Roberto Cacciapaglia

Roberto Cacciapaglia in arrivo a Cosenza: «Il mio Quarto Tempo è…»

COSENZA – L’accento è quello tipico milanese ma Roberto Cacciapaglia – il pianista di fama mondiale che il 14 giugno sarà ospite di “Exit. Deviazioni in arte e musica” – tiene a sottolineare che «mamma e papà sono rispettivamente di Sicilia e Puglia» e che a Cosenza non vede l’ora di suonare perché «la Calabria è la terra del mito di Orfeo, il personaggio leggendario che incanta le creature del bosco col suono della sua lira, entra in vibrazione con la natura arpeggiando melodie impercettibili all’udito umano e, con la musica, abbatte persino le mura di Gerico».

Ed è proprio in vista dell’arrivo del maestro al Castello Normanno Svevo per “Exit”- la seconda edizione della rassegna culturale che garantisce una via di fuga dalla quotidianità e guarda il mondo secondo un altro ritmo – che lo abbiamo intervistato.

Giovedì 14 giugno giungerà nella Città dei Bruzi per una delle sole due tappe al Sud Italia del suo tour internazionale che ha un titolo assai particolare. Perché “Quarto Tempo”?

La questione è celebrativa. “Quarto Tempo” è il disco che ho realizzato circa un decennio fa, a Londra, insieme alla Royal Philarmonic Orchestra e che oggi ho riproposto in maniera più intimistica. Non c’è più accompagnamento ma piano solo. A prescindere, comunque, dalla ricorrenza, il titolo del tour ha ragioni più profonde. Credo che aldilà dei tempi canonici – passato, presente e futuro – la musica serva ad immortalare l’istante, viva una dimensione tutta nostra, che ci appartiene ma, nell’epoca attuale in cui guardiamo al mondo in maniera superficiale, frequentiamo poco. Ecco esiste il tempo della musica ed è quello che scava nella profondità delle cose.

Se parliamo di tempo viene spontaneo chiedersi quando Roberto Cacciapaglia si avvicina al pianoforte per la prima volta. Quand’è che ha inizio questo sodalizio?

A soli 4 anni. Grazie all’amore per la musica di mia madre. Devo ammettere però che fino agli undici il pianoforte per me rappresentava un supplizio. Suonavo vicino alla finestra e ricordo che con la coda dell’occhio guardavo i miei coetanei giocare e divertirsi all’aria aperta, non c’è bisogno che dica dove avrei preferito trovarmi in quei momenti (ride).

E poi?

Le cose sono cambiate successivamente, con l’avvento del rock, con i Beatles, con la musica che, insomma, ha travolto un’intera generazione. Ci sentivamo uniti e attraverso le note musicali provavamo gioia. È allora che ho capito che suonare significa condividere e che il pianoforte, in particolare, è come un leone in mezzo alla foresta. Mi spiego: col piano puoi comporre qualsiasi melodia.

Ha appena detto di essere figlio di una generazione rock. Come coniuga questo “legame di sangue” alla sua musica, propriamente classica?

A me piace sperimentare. E i tempi ce lo permettono.

È un eterno ritorno, la questione del tempo.

Certo. Qualche anno fa, probabilmente molto più di qualche anno fa, ci muovevamo in una dimensione in cui lo scorrere del tempo era centrale. Le audiocassette, i giradischi, senza contare il nastro in sala di registrazione che andava avanti e indietro. Oggi il tempo è fermo e a cambiare è lo spazio, il suono è tutto sulla memoria di un computer. Mi piace pensare che un musicista sia come un pittore: ha a disposizione un’intera tavolozza di colori e può mischiarli come meglio crede. È meraviglioso che nella musica non ci siano gerarchie, dai suoni primordiali all’elettronica c’è un immenso serbatoio da cogliere e da far interagire.

Il tempo, quindi, anche ai concerti si ferma e fotografa l’istante. A proposito, com’è partecipare a un suo concerto?

Si comunica, ai miei concerti la musica è come un’autostrada energetica o un ponte che permette di comunicare l’uno con l’altro e prima di tutto con se stessi. Non c’è differenza tra Mosca, Londra, Istanbul o Los Angeles e questo accade grazie alla potenza del suono che è irraggiungibile, non ci dà indicazioni, non ci obbliga e rievoca a ciascuno qualcosa di diverso. I concerti sono qualcosa di intimissimo e rituale al contempo.

È bella questa immagine della musica come ponte. Lo ha anche dimostrato ad Expo Milano 2015 con la colonna sonora dell’Albero della Vita.

Sì, per me la musica non ha bandiere. E’ il passaporto che ci serve per arrivare all’essenza, ne abbiamo fortemente bisogno oggigiorno.

Intanto, a breve arriverà a Cosenza. Quali sono, poi, le altre tappe del tour?

Ad ottobre sarò a Miami, New York, San Francisco e Los Angeles. Poi Bielorussia, Londra e Cina. Ora, sì, mi aspetta Cosenza. Non ci sono mai stato e desidero fortemente visitarla.

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