moltissime nuove meccaniche, come la possibilità di apprendere delle tecniche a combinazione di tasti per determinate armi, le ricette dall’alchimista e il prestito dei libri nella biblioteca gestita da un vampiro di nome Orlok Dracule – chiara citazione a Dracula nei primi Castlevania. Tutti questi elementi si uniscono a differenziare le statistiche del personaggio che quindi potremmo costruire come vogliamo, mentre oggetti speciali come i gettoni 8/16/24 bit ci daranno la possibilità di avere delle armi particolari provenienti da vecchi giochi.

I boss fight, come ogni Metroidvenia che si rispetti, sbloccheranno dei poteri necessari a proseguire nel gioco e sono piuttosto semplici da affrontare. I pattern sono prevedibili ma al contempo molto “punitivi”. Di per sé il gioco stesso è abbastanza punitivo. A meno di avere un equipaggiamento improntato alla difesa, i danni che si riceveranno sono sostenuti, mentre le pozioni sono abbastanza rare da trovare.

GRAFICA DA MIGLIORARE

Torniamo, però, a un’altra pecca: la grafica. Il 2.5D funziona, lo abbiamo ammirato anche nel titolo Castlevania: Lords of Shadow e molti titoli contemporanei ci stanno abituando a questo miglioramento. Il problema, tuttavia, sussiste in alcune transizioni, oggetti, scene che sono di fattura molto superficiale e toccano il fondo nella schermata di Game Over che sembra fatta con power point. Gli effetti visivi però sono resi bene, i ritratti dei dialoghi si adattano ai cambi d’equipaggiamento dell’eroina e le scenografie sono eccellenti.

UNA SOUNDTRACK GIÀ SENTITA

Al comparto sonoro troviamo una star del franchise Konami, Michiru Yamane, che nella sua carriera ha composto ed eseguito la colonna sonora di Symphony of the night, Aria of sorrow e Portrait of ruins. Anche qui, lo stile “Castlevania” regna sovrano, ma cambia di qualche nota facendo tornare quella sensazione imperante di copiato male.

IL PUNTO

Per quanto possa essere superficiale il lavoro grafico, sappiamo che in ogni caso tutti giocheremo e finiremo questo titolo. Poteva essere fatto meglio? Assolutamente. Oltre ai bug che mandano in crash il gioco, alcuni aspetti poco curati sono al limite dell’assurdo e spero vivamente verranno corretti nei tanti DLC gratuiti che saranno rilasciati nell’arco dell’anno. BloodStained però non è così male. Se si prende in considerazione il solo lato ludico, si lascia giocare bene ed è abbastanza duraturo da passarci il tempo a fine giornata.

Tuttavia,non è quel titolo che avremmo voluto anche avendone le potenzialità.

Voto: 6,5

Daniele “Ink” Ferullo

 

[#NerdGames] Una banana per amico: My Friend Pedro – Recensione

Quando per la prima volta giocai alla versione flash di My friend Pedro nel lontano 2014, sentivo che qualcosa di buono poteva uscirne. La grafica grezza un po’ grunge richiamava i platform sparatutto ultraviolenti di una volta come Madness combat e il gameplay strizzava l’occhio a The Matrix.

Ma come si è evoluto?

DeadToast Entertainment resta a capo del progetto, aiutato e distribuito da Devolver Digital (Hotline Miami), il cui supporto è evidente: pazzia, soundtrack, ultraviolenza e scelte fuori di testa. Perché questo gioco, parliamoci chiaro, è fuori di testa.

UNA BANANA CHE UCCIDE LENTAMENTE

Il no sense regna sovrano dall’inizio alla fine. Il protagonista è l’unico a vedere Pedro, una banana parlante che fluttua qui e lì dando suggerimenti su cosa fare, sulla situazione e la storia. La trama si sviluppa su di un piano orizzontale dove all’inizio ci si vuole solo vendicare di colui che ci ha catturato, per poi continuare con organizzazioni sempre più grandi (e strambe) che ci danno la caccia.

John Wick, is that you?

La storia matura così, tra sparatorie e uccisioni, ma ha dei picchi a mio parere piuttosto profondi. Se infatti all’inizio troviamo la solita trama da vengeance story, nel proseguire degli stage, la narrazione si muove anche in un senso verticale, dando delle pillole sociologiche, come ad esempio combattere gli “haters” di Pedro, persone che sanno solo giudicare e screditare e che, alla morte, vanno verso il paradiso. Non solo sparatorie, quindi, ma anche spessore politico e critica al contemporaneo. Proprio come i livelli nelle tubature in pieno stile Super Mario dove si annidano nemici di nuovo stampo: i giocatori nostalgici diventati troppo violenti per colpa dei videogiochi. Pedro, il nostro amico banana, ce ne parla come di una tribù che si è separata dalla società perché non voluta.

GAMEPLAY, TRA UCCISIONI E ROMPICAPO

Ma basta parlare di storia, parliamo del comparto tecnico di questo titolo.

Il gameplay ha meccaniche di difficile apprendimento, è difficile articolarsi sia con il GamePad (provato con pad XBoxOne) che con mouse e tastiera. Se da una parte abbiamo tutti i tasti a disposizione per manovrare il personaggio e una difficoltà a prendere bene la mira, dall’altro abbiamo troppi tasti da usare e poche dita per usarli. Insomma, ovunque ti giri prendi un rastrello nei denti.

Il sistema di gioco è quindi è un po’ difficoltoso ma, dopo qualche livello, si inizia a prenderci la mano rinunciando alla fantasia combattiva. Gli scontri sono molto veloci se non si utilizza lo slow motion, ma rallentare il tempo ti permette di essere più preciso e creare spettacolarità nelle uccisioni che donano Punti Stile: una valuta molto simile a quella di Devil May Cry che a fine livello ti assegna un voto da S a C a seconda delle uccisioni stesse. Piroettare per schivare proiettili, dividere le armi, utilizzare oggetti ambientali o fare delle entrate in scena drammatiche fanno accumulare punti che vengono poi moltiplicati per il numero di uccisioni fatte in breve tempo.

Questo sistema prende anche l’accezione tipica del rompicapo simile a quella di Hotline Miami dove uccidere i nemici con una strategia portava al punteggio massimo. Tuttavia non è così importante, il gioco non ricompensa per voto basso o uno alto ed è soltanto un modo per entrare nella leaderboard mondiale.

Oltre i punteggi, il gioco riesce a rinnovarsi stage dopo stage lungo i suoi 40 livelli aggiungendo gradualmente armi, oggetti scenici utilizzabili e perfino uno skateboard con cui fare combo al limite dell’assurdo. Ci sono anche dei livelli che subiscono un cambio repentino di gameplay come quello della moto o la picchiata che rinfresca l’attenzione del giocatore.

UN GRAFICA ANNI ’90 DA MIGLIORARE

L’aspetto estetico e grafico di My Friend Pedro lascia molto a desiderare. Stilisticamente sembra un gioco della metà degli anni ‘90 con personaggi pupazzosi e poligonali, si recupera di poco con le scenografie che però risultano ripetitive quasi allo stremo. Meglio non parlare delle animazioni poi. Seppure siano basate sulla fisica, il gioco spesso e volentieri si comporta come una parodia del ragdoll con movimenti scomposti dei personaggi. Ad essere sincero però, la velocità con cui si procede nei livelli non ti fa quasi accorgere di queste mancanze piuttosto evidenti appena ti fermi un attimo a guardare.

una picchiata con un tipo vestito da babbo natale che parla dell’internet

La soundtrack, eseguita per lo più da Navie D, ricalca moltissimo le sonorità di Hotline Miami con un elettropop anni ‘80 di altissima qualità. L’unica pecca è forse la mancanza di una canzone virale, una di quelle che continueresti ad ascoltare in loop una volta finito il gioco.

IL PUNTO

My Friend Pedro è un gioco che ti tiene incollato allo schermo per tutte le sue 3-4 ore di durata senza prendere una pausa. Dentro di sé ha però il rimpianto del “si poteva fare di più”. Il comparto grafico è davvero scadente e anche se media con la fantasia e il divertimento del gioco, l’occhio vuole sempre la sua parte anche in questi contesti. I controlli di gioco sono poi scomodi e inutilmente difficili. Mi tornano alla mente Shank, Deadbolt o Katana Zero e penso che questa volta mancasse poco per piazzarsi più in alto in graduatoria.

Voto: 7

Daniele “Ink” Ferullo

[#Netflix] Lucifer, cosa sappiamo sulla quinta e ultima stagione

La serie Lucifer è stata rinnovata da Netflix per una quinta e ultima stagione, dopo il grande successo della quarta.

Dopo la brusca cancellazione e la campagna dei fan #SaveLucifer, la piattaforma streaming ha permesso la realizzazione di 10 nuovi episodi e, come promesso, le sorprese, anche a tinte dark e sexy, non sono mancate.

Qualche giorno fa, con un post sull’account Instagram ufficiale dello show, è stato annunciato che Lucifer avrà una quinta e ultima stagione. Considerato il successo di pubblico avuto dalla stagione numero 4 prodotta da Netflix, un rinnovo era nell’aria sin da subito, sebbene si sia fatto attendere. Tuttavia, i fan sono rimasti spiazzati dalla notizia che la prossima tornata di episodi sarà anche l’ultima.

Ma vediamo quali sono le novità sul futuro dello show.

LUCIFER 5, COSA SAPPIAMO?

A dare qualche risposta in merito alla stagione conclusiva della serie tv con protagonista Lucifer Morningstar è stata Ildy Modrovich, showrunner e produttrice. La Modrovich ha risposto alle domande che alcuni fan della serie le hanno posto su Twitter riguardo ciò che c’è da aspettarsi. A quanto pare, la quinta stagione avrà anch’essa 10 episodi, così come la quarta:

“Sono 10… e faremo in modo che ogni minuto conti!”.

Un taglio netto rispetto ai 26 episodi della stagione numero 3. Tuttavia, potendo fare a meno di puntate filler, la scrittura potrà concentrare l’azione e lo sviluppo dei personaggi, in un ritmo concitato che non ha spazio per momenti morti. La stessa Modrovich ha annunciato con un tweet che gli sceneggiatori si metteranno al lavoro per la stesura dei nuovi script a partire dal mese di luglio.

UNA STAGIONE 6 SARÀ POSSIBILE?

La notizia che la quinta stagione della serie tv con protagonista Tom Ellis sarà quella che concluderà l’arco narrativo dell’angelo caduto non è stata ben accolta dai fan. Infatti, proprio com’era accaduto dopo la cancellazione da parte di Fox nel 2018, i Lucifans hanno avviato una nuova petizione. Questa volta, l’obiettivo è fare in modo che la serie non si chiuda con la prossima stagione. Anche su tale questione si è espressa la showrunner Ildy Modrovich che ha twittato:

Perdonatemi se starò in silenzio su questa questione. La verità è perché sono combattuta. Una parte di me farebbe Lucifer per sempre. Ma sono anche immensamente grata a VOI e a Netflix per averci dato la possibilità di continuare la nostra storia insieme. E so che la Stagione 5 sarà una lettera d’amore per i Lucifans…“.

Al momento, dunque, sembra che poche siano le speranze che il personaggio apparso in The Sandman di Neil Gaiman torni sugli schermi per una stagione 6. Già il giorno dell’annuncio degli episodi finali, i produttori Ildy Modrovich e Joe Henderson avevano rivelato in un comunicato: “Siamo incredibilmente grati a Netflix per aver resuscitato il nostro show la scorsa stagione e ora ci permette di finire la storia di Lucifer alle nostre condizioni. Soprattutto, vogliamo ringraziare i nostri fan per la loro incredibile passione e supporto. Il meglio deve ancora venire!“.

QUANDO VEDREMO LA QUINTA STAGIONE?

Non sappiamo ancora quando rivedremo Lucifer su Netflix. Se consideriamo che la produzione della quarta stagione si era protratta da agosto a dicembre 2018 e che gli episodi sono stati rilasciati a maggio di quest’anno, possiamo supporre che l’attesa durerà fino alla prossima primavera.

Francesca Belsito

[#NerdReview] Aladdin Vs Aladdin – Trova le differenze

La febbre dei live-action Disney continua al cinema e questa volta è toccato ad Aladdin.

Dopo aver visto al cinema il remake di Aladdin diretto da Guy Ritchie, sono andato a ripescare il vecchio classico del 1992. Già in sala qualcosa non mi tornava e alla fine del rewatch avevo le mani che prudevano: dovevo scrivere!

Quando si utilizza la formula del rifacimento in live-action si tende a cambiare sempre qualcosa nella storia o nella forma della narrazione. Nel caso di Aladdin, però, cosa è cambiato davvero?

A un primo occhio, magari per qualcuno che non vede il cartone da tempo, sembrerà che sia tutto pressoché simile: canzoni, personaggi, atmosfere… Ma per chi invece ha rivisto da poco il cartone, le differenze sono piuttosto evidenti, a partire dall’inizio.

INTRODUZIONE: CHE FINE HA FATTO IL MERCANTE?

L’intro del film ci porta nei mari orientali, con Will Smith che racconta una storia ai propri figli su di una nave per poi continuare con la canzone “Le notti d’Oriente”, che resta simile alla versione originale. La differenza nell’introduzione è palese: nel cartone originale, la storia veniva raccontata attraverso delle gag comiche di un mercante, introducendoci ai misteri di Agrabah e alla magia dell’Oriente.

Un altro mercante scomparso è quello nella scena nel bazar. Qui, quando Jasmine regala del cibo ai due bambini senza pagare, non è il grosso energumeno barbuto del cartone a cercare il pagamento, bensì suo cugino che stava tenendo d’occhio il banco per lui.

UN NEMICO PIÙ CONVINCENTE: JAFAR CONTRO TUTTI

Una delle grandi differenze tra cartone e live-action è sicuramente la figura del cattivo. Jafar è qui molto più giovane e riesce a ipnotizzare le persone anche senza il suo bastone magico. Convince, infatti, Aladdin a entrare nella caverna di sua spontanea volontà con la promessa di grandi ricchezze.

Altra differenza è nel suo background. Infatti, scopriamo il passato del cattivo che, come il protagonista, in origine era un ladro e saltimbanco che, grazie all’astuzia e all’imbroglio, è riuscito a raggiungere il palazzo acquisendo il titolo di Visir. Così, il personaggio ha ora una motivazione evidente per diventare il sultano di Agrabah, ossia quella di non essere mai più secondo a nessuno.

JASMINE, UNA NUOVA LEADER

La principessa di Agrabah subisce un restyling sia come abbigliamento che come carattere. Seppure già nel cartone animato del 1992 fosse una principessa combattiva, in questo film si riscopre una leader e si fa portavoce della libertà e dei diritti delle donne. Non solo una moglie, quindi, ma anche una possibile regina che potrebbe apportare delle migliorie al regno se solo la legge tradizionalista potesse essere cambiata.

Una forza, quella di questo personaggio femminile, forse dovuta alla riscrittura di un retroscena passato e all’inserimento di un dettaglio relativo alla madre, che nel cartone viene quasi ignorata. Qui, infatti, la madre di Jasmine ha finalmente una storia: proviene dal vicino regno di Sherabad (lo stesso regno che Jafar vuole conquistare) ed è morta assassinata per le sue ideologie.

IMMENSI POTERI COSMICI IN UN MINUSCOLO SPAZIO VITALE!

 

Un’altra delle grandi differenze tra il cartone e il film è di sicuro la presenza di Will Smith. Se nel cartone originale il genio veniva interpretato da Robin Williams (doppiato in italia da Gigi Proietti), grande artista comico che ha dato una connotazione delicatamente parodica e divertente all’essere blu, Will Smith invece percorre un’altra strada, più vicina ai suoi personaggi tipici.

Più irriverente, piacione e anche un po’ trash: la sua potenza attoriale è senz’altro uno dei punti cardine di tutto il film. Il suo genio, al contrario della versione originale, ha un debole per le donne e infatti s’innamora di uno dei due personaggi creati per questa pellicola, Dahlia. Altra differenza è che al termine del film non diventa un genio libero di usare i suoi poteri, ma un essere umano normale, chiudendo così il cerchio aperto con l’introduzione.

NUOVI PERSONAGGI PER NUOVE SCENE

La presenza di Dahlia e Akim non passa inosservata. La prima, l’ancella della principessa, è in quasi tutte le scene comiche ed è inoltre la donna di cui s’innamora il genio, mentre Akim ha il ruolo della guardia scelta del Sultano ricevendo una storia e l’importante scelta nel finale.

UN FINALE TUTTO NUOVO E MENO “ACTION”

La storia si muove nella stessa direzione: Jafar prende la lampada ed esprime gli stessi tre desideri del cartone animato, ma ci sono delle differenze piuttosto pronunciate tra le due pellicole. Differenze che rallentano il ritmo, ma danno anche la possibilità ad altri personaggi di sbocciare.

Tre sono le differenze essenziali:

  1. Jafar resta umano per tutto il tempo, non si trasforma in un gigantesco serpente.
  2. Iago si trasforma in un enorme pennuto* che insegue Aladdin e la lampada per Agrabah.
  3. Jasmine, con una nuova canzone, convince Akim e dimostra di avere le capacità di un Sultano (viene tagliata così la scena in cui Jasmine seduce Jafar).

*Sapevi che la trasformazione del pappagallo di Jafar è in realtà un omaggio a una delle creature mitologiche dell’antica Persia? Il Rok!

I DETTAGLI CONTANO!

Ci sono ancora piccoli dettagli che rendono differente il cartone dal live-action, come ad esempio le regole per esprimere i desideri. Nel cartone “Voglio essere un principe” andava bene come desiderio, invece nel film il genio richiede una frase più specifica e di strofinare la lampada ogni volta che se ne esprime uno.

Spero di aver saziato la vostra sete di curiosità e vi lascio con la versione originale di un divertente video che sta spopolando sui social ultimamente!

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Daniele Ferullo

[#NerdReview] Detective Pikachu, un giallo con un Pokémon giallo – Recensione

Detective Pikachu è arrivato al cinema tra aspettative e molte sorprese.

Non avrei mai immaginato di andare al cinema a vedere alla prima un film live-action sui Pokèmon. Per quanto fossi titubante, però, il mio essere fan di quelle creature così diverse tra loro, mi ha portato ad alzare la cornetta e chiamare colui che in redazione è il più esperto del settore: il nostro Chamix.

Armati di sanissimi dubbi e una flebile speranza ci siamo avventurati nella visione di questa pellicola della durata di soli 104 minuti e ne siamo usciti con il sorriso sulle labbra. Il film ci ha soddisfatti, ci ha dato la giusta dose di comicità, emozioni e meraviglia superando le nostre aspettative.

Andiamo, però, a scoprire nel dettaglio ciò che abbiamo trovato di positivo e negativo.

LA STORIA

La trama del film ricalca più o meno quella dell’omonimo videogioco per 3DS. Aggiunge qualche porzione nel finale rivelando quello che avviene dopo e velocizza il tutto per adattarlo al mezzo cinematografico. Alcune scene, però, vengono cambiate e vediamo infatti il combattimento con Charizard (assente nel gioco) e facciamo la conoscenza della giornalista della CNM già nel primo quarto di film. Seppure in alcune parti sia prevedibile, la storia è capace di grandi momenti sia di azione che di emozione, senza trascurare la componente investigativa tipica dei gialli. Lievemente differente anche l’ambientazione. Nel film ritroviamo infatti un contesto quasi cyberpunk con molte luci al neon e tecnologia avanzata che convive coi più tradizionali chioschi di sushi per le strade. Piccola nota per gli amanti del franchise: il Mewtwo presente all’interno del film è lo stesso del film animato Pokémon il film – Mewtwo contro Mew del 1998.

IL CAST

Gli attori hanno assunto il compito di far immedesimare il pubblico nel mondo dei Pokémon: lo stesso universo narrativo e immaginifico in cui molti fan della serie vorrebbero vivere come allenatori. Il giovane Justice Smith, attore principale del film, è alla sua quinta pellicola e riesce a rappresentare al meglio il complesso background del protagonista dell’omonimo videogioco, trasmettendo il peso di un vissuto non proprio rose e fiori.

Insieme a lui c’è Ryan Reynolds che con la sua voce anima uno dei testimonial più importanti di casa Nintendo: Pikachu. Seppure siamo tutti abituati a vedere il piccolo Pokémon elettrico in modo amorevole e amicale, Reynolds riprende bene la sua controparte del videogioco rendendolo diverso, più accattivante e maturo. Da notare che l’anima metartistica di Reynolds emerge anche in questo film. Detective Pikachu è infatti disseminato di easter eggs e riferimenti a moltissimi meme famosi sul web, dal più classico “non puoi litigare con tuo padre, se non hai un padre” alla sequenza dell’ingresso di Tim nella casa a Ryme City che cita Mamma, ho perso l’aereo e la famosa scena di Angels with Filthy Souls.

COMPARTO VISIVO

Tutti i Pokémon, come abbiamo visto anche nei trailer e nelle featurette prima dell’uscita della pellicola, sono fatti in computer grafica. Allo stesso modo gli alti palazzi e buona parte della scenografia. Gli innesti però non sono affatto chiassosi e si amalgamano molto bene con i soggetti reali e così anche i Pokémon che riescono ad essere molto espressivi. Però, la domanda che tutti ci siamo posti prima della visione è: “Quanti Pokémon ci sono? C’è il mio preferito?”.

In effetti, in Detective Pikachu c’è un gran quantitativo di Pokémon che spaziano dalla prima generazione fino a quelli trovati nella regione di Kalos. Perciò, se il vostro preferito è tra questi c’è una buona possibilità di vederlo. Una delle pecche che abbiamo riscontrato, però, è che seppure nella prima parte del film ci sia uno tsunami di creature differenti, a lungo andare, soprattutto nella seconda parte, si ripetono più e più volte gli stessi Pokémon, guastando quella sensazione di meraviglia iniziale. Nel complesso però la CGI è molto gradevole, la fotografia è eccellente e favorisce la grande gamma di colori delle piccole creature senza falsare in toni troppo saturi. Bisogna però fare un applauso al riguardo che hanno avuto per la verosimiglianza delle creature, che rispettano a pieno le voci del Pokédex per le caratterizzazioni.

Questo particolare è evidente fin dalle prime scene in cui il protagonista cerca di catturare il piccolo Cubone. Il Pokédex infatti recita: “Porta il teschio di sua madre come elmetto. Il suo verso, che fa eco nel teschio, è una triste melodia.” Tim lo trova così in una pianura a piangere e poi arrabbiarsi non appena il protagonista nomina il teschio della madre defunta. Altri esempi li abbiamo con le emicranie di Psyduck che causano esplosioni psichiche o con Charizard a cui non bisogna toccare la fiamma presente sulla coda.

AUDIO E COLONNA SONORA

Ogni Pokémon, come sappiamo, ha un proprio verso particolare. Di solito questo viene presentato come il nome ripetuto molteplici volte in diverse eccezioni ed intonazioni. Tuttavia, siamo rimasti piacevolmente sorpresi di trovare un leggero cambio di rotta, per cui finalmente i Pokémon riescono ad avere una propria voce (non è una battuta su Ryan Reynolds). Alcune creature, come Bulbasaur, Charizard, Mr. Mime, Snubbul… fanno dei versi (o non versi in caso di Mime) inerenti alla loro grandezza e atteggiamento. Certo, non tutti, ma è di sicuro un punto d’inizio per un futuro più realistico. Da notare un particolare easter egg nella scena che vede Pikachu cantare una canzone la cui melodia è presa direttamente dal sopracitato primo film sui Pokèmon.

CURIOSITÀ

Altre curiosità provenienti dal film riguardano la mitologia Pokémon e la regione in cui sarebbe inserita Ryme City. Nella camera del protagonista possiamo notare il poster della Lega di Sinnoh. Più avanti nel film vediamo anche le statue raffiguranti le tre divinità della medesima regione (Palkia, Dialga ed Arceus) e, per chi non l’avesse notato, la giornalista a cui Lucy ruba il tesserino si chiama Cynthia (nome originale della campionessa Pokémon della Lega di Sinnoh nel videogioco). Inoltre, è la prima volta che Arceus viene deliberatamente tirato in causa da un Pokémon per un evento accidentale infausto. E, seppure possa sembrare una gag per ridere, dona alla figura divina del Pokémon creazione il suo giusto posto nel pantheon e nell’universo in cui è inserito.

IN CONCLUSIONE

Nel complesso, Detective Pikachu ci è piaciuto. Ne siamo rimasti sorpresi e abbiamo riso nel raccontarci i dettagli alla fine della proiezione. Non siamo di fronte ad un capolavoro del cinema ma concordiamo nell’affermare che

“Detective Pikachu è il miglior film Live-Action tratto da videogioco fino ad ora realizzato”.

Daniele Ferullo & Carmine Aceto

[#Disney] Annunciati i prossimi film fino al 2027, ancora Marvel e Star Wars

La Disney non va mai in vacanza e ha annunciato tutta la sua programmazione fino al 2027.

Avete capito bene, la casa di produzione di Topolino proprio nella giornata di ieri ha svelato le nuove uscite cinematografiche per i prossimi 8 anni. E le sorprese naturalmente non sono mancate.

D’altra parte, dopo l’acquisizione della Fox per 71 miliardi di dollari, Disney ha consolidato il proprio monopolio sull’industria cinematografica e la programmazione svelata ieri sembra dimostrarlo: non si tratta più di competere con altre grandi case di produzione, ma di non fare concorrenza a se stessa. Forte dello strepitoso successo al botteghino di Avengers: Endgame, si è scelto di continuare a puntare sul Marvel Cinematic Universe. Oltre a questo, una volta conclusa la saga degli Skywalker, Star Wars tornerà con una nuova trilogia dopo qualche anno di meritata pausa. Tra gli altri franchise che vedranno un ritorno sulle scene, anche Avatar e Indiana Jones.

Ma vediamo più nel dettaglio cosa si è scoperto, sebbene ne sapremo di più ad agosto con il D23 di Disney.

DISNEY E PIXAR

Disney avrà cura dei propri classici, sia cartoon che live-action. A breve debutteranno Aladdin (22 maggio), Il Re Leone (21 agosto) e Maleficent 2 (ottobre). Nel 2020 sono previsti due live-action: Mulan e Cruella, su Crudelia De Mon interpretata dall’attrice premio Oscar Emma Stone. Poi, nei prossimi 7 anni, sono previste altre 9 pellicole live-action, adattamenti di grandi classici e non. Per quanto riguarda l’animazione, oltre Frozen 2 di questo novembre, arriveranno altri 3 titoli nel 2020, 2021 e 2022.

Grande lavoro anche in casa Pixar, con due film nel 2020 e 2021 e ben 2 nel 2022. Già annunciato Onward per il marzo 2020.

MARVEL

Oltre Endgame che ha posto un’epica conclusione a un ciclo di 21 film e a Spider-Man: Far From Home che chiuderà la Fase 3, l’universo Marvel continua ad avere un posto d’onore nei piani della Disney, complice questa ondata di successo. Ben 8 le pellicole confermate al momento, ch potrebbero anche aumentare: i primi due sono previsti per il maggio e il novembre del 2020. Dovrebbe trattarsi dello stand-alone dedicato alla Vedova Nera di Scarlett Johansson, presumibilmente un prequel, e di uno tra Shang-Chi (il Maestro del Kung-Fu poi unitosi ai Vendicatori) e Gli Eterni. Altri 3 sono previsti nel 2021 e altrettanti nel 2022. Tra i titoli certi si contano i sequen di Doctor Strange, Black Panther e Captain Marvel e il volume 3 di Guardiani della Galassia.

STAR WARS

Star Wars termierà questo dicembre la saga degli Skywalker, come annunciato in precedenza, dopodichè si prenderà una nuova pausa. Probabilmente, su questa decisione potrebbe aver influito il mancato ma sperato successo dello spin-off dedicato al fuorilegge più amato della galassia lontana lontana Solo: A Star Wars Story. Negli anni lasciati liberi da Avatar, però, tornerà anche la saga di Lucas. È infatti prevista una nuova trilogia, che uscirà ogni due anni, nel 2022, 2024 e 2026. Inizialmente erano previste una trilogia di Rian Johnson, già regista del controverso Gli ultimi Jedi, e una realizzata da Benioff e Weiss, showrunners di Game of Thrones. Non è chiaro quale vedrà la luce.

AVATAR

Ben 4 le pellicole sequel previste per Avatar, campione di incassi al botteghino mondiale, ora insidiato dalla corsa di Avengers: Endgame. La pellicola sui giganti blu di James Cameron tornerà al cinema nel dicembre 2021 e poi le altre tre pellicole debutteranno, ad anni alterni, nel 2023, 2025 e 2027. Come dicevamo, Disney è bene attenta a non far concorrenza a se stessa sovrapponendo le proprie uscite.

FOX

Con l’acquisizione di Fox, Disney si è assicurata aggiunte di una certa importanza. Ad agosto di quest’anno uscirà nelle sale The Art of Racing in the Rain con Kevin Costner, a settembre Ad Astra con Brad Pitt. Nel 2020 invece arriva finalmente il tanto atteso The New Mutants, pellicola legata al ciclo degli X-Men. A dicembre dello stesso anno è previsto un nuovo film di Steven Spielberg, il remake del celebre West Side Story. E nel 2021, dopo molte peripezie, dovrebbe vedere la luce il quinto capitolo dell’intramontabile Indiana Jones, interpretato da Harrison Ford e sempre diretto dal regista di Jurassic Park.

CALENDARIO COMPLETO

2019

  • Tolkien, 10 maggio (settembre in Italia)
  • Aladdin, 24 maggio (22 in Italia)
  • X-Men: Dark Phoenix, 7 giugno (6 in Italia)
  • Toy Story 4, 21 giugno (26 in Italia)
  • Stuber, 12 luglio
  • Il Re Leone, 19 luglio (21 agosto in Italia)
  • The Art of Racing in the Rain, 9 agosto
  • Ready or Not, 23 agosto
  • Ad Astra, 20 settembre
  • The Woman in the Window, 4 ottobre
  • Maleficent: Mistress of Evil, 18 ottobre
  • Ford v. Ferrari, 15 novembre
  • Frozen 2, 22 novembre
  • Star Wars: The Rise of Skywalker, 20 dicembre (18 in Italia)

2020

  • Underwater, 10 gennaio
  • Film Kingsman senza titolo, 14 febbraio
  • Call of the Wild, 21 febbraio
  • Onward, 6 marzo
  • Mulan, 27 marzo
  • The New Mutants, 3 aprile
  • Film Marvel senza titolo, 1 maggio
  • Artemis Fowl, 29 maggio
  • Film Pixar senza titolo, 19 giugno
  • Free Guy, 3 luglio
  • Bob’s Burgers, 17 luglio
  • Jungle Cruise, 24 luglio
  • The One and Only Ivan, 14 agosto
  • Death on the Nile, 9 ottobre
  • Film Marvel senza titolo, 6 novembre
  • Ron’s Gone Wrong, 6 novembre
  • Film Disney Animation senza titolo, 25 novembre
  • West Side Story, 18 dicembre
  • Cruella, 23 dicembre

2021

  • Film Marvel senza titolo, 12 febbraio
  • Nimona, 5 marzo
  • Live-action Disney senza titolo, 12 marzo
  • Film Marvel senza titolo, 7 maggio
  • Live-action Disney senza titolo, 28 maggio
  • Film Pixar senza titolo, 18 giugno
  • Indiana Jones senza titolo, 9 luglio
  • Live-action Disney senza titolo, 30 luglio
  • Live-action Disney senza titolo, 8 ottobre
  • Film Marvel senza titolo, 5 novembre
  • Film Disney Animation senza titolo, 24 novembre
  • Avatar 2, 17 dicembre

2022

  • Film Marvel senza titolo, 18 febbraio
  • Film Pixar senza titolo, 18 marzo
  • Film Marvel senza titolo, 6 maggio
  • Live-action Disney senza titolo, 27 maggio
  • Film Pixar senza titolo, 17 giugno
  • Live-action Disney senza titolo, 8 luglio
  • Film Marvel senza titolo, 29 luglio
  • Live-action Disney senza titolo, 7 ottobre
  • Live-action Disney senza titolo, 4 novembre
  • Film Disney Animation senza titolo, 23 novembre
  • Film Star Wars senza titolo, 16 dicembre

2023

  • Live-action Disney senza titolo, 17 febbraio
  • Avatar 3, 22 dicembre

2024

  • Film Star Wars senza titolo, 20 dicembre

2025

  • Avatar 4, 19 dicembre

2026

  • Film Star Wars senza titolo, 18 dicembre

2027

  • Avatar 5, 17 dicembre

 

 

 

 

 

[#NerdReview] Avengers Endgame: La fine è parte del viaggio – SPOILER

Dopo 11 anni e 21 film, Avengers Endgame è il capitolo finale di una lunga e pazzesca epopea.

Abbiamo visto nascere il Primo Vendicatore, Tony Stark rivelare al mondo di essere Ironman, il Dio del Tuono rendersi degno di impugnare Mjolnir. Abbiamo affrontato gli inganni di Loki e l’invasione dei Chitauri, parteggiato per i Vendicatori nella Civil War. Siamo stati avvertiti dell’ineluttabilità del Destino e alla fine è arrivato e abbiamo sofferto.

Avengers Endgame è questo: un cerchio che si chiude, storie che si riallacciano e insieme tendono verso uno snodo che, inesorabile, attendeva che il tempo facesse il suo corso. Quello snodo agognato e risolutore che, quando arriva, ha il sapore agrodolce delle cose che finiscono, perchè così dev’essere, e si dissolvono, restituendo tutto quello che è stato dato. Avengers Endgame è il Destino che si compie.

Nonostante sia solo il penultimo film della Fase 3 del Marvel Cinematic Universe, Endgame è in realtà stato concepito come il coronamento di 11 anni di lavoro. È l’epilogo alle molteplici storie che i 21 film precedenti hanno aperto e sviluppato ed è qui che gli eroi che abbiamo conosciuto e imparato ad apprezzare in questi anni si ritrovano, forse per un’ultima volta. È giunto il tempo che facciano i conti con se stessi e con gli altri, mettendo da parte per un momento l’essere eroi e confrontandosi con il loro essere uomini prima di tutto. Perchè anche i supereroi hanno il diritto di cadere sulle proprie ginocchia e sanguinare.

DOPO INFINITY WAR

Ed Endgame parte proprio da questo punto: gli Avengers, per la prima volta, sono stati sconfitti. Hanno lottato, si sono battuti, ma hanno perso: la battaglia, la loro unione, le persone amate. L’amarezza della perdita si mescola con il gusto pungente del fallimento e il tormento del rimorso. Nel momento fatale dello schiocco di Thanos, quattro dei Vendicatori originali si trovano in Wakanda, Occhio di Falco si è ritirato con la sua famiglia, Tony è su Titano, devastato dalla consapevolezza dell’annientamento.

Nell’intenzione, Infinity War ed Endgame sono stati pensati come parti di un’unica, gigantesca storia. A conti fatti, però, la pellicola numero 22 del MCU è quanto di più diverso possibile dalla precedente. Infinity War è una pietra miliare nel settore del cinefumetto, avendo riscritto i canoni del genere. Per la prima volta, gli eroi protagonisti sono vittime di uno scacco non previsto: il cattivo ha vinto e la distruzione si è abbattuta, feroce, sull’universo. Metà delle forme viventi sono scomparse, polverizzate. Stupore, ammirazione e sbigottimento le sole sensazioni possibili di fronte a un’opera simile, unica nel suo genere. Dal punto di vista prettamente cinematografico, Endgame è allo stesso livello? In tutta sincerità, no. La pellicola non è esente da difetti, sbavature, piccole note stonate. Nella visione non passano inosservate. Eppure, tutto ciò non ha la minima importanza.

AVENGERS ENDGAME RESTERÀ NELLA STORIA: È UN FILM MASTODONTICO, IMPONENTE, AMBIZIOSO.

Probabilmente, finora nessuna pellicola è stata attesa con tali aspettative e inquietudine e la pubblicità che l’ha avvolta è stata incontenibile, come il film stesso. Ogni cosa in Endgame è oltre misura. Una battaglia epica, molte risate, emozioni che sgorgano, tantissima commozione e ricordi e riferimenti al passato che, in un flusso irrefrenabile, riaffiorano nel bacino dell’emotività individuale. L’impresa non è stata facile e forse anche per questo si perdonano le imperfezioni che costellano qua e là la pellicola.

Quel che è certo è che i registi Anthony e Joe Russo, insieme agli sceneggiatori Christopher Markus e Stephen McFeely, sono riusciti nello sforzo immane di riannodare i fili dipanatisi in 21 film, per 11 anni. Tre ore per dare una degna conclusione alla Saga dell’Infinito e andare incontro al destino di ogni personaggio, senza perdere di vista la coerenza, le storie e le aspirazioni di ciascuno. Endgame è un film plurale e corale: più storie, più personaggi, più emozioni, tutto quanto insieme, in quella che è una celebrazione dell’universo Marvel e un caldo abbraccio a tutti i fan che in quell’universo ci hanno creduto.

ENDGAME FUNZIONA ED EMOZIONA

In tre ore non si avverte mai il peso della lentezza, nonostante ritmo incalzante e azione siano concentrati perlopiù verso il finale. I tre atti della pellicola rendono veloci i 181 minuti. Si inizia lì dove si era rimasti con Infinity War e, ancora una volta, osserviamo sullo schermo gli effetti devastanti dello schiocco di Thanos.

Tuttavia, Endgame sceglie di non riallacciarsi con la scena dopo i titoli di coda di Captain Marvel e non vediamo le prime interazioni tra gli Avengers sopravvissuti e Carol Danvers. Ed è qui che apprendiamo che i fratelli Russo non avevano mentito completamente: la maggior parte delle scene mostrate nei trailer erano davvero tratte dalla primissima parte del film. Quella stessa parte che si svolge come un’elaborazione del lutto. Metà della popolazione mondiale è improvvisamente scomparsa, i governi sono in crisi, le città sono desolate: è possibile accettare l’accaduto e continuare a vivere?

ALCUNE PERSONE VANNO AVANTI… MA NOI NO

I Vendicatori non riescono a darsi pace. Il peso del fallimento è grave sulle loro spalle. Natasha è preoccupata per Clint, che ha appeso al chiodo gli abiti da Occhio di Falco per assumere l’identità di Ronin, assuefatto dal dolore della perdita. Tony non riesce a perdonare Steve: gli Avengers funzionano solo se uniti. Però bisogna agire, è a fatto compiuto che intervengono gli Avengers e in una manciata di minuti Thor è lì con Stormbreaker in pugno e ci colpisce in pieno petto. Il film è già finito? No, è appena l’inizio e succede l’inaspettato. Un unico, intenso momento d’azione in una prima parte “parlata” e tutta assorta nella sua dimensione “umana”. I Vendicatori hanno perso e, pur cercando di andare avanti per quanto possibile, supportando i rimasti, monitorando pericoli, rifugiandosi nella famiglia, niente è ritornato come prima.

Ogni cosa è immobile, fino al successivo colpo di scena che apre lo spazio al secondo atto della pellicola. Un po’ tutti avevano previsto i viaggi nel tempo e il ruolo determinante del Regno Quantico ma, per quanto la trovata non sia stata così originale, sorprendente è il modo in cui viene messa in atto, sebbene il finale della pellicola porti con sè alcuni dubbi.

E come un viaggio nel tempo troppo rapido, Endgame va verso il suo epico, gigantesco atto finale: una battaglia spettacolare ed entusiasmante, in cui azione ed emozioni si fondono in una cosa sola, in cui i supereroi combattenti sono uomini che abbracciano il loro destino, tornato inesorabile, che hanno combattuto, sono caduti, si sono rialzati e ancora continuano a combattere. A qualunque costo.

UNA FINE INELUTTABILE

Dal punto di vista scenico, è una sequenza memorabile per quanto confusa e le sorprese si susseguono l’una dopo l’altra. Quel fugace momento in Age of Ultron l’aveva preannunciato, ma nessuno mai avrebbe immaginato di vedere Thor salvato da Mjolnir impugnato da un Capitan America ormai degno. Il tuffo al cuore nel veder ritornare sulla scena tutti gli eroi che erano spariti allo schiocco del Titano pazzo. L’abbraccio paterno tra Tony e Peter Parker, l’ultimo. L’arrivo di Pepper Potts con la sua armatura da Rescue. Il grido di battaglia di Black Panther e dei Wakandiani.

Più volte si trattiene il fiato, più volte un brivido di eccitazione percorre la schiena, fino a quel momento, quando la battaglia sembra volgere ancora una volta a sfavore degli Avengers. Sono poche le battute affidate a Benedict Cumberbatch e al suo Dr. Strange, ma quello sguardo scambiato con Tony, il secondo dopo quello in Infinity War, il gesto con la mano a ricordargli che di quei 14.605.000 finali solo uno era quello vittorioso. È un attimo, letteralmente uno schiocco di dita e la battaglia è finita. Vinta. Ma a quale prezzo?

IL POTERE DI UN CINECOMIC

Buchi nella trama, battute comiche nello stile Marvel più esasperato, Professor Hulk che ha perduto il vigore delle mazzate dell'”Hulk spacca!” rendendosi fin troppo innocuo, Thor immerso fino in fondo nella sua umanità più degradata che ne fa una versione macchiettistica del grande Lebowski, i paradossi dei viaggi nel tempo, un momento girlpower esageratamente forzato. Potremmo discutere a lungo di cosa non ha funzionato in Endgame, ma la verità è che non dobbiamo e non vogliamo farlo. Questo film poteva essere perfetto? Certo, ma forse non era necessario. Endgame non ha puntato sulla perfezione,  ma ha scommesso sulla potenza, sulla meraviglia, sull’emozione. Puristi e snob del cinema potranno gridare con tutto il loro fiato alla poca qualità artistica, alla comicità più blanda, all’intrattenimento “infantile” di questo e di tutti gli altri cinecomics… non importa.

Avengers Endgame non è solo un film, è un fenomeno culturale, un’epopea contemporanea, il mito che si incarna nella modernità. Il giro di boa di un progetto lunghissimo, disseminato negli anni, curato in ogni dettaglio, in ogni sua precisa parte, ciascuna legata all’altra da un filo, come tanti pezzi di un grande puzzle che, passo dopo passo, tornano al loro posto, rivelando un disegno più grande, superiore.

In 11 anni, molti sono cresciuti –  o tornati bambini – con questi film, compiendo passi falsi, commettendo errori, inciampando, di pari passo col percorso degli eroi, quasi come se gli eroi ricordassero di essere uomini e gli uomini imparassero a sentirsi eroi della vita di tutti i giorni. E questi stessi eroi forse hanno avuto qualcosa da insegnare nel solco della loro epica contemporanea: l’unione, la volontà, la caduta, la sconfitta, la rassegnazione, la speranza, il sacrificio.

IO SONO IRONMAN

Abbiamo imparato che la famiglia, quella di sangue o quella che hai scelto di avere intorno, è quanto di più prezioso al mondo, ci sarà sempre per te, nonostante tutto. Abbiamo imparato che il fallimento è parte della vita, di ogni vita, perchè senza fallire non si cade mai, se non si cade non si apprende mai l’arte paziente della speranza. E perfino nel buio più cupo della disperazione, abbiamo imparato che può balenare in nostro soccorso la comprensione che non sempre tutto è perduto. Se a volte bisogna lasciarsi alle spalle il passato, altre volte bisogna rinunciare a un presente appena assaporato e a un futuro ancora auspicato. È in questa dolorosa consapevolezza che abbiamo appreso che, talvolta, invece, occorre farsi da parte, con la speranza che questo messaggio resterà sempre un’eredità per le nuove generazione e tutti quelli che verranno dopo.

Perchè Endgame è anche questo, non solo botte ed eroi in armatura e calzamaglia: un insegnamento, in cui l’ironia ne stempera delicatamente la gravosità. Un messaggio di rinuncia nella speranza. Il lascito di un padre ai propri figli, la sofferenza del sacrificio che si fa possibilità di un futuro migliore. Cosa è disposto a fare un padre per i suoi figli? Tenerli per mano, dare tutto di sè, immolarsi. Questo film, al culmine di una strada irta, ci lascia andare, dopo averci cresciuti e, come un padre, ci lascia la mano, perchè quel padre siamo pronti a lasciarlo andare, anche con la tristezza nel cuore.

E così come tutto è iniziato nel 2008, Endgame ci coccola, con un ultimo malinconico abbraccio, e nelle orecchie riecheggia, incalzante, il suono sordo del martello che batte sull’acciaio in una lontana e semibuia caverna nel cuore dell’Afghanistan… Come non pensare alle parole di Steve Rogers a Tony Stark nel primo Avengers: “Non sei il tipo votato al sacrificio”. Fanno male 3000. Gli eroi sono diventati più forti, gli uomini sono maturati. E quando il Destino arriva, è tempo di salutarsi.

Un addio, o forse un arrivederci, un ultimo saluto a quegli eroi che ci hanno accompagnati in questi anni, che ci hanno fatto ridere, entusiasmato, che ci hanno uniti, e adesso ci hanno fatto piangere… questo addio è forse un preludio a qualcosa di nuovo, ma per quanto doloroso possa essere

LA FINE È PARTE DEL VIAGGIO.

Francesca Belsito

[#DisneyPlus] Ecco il catalogo del nuovo servizio streaming DisneyPlus

Presentato ufficialmente il nuovo servizio streaming Disney Plus.

Durante l’Investor Day, Disney ha svelato maggiori dettagli circa il lancio e i costi della sua nuova piattaforma streaming DisneyPlus. Il catalogo annunciato si lancia in una spietata competizione con altri colossi dello streaming come Netflix e Amazon Prime Video.

Al lancio del servizio, il 12 novembre negli USA, saranno disponibili 7500 episodi, 25 serie originali, 500 film (di cui 100 molto recenti, a un anno circa dall’uscita nelle sale), per arrivare poi a una media di 50 contenuti originali all’anno, tutti scaricabili sull’app. Il servizio sarà disponibile su numerose piattaforme come Apple TV, Xbox One, Nintendo Switch, Chromecast, SmartTv, Mobile e Pc.

Da subito, troveremo le 30 stagioni dei Simpsons, ormai di proprietà Disney dopo l’acquisizione della Fox. Sulla piattaforma saranno poi distribuite tutte le prossime nuove uscite dei franchise Marvel, Lucasfilm, Walt Disney Studios, Disney Pixar. Perciò, già al lancio vedremo già tutti i film della saga di Star Wars, la library di Disney Channel e 250 contenuti di National Geographic, anch’essa acquisita di recente.

Questa la lista completa dei prodotti originali.

STAR WARS

  • Star Wars: The Clone Wars – Stagione 7
  • The Mandalorian
  • Cassian Andor – Serie prequel di Rogue One
  • Una docuserie sugli artisti che lavorano a Star Wars

MARVEL

  • WandaVision, con Elizabeth Olsen e Paul Bettany – Disponibile nel 2020
  • Loki, con Tom Hiddleston – Disponibile nel 2020
  • Falcon & Winter Soldier, con Sebastian Stan e Anthony Mackie
  • Hawkeye, con Jeremy Renner – Disponibile nel 2020
  • What if? – Serie animata supervisionata da Marvel Studios e Kevin Feige
  • Marvel’s 616 – Docuserie dedicata al mondo Marvel
  • Marvel’s Hero Project – Docuserie dedicata al lavoro di alcuni giovani e al loro progetto per la comunità

DISNEY

  • High School Musical: The Musical – The Series – Docuserie in 10 episodi ambientata nel liceo in cui sono stati girati i film e dove è in allestimento un musical ad essi ispirato
  • Mighty Ducks – Adattamento tv del film
  • Ink & Paint- Docuserie in 8 episodi dedicata alle impiegate della Disney Animation
  • Be our Chef – Cooking show ambientato a Walt Disney World
  • Cinema Relics: Iconic Art of the Movies – Serie antologica dedicata a costumi e oggetti di scena iconici dei film Disney
  • Docuserie dedicata ai Disney Imagineering
  • Muppets Live Another Day, con Josh Gad
  • Book of Enchantment – Serie basata sui romanzi di Serena Valentino
  • Diary of a Female President – Serie scritta da Ilana Pena e prodotta da Gina Rodriguez
  • Secret Society of Second Born Royals – Serie sci-fi scritta da Alex Litvak e Andrew Green
  • The Sandlot – Reboot del classico
  • Into the Unknown: Making Frozen 2 – Docuserie dedicata al sequel di Frozen

PIXAR

  • Monsters at Work – Serie di Monsters & Co. con le voci di John Goodman e Billy Crystal
  • Forky Asks a Question – Serie di corti dedicati al personaggio di Toy Story 4
  • Il corto Lamp Life
  • Docuserie dedicata alla Pixar

NATIONAL GEOGRAPHIC

  • The World According to Jeff Godlblum – Serie
  • The Magic of the Animal Kingdom – Serie di documentari dedicati agli animali di Animal Kingdom
  • Earthkeepers
  • (Re)Connect
  • Rogue Trip
  • Shop Class