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“Andare per la Sicilia dei Greci”: Alla riscoperta delle origini Europee

la cecla“Andare per la Sicilia dei Greci” è tra i doni più preziosi che si possano ricevere. È un tour on the road alla riscoperta della nostra origine di Europei e partendo dal Sud, dalla Magna Graecia, dalla Sicilia. Terre che i Greci seppero addomesticare al loro pensiero senza farsi troppo inebriare dalle calure né confondere dagli eccessi ma, anzi, in essi ne rintracciarono un’armonia di proporzioni e di forme di cui oggi avremmo bisogno, come sottolinea l’autore, Franco La Cecla, tra i maggiori antropologi e non solo italiani.

Nel percorso egli è andato anche alla ricerca di quella “laicità” dei Greci, il loro spirito argomentativo che sempre lascia spazio al dubbio e all’ interrogativo. La loro voglia di verità è quanto per secoli siamo andati cercando. Il tour inizia a oriente, da Kamarina, dove si sente la pretesa tutta greca di dare una regola alla vita, alla comunità, alla natura, al tragico e bello del mondo. Aleggia un sogno di leggerezza cosciente proprio qui, dove Platone è venuto a convincere i tiranni delle sue utopie, dove Eschilo vi ha scritto e messo in scena le sue più importanti tragedie e dove l’Ade ha perso la sua aria densa, scura e irreparabile e, per la prima volta, l’umanità ha pensato che l’anima non può che essere immortale. Senza sorvolare sulle contraddizioni di un territtorio fatto anche di un brutalismo ingenuo di abusivismo edilizio, di orridi musei anni ’70, bunker che vorrebbero imitare il tufo dei templi, La Cecla va sempre e comunque a sospendere il suo sguardo sulla bellezza di reperti, tra i più belli al mondo, e che vivono nella più distratta quotidianità, come il vaso di Enea con Anchise sulle spalle a Gela, qui anche la tomba di Eschilo ma non si sa dove, e soffermandosi sulla storia e casualità con cui la maggior parte dei ritrovamenti archeologici sono avvenuti. Mai professionisti, raramente archeologi, sempre contadini e pastori, anche ladri, come il caso dell’efebo di Castelvetrano a Selinute, realizzato tra il 480 e 460 a.C, e utilizzato come portacappelli fino al 1962, anno in cui fu rubato. Ritrovato, ora si può ammirare in tutta la sua bellezza al Museo cittadino.

Tra le tappe più suggestive di questo tour Cave di Cusa, poco distanti dalla bellissima riserva di Gorchi, specchi d’acqua circondati da una natura rigogliosa, qui gli uccelli spiccano il volo per l’Africa. Nel leggere il libro, edito da Il Mulino, nella speciale collana “Ritrovare l’Italia”, non si può non sentire il desiderio di calarsi, al tramonto, nelle acque calde delle terme segestane, o quelle che si chiamano Gorga vicino alla stazione di Alcamo. Qui, circondato dalle Ninfe, veniva a riposarsi Eracle, qui si potrà capire il gioco che i Greci facevano con il territorio, la natura vulcanica e le dolcezze e asperità che offriva. Il tour continua con Palermo, il Museo Salinas per poi toccare diversi luoghi e La Cecla ne va sempre a ricordare e ritessere il mito  da Eracle Minoa, che prende il nome da Minosse re di Creta, che vi inseguì  Dedalo, costruttore del labirinto in cui era rinchiuso il Minotauro, fino a raggiungere le Sirene che fanno da spola da qui alle porte dello stretto di Scilla e Cariddi e dove, probabilmente, Ulisse incontrò Circe.

Francesca Mazzotti

Al via #tourpendolare: prima fermata Lamezia Terme

La poesia è il più bel viaggio che un uomo possa intraprendere. Con la poesia e sulla poesia si aprono possibilità infinite di scoperte parallele, si dischiudono i cancelli della fantasia e finalmente si ha libero 1433549969_11357022_1445068769129424_3069992785117731579_oaccesso a una dimensione percettiva infinitamente superiore a quella che viviamo nella nostra quotidiana e frammentata, oltreché frenetica, realtà. In questo viaggio allestito in versi capita di scendere da un treno per prenderne subito un altro, si susseguono sguardi fugaci tra viaggiatori distratti, si alternano brusche frenate e biglietti andati perduti. Un viaggio da pendolari, insomma, durante il quale ciò che conta non è la meta, spesso sempre uguale giorno dopo giorno, ma il viaggio stesso. Un viaggio che è diventato poesia, plasmato dagli arguti versi del poeta lametino Domenico D’Agostino, giovane sensibile e attento alle molteplici e differenti sfumature della realtà.
Questa ‘Poesia per pendolari’, un libro ma anche una scelta di vita, sarà presentata il prossimo venerdì 26 giugno alle ore 18.00 nel cortile di Palazzo Nicotera a Lamezia Terme. L’evento, che s’inserisce in qualità di prima tappa nel programma del #tourpendolare, è stato organizzato grazie all’intensa collaborazione col Sistema Bibliotecario Lametino, con il il patrocinio del Comune di Lamezia Terme.
Nel presentare la propria opera, che tra l’altro proprio in questi giorni ha ottenuto una menzione speciale dalla giuria del concorso nazionale ‘Francesco Graziano’, il giovane poeta lametino proporrà ai suoi ospiti un proprio monologo dal titolo ‘Norveggia’. “Fin da quando è nata l’idea del libro ho immaginato di non presentare mai Poesia per pendolari nella forma classica di presentazione. Questo per vari motivi. Il primo è senza dubbio quello ideologico: la poesia non va spiegata, o narrata. Nella mia visione, e ovviamente nel mio piccolo, privo di chissà quali ambizioni, è più giusto che la poesia, nascendo come fatto intimo, venga subito ‘messa in mostra’ e provi a reggersi in piedi da sola, per perseguire l’obiettivo di toccare qualche corda all’interno di qualcuno. Un secondo motivo è invece formale: in un’estenuante ricerca di autenticità, che è stata anche la causa di numerosi dubbi circa revisioni, stili e altro, e ammettendo che per sua “natura” l’ars poetica è sempre un artificio, ecco che la soluzione migliore per discutere riguardo il libro diventa quella di un monologo. ‘Norveggia’ è un semplice monologo di circa venti minuti, attraverso il quale, grazie anche al dialetto, racconto come e perché è nato Poesia per pendolari. In ‘Norveggia’ il protagonista è un giovane contadino, soddisfatto forse solo in apparenza o forse con grossi rimpianti. Il più grande è quello di non esser mai riuscito ad andare in Norvegia, paese che fin dall’infanzia lo ha colpito in maniera forte. Ricordando i tempi dell’università, si concentra soprattutto sui quotidiani viaggi da pendolare, che nel corso di cinque anni lo trasformano insieme alla sua percezione, in un processo graduale che culmina nella “riscoperta” dei luoghi e dei paesaggi visti dal finestrino dell’autobus e soprattutto nel quasi meccanico bisogno di scrivere… scrivere poesie. L’euforia diventa così grande da sentirsi quasi, per davvero, in Norvegia. Ecco che ‘a Norveggia’ diviene il simbolo della volontà di percezione, di osservazione del circostante, o forse anche – più semplicemente – della meraviglia che è possibile trovare anche nelle piccole cose”, ha affermato D’Agostino.
Questa tappa del singolare tour sarà inoltre caratterizzata dall’installazione del progetto fotografico di Aldo Tomaino, programma concettualmente affine e profondamente legato al #tourpendolarDSC_7720 copiae. “Appena affidatomi il compito di accompagnare il libro con delle fotografie, ho subito pensato di impostare il lavoro su un progetto seriale (per dare ulteriore forza all’intero “viaggio”) che raccogliesse fotografie raffiguranti i paesaggi mirati e ammirati quotidianamente da Domenico, e che lo hanno ispirato. Così è stato: ho ripercorso più volte varie tratte, universitarie e non solo, con treni e autobus… con la voglia di impersonarmi in un pendolare e cercando di racchiudere tutto dentro/dietro un finestrino… a volte sporco o bagnato. Con l’intento anche di raccontare, far riflettere, porre l’attenzione sulle ‘cose’, della natura e non solo, che passano sotto i nostri occhi, in un autobus che va veloce e quasi non ci permette di osservare con la dovuta attenzione. Nel pieno spirito della poetica del pendolare di Domenico, che è una poetica d’osservazione istantanea, come – a volte – in una fotografia”, ha dichiarato con entusiastica convinzione l’artista.
Il #tourpendolare di D’Agostino sarà inoltre accompagnato del sottofondo musicale di Giorgio Caporale. “Quando suono in duo… quello che adoro è trasmettere tra di noi una serie di pulsazioni sonore indipendentemente da quello che si suona, che nella maggior parte dei casi si tratta di totale improvvisazione sensazioni del momento. Il mio stile è sempre stato un miscuglio di fattori diversi; jazz, blues, rock, country, sperimentale. Passo molto tempo a studiare musica nella ricerca. Mi interessa molto capire da dove provengono le cose e seguirle all’indietro”, sonos tate le parole del munisicista.
La prima tappa del #tourpendolare sarà inoltre momento di intensa tensione poetica grazie al fatto che non si parlerà solo dell’opera in oggetto quanto anche di espressioni artistiche affini, tant’è che verrà illustrata una versione completamente inedita le poesie illustrate da Simona Ponzù Donato.

 

L’evento è curato dal collettivo Manifest. del quale D’Agostino è membro. I blogger offriranno un rinfresco al termine della manifestazione

‘Di donne e altre onde’. Un libro che si fa leggere, tra amore e dipendenza

Era già accaduto. All’incirca due mesi fa, in un freddo e soleggiato pomeriggio lametino, una giovane scrittrice aveva incantato i suoi lettori mantenendo quel patto non scritto denso di responsabilità e ok-4-cover-225x300aspettative di cui sempre si carica il rapporto tra chi un’opera l’ha generata e chi l’ha accolta. L’opera era un intenso romanzo uscito per i tipi della Talos Editrice, piccola e giovane realtà editoriale del cosentino. Dal suggestivo titolo ‘Di donne e altre onde’, il libro di Roberta Lagoteta, che ne è anche editrice, è tornato a far parlare di sé a Lamezia Terme, dove si è nuovamente aperto ai suoi lettori proprio in occasione degli eventi organizzati per il Maggio dei Libri. La sala affrescata di Palazzo Nicotera si è trasformata nello scenario d’eccellenza per la messa in scena di un’opera giovane, forte e dalla costruzione solida quanto ricercata.
Condotto dalla professoressa Luciamaria Mercuri, docente di Filosofia e Storia, il dibattito coi lettori si è avvalso della presenza di Giuseppe Gigliotti, presidente dell’associazione culturale Italia Nostra, impegnato nella tutela e promozione dei Beni Culturali sul territorio, e dell’editore Osvaldo Tartaro.

 

L’occasione è stata quindi propizia a un confronto attivo e partecipe, permettendo a quanti hanno avuto modo di assaporare il frutto della ricca narrazione della Lagoteta di ripercorrerne insieme all’autrice i temi, individuandone particolarità, sciogliendone i nodi e scandagliando quelle giacenze che un romanzo del genere si trascina inevitabilmente dietro.
Di ritorno dal XXVIII Salone del Libro di Torino e da un tour di presentazioni itineranti che 11263730_10205696349040053_1502978557_n(1)    l’hanno vista protagonista in diversi circuiti culturali della penisola, Roberta Lagoteta ha scoperto nel libro, più precisamente nel suo libro, una bomba sganciata. “Me ne rendo conto ad ogni presentazione, con una consapevolezza che cresce di volta in volta. I riscontri sono sempre più pregnanti e intensi che mi fanno riflettere su aspetti del libro che magari non avevo considerato o erano rimasti a livello inconscio. Ogni presentazione ha a11263730_10205696349040053_1502978557_nvuto la sua particolare bellezza. Ne ho fatte un paio a Roma e ad Acilia, in contesti molto particolari: uno era un vecchio palazzo dell’Inps occupato da ragazzi che hanno dato vita a un circolo culturale, poi presso un altro circolo letterario e infine in un più classico caffè letterario. Ho presentato al Caffè San Marco di Trieste, il caffè frequentato da Claudio Magris11272018_10205696349560066_417847793_n, e infine al Salone nel libro di Torino dove mi sono sentita per un attimo al centro del mondo letterario! È stato entusiasmante, però non emozionante. Rimango provinciale, nel senso che mi emoziona molto più presentare il mio libro davanti alle persone che mi hanno accompagnato nei miei percorsi vitali. È la prova d’aver lasciato qualcosa. Anche il fatto di presentare con una mia professoressa delle superiori che, prima della presentazione, vedevo affaccendata con i segnalibro! Tanto affaccendata! È stato un momento pieno di tenerezza”.
Album di vicende comuni che s’incastrano tra loro, ‘Di donne e altre onde’ è una storia sorretta da un perpetuato rapporto di dipendenza, se non addirittura di co-dipendenza e non solo da cibo o da droghe, quanto anche dalla propria immagine e dai rapporti interpersonali. Le protagoniste, tutte donne più o meno giovani, più o meno disilluse, più o meno vittime e più o meno vittoriose, non sono delle sconfitte o delle vinte, bensì persone che hanno optato per una scelta ponderata: quella di stare ai margini in una sorta di continua condizione da borderline. Nel romanzo la Lagoteta parla quindi di una dipendenza che ha caratterizzato in maniera pregnante la gioventù degli anni Novanta. Si è trattato, a suo dire, non solo di un fenomeno legato “a sostanze psicotrope e alcol, cibo o sesso, ma anche di dipendenze sentimentali e affettive spesso intergenerazionali11350256_10205696349440063_1669101724_n. Parlo, in sostanza, di ragazzi degli anni Novanta che non sono autonomi e dipendono dalle cure genitoriali, di genitori che a loro volta dipendono da quelle dei figli. È una generazione poco autonoma perché probabilmente poco libera. Una generazione che è quella delle boy band, dei centri commerciali e del boom consumistico. Sono stata quasi catapultata nella dimensione della dipendenza anche in seguito a una discussione che ebbi qualche anno fa con un mio amico disabile. Mi fece riflettere su quanto per lui fosse legittimo e positivo dipendere da qualcuno. In sostanza, ho capito che non vi è nulla di negativo in determinate dipendenze. Mi sono quindi interrogata su quanto una persona che fosse dipendente da droghe o cibo potesse concepire la propria dipendenza più o meno lecita. Da qui è nata anche un’idea di dipendenza come attaccamento alla vita”.
L’autrice, raccogliendo a margine dell’incontro il plauso dei lettori che hanno testimoniato un vivo apprezzamento per il suo meticoloso lavoro di scrittura quale un mezzo espressivo di un’interiorità complessa e ancora da esplorare, si è 11355493_10205696349160056_201151927_npoi soffermata su un concetto rilevante emerso nel corso del dialogo-confronto con la professoressa Mercuri, ossia la questione della scelte di lettura. Come scegliere un libro? Quale consiglio una scrittrice, che è anche editrice, sente di poter dare ai lettori, soprattutto a quelli in erba? Roberta Lagoteta non ha esitato a tirar fuori dal cilindro magico la sua personale ricetta, quella che ha sperimentato su di sé e che auspica possa attecchire anche nei giovani lettori. Incentivata alla lettura fin dalla prima infanzia, la scrittrice si è detta per fortunata, anche perché convinta che l’approccio alla lettura non “debba avvenire per costrizione. È necessario invece stimolare la curiosità a partire dai primi anni di vita. Quella curiosità che poi porterà il ragazzo a entrare in libreria o in biblioteca a scegliere per sé un titolo che sente suo. Non ci sono libri giusti, forse i classici, ma non sempre si è pronti. Tutto è molto soggettivo. È questo il bello della libreria! È infatti l’unico negozio in cui non si trovano le commesse che ti vengono incontro per sapere come possono ‘esserti utili’!”.
E se la lettura è acqua che rigenera, questo romanzo (da leggere e rilegge, come ha consigliato l’editore Tartaro) concorre certamente ad alimentarne la sorgente.

Daniela Lucia

Tra donne e onde, Roberta Lagoteta presenta il suo romanzo sotto il cielo lametino

LAMEZIA TERME – Capita di rado la fortuna di trovare, nel ok 1marasma dei giovani autori, delle opere che si possano considerare mature a prescindere dall’età anagrafica di colui che le ha generate. Succede infatti (e accade spesso in un Paese in cui tutti scrivono e pochissimi leggono) di imbattersi in lavori superficiali, malamente o poco curati, immessi nel mercato in base a mere aspirazioni autoreferenziali, privi dunque di un qualsiasi obiettivo e mancanti di quel fondamentale patto con il lettore che dev’essere inscritto in ciascuna opera ok2letteraria che possa fregiarsi di un simile titolo. Capita di rado, dicevo, eppure quando capita non rimane che accogliere l’evento a braccia aperte e con mente elastica, cercando di far propri tutti quei piccoli impegni che pagina dopo pagina l’autore ha assunto su di sé. Questo è proprio ciò che è accaduto con la lettura di un romanzo uscito di recente per i tipi della Talos Editrice, piccola e giovane realtà editoriale del cosentino. L’opera, dal titolo evocativo ‘Di donne e altre onde’ scritta dall’autrice nonché co-editrice Roberta Lagoteta, è stata presentata ieri pomeriggio, 11 aprile, su corso Numistrano a Lamezia Terme, città della scrittrice. L’evento, particolare nel suo ok 3genere in quanto è stato concepito all’aperto in un soleggiato ma fresco pomeriggio di una primavera ancora timida, si è arricchito del contributo di Giuseppe Gigliotti, presidente di ‘Italia Nostra’, associazione attiva nella valorizzazione del patrimonio culturale del territorio, e dell’editore Osvaldo Tartaro, che ha incalzato con quesiti indagatori le scelte e le dinamiche per le quali l’autrice ha optato nel lavoro di scrittura.
Prima di entrare nel vivo della discussione e di soffermarci sui punti messi in evidenza dalla Lagoteta, che ha anche letto alcuni brani della sua opera, risulta quanto mai opportuno capire di cosa ok 4 coverstiamo parlando, mettendo in evidenza le ragioni che rendono questo godibile romanzo un lavoro ben fatto. Se intendiamo lo scrittore alla stregua di un artigiano delle parole e del pensiero, dopo la lettura di ‘Di donne a altre onde‘ possiamo considerare di alta qualità la bottega presso la quale Roberta Lagoteta si diletta nei suoi ‘traffici’ di scrittura. Il romanzo si presenta infatti come una carrellata di ‘stanze’ descritte in maniera ricercata e raffinata, avvalendosi di una narrazione fluida che riesce a tenere alta la soglia di attenzione dall’inizio alla fine, senza mai cadere in banalità e ‘giochi’ troppo semplici o addirittura scontati. “Per quanto riguarda lo stile, apprezzo le molte sfumature della lingua italiana e le possibilità che riesce a offrire. Tra queste uno stile anche barocco che a volte viene criticato e considerato un difetto, ma che io considero una possibilità se rivisitato in chiave moderna. Poi uno stile che può definirsi impressionista se vogliamo fare un paragone con le arti figurative. Perché va a richiamare delle sensazioni olfattive, tattili, visive. Mi piace molto questo impatto sensoriale con il lettore”, ha chiarito la Lagoteta.
La storia è una vicenda abbastanza comune, o si potrebbe ben dire che si è al cospetto di album di vicende comuni che si intersecano le ok 5une con le altre, in un continuo rapporto di dipendenza. O di co-dipendenza, come la stessa autrice ha sottolineato più volte. Le donne sono onde, echi tumultuosi che plasmano la terra lasciandosi trasportare dal vento possente. Le protagoniste sono donne che ‘costruiscono’ la propria vita, magari sbagliando, ma sostenendosi ciascuna con le proprie forze. “Viene descritta una generazione che è un po’ la mia, quelli che erano adolescenti negli anni Novanta. Non è fatta di sconfitti, bensì di vittime. Ma sono anche persone che hanno scelto di vivere ai margini perché non condividevano i modi di pensare imperanti in quel periodo. Poi le problematiche sono anche frutto di un’epoca, perciò una sorta di dipendenza affettiva che non è soltanto una caratteristica della fascia giovanile. È una co-dipendenza. Anche gli adulti rischiano di essere dipendenti dai comportamenti giovanili, quindi non riescono a essere dei punti di riferimento. Alcuni di questi giovani dicono ‘ci avete tolto il futuro’, ma in realtà ci hanno tolto il presente perché non riusciamo a essere gli adulti che dovremmo essere”.
Introducendo la conversazione con l’autrice, Giuseppe Gigliotti ha messo le carte in tavola fin da subito: il libro è un’opera forte. 102_0372Denota la volontà di non dimenticare ciò che è accaduto” e genera altresì la bulimica ricerca della fine, alla stregua di una lettura senza scampo dove in “ogni pagina si trova la spinta per arrivare alla successiva. La spinta per fare luce. Tutto questo rappresenta la vita nelle diverse accezioni. Vi sono pagine crude. L’autrice si spoglia con un linguaggio determinato. È il linguaggio della vita, di chi patisce torti enormi. Tant’è che è proprio questo che ci dice, ci ammonisce di non dimenticare i torti per evitare di ripeterli. La dipendenza appare non come rinuncia, bensì come percorso di vita che conduce a uno sconvolgimento. Il libro è forte, ma di una tenerezza estrema”.
Ritornando sulla propria esperienza di autrice, la Lagoteta ha spiegato di individuare nella scrittura uno strumento espressivo immediato, il cui stimolo non può che essere la lettura. E la scrittura non deve essere vuota, ma è investita di un compito. “La scrittura ci permette di modificare la realtà. Lo scrittore è uno chef che sceglie i suoi ingredienti. Un romanzo deve assolvere a un compito che è quello di suscitare emozioni legate ai sensi”.
L’incontro su corso Numistrano si è altresì rivelato come proficua occasione per illustrare le dinamiche e gli obiettivi editoriali che una giovane realtà come la Talos si è prefissa. Il parere dell’editore Osvaldo Tartaro è che sia necessario recuperare la figura dell’editore come mediatore del circuito culturale e come “amplificatore di voci”.
L’editore ha poi sottolineato che la presentazione del volume proseguirà lungo il cammino della ‘Primavera dei libri Talos102_0374con appuntamenti a Trieste il 5 maggio presso il Caffè San Marco e a Roma il 21 maggio presso lo Spin Time Labs. Ma l’evento culmine sarà l’incontro coi lettori al Padiglione 1 del Salone del Libro a Torino il 17 maggio.
L’evento di ieri si è concluso con un proposta lanciata da Giuseppe Gigliotti ai lametini di metter su un caffè letterario dal quale e tramite il quale far partire nuove idee e un più maturo impegno culturale per la città della Piana.
Daniela Lucia

 

 

 

 

Carmine Abate porta a New York la sua vita ‘per addizione’

In un periodo di globalizzazione culturale c’è chi ha fatto della 10428707_966735636679338_7289542583581455035_npropria esistenza una vita ‘per addizione’, una costante condivisione della propria multiculturalità. Carmine Abate, scrittore calabrese di origine arbëreshë, trapiantato in Trentino ed emigrato in gioventù in Germania, è una delle massime espressioni di questa vita da sradicati che si portano dietro la propria radice per trapiantarla in altri terreni, acquisendo nuovi nutrimenti non in sostituzione dei precedenti, ma quasi a completarli.

 

Lasciata la natia Carfizzi, in provincia di Crotone, alla volta di Bari e poi proseguendo per Amburgo, in terra teutonica, il nostro scrittore, premio Campiello nel 2012 per l’ancestrale romanzo ‘La collina del vento’, è tornato agli onori della cronaca letterindexaria con il suo ultimo lavoro, una più approfondita revisione di un’opera già pubblicata anni addietro: ‘La festa del ritorno’. E proprio con il nuovo lavoro sottobraccio, Abate ha rifatto i bagagli per affrontare un altro viaggio, questa volta attraversando l’oceano fino ad approdare in America dove, dal primo aprile scorso, ha avuto inizio il tour con l’incontro di tre classi di studenti del Mount Holyoke College South Hadley, l’istituto formativo che accolse la poetessa Emily Dickinson.

 

All’indomani della Pasqu21983_969621823057386_5361353093589730059_na, lo scrittore è giunto a New York, dove nel tardo pomeriggio di oggi 7 aprile terrà una conferenza al Calandra Italian American Institute con Amara Lakhous, scrittore algerino ‘cittadino della lingua italiana’, e Michael Reynolds, agente ed editore americano di entrambi gli autori.

 

Partire per tornare sui propri passi, partire perché si ha ‘una pistola puntata alla tempia’, per necessità, per fame, per desiderio di riscatto: questi saranno i temi intorno ai quali lo scrittore calabrese si soffermerà, mostrandosi nelle vesti del cittadino ‘global’ che acquisisce senza mai perdere nulla dal proprio bagaglio esistenziale.

 

Nel romanzo breve, aggiornato e ripubblicato lo scorso Natale, Abate si sofferma sulla partenza quale anello 11149555_969622059724029_8931653326585262487_ndi congiunzione di un rapporto difficile tra padre e figlio, una relazione costellata da incomprensioni, tra punti d’incontro e momenti di distacco, uniti insieme da quell’affetto quasi embrionale tanto profondo quanto sfuggente. Eppure la partenza è sempre ritorno, in un modo o in un altro. Si ritorna sui propri passi, su quella terra arsa e inaridita che è la Calabria senza lavoro per i propri figli, senza spazi, piena di rupi e di sterpaglie, di rughe e di sofferenze. Una terra vergine dalla quale per troppo tempo è stato difficile ma necessario fuggire.

 

Con uno stile veloce e meticoloso, dal tratto deciso, Carmine Abate rapisce il lettore alternando le voci dei protagonisti, mostrando i rispettivi punti di vista, i desideri, le frustrazioni e le gioie di due uomini che hanno costruito la propria storia ‘addizionando’ i terreni nei quali hanno messo radice. Prima il padre, poi il figlio, hanno entrambi percorso il cammino che li ha portati alla partenza agognando costantemente il momento del ritorno. Con quest’ultimo lavoro, lo scrittore si mostra ancora una volta come un porto sicuro nel quale s’incrociano esperienze e racconti, dal quale partono speranze e aspirazioni e dove finalmente si si approda in cerca della propria casa, ovunque essa sia.

 

Il futuro, per un bambino, è una parola. Io volevo stare accanto a mio padre ogni giorno della vita presente. Sempre”.

 

Daniela Lucia

Fiorisce una nuova Pasqua: leggendo ‘Resurrezione’ di Tolstoj

Per quanto gli uomini, raccogliendosi su un breve spazio in parecchie centinaia di migliaia, si sforzassero di snaturare quel indextratto di terra su cui s’accalcavano; per quanto avessero ricacciato sotto le pietre la terra, affinché nulla ci crescesse sopra, e rinettassero qualsiasi erba ne spuntasse fuori, e affumicassero tutto di carbone e di petrolio, e mozzassero gli alberi, e allontanassero tutte le bestie e gli uccelli, la primavera era primavera anche in città”. Con queste parole Lev N. Tolstoj apre i battenti di ‘Resurrezione’, un breve quanto intenso romanzo in cui i protatolstojgonisti Dimitrij e Katjuša, Nechljudov e la Maslova, si alternano danzando un valzer esistenziale attraverso le stagioni, nel mezzo dei peccati e dei timori, rasentando il fondo della perdizione per poi risalire verso la luce della salvezza, verso una nuova Pasqua che rimane fino alla fine una lunga, quasi eterna, promessa.
L’arrivo della primavera, dunque, che caparbia e tenace spunta fuori facendosi largo tra gli aridi tentativi messi in atto dall’uomo per assopirla, coincide con un nuovo incontro e con la rinascita dei due protagonisti.
Nell’amore fra uomo e donna c’è sempre un momento, in cui il loro amore arriva allo zenit; un momento in cui non v’è in esso nulla di consapevole, di riflessivo, e non v’è nulla di sensuale. Quella notte della Pasqua di Resurrezione era stata appunto, per Nechljudov, un momento simile”. Una notte sacra, quella della Resurrezione, una notte in cui lo splendore della pace rivela ogni suo mistero e s’innalza glorioso. Una notte in cui il peccato si allontana e le vesti linde dei cuori si presentano alla fonte fee8500249battesimale come la prima volta in cui da essa furono accolte. Una notte, quella notte, in cui l’inverno rigido della costrizione cede il passo al sole cocente di una nuova stagione, più mite, meno oppressiva. Eppure lì, nel passaggio, si nasconde la chiave di lettura di un’intera esistenza. Ma questo il giovane Nechljudov non poteva saperlo. Tant’è che tutto già si scrisse quella notte, alla fioca luce dei ceri accesi.
Tuttavia una notte passa in fretta, vola come la passione e si distoglie come uno sguardo fugace, lasciandosi però dietro un’ombra capace di trasformare in infamia e vergogna quello che un tempo non troppo lontano era stato un sentimento quasi sacro. Cosa accade quando ci si abbassa alle gesta meschine degli uomini comuni? Quando la vergogna e il timore di sbagliare vengono sopraffatti dalla convinzione che bisogna “fare ciò che tutti fanno”? Accade che la purezza e il calore, poco prima accarezzati, si sgretolino tra le mani, alla stregua della natura sopraffatta dalla prepotenza del petrolio e del carbone e tutto ciò che era intonso si frantuma, perdendosi in attesa di una nuova Resurrezione. Succede così che due anime smarrite a causa degli inganni sociali, di quelle convenzioni che hanno tentato invano di opprimere la natura, si ritrovino. Tolstoj attinge a piene mani dalla propria esistenza, da ciò che ha vissuto e al quale ha assistito, per regalare ai suoi lettori una Pasqua che ha tutto il sapore del ritorno della vita, dell’innocenza, di quel sacrificio ispirato non dall’egoismo, bensì dall’amore. Il breve romanzo è una profonda ammonizione contro quei piaceri e quei desideri primordiali che distolgono dal cammino di Resurrezione che ciascun uomo è chiamato ad affrontare fin dal momento in cui per la prima volta vide la luce. La vicenda dei due protagonisti, inconsapevolmente legati a doppio filo l’uno all’altra, si inserisce in una galleria di caratteri e sfumature dove il peggior male dell’umanità è individuato nella burocrazia, un apparato pesante, incapace e privo di competenze, oltreché sordo ai bisogni degli innocenti. La grettezza delle opinioni, il continuo ‘lavarsi le mani’ innanzi alla sofferenza altrui, si scontra con la maturazione di Dimitrij e con l’insorgere di una nuova speranza in Katjuša.
Gli uomini sono come i fiumi: l’acqua è in tutti una sola, e dappertutto è la stessa; ma ciascun fiume può essere ora stretto e rapido, ora largo e tranquillo, ora puro e freddo, ora torbido e tiepido. Così anche gli uomini. Ciascuno reca in sé i germi di tutte le tendenze umane, e a volte ne manifesta alcune, a volte altre, e spesso avviene che agisca come fosse tutt’altro da quello che è, pur restando sempre se stesso”. Se questi sono gli uomini, una possibilità è riconosciuta a ciascuno di essi: l’occasione di sbrigliarsi dalle catene che nulla hanno a che vedere con ceecbd9508l’autenticità dei sentimenti. Poco male se alla fine dei giochi saremo davanti a strade che si separano, perché in realtà quella che ha tutti i numeri per esser considerata una divisione si rivelerà invece il legame inscindibile di un amore che si è trasformato in nuova vita, in libertà riscoperta… In una nuova Pasqua. “Da quella notte, ebbe inizio per Nechljudov una vita del tutto nuova, non tanto perché egli affrontasse nuove condizioni di vita, quanto perché tutto ciò che gli accadde da allora in poi, veniva ad assumere ai suoi occhi un significato del tutto diverso da prima. In che modo andrà a finire questo nuovo periodo della sua vita, lo dimostrerà l’avvenire”.
Buona lettura e Buona Pasqua!
Daniela Lucia

 

 

 

 

 

 

 

“Chelsea & James”, opera prima di Giuseppe Cozzo

“Chelsea & James” è l’opera prima di un giovane scrittore in erba, BookCoverPreview copia 2Giuseppe Cozzo, studente universitario calabrese.

Il romanzo, ambientato negli Stati Uniti, segue il percorso esistenziale di due ragazzi intenti a perseguire il proprio personale senso di giustizia, nel costante tentativo di lasciarsi dietro le spalle i condizionamenti di un passato evidentemente ingombrante.

L’autore mette in discussione le regole della moralità, tracciando il cammino di fuga dal dolore legato al territorio di appartenenza. Nel corso del romanzo, i due protagonisti scopriranno che allontanarsi da un luogo è possibile, ma prendere le distanze dalle proprie vite è un obiettivo che può essere raggiunto solo compiendo sacrifici non sempre facili da sostenere.

L’opera, come sostiene la nota di presentazione, “contiene elementi di azione, avventura e thriller. Gli argomenti affrontati sono la relatività della morale, la soggettività del concetto di giustizia, l’incapacità di accettare il proprio destino e il desiderio di provare a riscriverlo”.

Il romanzo è disponibile in esclusiva su Amazon, sia in formato cartaceo che in versione digitale.

Difendersi dalle banche. Arriva la ‘guida’ di Giovanni Iban

In quest anni ostili dal punto di vista economico, il nemico pubblico numero uno è la Banca, ossia quell’insieme di interessi e di profitti, di ostacoli e di nodi burocratici che tarpano le ali all’italiano medio.

Il credit crunch ci attanaglia, è quasi più facile riuscire a vincere al lotto che ottenere un prestito anche di esigua entità. L’accesso al soldi-euro-id9901credito sta divenendo quasi un miraggio. Come difendersi? Quale strada percorrere per venirne fuori? Per liberarsi una volta per tutte dal giogo degli istituti bancari? Una possibile ‘mappa’ alla quale fare riverimento per trovare la via meno complicata è quella illustrata da Giovanni Iban, pseudonimo di un valido dirigente di una banca nazionale che ha messo nero su bianco una sorta di guida pratica per non soccombere sotto il peso dei nodi finanziari.

41wJ3EmaiyLDifendersi dalle banche. Vademecum per risparmiatori e investitori è il titolo dell’atteso volume che uscirà per i tipi della Falco editore il prossimo 26 marzo.

Lo scenario delineato da Iban nella guida è quello attuale di una zona euro caratterizzata da un’evidente debolezza economica e da una criticità finanziaria mai vissuta prima, forse paragonabile alla crisi del 1929. Questo contesto, che è andato deteriorandosi a partire dal fallimento di colossi finanziari come la Lehman Brothers, è sfociato in un peggioramento della già complicata relazione tra la banca e il cliente, il cui rapporto è stato minato anche da una crescente mancanza di liquidità mondiale. Le conseguenze sono state devastanti e ancora oggi possiamo toccarle con mano: si chiamano credit crunch, accesso complicato ai mutui e rubinetti chiusi per qualsiasi genere di finanziamento.

Se la situazione è questa (o forse anche peggio), allora la guida di Iban si presenta davvero come un salvagente che può aiutare il risparmiatore o l’investitore a non colare a picco, illustrando le dinamiche del sistema bancario e  finanziario ed elargendo cosigli utili per districarsi in questo settore per certi versi effimero.

 

Daniela Lucia

 

Violenza sulle donne. A Cosenza se ne parla con un libro

imagesLo scorso sei marzo, a ridosso della Giornata internazionale delle donne, si è svolta a Cosenza presso la sede dell’editore Falco la presentazione di un volume toccante e profondo dal titolo Maschere di vetro e polvere, della scrittrice catanzarese Jesa Aroma.
L’opera si è focalizzata sulla drammaticità della violenza domestica, consumata tra quelle mura rassicuranti che la famiglia dovrebbe erigere intorno alle proprie donne e che invece, com’è accaduto nel caso di Gioia, la protagonista vessata dal marito Riccardo, risultano effimere, inesistenti. Un libro che parla di violenza, dunque, ma che lascia una finestra aperta al riscatto, alla fuga dalla solitudine imposta. La Aroma ha proposto ai suoi lettori un’indagine interiore di una donna trasformata in oggetto, in proprietà assoluta di un marito spietato. ‘Maschere di vetro e polvere’ si presenta dunque come il percorso introspettivo di una moglie prigioniera. “È un libro che è maturato lentamente dentro di indexme. Non è il tentativo di dare una spiegazione ai fenomeni di violenza, è il racconto di una storia che diventa essa stessa ricettacolo di tante vicende di cronaca che ho letto nel corso degli anni”, ha spiegato l’autrice.
L’evento dello scorso venerdì è stato il primo della rassegna di Aperitivi letterari programmata dalla casa editrice Falco. “Inauguriamo questo format di eventi all’interno della nostra casa e lo facciamo omaggiando ciò che di più prezioso esiste a questo mondo: la donna. E proprio a partire dal libro di Jesa Aroma, che denuncia in più punti le carenze umane e legislative in tema di violenza di genere, prendiamo posizione contro tutte le forme di abuso: specialmente quelle verso i più deboli, compiute dai vigliacchi”, con queste parole ha fatto il punto lo stesso editore, Michele Falco.
Dal tema scottante della violenza tra le mura domestiche e dei soprusi nascosti tra le tende familiari ne è scaturito un forte dibattito che ha coinvolto i convenuti e ha toccato le corde più estreme dell’universo femminile. Il confronto tra l’autrice, l’editore e il giornalista Carlo Minervini è stato accompagnato dalle calde melodie di Januaria che con la sua chitarra ha riempito la serata, proponendo altresì musiche e parole scritte anch’esse dall’autrice Jesa Aroma.

 

Daniela Lucia

Verso una storia della sordità: “Diamo un segno” di Donata Chiricò

E poi ci sono quelle donne e quegli uomini che vivono di segni. Che comunicano attraverso di essi. Che ‘sentono’ i segni e con i segni comunicano. Ci sono donne e uomini che hanno una lingua tutta indexloro, una lingua parallela che è, appunto, la lingua dei segni. Di queste donne e di questi uomini Donata Chiricò, docente di etica della comunicazione presso l’Unical, ha tentato di delineare una storia con il suo ultimo volume “Diamo un segno. Per una storia della sordità” edito da Carocci.
Un libro fondamentale per rintracciare a ritroso la storia dei segni e di chi con questi segni ha agito e continua ad agire, pur avendo vissuto ere di discriminazione e oscurità. O, per meglio dire, di lunghi silenzi.
L’opera, nei giorni scorsi, è stata oggetto di un interessante dibattito nella Capitale moderato da Valentina Valentini, al quale oltre all’autrice hanno preso parte anche Stefano Gensini, docente di filosofia del linguaggio presso “La Sapienza”, Maria Tagarelli De Monte, co-coordinatrice del Dipartimento ricerca e progettazione Istituto Statale Sordi, nonché dottoranda in linguistica presso “Roma Tre”, Dario Pasquarella, regista teatrale, e Dalila D’Amico, dottoranda in musica e spettacolo.
Abbiamo parlato di una lingua parallela che è differente da quella che ‘parliamo’ e ‘sentiamo’. È una lingua ‘segnata’, fatta di gesti, di segni che assumono l’accezione di significante così come per i ‘non sordi’ lo sono le parole. Dunque, segni come parole, come forme grafiche di una lingua viva, con una grammatica, una sintassi, ben precise regole, dei significati… Una lingua, appunto. Una lingua che si ‘parla’ e che si ‘ascolta’, ma che per i ‘non sordi’ è straniera.
I sordi o, per intenderci, i ‘nativi segnanti’, imparano questa lingua tramite un’altra lingua, quella delle parole proferite, che non appartiene alla loro natura.
Nel nostro Paese ‘la lingua italiana dei segni’ non è stata ufficialmente riconosciuta, il Parlamento deve ancora approvare una legge ad hoc e in attesa di quel momento Donata Chiricò ci racconta in che modo e seguendo quale processo il sordo ha smesso di esser considerato paziente ed è diventato finalmente individuo.

L’autrice quindi ricostruisce una storia della sordità come patologia del linguaggio.

 

 

Daniela Lucia