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Cosenza, avverte un malore e muore in auto. Poco prima aveva ricevuto la seconda dose di vaccino

COSENZA – Avverte un malore e muore un auto. E’ ancora avvolta nel mistero la tragica morte di un uomo di 66 anni nel pomeriggio di ieri a Cosenza. L’uomo era uscito di casa dicendo ai familiari di andare a comprare un pacchetto di sigarette, senza farvi più ritorno. Durante il tragitto l’uomo ha avvertito un malore e si è accasciato all’interno della propria auto, una Fiat PuntoAd accorgersi del corpo alcuni passanti della zona i quali hanno tempestivamente allertato i soccorsi. Il fatto è accaduto su via Popilia. Ieri mattina – secondo quanto si apprende – Antonio Perseu, questo il nome della vittima, avrebbe ricevuto la seconda dose del vaccino anti-Covid e nel pomeriggio aveva riferito di avere mal di stomaco. Non è chiaro al momento quale siero sia stato somministrato, né il centro vaccinale in cui l’uomo si sia recato. Sul posto il personale sanitario del 118, gli agenti della polizia municipale di Cosenza e il medico legale per gli accertamenti e le verifiche del caso. Si attende nelle prossime ore la decisione del magistrato.

Corrompono funzionari in Costa d’Avorio per estrarre oro, 3 arresti

REGGIO CALABRIA – Alla ricerca dell’oro corrompendo i funzionari della Costa d’Avorio. Protagonisti tre soggetti calabresi arrestati dalla Polizia di Bovalino e della Squadra mobile di Reggio Calabria, con l’accusa di corruzione internazionale nei confronti di funzionari ivoriani e trasferimento fraudolento di valori.

Dall’inchiesta, denominata “Tutto il mondo è paese” avviata nel 2020 è emerso che gli indagati – S.C., D.M. e P.G. – avevano costituito nel 2017 due società di diritto ivoriano, una per il commercio e l’estrazione di prodotti minerari e petroliferi e l’altra di import-export, utilizzata secondo l’accusa, per finanziare la prima, in cui il socio occulto sarebbe stato S.C..

L’autorizzazione all’estrazione non poteva essere rilasciata

Secondo le indagini, tramite la prima società gli indagati chiedevano al competente ufficio ivoriano l’autorizzazione per la ricerca e l’estrazione semi-industriale di oro su terreni in un Parco nazionale e che, per tale motivo, non poteva essere rilasciata. Per ottenerlo gli indagati avrebbero corrotto funzionari della Repubblica della Costa D’Avorio.

Secondo l’accusa, infatti, in tempi diversi e con il concorso di soggetti ivoriani, avrebbero corrotto prima il direttore regionale delle Miniere e della Geologia di Yamoussoukro e poi il competente direttore dell’Ufficio ivoriano dei Parchi e delle Riserve di Yamoussoukro con tangenti, rispettivamente, di sette milioni di franchi CFA (pari a circa 10.600 euro) e di un milione di franchi CFA (pari a circa 1.500 euro). Sono emersi anche indizi in ordine al reato di trasferimento fraudolento di valori, avendo riscontrato che le due società ivoriane a fronte della formale intestazione, avevano quale socio occulto e amministratore al pari degli altri soci italiani ora indagati, S.C., soggetto ritenuto contiguo alla cosca di ‘ndrangheta dei Marando di Platì, già sottoposto alla misura di prevenzione personale della Sorveglianza speciale e di confisca di prevenzione di numerosi beni.

 

 

Tragedia funivia, la Procura: “freni manomessi”. Tre persone fermate

STRESA (VB) – Svolta nella notte sul caso della tragedia di Stresa-Mottarone, avvenuta domenica scorsa e dove ha perso la vita una 27enne di Diamante insieme al suo ragazzo e ad altre 12 persone. Tre persone sono state sottoposte a fermo disposto dal procuratore della Repubblica di Verbania, Olimpia Bossi. Si tratta di Luigi Nerini, 56enne di Baveno (Verbania) proprietario della società che gestisce l’impianto, la Ferrovie Mottarone srl, del direttore dell’esercizio Enrico Perocchio e il capo servizio Gabriele Tadini. I tre sono stati condotti nel carcere di Verbania.

Un gesto materialmente consapevole” ha detto il procuratore Bossi, al termine degli interrogatori, spiegando che sulla cabina precipitata è stata messa la ‘forchetta‘, ovvero il dispositivo che consente di disattivare il freno, e non è stata rimossa. Le accuse sono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime.

La confessione

Le tre persone fermate nella notte per l’incidente alla funivia del Mottarone hanno ammesso quanto accaduto e a dirlo è il comandante provinciale dei carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani. “Il freno non è stato attivato volontariamente? Sì, sì, lo hanno ammesso“, dice l’ufficiale. “C’erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema, o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la ‘forchetta’, che impedisce al freno d’emergenza di entrare in funzione”. “Non è stato facile – ha dichiarato il comandante Cicognani – ma abbiamo cercato di ricostruire nel miglior modo possibile, nel modo più scrupoloso tutto quello che è accaduto e ciò che ha portato alla tragica fine delle vittime”.

Gli accertamenti

Gli inquirenti hanno accertato che “la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso” ha spiegato il procuratore di Verbania, secondo cui il ‘forchettone’, ovvero il divaricatore che tiene distanti le ganasce dei freni che dovrebbero bloccare il cavo portante in caso di rottura del cavo trainane, non è stato rimosso per “evitare disservizi e blocchi della funivia. Il sistema presentava delle anomalie e avrebbe necessitato un intervento più radicale con un blocco se non prolungato consistente”. “Per ovviare a questo problema, gli operatori con il concorso e l’avvallo e l’assoluta consapevolezza del gestore e colui che era il responsabile dell’impianto, non è stato rimosso questo dispositivo. E, nel momento in cui il cavo si è spezzato, il sistema di emergenza non è potuto entrare in funzione”, ha ancora spiegato la Bossi.

I tre fermi sono “uno sviluppo consequenziale, molto grave e inquietante – ha spiegato il procuratore – agli accertamenti che abbiamo svolto. Nella convinzione che mai si sarebbe potuto verificare una rottura del cavo si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l’esito fatale”.

L’impianto “presentava anomalie”

La funivia del Mottarone era entrata in funzione da circa un mese, dopo lo stop a causa della pandemia, ed “era da più giorni che viaggiava in quel modo e aveva fatto diversi viaggi” precisa il procuratore di Verbania. Dalla ripresa del servizio l’impianto presentava delle “anomalie“. Problemi presenti “anche prima, quando la funivia veniva attivata solo per manutenzione o servizi che non comportavano il trasporto dei passeggeri”. Poi, quando le misure anti Covid sono state allentate e si è tornati alle attività normali, “questi incidenti si sono verificati con cadenza se non quotidiana comunque molto frequente. Erano stati richiesti ed effettuati interventi tecnici per rimediare ai disservizi, ma non erano stati risolutivi – sottolinea -. Così si è pensato di rimediare”.

La procura di Verbania si riserva “di valutare eventuali posizioni di altre persone“. Il procuratore Olimpia Bossi, che con la pm Laura Carrera coordina le indagini sul crollo della cabina, parla di “un quadro fortemente indiziario in ordine al quadro descritto” nei confronti dei fermati, ovvero le persone che avevano, “dal punto di vista giuridico ed economico, la possibilità di intervenire. Coloro che prendevano le decisioni”.

“Approfondiremo questa manomissione”

“Ora si tratta di approfondire – spiega ancora il procuratore – quanto accennato sui freni. Abbiamo bisogno dell’intervento dei tecnici”. “Domenica l’altra cabina non aveva il ‘forchettone’, ma verificheremo se l’apposizione era stata fatta anche su quella”, aggiunge a proposito del sistema utilizzato per evitare che la funivia si fermasse di continuo e che, secondo gli accertamenti della procura, ha causato la mancata attivazione dei freni.

Vaccini, Spirlì: «dati incoraggianti, abbiamo superato altre Regioni»

CATANZARO – «C’è ancora tanto, tantissimo da fare, ma gli ultimi dati sulla campagna vaccinale sono più che incoraggianti e confermano che, dopo un inizio certamente complicato, siamo riusciti a ingranare le marce alte e a somministrare ai calabresi circa 930mila dosi di siero, pari al 92,7% di quelle consegnate. E adesso, dopo essere stati ultimi in “classifica” per diverso tempo, il Report vaccini curato dal Governo ci dice che i nostri numeri, al momento, sono proporzionalmente migliori rispetto a quelli di Lazio, Valle D’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Friuli e Sardegna».

È quanto dichiara il presidente della Regione Calabria, Nino Spirlì.«Non è una gara tra regioni e siamo consapevoli – aggiunge – che i risultati sono il frutto di un lavoro quotidiano che non consente di abbassare la guardia; ma è anche giusto rendere merito a chi, in Calabria, da mesi si impegna per garantire la vaccinazione anti-Covid al maggior numero di cittadini possibile».

«Si tratta – conclude Spirlì – di una piccola ma grande vittoria della Regione, delle Aziende sanitarie e ospedaliere della Calabria, del commissario Longo, dell’Esercito, della Protezione civile, della Croce rossa, delle associazioni di volontariato, delle centinaia e centinaia di medici e operatori sanitari che, ogni santo giorno, danno l’anima per consentire alla nostra Calabria di uscire da questo tunnel e di ritornare al più presto alla normalità».

Arrestato il superboss Rocco Morabito, uno dei latitanti di ‘ndrangheta più pericolosi

SAN PAOLO – E’ stata posta la parola fine per la  la latitanza del superboss della ‘ndrangheta Rocco Morabito, arrestato in Brasile in un’operazione congiunta dei carabinieri del Ros e del Servizio di cooperazione internazionale di polizia, con la collaborazione di Dea, Fbi e dipartimento di giustizia statunitense. Morabito, ricercato dal 1994, era inserito nell’elenco dei 10 latitanti più pericolosi del Viminale. Il boss era già stato arrestato nel 2017 in Uruguay dopo 23 anni di latitanza ma due anni dopo era riuscito a fuggire dal carcere di Montevideo dove era in attesa di estradizione in Italia. Con Morabito è stato arrestato anche Vincenzo Pasquino, latitante originario di Torino, anche lui inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi. All’indagine che ha portato all’arresto dei due hanno collaborato anche il gruppo dei carabinieri di Locri e quelli del comando provinciale di Torino.

Chi è il boss Morabito

Il boss Rocco Morabito, esponente di spicco della cosca Morabito – Bruzzaniti – Palamara di Africo Nuovo, è destinatario di più sentenze di condanna, per reati associativi e in materia di traffico di stupefacenti e considerato il numero uno tra i broker che gestiscono il traffico di cocaina per i cartelli del Sudamerica. Dall’anno della sua evasione da un carcere dell’Uruguay, nel 2019, il Ros è stato sulle sue tracce senza mollare mai fino a oggi, quando la squadra di circa 20 uomini arrivata in Brasile per braccare il secondo ricercato più pericoloso dopo Matteo Messina Denaro, sono riusciti a far scattare la trappola e a catturare Morabito nella capitale San Paolo.

La fuga prima dell’estradizione

Morabito era riuscito a evadere insieme ad altri tre detenuti dalla terrazza del carcere “Central” di Montevideo, in Uruguay, forse grazie all’aiuto di membri dei Bellocco residenti tra Buenos Aires e Montevideo. Da allora, principale punto di riferimento dei cartelli del narcotraffico, il boss era diventato il numero due tra i latitanti più ricercati, secondo solo al capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. I tre fuggitivi che accompagnavano Morabito nell’evasione a Montevideo erano stati catturati nei giorni successivi mentre del boss si erano perse le tracce fino ad oggi. Nell’inchiesta sulla fuga sono stati arrestati successivamente anche dei presunti fiancheggiatori di nazionalità russa, che avrebbero favorito l’uscita di Morabito dall’Uruguay. Il boss, condannato in contumacia dalla magistratura italiana a 30 anni di carcere per traffico di droga, era in attesa di essere trasferito dopo che la giustizia locale aveva concesso l’estradizione nel mese di marzo del 2019. L’uomo, 53 anni, era stato arrestato nel settembre del 2017 in un hotel di Montevideo dopo 23 anni di latitanza. Si celava dietro la falsa identità di un imprenditore brasiliano di 49 anni, di nome Francisco Cappelletto. La giustizia uruguaiana tuttora indaga sulle eventuali complicità interne che hanno favorito la rocambolesca fuga attraverso la terrazza del carcere e da lì ad un appartamento al quinto piano di un edificio adiacente. I fuggitivi avevano potuto contare su circa sette ore di tempo per dileguarsi prima che le autorità si accorgessero della loro assenza dal carcere.

 

Tragedia Mottarone, indaga la Procura. Tra le vittime una 27enne di Diamante

STRESA (VB) – Sono morte 14 persone ieri intorno alle 13, nello schianto della funivia tra Stresa e il Mottarone. La funivia aveva terminato la sua corsa, mancavano pochi metri all’arrivo. Sarà la Procura di Verbania ora a tentare di far luce su quanto accaduto ieri, la caduta della linea Stresa-Mottarone

Tra le vittime due bambini mentre l’unico superstite ha cinque anni ed è in condizioni gravissime. Cinque famiglie devastate dall’incidente di Stresa: tre residenti in Lombardia, una in Emilia Romagna e una in Calabria, Serena Cosentino originaria di Diamante in provincia di Cosenza.

La dinamica dell’incidente

La cabina era quasi in vetta. Quando il cavo si spezza e la cabina cade, tenendo in trappola le 15 persone, scivolando giù per poi fermarsi tra gli alberi. A lanciare l’allarme un uomo che aspettava l’attracco della funivia sopra al Mottarone e che l’ha vista precipitare a poche decine di metri dall’arrivo. A bordo c’erano quindici persone e tra queste anche Serena, 27 anni, di Diamante.

Chi era Serena Cosentino

Si era laureata con 110 e lode e da marzo dopo un’esperienza a Londra, lavorava in una sede del Cnr a Verbania Serena Cosentino. La ragazza era andata via da Diamante per studiare a Roma e per iniziare poi finalmente a lavorare. Nella cittadina calabrese viveva anche il fidanzato, Shahaisavandi Mohammandrez, 23 anni, di origine iraniana. Anche lui si era trasferito a Roma da dove l’aveva raggiunta per trascorrere con lei la domenica finita in tragedia.

Serena era conosciuta per la sua inclinazione per gli studi e a Diamante vive la sua famiglia: il padre, tecnico antennista, la madre, due sorelle gemelle più grandi di lei che esercitano la professione di nutrizioniste e coltivano la passione per la pallavolo, e poi il fratello più piccolo. Per un periodo la famiglia aveva avuto in gestione un bar, dove sia Serena sia il fidanzato avevano lavorato. Il sindaco Ernesto Magorno, appresa la notizia, si è messo in contatto con il prefetto. La municipalità intende onorare i suoi concittadini e si prepara ad accoglierne le salme. Secondo quanto si apprende, la famiglia del ragazzo vive in Iran.

La Procura indaga

“L’intera area è stata posta sotto sequestro e nomineremo dei tecnici per accertare le cause dell’incidente” ha detto il procuratore Olimpia Bossi all’Agi. “Per ora procediamo per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, poi dobbiamo verificare anche la fattispecie dei reati colposi di attentato alla sicurezza dei trasporti, anche in base alla natura pubblica o meno dell’impianto”. Bisognerà anche stabilire se il cavo si sia rotto o sganciato: “Non è un accertamento che può essere fatto nell’immediatezza sarà necessario fare verifiche di carattere tecnico”.

VIDEO – Rende, le fiamme devastano Calabria Maceri: in cenere cumuli di rifiuti

RENDE (CS) – Dalle ore 00.10 circa squadre dei vigili del fuoco del comando di Cosenza sede centrale e distaccamento di Rende con supporto di n. 2 autobotti ed autoscala sono impegnate nel comune di Rende in c.da Lecco per incendio di un capannone di circa 2400mq adibito allo stoccaggio e trattamento di rifiuti solidi urbani. L’incendio ha interessato cumuli di rifiuti di vario genere situati all’interno della struttura in cemento armato nonchè attrezzature e macchinari. Le fiamme hanno coinvolto altresì numerose balle di plastica e carta situate nel piazzale adiacente.

Alle ore 06.30 l’incendio era circoscritto e sotto controllo ma ancora in atto. Le unità vigilfuoco stanno procedendo, con ausilio di pale meccaniche allo smassamento dei rufiuti ed allo spegnimento di numerosi focolai. La grossa colonna di fumo originata dalla combustione ha reso necessario l’intervento del nucleo NBCR del comando di Catanzaro per rilevamenti ambientali. Da questa mattina sul posto personale Arpacal.
Non risultano danni a persone. Sul posto Carabinieri per gli adempimenti di competenza.

Accuse a Gratteri, chiesta conferma di trasferimento per Lupacchini “toni denigratori”

ROMA – Un’intervista fu galeotta. Così l’ex Pg di Catanzaro Otello Lupacchini è finito a processo disciplinare per le pubbliche critiche, secondo l’accusa denigratorie, al procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, all’indomani di “Rinascita Scott”, l’operazione contro la ‘ndrangheta che aveva portato a 350 arresti.

“I nomi degli arrestati e le ragioni degli arresti – aveva detto Lupacchini a Tgcom 24- li abbiamo conosciuti soltanto a seguito della pubblicazione sulla stampa che evidentemente è molto più importante della procura generale contattare e informare. Al di là di quelle che sono poi, invece, le attività della procura generale, che quindi può rispondere soltanto sulla base di ciò che normalmente accade e cioè l’evanescenza come ombra lunatica di molte operazioni della procura distrettuale di Catanzaro stessa”.

 Secondo il rappresentante dell’accusa, il sostituto Pg Marco Dall’Olio, Lupacchini va condannato perché in quell’intervista- che gli è già costata un anno fa il trasferimento alla procura generale di Torino come semplice sostituto, provvedimento adottato in via cautelare – ha usato “un tono irridente e denigratorio” nei confronti di Gratteri ma anche degli uffici giudicanti del distretto di Catanzaro, su cui come Pg aveva all’epoca compiti di vigilanza, “senza la conoscenza degli atti” e prima che si pronunciasse su quei provvedimenti il tribunale della libertà.

Lupacchini, l’accusa “petizione a sostegno di Facciolla”

Per le stesse ragioni Dall’Olio ha chiesto di condannare Lupacchini anche per aver postato sul suo profilo Facebook una petizione a sostegno di un magistrato del distretto, il procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla, che era stato trasferito d’ufficio dal Csm a seguito di un’indagine della procura di Salerno. Secondo il rappresentante dell’accusa postare quella petizione, che conteneva espressioni “denigratorie” per il Csm, aveva il significato un’adesione. Un fatto censurabile visto il ruolo che ricopriva di capo degli organi requirenti del distretto di Catanzaro. La prossima udienza è fissata al 14 giugno, la parola passerà al difensore di Lupacchini, l’avvocato Ivano Lai, e allo stesso magistrato, che ha già letto in aula una dichiarazione: “voglio precisare e ribadire che il mio agire è sempre stato ispirato al superiore interesse della giustizia da conseguire al prezzo del più rigoroso rispetto della legge”.

Brutale pestaggio per motivi economici, arrestato agente immobiliare

VIBO VALENTIA – Un agente immobiliare 45enne è stato posto agli arresti domiciliari dai carabinieri della Stazione di Vibo Valentia Marina per atti persecutori e lesioni personali dopo un violento pestaggio ai danni di 50enne. Le indagini, coordinate dal pm della Procura di Vibo Valentia Maria Cecilia Rebecchi e seguite personalmente dal procuratore Camillo Falvo, sono iniziate a seguito di un video risalente al marzo scorso, di cui i carabinieri sono venuti in possesso, nel quale si vede il pestaggio avvenuto nelle vicinanze del porto.

 

Nelle immagini si vede l’aggressore scaraventare a terra la vittima colpendolo poi con calci e con uno sfollagente di cui era armato. All’episodio hanno assistito alcuni passanti tra i quali una donna incinta, che, riferiscono gli investigatori, in preda al panico e alla paura, finirà per compromettere inevitabilmente la gravidanza gemellare.

Il pestaggio per una controversia economica

Le indagini dei carabinieri hanno permesso di ricostruire una serie di episodi persecutori posti in essere dal 45enne, scatenati da una banale controversia economica, riconducibile alla compravendita di un immobile intercorsa tra l’aggressore e una parente della vittima. Nel tempo, tra i due uomini c’erano già stati degli screzi, per il controverso possesso di una piccola imbarcazione da pesca prestata dalla parte offesa all’agente immobiliare e da questi mai più restituita con la minaccia di affondarla se le richieste fossero state ancora più pressanti. Con le immagini di videosorveglianza di un negozio è anche stato ricostruito un inseguimento a bordo di auto tra le vie cittadine, con il tentativo di tamponare il veicolo della vittima. Grazie anche alle dichiarazioni dei testimoni ed alla denuncia della vittima, nonostante le ripetute intimidazioni subite, la Procura ha quindi chiesto al Gip, ottenendola, un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti dell’aggressore eseguita dai carabinieri.

 

“Amici in Comune”, il prefetto di Cosenza sospende il sindaco Antonio Praticò

PRAIA A MARE (CS) – Il prefetto di Cosenza Cinzia Guercio ha comunicato ufficialmente la sospensione dalla carica di sindaco di Praia a Mare di Antonio Praticò dopo la misura cautelare degli arresti domiciliari eseguita a suo carico lo scorso 13 maggio nell’ambito dell’operazione denominata “Amici in Comune”. Il provvedimento è stato trasferito al segretario di Praia a Mare per la notifica in Consiglio Comunale.

‘Amici in Comune’: le misure cautelari

Al centro dell’inchiesta una decina di gare d’appalto e l’assunzione di un lavoratore finite nel mirino della Guardia di finanza. Oltre al sindaco è stato assegnato ai domiciliari anche un dirigente dell’ufficio Tecnico. Tra le misure anche la sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio per 12 mesi nei confronti di un altro dirigente dell’ufficio amministrativo del medesimo Comune e la misura interdittiva del divieto temporaneo a contrarre con la pubblica amministrazione per 12 mesi nei confronti di 8 imprenditori, tra cui un ex sindaco di Tortora Pasquale Lamboglia, non nella sua funzione pubblica. I reati contestati a vario titolo sono turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, rivelazione di segreto d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico.