Tutti gli articoli di Francesca Belsito

[#NerdSeries] Giro di boa per American Gods: vale la pena continuare?

Lunedì 8 aprile ha segnato un traguardo importante per la serie tv di casa Starz, American Gods.

La serie ha infatti superato metà stagione, arrivando al quinto episodio. La domanda che però ci si pone è: come ci è arrivata?

Arrancando. Questa seconda stagione si trascina episodio dopo episodio con pochi colpi di scena a tenere alta l’attenzione. Diluisce le scene con lunghi dialoghi che, seppur pregnanti di significato, si protraggono con lunghe pause che rubano minuti preziosi ai fatti e alle rivelazioni.

PROTAGONISTI VECCHI E NUOVI

Il protagonista di American Gods, Shadow (Ricky Whittle), si muove in modo caotico, facendo un passo indietro nella sua consapevolezza a inizio stagione proprio quando, al termine della prima, c’era la speranza di vedere un miglioramento. Molto spesso è KO o comunque inabilitato e perfino il flashback che dovrebbe raccontare la sua storia si rivela molto noioso. C’è però da dire che se il protagonista è fiacco, i comprimari e i personaggi secondari dominano la scena e si rivelano capaci di grandi prodezze.

Laura Moon (Emily Browning) e Mad Sweeney (Pablo Schreiber) si mostrano molto più centrali nella stagione, caratterizzati da una crescita sia nel rapporto che come singoli. Tuttavia, manca il ritmo incalzante e umoristico dei racconti della prima stagione. Manca l’azione contestualizzata che spesso viene ridotta a combattimenti con ondate di nemici che vengono eliminati come burro. Manca un Odino (Ian McShane) carismatico, che viene superato perfino da Anansi (Orlando Jones) e Bilquis (Yetide Badaki) che si mostrano più decisi nell’interpretazione e nel manovrare i fili della trama.

Tra i nemici, vediamo una blanda interpretazione per quanto riguarda Media che, se nella prima stagione, è una spanna al di sopra sia di Mr. World che di Techboy, con la sua riconfigurazione si svilisce in apparizioni con poche righe di dialogo e un unico “assolo” nell’episodio 3. Techboy (Bruce Langley) è di sicuro il protagonista tra le divinità moderne e riesce nell’intento di superare l’atteggiamento da bambino capriccioso che si era imposto dalla prima stagione e si arriva perfino ad empatizzare con lui.

IL PUNTO SU METÀ STAGIONE

In parole povere, sembra essere una seconda stagione dedicata maggiormente ai personaggi secondari che ai principali. Questo però non vuol dire che le idee e la filosofia dietro gli episodi non vengano espresse a dovere. Tematiche come la globalizzazione, la privacy e la sicurezza sono trattate con metafore attuali. Ancora, la battaglia per la libertà razziale viene espressa in maniera eccellente dal trio Anansi, Bilquis e Ibis. Per questo sicuramente dovremmo ringraziare l’autore originale dell’opera, Neil Gaiman, poiché le tematiche vengono trattate in maniera simile al testo originale.

La fotografia è ancora eccellente, la costruzione delle scene è buona e anche il montaggio è ottimale insieme al comparto sonoro e le musiche. L’unica pecca è nella struttura degli episodi che con la loro lentezza rovinano la godibilità della serie.

Speriamo in una ripresa nella seconda parte della stagione di American Gods e che Charles “Chic” Eglee, showrunner del terzo capitolo, riesca a fare meglio per questa serie che merita di essere trattata con i guanti d’oro.

Daniele Ferullo

[#CiNerd] Shazam! – Recensione: la DC punta sulla leggerezza

Dal fumetto al cinema, Shazam! porta la gioia nel mondo DC.

Quando parliamo dell’universo DC Comics, siamo portati a pensare alle tinte scure di Batman, alla gravità delle scelte di Superman o alla lunga vita e le lotte di Wonder Woman.

Sebbene soprattutto con Aquaman la DC abbia provato a percorrere una strada più “allegra”, possiamo dire che Shazam! sia un passo ulteriore verso la spensieratezza e la meraviglia, cosa che solo un Capitan Marvel avrebbe potuto fare.

CHI È SHAZAM?

La storia di Shazam inizia tanto tempo fa. Il personaggio nacque nel 1940 in seno alla Fawcett Comics, ispirato al supereroe che stava diventando icona della cultura pop americana: Superman. Da allora, il personaggio è stato continuamente modificato nel corso dei decenni fino ad arrivare allo Shazam! visto al cinema. Per dire, durante un certo periodo in cui i diritti del personaggio non poterono essere legalmente mantenuti (prima si chiamava davvero Capitan Marvel!), molte altre case editrici provarono a cavalcare l’onda della sua enorme fama. Tuttavia, alla fine la spuntò la DC Comics che acquistò legalmente i diritti per la pubblicazione del personaggio, mentre la Marvel ottenne quelli per il nome. Così ebbe vita “Shazam!”.

TRAMA

Finita la premessa storica, iniziamo a parlare del film.

Billy Batson (Asher Angel) è un orfano che scappa da ogni famiglia in cerca della sua vera madre, che però non riesce a trovare. Viene adottato poi da una coppia che vive in una casa-famiglia e qui fa la conoscenza dei suoi nuovi fratelli e sorelle. Billy è solo un ragazzino di quindici anni, non ama la compagnia degli altri e ha sempre vissuto di espedienti, ma un giorno tutto cambia. Scappando da dei bulli incontra in metropolitana il mago Shazam (Djimon Hounsou) che gli trasferisce tutti i suoi poteri, diventando il campione del bene. Acquisiti poteri mitologici come la forza di Ercole, i fulmini di Zeus, la velocità di Mercurio e la resistenza di Atlante, Billy si trasforma nel suo massimo potenziale: una versione adulta (Zachary Levi) che mantiene la coscienza e l’intelligenza del ragazzo.

Nonostante i vari tagli alla storia originale, Shazam! si districa bene tra le tematiche spigolose della vita nelle case-famiglia, delle adozioni e della povertà. Le affronta con leggerezza, ma senza mai cadere nel ridicolo. Billy Batson infatti è abituato alla povertà e anche con i poteri di Shazam, più che fare il supereroe, cerca di guadagnarsi da vivere con balli e selfie a pagamento. Non ci sono nel film profondi buchi di trama, sebbene alcune scene lascino interdetti sulle scelte del protagonista, che sembra “istupidirsi” non appena apprende il concetto di famiglia. Difatti, ci troviamo davanti un film per famiglie, in cui l’affezione tra fratello, sorella e genitori fa da netto contrasto con la solita moda del supereroe che vuole lasciare il mondo all’oscuro della propria esistenza.

COMMENTO

Per quanto riguarda la parte iniziale del film, possiamo forse fare una piccola analogia con Spider-Man: Homecoming. Simile è l’atteggiamento di apprensione alla scoperta dei poteri in Peter Parker e Billy Batson ed entrambi contano su una spalla. Per Billy l’aiuto dell’amico “nerd” Freddy è fondamentale per comprendere quell’universo supereroistico che non conosce a fondo. Ricordiamoci, infatti, che il mondo in cui il film si sviluppa è condiviso con Superman, Batman, Wonder Woman… e ci sono molteplici riprove all’interno della pellicola stessa.

Tasto dolente è rappresentato dal villain. Non ci troviamo di fronte a un nemico di grande spessore, la sua storia è simile a quella di tanti altri e forse egli pecca di infantilità, anche più del protagonista stesso, che però ha quindici anni. Una visione estesa della storia originale del Dottor Sivana avrebbe sicuramente dato al personaggio una dimensione migliore rispetto a quella del burattino presente in questa versione cinematografica, ma il dado è tratto.

COMPARTO TECNICO

Nonostante il film duri poco più di due ore, avvengono dei salti in avanti nella storia poco congrui: il montaggio avrebbe potuto essere migliore. Alcune scene sono per lo più inutili e di puro intrattenimento ludico. Tuttavia, Shazam! non pecca di lentezza e ciò rappresenta comunque una grande differenza rispetto ad altri film del DCEU che invece sono sia di fama che di fatto molto più pesanti.

Buoni gli effetti speciali: l’altissima saturazione del costume (che riproduce la versione originale del 1940) non urta gli occhi, ma rende l’idea di supereroe fuori contesto. La colonna sonora è tipica del film di supereroe, con alcune citazioni sia nelle scene che nelle musiche a Superman e agli altri eroi DC. È possibile notare, un po’ come in Teen Titans Go, la presenza di moltissimi easter eggs e citazioni alle altre testate fumettistiche. Fate attenzione quindi ai poster, alle magliette del co-protagonista e ai dettagli per trovare qui e lì riferimenti acculturati.

IL PUNTO

Se dovessimo piazzare Shazam! su di una scala nella vita della DC, potremmo constatare che qualche gradino è stato risalito. C’è da dire che in ogni caso più in basso non si poteva andare! Non mi fa sperare in un cambio di registro della DC riguardo il mood delle sue pellicole: i personaggi stessi della casa editrice (almeno quelli di punta) sono per lo più tetri e molto seri e questo gioca e giocherà sempre un ruolo importante nell’elaborazione delle sceneggiature.

Tuttavia, sento di essere speranzoso, forse una luce s’è accesa e possiamo risalire dal seminterrato da incubo in cui la DC ci aveva fatto sprofondare.

Daniele Ferullo

Blackoutindanza, a Cosenza formazione con le stelle della danza

Blackoutindanza stage/concorso nazionale di danza torna anche quest’anno dal 25 al 28 aprile a Cosenza.

L’evento Blackoutindanza, ormai alla nona edizione, prevede una sezione formativa ricca. Infatti, lezioni di modern, teatro danza, passo a due e laboratori coreografici si alterneranno tra il 25 e il 27 aprile. Nutrito il gruppo dei docenti che terranno le lezioni: Andrè De La Roche, Silvia Marti, Marianna Giorgi, Lindo Nudo, Filippo Stabile, Antonio Sicilia e Natascia Cucunato.

A concludere i quattro giorni di formazione, il concorso coreografico del 28 aprile che si svolgerà nella cornice del Teatro Morelli di Cosenza. In palio tante borse di studio per i più prestigiosi enti ed eventi nazionali. Tra queste, una borsa di studio di un anno per il “Corso di Perfezionamento Professionale di Danza” (offerta dall’AID – Associazione Italiana Danzatori), borse di studio per 10 lezione gratuite presso il MAC (Molinari Art Center) a Roma, un contratto di lavoro per la quinta edizione di Eolie Dance Festival, riservato al miglior coreografo della sezione “composizione coreografica” in concorso.

La manifestazione, sotto la direzione artistica della coreografa e danzatrice Natascia Cucunato, è prodotta dalla Tersicore danza e spettacolo. Negli anni si sono susseguiti sul palco docenti di grande fama, offrendo percorsi formativi di alto livello. Tra gli altri, ricordiamo con Raffaele Paganini, Luciano Cannito, Steve La Chance, Marco Garofalo, Veronica Peparini.

Qui la pagina con informazioni sull’evento e le modalità di partecipazione.

 

 

Note D’Artista al via – Fino al 5 aprile omaggio ad Alfonso Rendano

Si è svolta nella giornata di oggi all’ISS Lucrezia Della Valle la conferenza stampa per Note D’Artista.

Evento dedicato alla memoria di Alfonso Rendano che coinvolge molte delle realtà culturali ed artistiche della città di Cosenza, Note D’Artista è organizzato dall’associazione Gommalacca Factory e patrocinato dal Comune di Cosenza. La cinque giorni di manifestazione pone al centro della sua programmazione i luoghi e la conoscenza storica dedicati al grande compositore di Carolei.

Durante la conferenza stampa si sono susseguite le dichiarazioni di Dario Della Rosa, pianista di Brunori S.A.S, dell’assessore alla cultura della Regione Calabria Maria Francesca Corigliano, dell dirigente alla cultura del comune di Cosenza Gianpaolo Calabrese. Insieme a loro, il Professore del Conservatorio “S. Giacomantonio” di Cosenza Nicola Pisani, la Professoressa Gabriella Naso e la musicologa Antonella Barbarossa. Il punto in comune dei discorsi dei partner e degli ospiti è stato relativo all’importanza che eventi del genere hanno per la città e la regione tutta, in quanto riportano alla luce e alla conoscenza dei giovani la storia dei grandi artisti dell’hinterland e di come abbiano scalato la vetta fino alla fama nazionale.

“Voi sapevate, prima di oggi, chi fosse Alfonso Rendano?” ha esordito il maestro Nicola Pisani verso gli studenti presenti alla conferenza. “No” è stata la risposta univoca dei giovani adolescenti alcuni dei quali partecipanti al Workshop di Quirino Calderone organizzato in occasione dell’evento. Questa risposta è stata il fulcro dell’intervento dell’assessore Maria Francesca Corigliano che si è soffermata sull’importanza che progetti come Note D’Artista hanno per il territorio e per i giovani che attraverso queste iniziative possono venire a conoscenza del passato della loro terra.

L’evento si protrarrà fino al 5 aprile con la serata conclusiva che vedrà alle 19.00 Francesco Di Bella esibirsi nella Sala Quintieri del Teatro “A. Rendano” di Cosenza, un appuntamento intorno a cui ruoteranno diverse attività, tra cui uno spettacolo itinerante a cura del Parco Tommaso Campanella, un concerto in cui ascolteremo le sonorità di Alfonso Rendano mentre diversi illustratori tra cui Gianluca Gallo, Quirino Calderone e Roberta Cerise Bordone svolgeranno delle residenze d’artista.

Un concerto unico, quello di Francesco Di Bella, durante il quale il cantautore sarà accompagnato da Alfonso Bruno, storico chitarrista partenopeo, e dagli studenti del liceo musicale ISS Lucrezia Della Valle. Archi e fiati, pianoforte e voce, coordinati dal pianista Dario Della Rossa, creeranno delle sonorità uniche per ripercorrere i brani più celebri scritti dall’ex frontman dei 24 Grana.

Un evento da non perdere per tutti gli appassionati di musica che vogliono riappropriarsi di una conoscenza che si stava perdendo nel tempo.

Vi invogliamo quindi a partecipare ai tanti eventi e a visitare il sito dell’evento.

Qui, tra le altre cose, potrete trovare il programma completo.

Daniele Ferullo

[#NerdReview] Love, Death & Robots – Recensione

Love, Death & Robots è la nuova serie antologica animata sbarcata su Netflix questo mese.

Si tratta di episodi autoconclusivi di breve durata dal sapore fantascientifico e distopico, destinati a un pubblico adulto. Creatore dell’antologia Love, Death & Robots è Tim Miller, giè regista di Deadpool. Insieme a lui alla produzione David Fincher, la mente dietro Fight Club, House of Cards e Mindhunter.

Diciotto sono gli episodi di cui si compone la serie, arrivata su Netflix il 15 marzo. Ciascuno di questi, narrando una storia a sé stante, è di durata variabile, compresa tra i 6 e i 17 minuti. Per la sua stessa natura, Love, Death & Robots si presta a una sana sessione di bingewatching, che oserei definire compulsivo. Sì, perchè questo prodotto è così accattivante che si lascia divorare in breve tempo, saltando da un episodio all’altro senza soluzione di continuità.

E proprio riguardo la successione degli episodi, Netflix è stata sommersa dalle polemiche. Gli utenti, infatti, si sono trovati di fronte a quattro ordini differenti, tanto che la piattaforma è stata accusata di favorire una pratica discriminatoria, servendosi di informazioni personali degli utenti… che di fatto Netflix non può conoscere. Invece, la successione degli episodi è personalizzata, in base alla compatibilità con le preferenze degli utenti che la piattaforma streaming acquisisce con i dati delle visioni. Un test, insomma, per rendere più soddisfacente e personale l’esperienza.

L’ANIMAZIONE

Love, Death & Robots, come il titolo suggerisce, è una raccolta di corti animati di genere fantascientifico che hanno in comune tre tematiche: amore, morte, robots, sebbene questo trittico non sia sempre presente. Del resto, dovendo scegliere una parola per descrivere la serie, quella sarebbe: varietà. Una varietà che si dilata dal livello narrativo, sconfinando in quello grafico.

Infatti, il lavoro grafico della serie è, senza esagerare, eccellente e la rende un capolavoro dal punto di vista visivo. Ogni episodio è costruito con una tecnica differente: si passa dall’animazione giapponese vecchio stile a una di tipo occidentale contemporaneo, dallo stile animato sporco ammirato in Spider-Man: Into the Spider-Verse alla grafica videoludica, passando per un sapiente mix di attori in carne e ossa e mirabile cgi. Spesso, guardando gli episodi, il dubbio aleggia nella mente: ma saranno attori reali? E se un dubbio simile si palesa, la cgi non può che essere ottima. In alcuni casi, il realismo dell’animazione è notevole e l’alternanza con la tecnica del cartoon o la giustappozione tra i due mezzi non può che esprimersi in una piccola gioia per gli occhi.

FANTASCIENZA E CONTAMINAZIONI

I diciotto corti che compongono Love, Death & Robots esplorano l’universo distopico, proponendo in alcuni casi esiti in apparenza surreali che sembrano perfino sfociare nella risata spontanea. La fantascienza è qui mescolata con l’history drama, con il black humour, il soft porn e il fantasy, senza dimenticare la dimensione horror e splatter. In realtà, un sottile filo di umorismo, ora latente, ora esplicito, impregna gli episodi. Sta allo spettatore decidere se accogliere quell’amara ma sottile riflessione. Perchè, oltre la bellezza delle animazioni, oltre lo sviluppo delle storie, un velo di leggera angoscia cade sullo spettatore attento. Si gode della bellezza visiva dell’episodio e subito se ne ingurgita un altro, perchè la brevità spinge a volerne di più. E, così, quasi non si avverte la sensazione di disagio che ogni corto lascia, perchè “tanto non succederà, il futuro è ancora lontano”.

Quindi, io vi chiedo: “E se il futuro fosse oggi?”.

Le buone potenzialità che possano fare di Love, Death & Robots un piccolo capolavoro del genere fantascientifico ci sono tutte, ma è un dovere ammettere che il lavoro di animazione raggiunge risultati migliori rispetto allo storytelling. I corti sono quasi tutti adattamenti da racconti brevi di narratori contemporanei (Joe Lansdale, Alastair Reynolds e John Scalzi), ma quello che propongono assume il sapore del già visto. Bastino tre esempi di antecedenti. Innanzitutto, Black Mirror, di cui l’antologia sembra essere una sorta di controparte animata e breve. Poi, Ai confini della realtà che assume qui un gusto futuristico e cyberpunk. Infine Animatrix, lungometraggio del lontano 2003, che raccoglie nove corti animati ispirati a Matrix, in cui ciascun episodio è realizzato con una diversa tecnica d’animazione, dalla grafica computerizzata fino al cartoon tradizionale.

LA SCELTA DEL CORTO

Ciò che distingue Love, Death & Robots da altri prodotti del genere è la scelta del formato corto. La realizzazione dei cortometraggi non è semplice: bisogna concentrare la storia in un minutaggio minimo. E per storia s’intende una vera storia, che abbia un inizio, una fine, uno sviluppo e che soprattutto funzioni. Inoltre, è necessario costruire dei personaggi che in pochi minuti sappiano afferrare le corde dell’empatia nel pubblico, che si immedesimi oppure li condanni.

E, in tal senso, proprio la scelta del corto rappresenta per l’antologia Netflix un pregio ma anche un limite. Il pregio è l’aver avvicinato il pubblico a un tipo di pellicola che, perlopiù, è fruita da un pubblico di appassionati del genere. Pellicola che si colloca nel genere dell’animazione, sdoganando lo stereotipo che la vuole destinata ai soli bambini (un percorso che Netflix affronta già volentieri). Del resto, pur convenzionali, le storie che i corti raccontano sono godibili, fanno del loro meglio per attivare il meccanismo della riflessione umoristica. D’altra parte, optare per il corto ha fatto di Love, Death & Robots una preda ideale del bingewatching, alimentando quella fame chimica che stimola l’abbuffata, trangugiando gli episodi in un solo, lungo boccone.

I CORTI

I diciotti corti animati sono uniti da un filo conduttore: amore, morte e robots, anche se, come già detto, il trittico non è sempre presente. Molti di questi episodi sono adattamenti da racconti brevi di narratori contemporanei, per questa ragione non è l’originalità ciò che emerge dalla visione. Per quanto si tratti di racconti sconosciuti ai più, le soluzioni narrative messe in atto rispondono al criterio del già visto, a vantaggio della varietà di racconto e del lavoro grafico. Non mancano i plot twist inaspettati e, in alcuni casi, per quanto abbiano parvenza di definitezza, gli stessi finali lasciano uno spiraglio all’interpretazione.

Scene di nudo e sesso, combattimenti robotici, sequenze realisticamente crude,  sangue, violenza, scenari apocalittici, metafore, umorismo nero, sprazzi di riflessione filosofica: ecco cosa vediamo. In un mondo sfasciato, in città alla Blade Runner, nello spazio infinito, su pianeti lontani, razze e specie diverse, etnie differenti, robot senzienti convivono, s’incontrano e si scontrano e, sullo sfondo, aleggiano le domande che l’uomo da sempre si è posto su se stesso, sulla vita, sul suo posto nel mondo.

AMORE, MORTE, ROBOT… E POI?

Molteplici i temi toccati che, in un modo o nell’altro si riallacciano a quanto il titolo promette. Tre robot lancia, ammantata di comicità, una critica all’egoismo del genere umano, proiettato alla distruzione. Il dominio dello Yogurt avverte e ammonisce sulla tendenza umana all’annullamento e alla pigrizia. Buona caccia, gioiello steampunk, riflette su quanto la tecnologia soffochi l’essenza autentica dell’umanità. La notte dei pesci, corto dalla fotografia e dai colori sublimi, riflette con taglio onirico sullo smarrimento dell’individuo e sull’idea di morte.  Dolci tredici anni abbozza e lascia in stato embrionale il tema dell’umanità delle macchine. Abbonda la dimensione guerresca e militicare in questa fantascienza animata, a voler richiamare l’immaginario di Alien.

Alternative storiche, il corto più divertente, risponde al “cosa sarebbe successo se” proponendo morti bizzarre e surreali di Hitler. Oltre Aquila, la storia di una navicella finita fuori rotta, diviene una riflessione sulla speranza e sulle apparenze salvate a fin di bene. Su tutti, spicca Zima Blue, il corto più poetico e filosoficamente alto. Riflette sulla vita e sull’arte, sull’insoddisfazione di sè e sulla ricerca di una identità propria.

Nulla di innovativo, nei contenuti, ma l’impatto visivo e i messaggi che alcuni corti trasudano valgono la visione e fanno di Love, Death & Robots un prodotto di qualità.

P.S. A giudicare dalla quantità di mici presenti negli episodi, gli autori della serie devono amarli moltissimo… chissà, forse un giorno i gatti conquisteranno il mondo!

Francesca Belsito

[#CiNerd] My Hero Academia: Two Heroes – Recensione: Due eroi al cinema

My Hero Academia è l’anime che nelle ultime stagioni ha raccolto maggiori consensi dal pubblico, da qualche mese Mediaset lo ha portato in Italia e Nexo Digital ne ha approfittato per proporre il primo lungometraggio della serie al cinema.

Sono bastati due giorni a My Hero Academia: Two Heroes per riscuotere un grande successo anche nelle sale, ma cosa aspettarsi?

In primis, andrebbero messe le mani avanti su di un punto.

Seppure il film mostri un evento accaduto al termine della seconda serie, ripercorre tutti i fatti precedenti e la storia per coloro che non hanno mai visto l’anime. Questo assunto va espresso per un semplice motivo: la maggior parte delle negatività di questo film vengono dalla superficialità con cui i personaggi sono stati espressi riducendoli a stereotipi ambulanti.

LA STORIA

Troviamo infatti un Bakugou sempre urlante e violento, Todoroki silenzioso, Midorya nerd e così via. Questo problema poteva essere risolto non inserendo tutti gli studenti della classe del protagonista, così da lasciare il giusto spazio ai personaggi e non farli sembrare solo dei burattini con superpoteri.

Superata, quindi, questa rilevante barriera presente soprattutto nella prima parte del film, la trama si sviluppa bene e racconta un contesto che la serie tocca di rado, quello dei ricercatori, della scienza e della tecnologia in un mondo di Quirk. Seppure infatti sia presente in qualche sporadico episodio il settore tecnico al servizio degli studenti della Yuuei, l’anime preferisce concentrarsi quasi sempre sull’aspetto “soprannaturale” delle unicità e lo sviluppo fisico e mentale dei protagonisti.

Attraverso questo film si scopre parte del passato americano di All Might e di come sia diventato amico di David Shield, uno dei più famosi scienziati del mondo. La trama, quindi, rivela dei retroscena e svela delle incognite presenti nella serie animata all’inizio della terza stagione quando All Might riceve l’e-mail da Melissa Shield.

VOCI ORIGINALI E DOPPIAGGIO

Il doppiaggio è migliorato rispetto alla serie animata. Sebbene i personaggi fossero stereotipati e privi dello spessore tipico della serie, le voci erano più simili all’originale soprattutto nella figura di All Might che riacquisisce la sicurezza vocale del doppiaggio giapponese. L’adattamento in italiano (per via delle censure tipiche del nostro Stato) è un lavoro molto difficile, quindi non mi sento di giudicare le precise parole dette nei dialoghi.

COMPARTO TECNICO

Per le restanti sezioni come il combattimento, l’animazione ed il comparto audio, possiamo trovare un miglioramento dei primi due per quanto riguarda le grandi battaglie mentre l’audio permane simile alla serie senza spiccare di innovazione. Unica nota di demerito che mi ha lasciato perplesso a dir poco, sono i lunghi botta e risposta “mentali” tra alcuni personaggi tanto che sembrava avessero acquisito il potere telepatico per magia. Questo “Mindlink” è presente anche nella serie ma di solito si limita ad uno scambio di frasi unico e non 3-4 minuti di dialogo.

IN CONCLUSIONE

Il punto è questo: esclusa qualche macchia, My Hero Academia: Two Heroes resta un film godibile e che può portare preziose informazioni a coloro che hanno visto la serie. Di contro, può essere deleterio per coloro che invece si approcciano per la prima volta all’opera.

La leggerezza con cui vengono raccontati i personaggi e i loro poteri fa perdere lo spessore e l’attrattiva della serie stessa, livellando troppo l’intera esecuzione.

Daniele Ferullo

https://youtu.be/Hvhyxp3Aq6c

[#NerdFunding] Parte il crowdfunding per Yenzeim, nuova avventura di Ernest Egg

YENZEIM è il titolo del nuovo libro illustrato realizzato dai creatori di Ernest Egg, Francesco “Paul Izzo” Polizzo e Stefano “The Tree” Bosi Fioravanti.

Dopo Diario di viaggio di Ernest Egg e In scena, una fiaba “circolare” per il pubblico dei piccoli, il duo si è lanciato in una nuova, frizzante avventura illustrata iniziata il 21 marzo 2019 con una campagna di crowdfunding su Eppela: Yenzeim.

COS’È YENZEIM?

Yenzeim significa letteralmente “in scena” nella lingua Yulan, che i due autori hanno creato proprio per il nuovo racconto. Con l’aiuto di un linguista, infatti, è stata realizzata una vera e propria lingua, con tanto di regole grammaticali, lessico e sintassi. Come la traduzione suggerisce, perciò, Yenzeim è frutto della traduzione in Yulan di quanto già narrato in In scena.

Nella finzione metanarrativa, nelle vesti di traduttore troviamo proprio Ernest Egg il quale travisa il contenuto, creando da zero un testo che inneggia alla reciprocità tra due popoli, dalla cultura, storia e tradizioni differenti. Il risultato, perciò, non è più un amore impossibile tra un Gigante circense e una Principessa del piccolo popolo. Quello ch troviamo tra le pagine è infatti un racconto basato su valori universali, quali l’amicizia e la tolleranza, che riescono ad abbattere ogni barriera e diversità. In tal modo, questo terzo libro è svincolato dalle precedenti pubblicazioni dal punto di vista narrativo, ma alle stesse è profondamente legato, rendendo In scena un tassello essenziale nel mondo di Ernest Egg.

UN DESIGN PREZIOSO

Ma come sarà fatto Yenzeim? Il libro è incorniciato in una copertina in legno di bambù incisa al laser, con una speciale apertura “a fisarmonica” che mostra agilmente le due narrazioni parallele. Da un lato, infatti, sono presenti le iscrizioni in Yulan e le note scritte a mano dall’insolito traduttore, mentre sul retro troviamo l’intera opera di traduzione che racconta la nuova e riveduta versione della novella. Si tratta di un oggetto di design prezioso, stampato in edizione ultra-limitata e ogni copia sarà numerata.

L’intera parte visuale è stata realizzata partendo da fotoillustrazioni manipolate digitalmente, con un risultato grafico ibrido, a metà tra analogico e digitale. Il libro ha un formato di 24×19 cm ed è composto da 24 ante per un totale di 48 pagine. Ad occuparsi della realizzazione sarà Fontegrafica.

GLI AUTORI

Francesco “Paul Izzo” Polizzo ha iniziato a pubblicare web comics utilizzando la piattaforma Verticalismi.it, creando la saga di Viole(n)T Hill. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni per editori nazionali, alcune per il mercato anglofono e ha collaborato alla stesura di storie per Diabolik, per L’Insonne e Robotics (Shockdom). Ha realizzato 3 episodi di “Azarov – L’Orso di Kodiak” (su The Steams di Noise Press), American Feed (autoproduzione targata Masnada – due numeri usciti) e una prima graphic novel dal titolo “Le Due Nazioni” (Manfont). In passato è stato candidato come miglior sceneggiatore al premio Gran Guinigi per Racconti Indiani (Passenger Press). È co-autore di Ernest Egg, progetto multimediale declinato in libro illustrato, realizzato insieme a Stefano Bosi Fioravanti e diventato corto animato in stop motion per la regia di Claudio Di Biagio e con la partecipazione di Pino Insegno e Giobbe Covatta in qualità di doppiatori.

Di Stefano “The Tree” Bosi Fioravanti si dice che “è stato un creativo italiano nato nel 1989 e morto nel 2067”. Ha lavorato come illustratore, grafico, insegnante e autore. Ha viaggiato spesso e ha trascorso molti anni in Messico. I suoi collaboratori e amici l’hanno sempre definito “determinato”, “insopportabile” e “pignolo”. Co-autore di Ernest Egg, ha illustrato i sette famigerati diari di viaggio dell’esploratore e lavorato attivamente alla realizzazione dei primi due film.

IL CROWDFUNDING

Per Yenzeim è in corso una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Eppela. La campagna è iniziata il 21 marzo 2019 e terminerà il prossimo 30 aprile: 40 giorni per partecipare e non perdersi questa nuova avventura di Ernest Egg.

Per informazioni, riferimenti e curiosità questi sono i contatti da ricordare:

sirernestegg@gmail.com

bosivsizzo@gmail.com

oppure le pagine Facebook:

https://www.facebook.com/BosiVSIzzo/

https://www.facebook.com/ErnestEgg/

 

 

[#CiNerd] Captain Marvel – La recensione: Carol Danvers ha fatto centro?

Captain Marvel, primo stand-alone di casa Marvel con una protagonista donna, è appena arrivato al cinema.

Noi di NERD30 l’abbiamo visto, in piena crisi d’astinenza e foga per l’attesa di AVENGERS: ENDGAME. Aspettative o meno, eravamo tutti curiosi di ammirare sullo schermo questa supereroina, quasi arrivata dal nulla. Colei che, come tutti sembrano ipotizzare dopo la scena post-credits di INFINITY WAR, aiuterà i Vendicatori a sbarazzarsi di Thanos.

L’arrivo della pellicola non è passato inosservato e non solo perchè mamma Disney sa come attuare del buon marketing. Infatti, l’uscita al cinema è stata preceduta da un vespaio di polemiche nate da una dichiarazione di Brie Larson, interprete dell’indomita Carol Danvers. La volontà dell’attrice premio Oscar di dare maggior spazio nelle conferenze stampa alle giornaliste donne e di colore è stata percepita come razzista e sessista. Un’accusa che mal si sposa con un film del MCU che ha per protagonista per la prima volta una donna. Per questa ragione, una pioggia di critiche ha inondato Captain Marvel ancor prima della sua uscita e in molti hanno deciso di boicottare la pellicola, certi della sua mal riuscita. Un flop, quindi? No, considerati gli elevati incassi nei soli primi tre giorni di programmazione, ma il film com’è?

Scopriamo insieme nel dettaglio la pellicola.

LA STORIA

Cosa racconta Captain Marvel? È la storia di Carol Danvers: forte, determinata, indipendente. Una donna che cerca di riaprire gli occhi su un passato che sembra sfuggirle tra le dita come sabbia. Una donna catapultata nel mezzo di una guerra tra popoli. Per la prima volta nel Marvel Cinematic Universe, non solo la pellicola ha per protagonista una donna, ma è anche ambientata in un nuovo arco temporale. Siamo negli anni ’90, precisamente nel 1995. Piacevoli i piccoli riferimenti alla cultura pop del tempo, abbigliamento e colonna sonora sono in linea con i nostalgici anni Novanta, ma la sceneggiatura di Anna Boden e Ryan Fleck, anche registi della pellicola, non brilla per originalità.

Forse la storia in sè, forse il modo in cui viene raccontata non stimolano la curiosità per quello che vediamo sullo schermo. Il film si snoda lento, senza particolari emozioni. Certo, è una storia delle origini: in quanto tale ha bisogno di ingranare, di darci il tempo giusto per approfondire la conoscenza di Carol. Del resto, la lentezza aveva caratterizzato anche i primi capitoli dedicati a Thor e Captain America. Tuttavia, in questo caso, c’è qualcosa in quel che viene raccontato che non convince a pieno. Vorremmo conoscere Carol Danvers, anche noi saremmo curiosi di aprire uno squarcio nel suo passato misterioso, ma è come se tra lei e gli spettatori vi fosse una parete da scalare prima di vedere cosa si celi dal’altra parte. E, scalando, ci si chiede: vale davvero la pena vedere cosa ci sia oltre?

I PERSONAGGI

Protagonista indiscussa della pellicola è lei: Carol Danvers. Brie Larson è un’ottima attrice, anche se il suo talento sembra a volte “costretto” in quella tutina. Vi ha messo impegno, e si vede, ma si è limitata a portare a casa il proprio compito, come se non avesse dato davvero sfogo a tutto il proprio potenziale recitativo. In ogni caso, il personaggio funziona sullo schermo e si fa portavoce di un messaggio non irrilevante.

Le scene che la vedono in coppia con Samuel L. Jackson rivelano un deciso affiatamento tra gli attori. E sì, è stato bello conoscere Nick Fury, prima ancora che ci fosse l’idea di “mettere insieme un gruppo di persone eccezionali sperando che lo diventassero ancor di più”. Curioso scoprire come abbia perduto il suo occhio – lo so che tutti volevamo saperlo – ma… quello era davvero Nick Fury? L’impressione, per lo più, era di trovarsi di fronte a una versione caricaturale del personaggio, una spalla comica alla Luis in Ant-Man. Un autore di gag comiche non era proprio quello che ci si aspettava, ecco, anche se nel film le battutine sono state molto contenute rispetto ad altri cinecomic Marvel (sì, dico a te Thor: Ragnarok).

Yon-Rogg, comandante di una squadra di nobili guerrieri Kree, interpretato da Jude Law, è apparso poco sullo schermo perchè potesse lasciare il segno. O, probabilmente, i ruoli destinati ai diversi personaggi erano studiati in modo tale che spiccasse la sola Carol e, insieme a lei, il suo rapporto, inizialmente di diffidenza con Fury, così che potessimo avere una spiegazione alla famosa scena post crediti di Infinity War, quando il direttore dello S.H.I.E.L.D., prima di sparire a seguito dello schiocco, fa una misteriosa chiamata col suo cercapersone.

COMPARTO TECNICO

Ottimi, come spesso accade nelle pellicole targate Marvel Studios, gli effetti visivi, realizzati da Lola VFX, che si è occupata anche del ringiovanimento di Clark Gregg, interprete dell’amato agente Phil Coulson, e di Samuel L. Jackson, tanto che sembrava di aver di fronte l’attore ai tempi di Pulp Fiction – ed ehi! Voi avete notato quel piccolo easter egg in omaggio a Jules Winnfield, decantatore del famoso passo biblico di Ezechiele, 25:17?

Visivamente affascinanti le sequenze ambientate ad Hala, capitale dell’Impero Kree, una città dal profilo futuristico, disseminata di costruzioni dallo stile che quasi ricorda quello visto in Blade Runner 2049. Altrettanto si può dire per le scene ambientate nello spazio, per le quali la presenza di incrociatori imperiali e navicelle spaziali dava l’impressione di trovarsi catapultati in una galassia lontana lontana. Sul fronte effetti speciali, dunque, il film è promosso a pieni voti.

COMMENTO

Tuttavia, Captain Marvel è una pellicola che, nonostante gli incassi già stellari, è poco riuscita. Una storia che poteva risultare accattivante dal punto di vista narrativo non è stata aiutata dal montaggio, che ha contribuito a inabissarla in una palude di lentezza. Nella prima parte del film si susseguono sequenze fiacche, animate appena da scene di combattimento e inseguimento contro Skrull, in stile action movie hollywoodiano. Se inizialmente la vicenda appare aggrovigliata, nella seconda parte della pellicola un plot twist incalza la trama verso l’epilogo a una velocità crescente, svelando quanto era annebbiato. Peccato, però, che l’accelerazione del ritmo non sia andata di pari passo con una svolta affascinante della storia e perfino il colpo di scena è risultato poco credibile, se non a tratti buonista. Duole dirlo, ma in diversi momenti sembrava di star guardando un film targato DC.

Grave pecca del film è inoltre la mancanza di un villain. È forse colpa nostra, ormai abituati a un certo canone da parte dei cinecomic Marvel ma, se sono stati davvero pochi i cattivi di spessore e dalla psicologia complessa, in Captain Marvel assistiamo addirittura alla latitanza del villain.

Se ciò di cui si parla con maggiore entusiasmo è la presenza del gatto Goose, c’è un motivo e non credo si tratti solo della generale affezione per i gattini che popola i social. E voglio credere che non si tratti nemmeno di una questione di sessualità: uomo o donna che sia, un eroe è pur sempre un eroe. Oltre ai difetti della pellicola, Captain Marvel sconta un ulteriore svantaggio: la sua uscita nelle sale all’ombra di Endgame, che oscura in qualche modo Carol. Soprattutto, perchè solo adesso apprendiamo dell’esistenza di Captain Marvel? Perchè Fury non l’ha convocata per far fronte ad altre minacce e pericoli, come Loki, i Chitauri, Ultron? Un dettaglio davvero lasciato al caso?

IN CONCLUSIONE

E a poco serve per salvarlo il messaggio che il film vuol veicolare, che è forse il maggiore se non l’unico punto di forza. Carol Danvers ha qualcosa da insegnare: non è la classica eroina che si riscatta rispetto a una controparte maschile facendo leva sulla prevaricazione. Carol è una donna, una pilota, una supereroina, ma impara a sue spese che la forza non è tutto.

Ogni essere umano possiede una forza che va al di là di quella fisica ed è la capacità di rialzarsi di fronte a ogni sconfitta. Non importa dove ci troviamo o chi ci sta intorno o quanto il passato riesca a influenzarci, possiamo sempre scegliere di ascoltare le nostre emozioni, scegliere di essere noi stessi. Carol insegna che, a volte, ci vogliono più coraggio e determinazione per impedirla una guerra, che per combatterla. E questo è un messaggio positivo e di speranza non solo per le donne, ma per chiunque, per qualsiasi essere umano.

Dunque, Captain Marvel è un bel film? Avrebbe potuto esserlo, ne aveva tutto il potenziale. Merita di essere visto? Con un po’ di pazienza, sì. Dopotutto, dopo 10 anni e 20 film di MCU nessuno vorrebbe perdersi gli ultimi tasselli che vanno a incastonarsi sul sentiero che condurrà all’epico finale di Endgame.

Francesca Belsito

[#NerdReview] American Gods – La recensione della prima stagione

Seguire una moda è facile per le case di produzione, ma andare controcorrente è un atto di fede. La prima stagione di American Gods si crea uno spazio tra Game of Thrones e la moda del revival portando su schermo un’opera magna di Neil Gaiman.

Lo scetticismo è dovuto quando si affronta la visione di un prodotto del genere. Da una parte abbiamo il titolo che ha portato Gaiman ad essere uno dei Re della scrittura contemporanea, mentre dell’altra una serie tv che si protrae appena per 8 episodi.

Come può una serie racchiudere tutte le informazioni, le storie e lo spessore dei personaggi senza sradicarne l’essenza? La risposta è semplice, in realtà: Non Lo Fa.

Era impossibile riuscire a farlo e per questo, già una volta, nel 2011 il progetto fallì. Gli showrunner Bryan Fuller e Michael Green si sono mossi così in un’altra direzione, hanno raccontato i concetti salienti, hanno mostrato i personaggi più importanti e lo hanno fatto bene, senza sminuire e senza tagliare.

Andiamo per gradi, però, così da non perderci.

AMERICAN GODS: DALLA CARTA ALLO SCHERMO

Alla direzione si alternano molteplici registi che hanno lavorato insieme ad alcuni episodi portando il loro tocco singolare e raccontando le sottostorie con uno stile sempre differente ma con un occhio attento a ciò che viene raccontato nel libro. Lo hanno fatto tramite i colori, tramite le scelte di luci, di abbigliamento, di cast, di ambientazione, seguendo le parole di Gaiman (che figura anche tra i produttori) e portando scene che spaziano tra il comico e il violento con la potenza di un tuono. Nessuna delle sequenze viste è montata a caso, nessun filo è staccato dal tutto e perfino una luce in una determinata posizione ha in sé il rispetto di un significato metaforico.

Siamo di fronte a una delle prime opere che ha distribuito Amazon, una scommessa forse per il colosso che contava al tempo pochissimi titoli sulla sua piattaforma di streaming on demand. La critica in una prima fase è rimasta scettica. Come dicevo, American Gods uscì in un contesto in cui Il Trono di Spade dominava i cuori del pubblico insieme a La Casa di Carta, 13 e le serie Marvel e questo non ha di certo giovato alla diffusione, complice delle pecche che le recensioni hanno individuato nella serie.

CAST E PERSONAGGI

Seppure, infatti, Ian McShane (Dallas, John Wick) sia un attore di tutto rispetto, non è stato in grado di portare il giusto carisma necessario al personaggio che interpreta. Allo stesso modo il protagonista, che sembra avere nel susseguirsi degli episodi reazioni espressive molto simili tra loro. Emily Browning (Sucker Punch, Una serie di sfortunati eventi)  invece sorprende. La sua interpretazione è eccellente nonostante un personaggio estremamente complesso come quello di Laura Moon, che ha un crescendo emozionale ed espressivo ingente.

IN CONCLUSIONE

Tirando le somme, possiamo dire che la prima stagione è sicuramente un buon inizio, una buona rappresentazione del libro ma qualche cosa poteva andare meglio. La regia e gli effetti speciali mascherano bene le mancanze insieme alla bellezza della storia e questo basta a farvi dimenticare tutto il resto.

Vale la pena vedere AMERICAN GODS? Sì, decisamente, soprattutto in vista della seconda stagione.

Daniele Ferullo

[#Oscar] La lista completa dei vincitori dell’Academy Awards 2019

La cerimonia di consegna dei Premi Oscar, edizione numero 91, si è appena svolta al Dolby Theatre di Los Angeles.

Le prestigiose statuette sono state assegnate dai membri dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences in una cerimonia molto attesa. Dopo la rinuncia di Kevin Hart, nessun presentatore ufficiale è salito sul palco, ma non sono mancate presenze importanti.

Le candidature erano state annunciate il 22 gennaio. Le pellicole con il maggior numero di nominations erano Roma del regista messicano Alfonso Cuarón e La favorita di Yorgos Lanthimos, 10 a testa, seguite da A star is born di Bradley Cooper e Vice – L’uomo nell’ombra di Adam McKay con 8.

La cerimonia non è stata povera di sorprese, fra tutte le tre statuette vinte da Black Panther, che continua a mietere record storici. Infatti, il cinecomic di casa Marvel non solo è il primo film del genere a essere stato candidato nella categoria Miglior Film, ma Ruth E. Carter è stata la prima donna afroamericana a guadagnare l’Oscar per i Migliori Costumi. Degna di nota anche l’esibizione di Lady Gaga e Bradley Copper sulle note di Shallow, con una Gaga visibilmente emozionata, poi in lacrime al momento di ritirare il proprio Oscar per la Migliore Canzone.

Durante il tributo per le personalità del mondo del cinema scomparse lo scorso anno, l’Academy ha reso un piccolo omaggio anche a Stan Lee, Excelsior!

Ma ecco di seguito la lista completa dei vincitori.

MIGLIOR FILM

Green Book – Jim Burke, Charles B. Wessler, Brian Currie, Peter Farrelly e Nick Vallelonga

MIGLIOR REGIA

Alfonso Cuarón – Roma

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA

Rami Malek – Bohemian Rhapsody

MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA

Olivia Colman – La favorita

MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA

Mahershala Ali – Green Book

MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA

Regina King – Se la strada potesse parlare (If Beale Street could talk)

MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE

Nick Vallelonga, Brian Currie e Peter Farrelly – Green Book

MIGLIORE SCENEGGIATURA NON ORIGINALE

Charlie Wachtel, David Rabinowitz, Kevin Willmott e Spike Lee – BLACKkKLANSMAN

MIGLIORE FILM STRANIERO

Roma –  regia di Alfonso Cuarón (Messico)

MIGLIORE FILM D’ANIMAZIONE

Spider-Man – Un nuovo universo (Spider-Man – Into the Spider Verse) , regia di Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman

MIGLIORE FOTOGRAFIA

Alfonso Cuarón – Roma

MIGLIORE SCENOGRAFIA

Hannah Beachler e Jay Hart – Black Panther

MIGLIORE MONTAGGIO

John Ottman – Bohemian Rhapsody

MIGLIORE COLONNA SONORA

Ludwig Göransson – Black Panther

MIGLIORE CANZONE

Shallow (musica e testi di Lady Gaga, Mark Ronson, Anthony Rossomando e Andrew Wyatt) – A Star is born

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI

Paul Lambert, Ian Hunter, Tristan Myles e J.D. Schwalm – First Man (Il primo uomo)

MIGLIORE SONORO

Paul Massey, Tim Cavagin e John Casali – Bohemian Rhapsody

MIGLIORE MONTAGGIO SONORO

John Warhurst e Nina Hartstone – Bohemian Rhapsody

MIGLIORI COSTUMI

Ruth E. Carter – Black Panther

MIGLIOR TRUCCO E ACCONCIATURA

Greg Cannom, Kate Biscoe e Patricia DeHaney – Vice. L’uomo nell’ombra

MIGLIOR DOCUMENTARIO

Free Solo – regia di Jimmy Chin e Elizabeth Chai Vasarhelyi

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO DOCUMENTARIO

Period. End of Sentence – regia di Rayka Zehtabchi

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO

Skin – regia di Guy Nattiv

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO D’ANIMAZIONE

Bao – regia di Domee Shi (Pixar)