Tutti gli articoli di g.santolla

Daniele Vicari: la realtà e la coscienza

COSENZA – Ieri mercoledì 23 maggio è ufficialmente partita la rassegna cinematografica “CampusCinema100” con la proiezione di Diaz di Daniele Vicari, film che racconta una delle pagine più nere della storia italiana recente, ovvero gli eventi tragici avvenuti all’interno della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova 2001.
Il film è stato proiettato ieri sera alle 21 presso il cinema Garden di Rende e nel pomeriggio il regista ha incontrato gli studenti dell’Unical.
Un dibattito molto interessante durante il quale Vicari ha più volte sottolineato che, pur trattandosi di un film socio-politico, non è un film di denuncia perché si rifiuta di dimostrare qualsiasi tesi o di fornire una qualsivoglia giustificazione a posteriori, anche perché se così fosse, continua il regista, rischierebbe di invecchiare immediatamente.
Al contrario è un racconto potente, feroce che ti spacca le ossa, è il tentativo di ricostruire e di indagare minuziosamente in alcuni dei fatti accaduti nella notte del 21 luglio del 2001 attraverso quel principio di realtà rintracciabile solo nelle testimonianze di tutti coloro che hanno vissuto quegli eventi.
Il film non racconta di vittime o di colpevoli precisi ma ricostruisce gli avvenimenti attraverso un gioco di destini incrociati che tiene legati una serie infinita di personaggi senza individuarne un protagonista.
Il lancio della bottiglia di vetro contro l’auto della polizia, che è la scena iniziale di Diaz e che ricorre molto spesso durante il film quasi fosse un eterno ritorno all’identico, diventa l’orologio di tutta la narrazione e mette la storia al centro di questo racconto infinito che ha sempre lo stesso punto di inizio ma molteplici prosecuzioni, descritte da diversi punti di vista.
Non è film che termina con una sentenza, non vuole essere un processo, la politica e le conseguenti polemiche vengono volutamente lasciate ai confini della narrazione, Vicari preferisce la fedele e cruda realtà ma rinunciando a qualsiasi intento educativo-didattico.
Diaz ha uno scopo ben preciso ovvero quello di agire sulla nostra memoria storica lasciando da parte tutte le possibile dietrologie, pone domande senza imporre risposte, ha lo scopo di risvegliare le coscienze del pubblico da quell’indegno sterminio disumano che ha portato molti a leccarsi le ferite senza più porsi alcuna domanda, ha lo scopo di lasciare a ogni spettatore un pezzettino di film da “rosicare”, per non smettere mai di interrogarsi.

Gaia Santolla

Siamo tutti Ingroia

COSENZA – Anche se solo per qualche ora, il Procuratore Aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo Antonio Ingroia abbandona le stanze del Palazzo di Giustizia per far visita agli studenti dell’Università degli studi della Calabria.
Il Pm Ingroia ha aperto, ieri mercoledì 16 maggio, il primo di una serie di incontri di “Liberare la Speranza”, un Laboratorio di Educazione alla Memoria e alla Giustizia attivato dal Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione dell’Unical in collaborazione con Libera, Associazioni numeri e nomi contro le mafie di Cosenza e la Fondazione Don Milani e la Scuola di Barbiana.
L’aula universitaria che ha ospitato l’evento era affollatissima tanto da riuscire a contenere a malapena il vigoroso entusiasmo degli studenti accampati ovunque.
Quella di ieri è stata la testimonianza reale di un uomo impegnato in prima linea nella lotta contro la mafia e nella difesa della legalità, un uomo giusto che vuole indagare laddove risiede il seme del male, un uomo integerrimo che vuole definitivamente recidere le intricate relazioni che la mafia ha con la politica e l’economia.
Il suo è stato un lungo excursus sulle origini e sull’evoluzione della criminalità organizzata, ha più volte sottolineato che l’unico modo che abbiamo per combattere la mafia è quello di conoscere bene il nemico che si ha di fronte, smettendo di credere che sia esclusivamente un problema di ordine pubblico ma cominciando a considerarlo per quello che è, ovvero un radicato sistema di potere criminale che opera sul territorio.
Un sistema che interagisce continuamente con i poteri legittimi a cominciare da quello politico ed economico, integrandosi complemente con questi, dando vita a una costante osmosi con la società civile.
Continua dicend che lo scopo della lotta non è il contenimento ma il definitivo annientamento delle mafie, un’utopia che deve necessariamente diventare un obiettivo e questo non lo si può attuare operando solo sul campo penale ma soprattutto facendo ricorso a una buona etica personale e pubblica.
Bisogna concentrarsi sull’educazione ai valori della legalità, della responsabilità e della solidarietà, bisogna garantire un’applicazione della legge uguale per tutti ma soprattutto pretendere una classe dirigente che sia responsabile.
Qulla di ieri è stata una significativa lezione ma ora i compiti a casa spettano a ciascuno di noi, perché la lotta alla mafia coinvolge tutti, nessuno escluso. A questo punto diventa fondamentale integrare l’esperienza dell’altro con la nostra, perché ogni singola conquista, anche la più piccola, nasce dall’impegno comune di superare l’io per riscoprirsi appartenenti a un noi.

Gaia Santolla

Max Gazzè arriva a Paola

PAOLA (CS) – Ieri sera è stata un’occasione imperdibile per tutti coloro che amano la musica, quella buona però, per tutti coloro che apprezzano il vero cantautorato italiano, un appuntamento che ha visto in Piazza IV Novembre di Paola in provincia di Cosenza, sotto la benedizione di San Francesco (d’obbligo citarlo), il cantautore romano Max Gazzè.
E’il 1 maggio, un cielo con molte nuvole e poche stelle, qualche goccia di pioggia preoccupa inizialmente, ma non abbastanza per placare l’entusiasmo dei molti che sono accorsi per ascoltarlo.
Un insolito Gazzè orfano del suo fedelissimo basso elettrico, causa rottura del polso sinistro, ma accompagnato da uno strumento costruito ad hoc per la situazione che maneggia ancora con un po’ di timidezza.
Artista poliedrico per eccellenza è autore, cantante, musicista e anche attore, alla continua ricerca del perfetto connubio tra la musica e la parola, senza mai rischiare di cedere all’immorale banalità.
Uno sguardo raffinato il suo, che racconta di luoghi , di situazioni, di personaggi quasi surreali e mai ripetitivi, impossibile non perdersi in quel mondo così suggestivo dalle prospettive rare, un mondo nel quale la narrazione dei sentimenti avviene partendo dalle piccole scoperte quotidiane, dall’essenziale.
Le parole e i suoni diventano una cosa sola nella sua personalissima narrazione musicale, le sue sono poesie capaci di smuovere ogni più piccola parte dell’animo, ti portano altrove non si sa precisamente in quale posto, ma ti tengono sempre con un piede ben puntato per terra, nella realtà, alla quale Max si rifà sempre.
Un concerto che vede l’alternarsi di lente sonorità dolci e maliconiche a quelle decisamente più elettroniche e rock, un pubblico che diventa una sola entità , l’elemento portante dell’esibizione, canta, balla, batte le mani per mantenere il tempo, sussulta, tutto sotto la soddisfatta direzione del maestro Gazzè.
Ieri si festeggiavano i lavoratori e in un periodo come questo in cui il lavoro non c’è e la crisi continua a mietere sempre più vittime, diventano importanti momenti come questi durante i quali ci si ritrova allegri, uniti, fiduciosi.
“Salvarti sull’orlo del precipizio, quello che la musica può fare” è così che Max Gazzè e il suo pubblico si sono salutati, magari è solo un caso, o forse no.

Gaia Santolla

Maliconico Primo Maggio

COSENZA – Quella di oggi sarà una festa dei lavoratori dalle fisionomie infelici e amareggiate e mentre si discute di riforma del lavoro, di ammortizzatori sociali, di modifica dell’articolo 18, in Italia sono 2,3 milioni le persone che non hanno un lavoro, sono 362 le persone che nel 2011 si sono tolti la vita perché strangolati dall’oppressione della crisi, sono 3 milioni gli invisibili lavoratori in nero che senza alcuna garanzia arrivano a produrre 100 miliardi di Pil irregolare e sono in media 3 al giorno gli incidenti sul lavoro.
Numeri, semplici numeri che messi tutti insieme riescono precisamente a delineare il risultato di una funesta combinazione, l’elevata disoccupazione, la continua inattività e il lavoro sempre più precario.
Non è propriamente un bel momento per festeggiare, non è un buon momento per lasciarsi illudere da quella scontata e popolare retorica che ogni anno ritorna sulle sorti dei lavoratori ma non è nemmeno arrivato il momento di abbandonare il campo di battaglia.
Ora più che mai è necessario rimanere uniti, continuare a reagire contro la stagnazione, sostenere obiettivi comuni ma soprattutto agire con la consapevolezza che un rivolgimento radicale è necessario e può avvenire solo garantendo un lavoro che sia libero e non sfruttato, facendo in modo che ogni singolo lavoratore venga rivestito di tutti quei diritti umani dai quali è stato denudato.
Senza rischiare di risultare anacronistici, diventa indispensabile cercare di ripartire da una diversa idea di lavoro che sia la sintesi reale tra la flessibilità, principio portante del nuovo mercato, e la garanzia sociale, ma diventa altrettanto obbligatorio difendere con le unghie e con i denti il privilegio più grande che ci hanno lasciato in eredità i nostri padri costituenti ovvero il diritto al lavoro, l’unico mezzo attraverso cui l’uomo realizza la sua vera identità personale.
Non è questo il momento di abbandonare il campo di battaglia, perchè da questo Primo Maggio dobbiamo tutti impegnarci affinchè questo diritto si concretizzi realmente e nel frattempo quest’oggi i pensieri più nobili sono rivolti ai disoccupati, agli inoccupati, ai precari, ai cassaintegrati, alle morti bianche, ai poveri, ai lavoratori in mobilità.
Buon Primo Maggio a Tutti.

Gaia Santolla

Dal romanzo al teatro

COSENZA – Dal magnifico romanzo di Truman Capote all’indimenticabile film di Blake Edwards, dall’adattamento teatrale di Samuel Adamson alla vivace commedia di Pietro Maccarinelli, Colazione da Tiffany è proprio il tipico esempio di arte che diventa incessantemente altre opere d’arte.
Il Teatro Rendano di Cosenza nei giorni martedì 17 e mercoledì 18 aprile ospita uno dei pilastri della commedia d’amore americana, un classico senza tempo, un cult del teatro per l’appunto “Colazione da Tiffany” nella versione ultima di Pietro Maccarinelli.
Ad interpretare uno dei ruoli più intriganti della letteratura moderna, quello dell’adorabile e fragile Holly Golightly, è Francesca Inaudi mentre spetta a Lorenzo Lavia il compito di incarnare lo squattrinato e impacciato scrittore William Parson, probabile alter ego dello stesso Capote.
Ieri pomeriggio, qualche ora prima dell’inizio dello spettacolo serale, i due attori protagonisti hanno tenuto una conferenza stampa per la presentazione dello spettacolo, durante la quale sono intervenute anche l’ex sindaco e Presidente dell’Associazione socio-culturale “Angelina”, Eva Catione, e Isabel Russinova, responsabile della stagione di prosa del Rendano; a mediare l’incontro l’addetto stampa del Comune di Cosenza Giuseppe Di Donna.
Con una certa tracotanza divistica, la spigolosa Fracesca Inaudi racconta di non aver mai visto il film e di essersi ispirata a Marilyn Monroe, prima musa di Capote, per dare nuova vita a Holly e quando le chiedono di motivare questo ritorno in teatro dopo un’assenza lunga dieci anni, l’attrice con un decisa veemenza ci tiene a sottolineare di non averlo mai abbandonato ma solo di esserci tornata con un bagaglio diverso.
Lorenzo Lavia parlandoci della commedia spiega che prende totalmente le distanze dal film e che la messa in scena di Maccarinelli è una fedele trasposizione dell’opera di Capote tanto da rispettarne ogni singolo dettaglio, dal ritmo della conversazione alle diverse ambientazioni.
A concludere è l’intervento di Eva Catizone che esordisce ringraziando Isabel Russinova per la saggezza dimostrata nell’organizzare una stagione teatrale incentrata sulla figura femminile e continua dicendo “La Calabria ha bisogno di figure femminili positive, nella nostra regione ci sono donne che sono capo mafia e donne che ingeriscono dell’acido pur di non piegarsi. Lo sviluppo in questa nostra terra può avvenire solo ed esclusivamente attraverso la realizzazione di iniziative e politiche culturali”.

Gaia Santolla

L’Occidente solitario raccontato dai protagonisti

COSENZA – Un quasi sconosciuto paese irlandese, due fratelli decisamente fumantini, un prete in costante crisi spirituale e una ragazzina che vive sempre in uno spazio al confine tra la semplicità e la malizia, sono questi gli elementi che danno forma a “Occidente solitario”, lo spettacolo che ieri martedì 3 aprile è stato ospitato nel teatro Rendano di Cosenza.
Una storia che, muovendosi nell’universo del paradosso e dell’ossimoro, intreccia continuamente noir e commedia riflettendo con sagace ironia sui temi della solitudine, del conflitto, della crisi esistenziale. Tradotta e riadattata dall’opera del commediografo inglese Martin McDonagh, la pièce teatrale avrà come protagonisti Claudio Santamaria, Filippo Nigro, Massimo De Santis e la giovanissima Nicole Murgia.
Il comic drama, diretto dal regista colombiano Juan Diego Puerta Lopez, ha come tema portante il complesso rapporto tra Coleman e Valene, due fratelli in perenne conflitto che vivono un instancabile gioco al massacro, attorno ai quali ruota un universo fatto di suicidi, omicidi, tormenti, violenza, infelicità e tanto tanto whisky.
“Un conflitto che nasconde un forte senso di solitudine ma anche di amore, raccontato in modo grottesco e ridendo di cose terribili” è così che durante la conferenza stampa di presentazione Claudio Santamaria, che interpreta dei due il fratello maggiore, prova a spiegarci il groviglio di sentimenti a cui andremo incontro da lì a poco, e continua “Una storia che ricorda moltissimo i fatti tragici che hanno popolato di recente le cronache italiane”.
Filippo Nigro raccontandoci del suo di “fratello” ci dice “E’ un uomo possessivo, folle ma anche molto ingenuo, durante la rappresentazione avviene una sorta di regressione infantile dei due fratelli, attraverso un linguaggio forte, crudo”.
La figura più positiva è sicuramente quella di padre Welsh-Walsh che tenterà fino alla sua fine di placare questi conflitti ma al tempo stesso diventa portavoce di un messaggio piuttosto critico e polemico, come ci spiega lo stesso interprete Massimo De Santis “Tramite il mio personaggio l’autore voleva evidenziare la forte crisi della Chiesa Cattolica, condannandola senza riserve”.
La figura più enigmatica resta quella di Nicole Murgia che parebbe quasi non avere identità dal momento che viene chiamata per tutto il tempo “la Ragazzina” ma la giovane interprete ci tiene a specificare che non è affatto così “la Ragazzina ha un’identità ben definita, cerca sempre la svolta nel bene e nel male, lei rappresenta la speranza del cambiamento”.
Durante la conferenza tutti e quattro gli attori non hanno esitato a intrattenere il pubblico, composto per lo più da rappresentanti del gentil sesso, con continue battute e canzonature creando, già dalla presentazione, l’atmosfera comica e sarcastica che fa da sfondo a tutta la commedia, un plauso particolare va a chi ha mediato tra i protagonisti che non ha esitato a lasciarsi coinvolgere dal clima scherzoso, la portavoce del sindaco di Cosenza Iole Perito.
Occidente solitario sarà in replica anche questa sera alle 20:30 sempre al Teatro Rendano, un’ottima occasione per assistere all’incontro tra il delirio e l’umorismo.

Gaia Santolla

Un pianoforte per De Andrè

COSENZA – Luci soffuse, un’atmosfera recondita, magnifiche mani che danzano su un palco fatto di 36 tasti neri e di 52 tasti bianchi, è questa la cornice del personalissimo omaggio che il pianista jazz Danilo Rea ha fatto al più sovversivo cantautore italiano Fabrizio De Andrè.
Un tributo che assume le sembianze di un incantevole viaggio quando Rea si incontra e si scontra con le dolci e sferzanti ballate del poeta genovese, spogliandole di tutte le loro parole è in grado di rinnovarle solo attraverso il suono, un’esplorazione scandita dai ritmi incalzanti di “Bocca di rosa” e da quelli decisamente magici de “La canzone dell’amore perduto”.
Il pianista vicentino reinventa in modo del tutto esclusivo e innovativo la genialità di De Andrè eliminando tutte le differenze che contaddistinguono le loro poetiche e dando avvio ad un nuovo e unico principio d’ordine, una sorta di dissoluzione del Faber, necessaria per una sua rinascita in nuove configurazioni, la rottura di uno spazio immaginario, indispensabile per poterlo riattraversare ancora e ancora.
E’ una silenziosa e gremita sala “Quintieri” quella che ieri sera, giovedì 29 marzo, assiste ad una difficilssima scommessa creativa che sicuramente Rea vince a pieni voti, facendo incontrare la tradizione cantautorale con la musica classica e trasformando le parole e la melodia in un messaggio lirico fatto di silenzi e sussulti.
Danilo Rea nel 2010 è vincitore del Top Jazz come migliore pianista dell’anno, di recente è stato definito da Thomas Conrad ,una celebre firma critica della rivista “American Jazztimes ”, uno dei pianisti più talentuosi al mondo.
Un vero onore che il Comune di Cosenza abbia organizzato e ospitato l’evento nel nostro Teatro Rendano e i prolungati applausi alla fine del concerto sono la indubbia dimostrazione che la cittadinanza abbia apprezzato.
Insomma non è così assundo credere che anche Fabrizio De Andrè, in quel pezzo di cielo anarchico dove si trova ora, abbia messo giù per un attimo la sua chitarra e si sia acceso una sigaretta per fermarsi ad ascoltarlo.

Gaia Santolla

Cosenza ri-Adotta il suo canile

COSENZA – Sono circa le 16:00 di un caldo pomeriggio di fine marzo quando l’Assessore Martina Hauser, insieme al Ministro dell’Ambiente Corrado Clini e all’Onorevole Michela Vittoria Brambilla, dà ufficialmente avvio all’inaugurazione del canile sanitario di Donnici, tra gli applausi delle autorità e i fischi dei manifestanti No-Tav.
Canile già esistente dal 2000 ma che dall’estate scorsa, vista la tenacia, la passione e l’impegno dell’Assessorato alla Sostenibilità Ambientale e alle Energie Rinnovabili del Comune di Cosenza è stato sottoposto a radicali interventi di ristrutturazione e rinnovamento, diventando così un nuovo modello operativo per tutto il Mezzogiono e non solo. Ciò è stato possibile grazie alla stretta sinergia tra diverse forze quali il Comune, la Regione, l’Azienda Sanitaria e le organizzazioni no-profit LAV, ENPA e OIPA.
La struttura oggi vanta la presenza di accoglienti box riscaldati per i cuccioli, di spazi isolati per la cura degli animali affetti da malattie infettive ma soprattutto di un impianto solare termico che fanno del canile un perfetto esempio di sostenibilità ambientale.
La riapertura del canile sanitario ha un obiettivo ben preciso che è quello di operare intensamente nelle attività di lotta al randagismo attraverso una serie di interventi mirati non solo al controllo delle nascite ma anche a favorire l’accoglienza e successivamente l’adozione, rispettando i criteri primi e fondamentali per il benessere fisiologico, ecologico ed etologico dei cuccioli ospitati.
In futuro sono previsti ulteriori ampliamenti che rendereanno il canile uno spazio sempre più polifunzionale nel quale sarà possibile realizzare diverse attività educative e riabilitative necessarie alla cura di disabilità psichiche e fisiche.
Ovviamente il fine ultimo di questa struttura e di tutte le iniziative in programma è quello di favorire l’adozione, intervenendo nella dimensione culturale della società civile. Adottare un cane è una scelta importante, significa assumersene la più assoluta responsabilità per tutta la durata della sua vita in termini morali, economici e legali.
Adottare una cane significa prendersi cura di lui, accoglierlo e non abbandonarlo mai per nessuna ragione. Fedele, leale, il solo e unico capace di arricchire la vita dell’uomo con il dono dell’amore incondizionato, resta accanto al proprio padrone sempre e comunque, rischierebbe la propria vita pur di difenderlo, gli bacia la mano anche senza che ci sia un biscotto, gli lecca ogni sua lacrima, veglia sul suo sonno aspettando pazientemente il suo risveglio.
Questo e molto altro significa avere un cane.

Gaia Santolla

Mimose non solo per un giorno

COSENZA – Una sola parola è spesso troppo riduttiva per descrivere le infinite sfumature attraverso le quali si declina un concetto, se poi il concetto in questione è la donna allora il discorso si complica ulteriormente.
Musa, sovversiva, puttana, custode della creazione, sovrana nella distruzione, guerriera capace di combattere senza armi su letali campi minati, eroica mai stanca di lottare per la libera autonomia del proprio corpo, indignata davanti a ogni piccola e grande ingiustizia, fiera nell’amare persino quando diventa pericoloso, ma anche più semplicemente figlia, madre, moglie e potrei continuare ancora e ancora.
Oggi giovedì 8 marzo viene celebrata una festa nata da un’idea socialista che ha poco, o meglio ancora, nulla a che fare con la manifestazione a cui siamo abituati da decenni, conosciuta come la “Giornata Internazionale della Donna”.
Certo da festeggiare c’è ben poco, le donne ancora oggi continuano a essere le principali vittime di stupri, di violenze fisiche e psicologiche, le donne continuano a essere sfruttate da ordini sociali patriarcali piuttosto che economici e politici, le donne continuano a essere sessualmente discriminate nel mondo del lavoro e il più delle volte in modo subdolo e sleale.
Eppure la storia ci insegna che l’altra metà del cielo è abilissima nel nutrire, nell’istruire, nel conquistare senza spade e scudi, contribuendo in maniera decisiva nella crescita economica e nello sviluppo sociale se solo avesse la possibilità di sviluppare totalmente il proprio potenziale produttivo.
Quella dell’8 marzo è nata come una giornata di lotta per non dimenticare i tormenti, i maltrattamenti e i soprusi che tutte le donne del mondo sono state costrette a subire e che ancora oggi continuano ad affliggerle, era questa la sola e unica essenza della Festa delle Donne e non quella di ridursi a uno squallido evento commerciale da consumarsi in un locale piuttosto che in una discoteca.
Qui c’entra poco il femminismo, l’orgoglio di essere donna non passa attraverso la necessità di dimostrare a tutti i costi di essere migliori o più capaci degli uomini, piuttosto lo scopo di questa giornata è quello di fermarsi e riflettettere sull’estenuante fatica nella quale ogni donna quotidianamente si imbatte per ottenere gli stessi diritti e le stesse opportunità del genere maschile e fare in modo che non sia più così.
Donne non arrendetevi mai, continuate a stare in trincea, siate sempre intrepide nel varcare l’invisibile, perchè come diceva Friedrich Nietzsche “tutte le cose veramente grandi, a prima vista sembrano impossibili”.
Dimenticavo, auguri oggi e sempre.

Gaia Santolla

Contestazioni, Incursioni e Poesia

COSENZA – Pochi, decisamente troppo pochi gli eletti che hanno avuto la possibilità di assistere all’inaugurazione del quarantesimo anno accademico dell’Unical e soprattutto al conferimento della laurea honoris causa in Filologia Moderna all’inarrivabile Roberto Benigni.
Inarrivabile è la parola più esatta, se si considera la folta e immotivata schiera di agenti polizia che asserragliava l’accesso del teatro. Verrebbe quasi da dire severamente vietato l’ingresso ai cani e agli studenti, anche se qualche cucciolo, che è solito popolare il campus, ha avuto l’inconsapevole fortuna di gironzolare nello spiazzale circostante.
Questo non ha di certo intimorito alcuni studenti che armati di megafono e volantini non hanno perso l’occasione per esperimere il proprio dissenso per la mancata partecipazione all’evento, ma la disapprovazione ha assunto tonalità un po’ più accese quando l’oggetto della stessa passa da Roberto Benigni “solo per pochi” alla noncuranza dei vertici dell’università verso i problemi reali che continuano a tormentarla.
A movimentare ulteriormente la cerimonia sono state le Iene con l’incursione a sorpresa di Angelo Duro, il cantante senza pubblico, che dopo aver provato a fargli cantare una canzone ha tentato il tutto per tutto baciandolo in bocca.
Ad ogni modo Benigni diventa (dopo una prima laurea in Filosofia e una seconda in Lettere) per la terza volta dottore questa volta in Filologia Moderna per sottolineare la sua assoluta importanza nella divulgazione al grande pubblico della Divina Commedia nei teatri così come nelle piazze.
La sua Lectio Magistralis spazia in luoghi sfumati e cristallini, in tempi di oggi e di altre età, Dio, l’arte, la scienza, la politica, Dante, il libero arbitrio, la poesia, tutte argomentazioni legate l’un l’altra da un solo e unico filo conduttore che è la parola.
Piccola, invisile ma così onnipotente quasi divina nel placare la paura, nel rimuovere il dolore, nell’infondere gioia. E’ difficile non lasciarsi trasportare in questi suoi interminabili viaggi semantici così poetici e così ironici, del resto è l’umorismo il modo migliore per dimostrare che si fa sul serio e Benigni questo lo sa bene.
Il neo-dottore decide di terminare la sua lezione nel modo che gli è più congeniale, recitando il suo Dante, il canto trentatreesimo del Paradiso, quello della Vergine Maria, in un silenzio devoto e a tratti commosso si muove abile tra quei versi che continuano ad entusiasmarlo come se li recitasse per la prima volta.
Sarebbe bello che tutti quelli che lo hanno ascoltato ieri, nelle frenesie delle proprie quotidianità continuassero a ripetersi anche nei giorni successivi i versi con i quali Benigni c’ha salutato…“L’Amor che move il sole e l’altre stelle”, perché spesso ci possono salvare solo le parole.

Gaia Santolla