L’Immacolata di chi lavora

COSENZA –  «Tempo di demolire, tempo di costruire», «tempo di guadagnare, tempo di perdere» è scritto in Qohèlet: un tempo per ogni cosa. Ma di questi tempi si aggira lo spettro – piuttosto consistente – della crisi, si allunga l’ombra della recessione, dilaga la sfiducia: è tempo di «crescere», ripetono come un mantra tecnici e politici. Non c’è tempo da perdere: bisogna rimboccarsi le maniche. Chi non ci sta è un fannullone, chi si lamenta denigra la buona fortuna di avere un lavoro. Eppure c’è una festa segnata in rosso: l’Immacolata. Sarebbe un tempo di rito, perdersi per ritrovarsi. Magari in famiglia. Parlarsi tanto per parlarsi, senza dirsi niente di importante. Fermarsi, fare il punto, stare al mondo. Ma sono lontani i tempi delle «otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire» (conquiste d’altri tempi perduti). Anche all’Immacolata si lavora. Più degli altri giorni. E non solo negli ospedali, nelle caserme dei vigili del fuoco o nelle stazioni dei carabinieri. Si lavora pure nei call center e nei negozi.

 

Sette dicembre

In fila al supermercato. La signora del banco dei salumi: «Lavoriamo anche domani». Un angolo della bocca si piega all’ingiù, lo sguardo si abbassa. La cliente risponde: «Non me ne parlare… quando arriva Natale, non vedo l’ora che questo mese passi». La signora ha un negozio di scarpe. Ricorda i tempi in cui «il lavoro era lavoro e la festa era festa». «Ma sì, erano gli anni ’90…» le fa eco l’altro addetto ai salumi.

 

Otto dicembre

In un centro commerciale. «Ma io dico: nessuno deve andare a cucinare?». La domanda la pone una signora in un bar. Davanti a lei sfilano donne, uomini, bambini, anziani. Chi vuole l’acqua, chi un caffè. Chi va di fretta, chi si siede. Nella sua voce un accenno di stizza. Come a dire: non se ne possono stare a casa? No, non se ne stanno a casa. Le commesse, intanto, sorridono. Anche se uno degli angoli della bocca tenta di opporre resistenza. Due uomini trasportano i carrelli della spesa lungo la scala mobile. Si parlano. Il corpo proteso in avanti tradisce la fretta. Di andarsene.

 

Rita Paonessa

 

 


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