La “Cavalleria rusticana” ha aperto la 25ª edizione del Festival delle Serre

CERISANO (CS) – Poche cose della realtà sensibile sono capaci di stillare magia come la musica lirica: certamente, nessun’altra umana espressione assume più magiche fattezze della lirica nell’attimo in cui essa trova un congruo proscenio ove effondere il suo soffio, che va ad accarezzare l’anima, che giunge a coccolare il cuore, che arriva a ritemprare la mente; il tutto, poi, si trasfigura in un’esperienza unica se il trasporto onirico del genere lirico va a espandersi in una degna ribalta ove, come le tessere d’oro e colori di un ideale mosaico siculo – bizantino, splendente, però, di poesia e melodia, s’incastonano il talento, la virtù, l’impegno degli interpreti unitamente all’attesa, alla meraviglia, alla soddisfazione che negli astanti l’Opera e la sua esecuzione riescono a suscitare, in un crescendo catartico che travolge tutto e tutti e che vola verso il firmamento d’una fresca sera di fine estate, aspergendo senso di libertà, gioia per la bellezza, ammirazione verso la genialità con cui l’essere umano, nella sua caduca imperfezione, riesce a rendere perfetti alcuni momenti, seppure rari e fugaci, della nostra vicenda esistenziale. Ecco, la rappresentazione di Cavalleria Rusticana, che ieri sera, a Cerisano, ha trionfalmente dato avvio alla XXV edizione del Festival delle Serre, ha costituito uno di questi momenti, per la naturale vivacità della musica, per le fasi di calma apparente alternate a sequenze d’irrefrenabile e sempre crescente tensione, per la forza del dramma, delle passioni connotanti l’Opera più nota di Pietro Mascagni, per la capacità degli interpreti di esaltare la coinvolgente spontaneità con cui il compositore livornese seppe accompagnare musicalmente l’intreccio di sentimenti, la complessità psicologica, l’incalzare della gelosia, i propositi di vendetta, il reflusso dei rimorsi che vanno a incarnarsi nei personaggi presenti nel libretto di Giovanni Targioni – Tozzetti e di Guido Menasci, tratto dall’omonima novella di colui che è da considerarsi il maestro del Verismo letterario, ovvero Giovanni Verga. Una natura verista che, in Cavalleria, si coglie fin dal principio, nella serenata dialettale, la famosa “Siciliana”, che Turiddu dedica a Lola, e attraverso cui l’autore ha inteso caratterizzare immediatamente l’ambientazione dell’Opera, quella della Sicilia rurale di un tempo, quella popolata dagli ultimi, dai vinti, venata da inquietudine e calore, tanto nell’amore quanto nell’odio, tanto nei rapporti quanto nell’onore, tanto nella festa quanto nella violenza, in un insieme di note e parole, ove le personalità dei protagonisti hanno indole cangiante, ove risulta arduo definire in maniera dicotomica il bene e il male, il torto e la ragione; tra Lola e Santuzza, tra Alfio e Turiddu, in mamma Lucia e nei popolani che attraversano la piazza di Vizzini illuminata dalla mattina di Pasqua, si crea un’atmosfera carica d’emotività che Mascagni rende greve e realistica, arrivando a contagiare lo spettatore, il quale segue col fiato sospeso la storia, percorrendo con questi personaggi, talmente spontanei da apparire a tratti veri nella loro essenza antieroica, la china verso la tragedia, in un itinerario doloroso e sublime punteggiato da arie celebri, cori, preghiere, stornelli, duetti, come quello centrale di Santuzza e Turiddu, brindisi; un itinerario nel corso del quale gli archi propiziano l’incontro con quel gioiello assoluto che è l’Intermezzo sinfonico, un’oasi di sospiri e serenità, prima  che il destino imbocchi la strada verso la disfida fatale. Un itinerario di musica e tormento, che il cortile del Pozzo di Palazzo Sersale, ove s’è svolta la rappresentazione dell’Opera, preceduta da un’intensa ouverture teatrale, a cui hanno partecipato anche figuranti del luogo, ha splendidamente incorniciato, con la sua architettura essenziale, con la sua rustica ma elegante conformazione teatrale, ove gli spazi, le scale, i camminamenti a cielo aperto, secoli fa deputati allo svago, al passeggio e alla riflessione del duca di Cerisano, sono diventate la piazza e le vie di Vizzini popolate da gente umile, a cui hanno donato voce e presenza il bravissimo Turiddu interpretato da Francesco Panni, la straordinaria, intensa e a tratti struggente Santuzza proposta da Maria Grazia De Luca, lo strepitoso, energico e vivido Alfio espresso da Carmine Monaco D’Ambrosia, la coinvolgente e convincente Lola offerta al pubblico da Lucia Lattari, la toccante Mamma Lucia, impersonata da Lucia Motola, e i pittoreschi popolani del coro Bitonto Opera Festival, accompagnati dall’Orchestra Cerisano Opera Festival, diretta egregiamente e appassionatamente dal Maestro Francesco Zingariello, il quale, insieme alla regista Anna Aiello, autrice, tra l’altro, del già citato monologo introduttivo, ad altri collaboratori e con la vicinanza dell’amministrazione comunale di Cerisano, è riuscito a mettere in scena una produzione d’altissimo livello, che ha posto nella giusta dimensione le caratteristiche di un’Opera grandiosa. Ovvia, al termine, l’ovazione che il pubblico affollante l’antica residenza dei Signori di Cerisano ha tributato agli artisti e a tutti coloro i quali hanno permesso di toccare con il tatto dell’interiorità la bellezza dei percorsi umani e valoriali dipinti da un capolavoro che continua e continuerà a carpire interesse, attenzione, partecipazione di chi palpita per l’Amore e l’Odio che lo segnano, di chi sogna durante l’Intermezzo, di chi trasale allorché un urlo annuncia che “hanno ammazzato compare Turiddu”, commuovendosi e portando per sempre nel cuore quelle figure, quelle vicende, quel sentire carnale e impetuoso che, forse, è nascosto in ognuno di noi.

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