Leonida Repaci, poeta, pittore e letterato calabrese dall’animo ribelle e bellicoso. Ideatore di premi e vincitore di onorificenze.

Nato a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, il 5 aprile 1898, ultimo di dieci figli e presto orfano del padre, Leonida Repaci trascorse un’umile infanzia nella sua città fino al catastrofico sisma del 28 dicembre 1908 che devastò Messina, Reggio e le zone limitrofe. Il sisma distrusse anche l’abitazione della sua famiglia e Leonida fu allora mandato a Torino dal fratello Francesco, avvocato. Nel capoluogo piemontese il giovane Leonida poté proseguire per quattro anni gli studi interrotti ed iscriversi all’Università in giurisprudenza. Scoppiato il primo conflitto mondiale partì per il fronte divenendo ufficiale degli alpini. Per il coraggio e l’ardimento dimostrati sul Monte Grappa si conquistò una medaglia d’argento al valore militare. Entrato nei reparti d’assalto lanciafiamme a Malga Pez venne ferito. Nel dicembre 1918 con l’influenza “spagnola” perdette una giovane sorella e due fratelli, il primo capitano d’aviazione pluridecorato e il secondo importante esponente politico. Tornato a Palmi con la divisa di capitano, nel 1919 ripartì per Torino dove conseguì la laurea in Legge e l’anno seguente l’abilitazione alla professione che esercitò per un biennio. L’amore per la narrativa e la poesia lo portarono ancora ventenne a scrivere, trascurando così le discipline giuridiche. Repaci s’interessò contemporaneamente di politica e si iscrisse a Torino nel partito socialista partecipando al “Movimento Operaio” e collaborando ad “Ordine Nuovo” con Gramsci che in persona lo volle collaboratore e giornalista. Dopo la marcia su Roma si trasferisce a Milano e si schiera apertamente contro il regime fascista: nel 1924 è nella prima redazione de “L’Unità” dove tradusse il romanzo fantapolitico “Il tallone di ferro” di Jack London. Nell’agosto del 1925 Repaci viene arrestato a Palmi, durante la festa religiosa della Varia, insieme ad un gruppo di socialisti come presunto assassino di un personaggio fascista. Il processo servì al regime per scardinare la roccaforte rossa e abbattere uno degli scogli socialisti più forti in Calabria. Inaspettatamente Repaci venne assolto ma l’accaduto avvelenerà per sempre di diffidenze e sospetti i rapporti con i suoi concittadini essendo diffusa la voce riguardante influenze del partito fascista sulla sua assoluzione. I testimoni falsi di quel processo alla fine o confessarono o si suicidarono e Leonida venne assolto dopo sei mesi di carcere. In quello stesso anno, dopo aver portato in teatro il racconto “La madre incatenata”, inizia la prima parte de “La storia dei Rupe” che nel 1933 gli farà vincere il Premio Bagutta e, tra varie versioni, lo accompagnerà fino agli anni settanta. Nel 1927 perdette la madre. Nel 1929 inventa insieme a Carlo Salsa e Alberto Colantuoni il Premio Vareggio, di cui sarà presidente fino agli ultimi anni della sua vita. In tale circostanza conobbe e sposò pure Albertina Antonelli alla quale rimase fedele fino alla morte di lei avvenuta nel 1984. Il dopoguerra è per Repaci un periodo di infaticabile lavoro: collaborò alla “Gazzetta del popolo” e a “La Stampa”. Dopo il secondo conflitto mondiale divenne partigiano a Roma dove fondò con Renato Angiolillo “Il Tempo” dirigendolo per nove mesi prima di passare alla direzione del quotidiano “L’Epoca”, durato soltanto 14 mesi, inventa il Premio Fila delle Tre Arti e il Premio Sila e porta avanti con grande successo il Viareggio ancora oggi uno dei premi letterari più ambiti d’Italia. Organizzò infine con Mario Socrate e Franco Antonicelli il memorabile convegno Cultura e Resistenza, a Venezia. Nel 1948, dietro insistenza degli amici, Repaci decise di candidarsi senza venire eletto al Collegio Senatoriale di Palmi nella lista del Fronte Democratico Popolare. Nel 1950 fu membro del Consiglio mondiale della Pace. Nel 1956 vince il Premio Crotone con “Un riccone torna alla terra” e due anni dopo il Premio Villa San Giovanni con “La Storia dei fratelli Rupe”. A poco a poco si allontana dall’attività giornalistica per dedicarsi alla stesura definitiva della trilogia “Storia dei Rupe”, e il secondo volume, “Tra guerra e rivoluzione”, vince nel 1970 il Premio Sila. In quel periodo la sua naturale irrequietezza lo porta a darsi alla pittura con discreto successo sia di critica sia di pubblico, allestendo personali a Milano e a Roma. La morte lo coglie a Pietrasanta, Lucca, il 19 luglio 1985.

CURIOSITÀ

● L’opera di Repaci procede di pari passo con l’esperienza diretta della vita. Nel protagonista del romanzo di esordio “L’ultimo cireneo” (1923) c’è il ferimento sulla cima del Monte Grappa, nel libro “In fondo al pozzo” si narra dal carcere la triste vicenda del 1925 e ne “La Pietrosa racconta” (1984) si rievoca l’amata Albertina.

● La “Storia dei Rupe“, storia autobiografica che gli è valsa il Premio Bagutta e il Premio Villa S. Giovanni, comprende un intero ciclo: “I fratelli Rupe” (1932), “Potenza dei fratelli Rupe” (1934) e “Passione dei fratelli Rupe” (1937). A parte gli omnibus mondadoriani con i tre volumi, la “Storia dei Rupe” prosegue nel 1969 (“Principio di secolo” e “Tra guerra e rivoluzione“), nel 1971 (“Sotto la dittatura“) e nel 1973 (“La terra può finire“). Come si legge nella III edizione del 1933 che l’amico dott. Bruno Zappone riporta in “Uomini da ricordare” – Palmesi illustri – (AGE – 2000): I fratelli Rupe è un libro dove egli stesso (Repaci) esorta il lettore a non spaventarsi della mole dato che quello che non si vede è assai più grande, e con il quale si prefigge di “puntare l’obiettivo su una famiglia italiana numerosa e fattiva della media borghesia provinciale e condurla, per variar di casi e di personaggi, ad attraversare le esperienze sociali, spirituali, psicologiche di questi primi trent’anni del novecento ed esprimere il travaglio del tempo“.

● Tra la vasta lista di opere di Leonida Repaci si ricordano: “La carne inquieta” (1930), da cui è stato tratto l’omonimo film; “Un riccone torna alla terra” (1954), per il quale romanzo due anni dopo gli è stato conferito il prestigioso Premio Crotone; “Calabria grande e amara” (1964) una carrellata di eventi tra il 1939 e il 1963 e “Compagni di strada” (ritratti), del 1960.

● Nel 1959 Federico Fellini lo fa partecipare, nella parte di sé stesso, al film La dolce vita, insieme alla pittrice Anna Salvatore e all’attrice Laura Betti.

● Il 28 ottobre 1984 l’Amministrazione Comunale di Palmi gli ha intitolato ufficialmente la “Casa della Cultura”.

● Conclude l’articolo la definizione espressa da Antonio Altomonte – altro illustre conterraneo scomparso – nel ricordarlo: “Un combattivo, sempre disposto – come amava dichiarare – a schierarsi in prima linea e puntualmente riversava nel suo lavoro di scrittore le sue prese di posizione, il suo impegno civile, i suoi amori e le sue rabbie: con una partecipazione così accesa da far pensare che la sua pagina domandasse di essere giudicata non solo per la testimonianza che rendeva ma anche per la temperatura in cui la rendeva“.

 

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