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Postreet, una App inventata da un cosentino

COSENZA- La facoltà di Ingegneria dell’Università della Calabria sforna brillanti talenti nel campo dell’informatica. Si chiama Francesco La Regina, un giovane inventore cosentino ideatore di una nuova app vocale, un post- it sonoro,  in grado di  lasciare un messaggio vocale in un luogo fisico preciso, e che solo in quel luogo puo’ essere ascoltato. La app potrebbe essere utilizzata per lasciare, per esempio, un commento ad un monumento, ascoltabile solo vicino a quel monumento, perche’ il telefonino riconosce la posizione, tramite la localizzazione gps, e rende disponibili solo i messaggi relativi.  Postreet è il nome delprogetto che verrà presentato a marzo presso l’Università di Arcavacata.  Il cantante Brunori SAS ha deciso di sostenere l’ingegnere La Regina e ha gia’ lasciato, in giro per Cosenza, dei “suoni”.  Chi  troverà i suoni brunoriani, attraverso una caccia al tesoro, vincerà i biglietti del suo concerto.

Carolyn Smith, in punta di piedi si confessa

E se è vero che la musica toglie il respiro e il ballo è qualcosa che si ha dentro, ce ne dà prova la dolcissima Carolyn Smith. Nota al grande pubblico come presidente di giuria nella trasmissione “Ballando con le stelle”. Un vulcano di energia che non molla mai, ”Believe in yourself. Don’t give up”, questo il suo motto che lo ha persino tatuato sul polso, insieme ad altri 8 tatuaggi, ognuno dei quali ha un grande significato. Ben 48 anni di carriera sulle spalle, determinata e semplice al tempo stesso. La incontriamo, accompagnata dall’amico e ballerino calabrese Mario Palermo in occasione della nuova apertura “Carolyn Smith Dance Center” di Sara e Catia Ferraro ad Acri. “La musica mi da tutto. Ascolto musica fin da bambina. La prima cosa che al mattino faceva mio padre era quella di accendere la radio. Ho sfogato la mia espressione energica attraverso la danza. Incoscientemente è una cosa eredita dalla mia famiglia: quasi tutti ballerini”, ci sussurra. Una lunga vita trascorsa tra passi di danza classica e la sua specialità: il ballo latino americano. Incantata dalla sua dolcezza e semplicità, ci emoziona con il suo racconto.

Carolyn Smith, una ribelle per natura?

Fin da piccola sono stata sempre iper attiva, proprio per questo mia madre mi fece frequentare una scuola di ballo, in questo modo sfogavo le mie energie. Non a caso, le prime scarpette da ballo furono quelle di tip tap. Sono abbastanza semplice ma complicata. Nel mio lavoro sono determinata. Nella vita normale sono dolce e ho tanti valori per la famiglia e per le cose semplici. Quando torno a casa apprezzo ancora di più quello che mi circonda.

L’elemento fondamentale per essere una brava ballerina?

Per me è necessaria la passione e la dedizione per qualsiasi disciplina artistica, senza ascoltare le discriminazioni che spesso ci sono negli spogliatoi. Io sono sempre andata avanti da sola. Son piccola, “Uno e 56 e una buona giornata” scherzosamente sorride ndr. Sono sempre stata muscolosa ma nonostante ciò si può fare di tutto.

Ballerina, coreografa e ora direttrice di diverse scuole di danza?

Ho sempre detto da giovane di non voler insegnare. Però più vai avanti e più ti rendi conto che ci sono diverse fasi della carriera. Prima Ballerina, poi competitrice ma successivamente arriva un momento in cui  bisogna cambiare. Avevo bisogno di nuove esperienze e di una vita sociale. Ed è proprio per amore che lasciai l’Inghilterra e venni in Italia. Ero al vertice mondiale della mia carriera, ma lì ho troncato la prima fase e a soli 23 anni, ebbe inizio quella dell’insegnamento. Dopo la rottura del mio primo matrimonio ho capito che il mio amore era il ballo e sono tornata in Inghilterra, ricominciando a ballare samba, rumba, chachacha, paso doble e jive.  Anche questo è durato poco, perché sono stata costretta dopo due anni ad operare le ginocchia. Un segnale, questo, che mi portò di nuovo ad insegnare e successivamente all’apertura di dodici sedi in Italia della “Carolyn Smith Dance Academy”.

Qual è la differenza tra la Gran Bretagna e l’Italia?

In Gran Bretagna c’è più disciplina mentre in Italia tanta passione e talento.

Che cosa ne pensa dei talent show?

Io lavoro per la rai ma guardo anche “Amici”.  Non condivido  il litigio in diretta tra insegnante e allievo. Non è di buon esempio per i ragazzi, quindi da una parte voto dieci ma dall’altra zero. Lavoro da sei anni con la produzione di “Ballando con le stelle”. Tutti iniziano per gioco  e non  si rendono conto quanto sia difficile la nostra disciplina, ma nonostante ciò tutti prendono la febbre della danza e portano via qualcosa di significativo. Per esempio, ricordo Irene Pivetti che aveva una fobia, non voleva essere toccata da nessuno. Aveva paura del linguaggio del corpo ma alla fine del programma è cambiata completamente. Il ballo cambia totalmente la vita!

Cosa manca ancora a Carolyn Smith nella sua vita?

C’è un po’ di roba. Sto lavorando ad alcuni progetti. Uno tra questi, è l’educazione attraverso la musica e la danza che coinvolge sia i giovani che i meno giovani ma in particolar modo anche i ragazzi che sono in ospedale. Grazie alla collaborazione con l’ospedale pediatrico “Bambino Gesù”di Roma, abbiamo trovato un sistema, che nonostante i giovani ammalati sono costretti a stare a letto, hanno la possibilità di ballare anche soltanto con le mani e con gli occhi divertendosi con la musica.

C’è qualcosa che l’ha tanto emozionata?

L’emozione più grande è vedere i miei ragazzi ballare. È un qualcosa che mi fa piangere di gioia.

                                                                                               

VALENTINA ZINNO 

Foto: Francesco Greco

More e Centro Antiviolenza Lanzino insieme per un “nuovo” teatro. Intervista a Dario De Luca

Dario De Luca di Scena Verticale

COSENZA – Il Progetto More è diventato un’isola felice, un’isola che c’è, un luogo di ritrovo in cui tutti “assorbono” la cultura viva e sana, è un piccolo isolotto che contiene un mondo tutto da scoprire, un pianeta che non smette mai di stupire, insegnare, affascinare. Ogni settimana la sala del Teatro More è gremita, si scorgono volti che ormai riconosci anche ad occhi chiusi, sono i volti di tutti gli affezionati frequentatori della “baldoria” culturale del venerdì sera.
Il 28 febbraio si darà inizio al terzo atto del More, nuova viscerale stagione in collaborazione con il Centro Antiviolenza Roberta Lanzino, nuovo cartellone e nuovi  spettacoli con tematiche di genere da analizzare, sminuzzare, sviscerare.
Ad indicarci il nuovo percorso da seguire Dario De Luca fondatore, insieme a Saverio La Ruina, di Scena Verticale.

Dario… sei attore, regista e drammaturgo con una serie di premi poggiati sulla tua scrivania. Come e quando nasce la tua passione per il teatro?
La passione è nata da ragazzino, grazie alla frequentazione costante del teatro sin da piccolo. I miei genitori e mio zio Umile (Umile Montimurro, responsabile amministrativo dell’allora Consorzio Teatrale Calabrese) mi hanno sempre portato a teatro, sia al Rendano che al Morelli – più tardi da solo conobbi anche il Teatro dell’Acquario – per cui il teatro è uno spazio che ho sempre vissuto con grande familiarità. Non ho mai subito il ricatto culturale di non capire quello che vedevo o di sentirmi  inadeguato. Certo ho visto tante cose inadatte o “pesanti” per un ragazzino, ma la magia del palco, di quelle storie vissute dal vivo,  hanno sempre vinto sulla possibile sensazione di noia che poteva sorgermi. Credo fortemente che abituare i bambini al teatro sia il miglior modo per appassionarli ad una forma d’arte senza pari.

Nel 1992,con Saverio La Ruina, hai fondato la compagnia Scena Verticale. Com’è nata questa collaborazione?
Ci incontrammo io e Saverio agli inizi degli anni 90. Tra la fine del 90 e l’inizio del 91. Io ero appena uscito dalla scuola di teatro del  Centro Rat-Teatro dell’Acquario e Saverio tornava ad avere un piede in Calabria dopo essere già stato in compagnia con Leo De Berardinis e Rem&Cap.  L’incontro avvenne poiché tutti e due fummo “precettati” per far parte di una compagnia che stava appena nascendo a Cosenza, dalle belle speranze ma che già nel nome aveva il suo destino segnato. Si chiamava Teatro della Tempesta e naufragò miseramente dopo appena un anno dalla nascita. Mi piace ricordarlo perché il lato positivo di tutta quella balorda vicenda fu che io e Saverio ci incontrammo. E l’incontro fu sia umano che lavorativo. Incontrandoci sul lavoro trovammo fin da subito un bell’affiatamento. I nostri sogni parlavano la stessa lingua, terreno comune su cui poggiare le basi delle nostre piccole-grandi utopie artistiche. Non ci spaventava il lavoro e ci convincemmo che potevamo provare a costruire una nostra piccola compagnia rimanendo in Calabria. Donammo le dimissioni dalla Tempesta con la promessa che avremmo costruito un nostro percorso. C’era anche un regista franco-magrebino con noi, Tarak Hamman, che poteva essere nostro sodale ma con il quale vivemmo un periodo di collaborazione di solo un anno. Era l’estate del  1992. Io avevo 23 anni. Capii fin da subito che con quell’estate se ne andava la mia giovinezza, intesa come spensieratezza e leggera incoscienza, ed entravo definitivamente nel mondo adulto e lavorativo.

Dal 1992 ad oggi cos’è diventato più semplice e cosa, invece, più complesso?
I primi anni furono anni di intensa costruzione.  I primi spettacoli girarono per anni nelle scuole elementari, medie  e Istituti superiori della nostra regione e della Basilicata. Lavorare nelle scuole era un modo per dare continuità ad un mestiere difficile da svolgere nella Calabria teatrale degli anni novanta e in fondo, nel nostro piccolo, contribuivamo a creare un nuovo pubblico che imparava a vedere e apprezzare il teatro già dalla più tenera età. Quei nostri spettacoli divennero  “palestra” costante per riflettere sul nostro agire teatrale, sullo strumento corpo-voce dell’attore, sul pubblico, sulla relazione con esso, sullo spazio scenico, sull’organizzazione e sulla vendita di un prodotto culturale. Avevamo iniziato questa avventura per fare gli attori e poco a poco ci ritrovammo a imparare ad essere organizzatori, impresari di noi stessi, progettisti, amministratori e poi ancora tecnici, registi e autori di teatro. Per molti anni Scena Verticale fummo solo Saverio ed io. Ci furono anni molto duri e bui, ma non ci fiaccarono né i sacrifici né la lunga gavetta. Oggi siamo una struttura più solida. Da anni il nostro lavoro è affiancato dal lavoro di Settimio Pisano, direttore organizzativo della compagnia, del festival Primavera dei Teatri e della Residenza More a Cosenza; da quello di Tiziana Covello, amministratrice e responsabile contabilità di tutti i nostri progetti. Così come è preziosissimo il lavoro di Rosy Chiaravalle e Loredana Ciliberto.  Ci sono attori, musicisti, tecnici e maestranze che, pur non essendo dentro Scena Verticale, hanno legato spesso e volentieri il loro percorso artistico al nostro (Gianfranco De Franco, Giuseppe Oliveto, Ernesto Orrico, Marco Silani, Giuseppe Vincenzi, Gennaro Dolce, Gaetano Bonofiglio, Rita Zangari). Sono amici che conosciamo da tempo con i quali c’è una sintonia oltre che artistica, umana.
La complessità del lavoro rispetto agli inizi sta senza dubbio nel confermare una qualità nei nostri progetti che non faccia rimpiangere dei bellissimi traguardi raggiunti nel tempo. Essere capaci di continuare a confrontarci con un pubblico che ha sviluppato delle aspettative sul nostro operato, sia per quanto riguarda il percorso artistico che quello di operatori culturali.

In molti hanno lasciato e continuano a lasciare la Calabria. Tu, invece, sei sempre stato tra quei pochi che hanno deciso di restare. Cosa ti spinge a rimanere senza perdere mai la speranza?
Ci sono alcune cose che già pensarle diventa impresa. Cose su cui nessuno scommetterebbe un centesimo. Una di queste è quella di decidere di far teatro in Calabria. Nuova drammaturgia e ricerca; l’organizzazione di un festival della scena contemporanea. E invece a volte può accadere che fai nascere una compagnia e che diventi, col tempo, riconoscibile; che la tua poetica sia in grado di raccontare un territorio oscuro e inedito come la Calabria; che un dialetto sconosciuto e complicato diventi lingua teatrale; che organizzi un festival che diventa un luogo apprezzato e importante per il dibattito teatrale nazionale. Ti assicuro che tante volte perdi le speranze e tante volte ci siamo sentiti scoraggiati e un po’ mortificati. Una volta pensavo che se ci stai in una terra devi impegnarti a renderla migliore. Altrimenti in posti come la Calabria non è neanche il caso di rimanere ed è meglio andar via. Oggi penso che questo discorso si possa estendere a tutta l’Italia, per cui chi decide di andarsene deve fare delle valigie molto capienti e guardare a luoghi davvero lontani. Altrimenti resta e si rimbocca le maniche. Il segreto è considerare il tuo posto, sempre è comunque, il centro del mondo.

Parliamo un po’ del Progetto More e del grande successo che continua a riscuotere soprattutto tra i giovani. Ogni venerdì sera il Teatro Morelli è pieno zeppo di spettatori ed ogni messa in scena è sempre una fantastica sorpresa. Gli spettacoli non solo piacciono sempre ma insegnano tanto. Qual è il segreto delle vostre scelte e del vostro successo?
Non esiste una formula precisa. Nessun segreto. Nessuna magia. Solo una grande attenzione verso la scena contemporanea e verso gli spettacoli che proponiamo in cartellone. Le scelte non sono mai casuali, ma sempre frutto di una ricerca attenta, che portiamo avanti frequentando il teatro nazionale e non.  La formula del venerdì sta funzionando, il Morelli è diventato un punto di incontro, non solo per gli spettacoli teatrali. Gli spettatori sono stimolati a frequentarlo, trovando un’offerta molto varia, che parte dal teatro ma, appunto, tende a diversificarsi, spaziando dai laboratori di musicoterapia e quelli di editoria, dalle lezioni della Scuola di teatro ai concerti. Il nostro pubblico è anche molto variegato e l’età davvero trasversale. Al More trovi adolescenti e spesso anche bambini (soprattutto dopo il successo della Scuola di teatro), trovi i quarantenni, ma trovi anche tanta gente over sessanta. Gli spettatori penso apprezzino il fatto di poter trovare da noi anche la possibilità di ascoltare un buon concerto e sorseggiare una birra, ma in un contesto che non è dispersivo, come invece succede spesso nei locali. Chi viene per assistere ad un concerto sa che l’attenzione principale è verso la musica (anche per questo le scelte musicali sono attentamente programmate al pari di quelle teatrali), e che questa non è solo contorno per una chiacchiera e una bevuta, ma è la protagonista, intorno alla quale poi si può anche imbastire un discorso di convivialità, che però non deve mortificare il lavoro e il talento dei musicisti. Forse un altro punto di forza può essere ricercato nella continuità della nostra programmazione. In effetti già dal primo anno di attività della Residenza stiamo cercando di fare una programmazione di ampio e lungo respiro, che dia la possibilità di intraprendere discorsi più articolati e che riesca a intercettare la necessità del pubblico di trovare dei punti fermi, come sono diventati ormai i nostri venerdì teatrali e come spero diventino i mercoledì musicali.

I giovani sono la vostra forza. Secondo te perché amano il More, così come altre compagnie che propongono spettacoli sperimentali, mentre disertano gli appuntamenti con tutto ciò che è tradizionale?
Penso che gli spettacoli che vengono disertati sono quelli che non dialogano con il pubblico del XXI secolo.  Spesso nei teatri di tradizione si propone un repertorio che si è cristallizzato in una sorta di fermo-immagine perenne su titoli e autori consolidati, che non convince e intrattiene più neanche lo stanco pubblico degli abbonati.  Vogliamo prenderne atto e rinnovare questi cartelloni? In questi ultimi vent’anni una gran quantità di piccole realtà indipendenti ha sopperito, con il proprio operato, a quello che per decenni non hanno fatto le stabilità e le stagioni dei grandi teatri, tranne in rari e isolati casi; dando visibilità a tutto un movimento teatrale che altrimenti non avrebbe avuto spazio. Il sistema teatrale istituzionale (e metto dentro il calderone Stabili Pubblici, Stabili Privati, Stabili d’Innovazione e Circuiti) non ha voluto, e ancora non vuole, vedere che ci sono fior di artisti e un numero incredibilmente vasto di pubblico che si confronta sull’oggi, parlando la stessa lingua e che ha sancito un rinnovamento e un ricambio generazionale nel panorama teatrale italiano che, come giustamente dice Renato Palazzi (critico del Sole 24 Ore e studioso di teatro), non ha eguali in Italia perlomeno da quarant’anni. Vogliamo prenderne atto?

Il 28 febbraio inizierà nuovamente il More. Siamo arrivati all’atto III, puoi darci qualche piccola anticipazione?
Anche il programma di questo atto terzo, oltre all’attenzione verso i linguaggi del teatro contemporaneo, sarà caratterizzato da  scelte che ricadono spesso su spettacoli con una forte aderenza alle problematiche della contemporaneità tout court e non solo di quella strettamente teatrale. Come del resto è stato per alcuni degli spettacoli ospitati nella scorsa stagione, che affrontavano tematiche forti ma di pressante attualità, come ad esempio la pedofilia. In questo nuovo atto viene dato uno spazio ancora più ampio ad un’altra tematica per tanti versi “scomoda”, come quella della violenza di genere. La stagione 2014 del More si aprirà infatti con un ciclo di tre spettacoli racchiusi sotto il nome “Progetto donna”, un progetto teatrale che vuole anche essere testimonianza di un impegno reale, da concretizzare prima di tutto attraverso la sensibilizzazione del pubblico intorno a questo tema. Il “Progetto donna”  prevede, nello specifico, la messa in scena di tre spettacoli che narrano vicende molto dure, consumate spesso nello stesso ambito familiare e acuite il più delle volte da un destino di solitudine nel quale le protagoniste vengono relegate. Da questa idea è nata una  collaborazione molto importante e significativa con il Centro antiviolenza Roberta Lanzino. Una collaborazione che sarà inaugurata da un incontro tra la nostra compagnia e le donne del Centro antiviolenza, un incontro aperto anche a tutti coloro che vorranno partecipare e al quale parteciperà anche Saverio La Ruina, che è autore e protagonista dello spettacolo col quale apriremo il “Progetto donna” e l’intera nuova stagione. L’incontro si terrà giovedì 27 febbraio, alle ore 17.00, presso la sede del Centro antiviolenza di Via Ernesto Fagiani.
La Residenza teatrale proseguirà poi il suo lavoro fino a fine maggio, con un fittissimo programma di laboratori, spettacoli, concerti e una serie di eventi conclusivi che intorno al 20 maggio vedranno la realizzazione degli esiti dei laboratori e della Scuola di teatro e la nuova edizione del festival Teatrabile, dedicato al teatro che si impegna nel disagio.

Annabella Muraca

Centenario Cosenza Calcio: Commissione cultura assegna riconoscimento al giornalista Vincenzo d’Atri

COSENZA – “Il Cosenza calcio senza la storia raccontata da Vincenzo d’Atri sarebbe come una notte senza luna e senza stelle”. Scomoda Confucio, parafrasandone un aforisma, ma dice la pura e sacrosanta verità Maria Lucente, Vice presidente della Commissione cultura del Comune di Cosenza, nel tratteggiare la figura del giornalista Vincenzo d’Atri, a proposito del suo impegno e della sua passione per i colori rossoblu cui ha dedicato l’intera carriera giornalistica (tra i volti più popolari della Rai regionale) ma anche quella di narratore ineguagliato e, probabilmente, inarrivabile, delle gesta pedatorie della squadra della città dei Bruzi.

Ieri sera, Vincenzo d’Atri, decano dei giornalisti calabresi, è stato festeggiato nel salone di rappresentanza di Palazzo dei Bruzi, in occasione del centenario del Cosenza Calcio, dalla Commissione cultura presieduta da Claudio Nigro che gli ha assegnato un riconoscimento sia per la sua attività giornalistica che per essere stato autore dei volumi “Cosenza, storia in rossoblù” che documentano con dovizia di particolari tutta la storia del Cosenza Calcio, da quando vide la luce come Società Sportiva “Fortitudo”, quando il rosso e il blu non avevano ancora fatto la loro comparsa sulle maglie dei calciatori che allora vestivano una casacca verde e azzurra. Verde come i boschi della Sila e azzurra come lo stemma della città. Poi, in omaggio ai grifoni del Genoa, la prima squadra a vincere il titolo italiano, il rosso e il blu presero il sopravvento e accesero le passioni. Come quella di Vincenzo d’Atri. Che ama riassumere in un aneddoto che, ora che si gode la pensione, lontano dagli schermi telvisivi che lo hanno reso popolarissimo, racconta senza la preoccupazione di recare un dispiacere ai tifosi delle altre città calabresi e di violare ogni forma di par condicio calcistica. “Molti amici e spettatori televisivi mi hanno confessato – ha raccontato d’Atri durante l’incontro in commissione cultura – che quando si sintonizzavano sul canale della Rai regionale per seguire il telegiornale e, come spesso capitava la domenica, ero io a condurlo, già dal mio buona sera si accorgevano se il Cosenza avesse vinto o perso. Evidentemente la mia espressione tradiva o la felicità della vittoria o lo scoramento della sconfitta o, ancora, una delusione a metà, nel caso di un pareggio.” A festeggiare ieri il giornalista cosentino, ma di origine castrovillarese, anche l’Assessore allo sport del Comune di Cosenza Carmine Manna. Ma all’appuntamento non hanno voluto mancare anche la figlia di d’Atri, Gabriella, anche lei giornalista Rai, e la nipote Alessia. Tra gli amici, Padre Fedele Bisceglia, leader riconosciuto del tifo ultrà rossoblu.

Nelle vesti di relatore della commissione cultura, il consigliere Mimmo Frammartino che, all’epoca della promozione del Cosenza in serie B, nel 1988, era Assessore allo sport. Per Frammartino “Vincenzo d’Atri è lo storiografo del Cosenza Calcio nel vero significato del termine. Inimmaginabile la mole di dati e di notizie che d’Atri ha fornito sulla storia del Cosenza, accanto alla narrazione della storia della città dal punto di vista politico, economico e culturale, così come ha fatto nel volume “Cosenza alle soglie del terzo millennio”.

All’incontro di ieri ha partecipato, oltre al Presidente Nigro e alla Vice Presidente Lucente, anche il consigliere Francesco Perri, mentre il Presidente della Commissione sport Francesco Spadafora, assente per impegni precedentemente assunti, ha inviato una lettera che è stata letta dal Presidente Nigro. A d’Atri Spadafora ha rivolto il suo personale ringraziamento “per l’encomiabile opera di memoria portata avanti e che appartiene ormai al bagaglio culturale della Cosenza sportiva.”

Visibilmente commosso, quando arriva il momento di dire la sua, Vincenzo d’Atri ringrazia la commissione cultura “per la grande manifestazione di affetto”, ricorda il periodo in cui scrisse la sua storia in rossoblu, stimolato anche dal sindaco di allora Giacomo Mancini, “che volle fortemente la pubblicazione  dei due volumi” e rimarca che quello raccolto nei due libri sulla squadra di calcio della città “è un racconto senza fine, perché senza fine è il suo protagonista: il Cosenza”.

E mentre sullo schermo del salone di rappresentanza scorrono le immagini  della storica promozione in serie B del 1988, parte la musica del nuovo inno del Cosenza, composto per il centenario da Gino Scaglione e inserito in un cd pubblicato per l’occasione ed il cui ricavato andrà a sostenere la realizzazione di un’opera per aiutare i bambini diversamente abili. Un inno, quello di Scaglione, che si aggiunge a quello storico e intramontabile del compianto Tonino Lombardi che evoca pagine epiche e senza fine della storia in rossoblu.

Timp russ a Russan e mulicatini a Crojiani fa sold out

ROSSANO (CS) – “Timp russ a Russan e mulicatini a Crojiani – ovvero Le campane del Patire” registra il tutto esaurito nei primi tre spettacoli, uno dei quali riservato alle scuole, andati in scena al Metropol di Corigliano. La commedia brillante in due atti, rappresentata venerdì 21 ed in replica sabato 22 febbraio, vince e convince. La comicità e la leggerezza hanno fatto da cornice ad una trama intricata ed intessuta su un antico e famoso pregiudizio, la rivalità, appunto, tra “Russan e Crojiani”, reso ancora più grottesco dalla maestria dei protagonisti, dei costumi e delle scene, sul quale l’autore, Gianpiero Garofalo, pone la lente di ingrandimento. Il tutto per lanciare, con grande ironia, il messaggio serio e profondo della improrogabile necessità di superamento degli sciocchi e storici campanilismi tra i due centri dell’Area urbana. Con un terzo soggetto, svelato in fondo alla commedia, pronto a godere delle beghe tra i due litiganti. Si pensa già al calendario delle repliche.
Oltre due ore di pura comicità, quella proposta dall’unione delle due compagnie “Otto&Nove Gran Teatro” di Rossano e “Vincenzo Tieri” di Corigliano, hanno tenuto inchiodati, in modo leggero e piacevole, i circa 4000 spettatori dei tre diversi spettacoli andati in scena sulla ribalta del teatro coriglianese, al termine dei quali sono intervenuti l’assessore alla cultura e pubblica istruzione di Rossano, Stella Pizzuti ed il vicesindaco di Corigliano, Francesco Paolo Oranges. Platea e gallerie gremite, in modo trasversale, da “bizantini”, “ausonici” e più in generale sibariti, uniti sotto l’emblema dell’ilarità.
Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita di questo evento – dichiara Gianpiero Garofalo, autore, regista ed attore della commedia (nei panni del nobile e avaro Gianfilippo) – al quale abbiamo lavorato per circa due anni. Siamo soddisfatti del risultato e della grande partecipazione del pubblico che ha fatto registrare il tutto esaurito in tutte e tre le rappresentazioni. Anzi – conclude – vista la richiesta di moltissimi spettatori, che non sono riusciti a trovare i biglietti, si sta pensando ad ulteriori repliche dello spettacolo.
La scena iniziale si apre con i riflettori puntati su una famiglia rossanese di nobili origini, caduta in disgrazia economica ma con grande orgoglio di appartenenza alla casta e amore per lo stemma, la cui unica figlia, Anna, è incinta di un giovane conosciuto da poco. Appresa la notizia, e dopo essersi disperati per il disonore derivante dalla propria condizione sociale, i genitori, i baroni Gianfilippo e Pupetta “dei Menzalingua”, cercano di capire chi sia il futuro padre. Scoprono, così, che lo stesso, non solo proviene da una famiglia di umili origini, ma soprattutto è di Corigliano. Da qui, una serie di vicende paradossali e di smisurata comicità, basate proprio su quegli antichi pregiudizi dettati dalla rivalità radicata nella storia delle due Città. Ovviamente la stessa situazione si ripropone, con contesti differenti, nell’altra famiglia, nel momento in cui si scoprono le “origini geografiche” della ragazza, appunto di Rossano. Dopo varie vicende e tribolazioni, essendo, i giovani, innamorati ed intenzionati a sposarsi, le famiglie decidono di conoscersi. Ed è proprio in questo contesto farsesco di battibecchi e bisticci che, grazie alla saggezza dei due nonni dei giovani, i quali, tra le altre cose si ritrovano dopo essere stati costretti a lasciarsi tanti anni prima (per gli stessi motivi dettati dal campanile!), riscoprendosi ancora innamorati, la situazione si risolve e si riesce a superare ogni sciocco e ottuso preconcetto. La commedia si conclude con l’emblematica caduta del leggendario lenzuolo posto sul promontorio dove sorge l’Abbazia del Patire (da sempre contesa tra le due Città). Messo lì, forse, da chi ha tutto l’interesse affinché Rossano e Corigliano continuino a contrastarsi.

Il grande Lelio Luttazzi torna protagonista per una notte a Cosenza

COSENZA – Giovedì 27 febbraio alle ore 21 nella Sala Chopin del negozio di strumenti musicali De Luca (v. Panebianco, 248) è in programma Signore e Signori….Lelio Luttazzi!, un incontro ideato e condotto da Ugo G. Caruso, storico dello spettacolo, che ha concepito un tributo affettuoso, vario ed articolato all’artista triestino scomparso nel 2010 ma soprattutto originale, come vedremo, grazie ad un inusuale taglio tematico. La serata, organizzata dalla Libreria Mondadori di Cosenza, avrà luogo sotto le insegne del Movimento Telesaudadista, un sodalizio culturale fondato a Roma da Caruso nel 1999 che si propone lo studio e la riproposizione del grande patrimonio televisivo classico, per intenderci, quello degli anni del bianco e nero.  Ed infatti l’idea di un omaggio telesaudadista a Luttazzi risale già a molti anni fa. Caruso ne parlò due volte di persona col diretto interessato che con la consueta modestia, pur dichiarandosi molto lusingato e perfino sorpreso, contrappose un cortese ma fermo diniego, non avendo al tempo ancora smaltito del tutto la forte ritrosia per le occasioni pubbliche. Di certo Luttazzi apprezzerebbe l’omaggio preparatogli a Cosenza e ciò aumenta il rimpianto di non aver potuto godere a suo tempo della sua presenza a Roma in veste di ospite d’onore.                                   Protagonista indimenticabile dello spettacolo italiano per la sua personalità eclettica, Luttazzi fu jazzista, compositore, attore, entertainer di rara eleganza sia nelle vesti di conduttore radiofonico che in quelle di presentatore televisivo per il suo lessico forbito e quel modo naturale di indossare lo smoking ma, come abbiamo scoperto da poco, fu anche scrittore di talento. Proprio partendo da questo spunto la serata avrà un taglio particolare che la differenzierà dalle tante iniziative susseguitesi fin qui senza posa in tutta Italia dopo la morte dell’artista, principalmente per impulso della Fondazione Lelio Luttazzi, fortemente voluta dalla vedova Rossana Moretti, instancabile animatrice di premi, mostre e concerti dedicati al marito. Grazie a lei dagli archivi del maestro sono miracolosamente emerse partiture per film e commedie musicali, incisioni cadute nell’oblio e persino un film, L’illazione,”riesumato” solo due anni fa. Tra questi inestimabili  rinvenimenti c’era pure un romanzo, scritto molti anni prima, nel periodo di depressione seguito alla nota disavventura giudiziaria che lo colpì e lo fece precipitare in quella che lui chiamava  la sua lunga fase di oblomovismo. Se a quell’assurda vicenda che lo segnò profondamente aveva già dedicato un libro pubblicato dalla Rizzoli, Operazione Montecristo che meriterebbe una ristampa, l’altra sorprendente prova narrativa, L’erotismo di Oberdan Baciro  è ora edito da Einaudi con successo di critica e di pubblico. Scritto  durante una vacanza a Tellaro su incoraggiamento di Mario Soldati che per l’occasione gli prestò la sua Adler è un romanzo di formazione palesemente autobiografico, in cui si coglie l’ inevitabile eco della narrativa triestina e una forte influenza del bildungroman di matrice mitteleuropea ma che  al contempo guarda alla tradizione letteraria libertina. Ne parlerà Pino Sassano della Libreria Mondadori, dialogando con Caruso. Ad immergerci nelle pagine più esilaranti ci penserà il noto attore Giovanni Turco. Il libro che può essere letto anche come un apologo tragicomico racconta le disavventure di un bambino poi adolescente, riconoscibilissimo alter ego dell’autore, alla perenne ricerca di esperienze intime col gentil sesso nell’opprimente atmosfera della Trieste fascista degli anni trenta. Richiamandosi a queste tematiche che ci rivelano un Luttazzi inusuale, seppure nient’affatto in contrasto con l’uomo di spettacolo a tutto campo che siamo soliti ammirare, Caruso insieme al suo coautore abituale, Lucio Montera, ha compilato  una curiosa antologia che contrappunterà tutta la serata dal titolo Lelio e le donne. Adottando questa chiave di  interpretazione, nuova ed inconsueta, rivedremo molte memorabili performances televisive del presentatore-musicista, letteralmente elettrizzato dalla presenza delle sue seducenti partners in quei strepitosi varietà che tutti ricordiamo, da Studio Uno a Teatro 10, da Doppia coppia a Ieri e oggi. Eccolo allora, di volta in volta, accanto a Mina, alle Gemelle Kessler, a Sylvie Vartan, a Jula De Palma e Lisa Gastoni, oppure nei caroselli per la Singer in duetto con Renata Mauro. E se non bastasse in brevi clip tratte dai film da lui interpretati in coppia con Lea Massari o Monica Vitti, Silvana Mangano o Sandra Milo. Naturalmente un ruolo importante spetterà alla musica. A riproporre al pianoforte  alcuni dei più popolari brani del repertorio luttazziano ( Il giovanotto matto, Souvenir d’Italie, Vecchia America, El can de Trieste, Una zebra a pois) sarà il maestro Raffaele Borretti, formatosi sulla scia di quella generazione che scoprì e si innamorò del jazz quando la musica “ negroide e giudaica” era stata messa al bando dal regime fascista, Kramer su tutti e poi, Luttazzi appunto, i Cetra, Trovajoli, Piccioni, Umiliani, Ortolani, Cerri, Sellani, Bertolazzi, Calvi, come pure Carosone,  Buscaglione, Arigliano, Bruno Martino e tanti altri. Ad arricchire questi momenti musicali con tutta la sua verve e il suo swing ci sarà pure il gruppo vocale femminile The Flappers. C’è altro da aggiungere per descrivere un evento piccolo ma prezioso che si preannuncia imperdibile?

Mr. Gentlman per ricordare il Prof. Francesco Commisso

LOCRI (RC) – Si è tenuta presso il Palazzo della Cultura di Locri la manifestazione “Mr. Gentlman: in ricordo del Prof. Francesco Commisso” per ricordare l’illustre personaggio locrese, che molto ha dato in favore della cultura.

La manifestazione, condotta dal giornalista Enzo Romeo, ha riscosso enorme successo e ha registrato la partecipazione di numerosi cittadini che hanno riempito la platea. Molto curato e a tema l’intrattenimento musicale, con le esibizioni canore di Eleonora Pisano, cantante lirica, Emanuela Cricelli, e il gruppo musicale dell’Istituto Superiore “Oliveti – Panetta” di Locri, jazzistiche con il Maestro Francesco Sgambelluri e anche la particolarità dell’esibizione di Pino Rubino con la lira calabrese, accompagnato da zampogna e chitarra. Da non dimenticare anche la presenza della parte letteraria con le letture sceniche eseguite dai ragazzi del Liceo Classico e dello Scientifico “Zaleuco”.

Quindi una bella serata, di ricordo, ma anche come punto di partenza per andare avanti con altre iniziative di tipo culturale. Così come sarà il “Giugno Locrese”, presentato in questa occasione, che per l’edizione 2014 avrà un taglio nuovo e particolare, grazie all’apertura anche verso i più giovani.

La manifestazione, fortemente voluta dal Sindaco, dott. Giovanni Calabrese, e dall’Assessore alla P.I., avv. Anna Rosa Sofia, è stata appoggiata dalla famiglia Commisso, che ha ringraziato l’Amministrazione Comunale per la splendida serata.

Al Centro Polivalente il giovedì grasso si festeggia con Carnival idiot Games 2014

CATANZARO – Il Carnevale è alle porte e il Centro Polivalente per i giovani/Caffè delle Arti è pronto a spalancare la sua volta celeste alla festa più divertente dell’anno, con un giovedì grasso davvero unico e sensazionale.
La formula è quella del divertirsi e lasciarsi andare con gusto e ironia, chiamata non a caso “Carnival idiot Games 2014”.
Un intero e insano pomeriggio di giochi di tutti i tipi emblemi della varie sfaccettature artistiche del foro culturale del Comune di Catanzaro; dagli scherzi più tradizionali della tradizione carnevalesca, ai tornei di videogiochi e biliardino, fino a improvvisati shows di trapezi pazzi, grazie alla compagnia del Teatro “Il Minore”, il tutto arricchito da un Dj set rigorosamente demenziale e dedicato ai cartoni animati giapponesi e il gran finale con la sfilata delle maschere e la possibilità di vincere un premio.
Obbligatoria sarà ovviamente partecipazione in costume oppure, qualora non sia possibile, il trucco all’ingresso ad opera delle nostre volontarie esperte truccatrici.
Appuntamento imperdibile giovedì 27 febbraio alle ore 21.00, portate la faccia, al resto pensano loro.

 

Caligiuri al Parco Archeologico di Sibari, presto l’inizio dei lavori

L’Assessore regionale alla Cultura Mario Caligiuri – informa una nota dell’ufficio stampa della Giunta – si e’ recato questa mattina al Parco archeologico di Sibari, che e’ già’ in gran parte fruibile attraverso un percorso esterno agli scavi. Caligiuri ha constatato il numero delle visite verificatesi negli ultimi mesi e si e’ messo in contatto con il Soprintendente per i beni archeologici della Calabria Simonetta Bonomi che ha assicurato l’avvenuta ultimazione della gara relativa alla completa rimozione dei fanghi e al ripristino delle strutture antiche dei mosaici danneggiati danneggiate dall’inondazione del gennaio del 2013. La Soprintendente ha comunicato che verosimilmente entro il mese di aprile 2014 potranno essere consegnati i lavori di questo primo e fondamentale intervento. Bonomi ha anche comunicato a Caligiuri che le ulteriori gare di appalto per oltre 15 milioni di euro relative ad altri decisivi interventi di potenziamento e rilancio del sito archeologico e del museo si completeranno entro il mese di febbraio e comunque non oltre gli inizi del mese di marzo. Tutti i lavori, finanziati con fondi europei riservati alla Regione Calabria, dovranno concludersi entro il 2015. Successivamente Caligiuri ha visitato il Museo Nazionale di Sibari dove ha potuto ammirare il “Toro cozzante”, l’eccezionale piccola statua di bronzi dei V secolo a.C. simbolo dell’antica citta’, nuovamente esposto nella sede calabrese dopo il recente restauro successivo al ritorno dalla mostra “Alle radici d’Europa. Progetto Magna Grecia”, tenutasi presso il Parlamento Europeo a Bruxelles, dove ha riscosso un grande successo. Caligiuri ha riferito al Presidente Scopelliti l’esito del sopralluogo che ha riguardato anche gli argini del fiume Crati.

Black Flowers Café live al Teatro Morelli

I Black Flowers Café sono in quattro e vengono da Cosenza. Sospesi tra il Mediterraneo e l’Inghilterra, rappresentano l’incontro di radici brit con arie e atmosfere art-pop. Muovono i primi passi nel 2009, due anni dopo arrivano le prime release: due EP (“Rising Rain” e “Falling Ashes”) in cui convivono, in maniera speculare, approcci sperimentali e richiami post-punk. Una graduale evoluzione del sound li porta, l’anno successivo, al primo omonimo album, registrato da Michele Alessi (Kyle, Captain Quentin, Distape, Maisie). Arrivano i primi apprezzamenti dall’estero, ottime parole spese da blog stranieri e svariati passaggi in radio d’oltremanica. Il sito Rockit inserisce il loro brano “Ophir chasma” in una sua compilation datata Dicembre 2012, e diverse testate applaudono ai suoni del disco. Nell’agosto 2013 registrano al Kaya Studio (già casa di Brunori SAS e Dimartino) due nuovi pezzi, che danno forma a un nuovo singolo, “be/polar”, che vede la luce il 10 gennaio di quest’anno. Contemporaneamente vi è un cambio di line up e Mattia Argieri lascia il posto ad Antonio Nicoletti (batteria). Gli altri componenti sono: Gaetano Lidonnici (basso), Fernando Rennis (voce e chitarra), Angelo Zicca (chitarra).

A fine gennaio 2014 il loro brano “Alnitak” viene inserito in “Sounday Music Compilation Vol. 1”, una raccolta di 12 brani provenienti dalla community di Sounday, servizio che opera nel mercato della musica digitale e promuove i giovani artisti emergenti e la loro musica. Dall’indie rock, al nu folk, all’elettronica contemporanea: i generi musicali più moderni e innovativi si uniscono armonicamente per dare forma unitaria al suono della community di Sounday attraverso le performance di quelli che vengono definiti “i suoi artisti più promettenti”.

Scrivono di loro: «Cosenza come se fosse Glasgow o un qualsiasi altro luogo del Regno Unito, i Black Flowers Café danno un respiro internazionale al loro sound proveniente dal profondo sud. Attenzione a loro» – Dance Like Shaquille O’Neal.

– Biglietto, posto unico: 5 euro (ingresso + aperitivo)

Punti vendita e orari biglietteria
– Teatro Morelli
Via Lungo Busento Oberdan, 1
mercoledì e venerdì h 18.00 – 20.45
Tel 389/9232141

– InPrimafila
via F. Alimena 4/b – Cosenza
da lunedì a sabato h 09.30 – 13.00 / 16.30 – 19.30
Tel. 0984/795699

– Prevendita online: www.inprimafila.net