Uno stipo distrutto e una misera valigia per andare in cerca della felicità

Maria Marino e Maurizio Stammati. Foto di Angelo Maggio.

Cosenza – Teatro Morelli ultimo atto, ultimo venerdì del More in compagnia del Centro R.A.T. e dello spettacolo “Lo Stipo” ispirato al racconto “Piedi nudi” di Corrado Alvaro; uno spettacolo drammatico, intimo, struggente rielaborato da Dora Ricca e diretto da Antonello Antonante.

Luci spente, sipario chiuso, silenzio in sala interrotto da un forte boato, rumori assordanti, fastidiosi e poi mobili che si schiantano a terra rompendosi in mille pezzi, silenzio e poi di nuovo boati, frastuono e confusione; è il terremoto, sì il terremoto inarrestabile, distruttivo e divoratore, i suoni utilizzati per raffigurarlo si trasformano immediatamente in immagini visive, la suggestione prende il sopravvento e lo stesso spettatore inizia a sentirsi parte integrante del disastro naturale, si sente quasi la terra sotto i piedi tremare, franare, sfaldarsi. Si apre il sipario e tutt’intorno sono solo macerie; dell’umile dimora nessuna traccia, solo calcinacci sparsi per la strada, mobili distrutti e il lavoro di una vita spazzato via come foglie al vento.

È con questa angosciosa immagine che, ieri sera, Maria Marino e Maurizio Stammati hanno portato in scena il dramma di un marito troppo bonario e di una moglie ormai disperata, una donna rassegnata non solo alla sua condizione sociale ma anche all’incapacità di crescere e accudire i suoi sei figli affidati a quella “nonna malata, con i reumatismi” che di loro riesce però a prendersi ancora cura. Due personaggi umili, semplici accompagnati quotidianamente dalla povertà ormai amica fedele, sorella gemella, amante portatrice di lacrime e sangue.

Una casa distrutta, due cuori infranti, calpestati, bistrattati, insanguinati dall’indifferenza altrui, dal disinteresse di chi, nel paese, ha sempre vissuto in maniera agiata, di chi sta bene e non si volta mai a guardare chi sta peggio, di chi ha un futuro e non si preoccupa di chi vive alla giornata, di chi ha denaro e non si cura di chi invece arranca senza meta, senza sosta, senza scarpe e con i piedi insanguinati e martoriati dalle piaghe.

Un terremoto distruttivo, una casa che un momento prima c’era e un momento dopo non c’è più e uno stipo diventato tutt’uno con le macerie e i ciottoli; senza più dimora, senza più tazzine, teiere e servizi buoni simbolo di una vita comune all’insegna del sacrificio e della rinuncia, senza più identità ma sicuramente senza più nulla da perdere. Un uomo e una donna da sempre legati e innamorati, intorno a loro l’oblio della solitudine e dell’indifferenza, una valigia in mano in cui rinchiudere quel poco che resta e un immenso desiderio di andare via, partire dal paese e dirigersi in città alla ricerca della serenità e della felicità da tempo perdute.

La volontà di salire su un treno che li porti via da tutta quell’amara indifferenza, un treno della speranza su cui non saliranno mai perché nessuno fa sconti a chi denaro non ha; un viaggio verso la città vagando di stazione in stazione a cavallo di se stessi, delle proprie gambe, dei propri piedi tramortiti e cosparsi di ecchimosi.

Annabella Muraca

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