Franca Sciolino, Segretaria Generale FP CGIL Cosenza

COSENZA – “Tra i problemi di questa Regione, possiamo dire che occupa un posto centrale il problema sanità, perché riguarda tutti i cittadini, e non solo i lavoratori del settore, e perché sappiamo bene quanto assorbe del bilancio regionale. Sappiamo tutti cosa hanno detto i signori che siedono dall’altra parte del Tavolo Massicci. Nel tentativo di sintetizzarlo al massimo, direi che la Calabria è stata promossa in una materia, ma rimandata in un’altra, anzi in molte altre.

I Calabresi hanno pagato quasi tutto il debito fino al 2007 e i funzionari hanno saputo documentarlo bene. Per questi motivi si potranno utilizzare 578 milioni di euro dai fondi FAS, quando saranno disponibili, ma bisognerà trovarne altri 110 per chiudere i conti fino al 2007. Sempre per quei motivi ci sono 411 milioni di risorse premiali del 2008, finora accantonate, da utilizzare per il pagamento dei fornitori, che in Calabria aspettano in media 950 giorni. Restano scoperti 200 milioni di euro, per il disavanzo al 2012, nonostante gli aumenti di IRAP e IRPEF. Di conseguenza queste due imposte sono confermate per l’anno in corso, e restano le più alte d’Italia, a dispetto delle avventate promesse fatte dal Presidente Scopelliti. Oltre a ciò, per il 2013 e il 2014 sono confermati il blocco del turn-over e il divieto di spese non obbligatorie.

Dunque il Tavolo certifica alla nostra Regione un disavanzo economico-finanziario; ma denuncia anche un vero e proprio disavanzo assistenziale, parlando esplicitamente di “un gravissimo ritardo riguardo agli interventi connessi all’erogazione delle prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza”. Un ritardo che – ricorda il Tavolo – potrebbe portare alla sostituzione del Commissario, come previsto esplicitamente dalla legge finanziaria per il 2010, e come chiediamo ormai a gran voce, insieme ad altre forze politiche e sociali. La vicenda delle ultime circolari emanate da Orlando e poi da Pezzi e D’Elia, in contraddizione tra loro ed (a loro dire) “apprese dalla stampa”, rendono sempre meno credibile uno staff che mostra capacità non commisurate al compito al quale è stato chiamato.

Infatti, dopo avere sottolineato la mancanza di collaborazione tra strutture regionali e commissariali, lo stesso Tavolo dice che nulla è mutato dall’ultima verifica del novembre 2012, riguardo alla riorganizzazione delle tre reti: ospedaliera, territoriale e dell’emergenza urgenza. In particolare, per l’emergenza, non ci sono stati interventi attuativi del crono programma, già presentato a suo tempo; per quella territoriale, manca un piano di potenziamento dell’assistenza domiciliare e residenziale, soprattutto nei settori dell’assistenza psichiatrica, dei soggetti disabili e degli anziani; manca pure un piano di riorganizzazione della rete dei laboratori. Inoltre viene fatto osservare che non sono affatto chiare le procedure di accreditamento e lo stato dei contratti sottoscritti con gli erogatori privati.

Il Tavolo, infine, resta in attesa dei chiarimenti richiesti a proposito dell’Università Magna Grecia, della Fondazione Campanella e del Protocollo d’intesa con l’Ospedale Bambino Gesù; chiede la revisione della rete hub e spoke dell’ASP di Cosenza, compreso l’accorpamento dei presidi di Castrovillari e Acri; resta in attesa della documentazione necessaria per applicare la deroga al blocco del turn-over; ribadisce  “l’esigenza di apportare le necessarie modifiche ed integrazioni alle Linee Guida sugli atti aziendali, in modo da potere permettere alle Aziende di redigere i rispettivi atti aziendali”.

Come si vede, il tempo passa, ma ad ogni appuntamento la Regione Calabria in tema di sanità è sempre più in ritardo, anche se si affanna a fare pubblicità ai pochi progressi che vengono riconosciuti nelle sedute di verifica. È comunque evidente che quei progressi non sono frutto di interventi strutturali, e quindi capaci di consolidarsi nel tempo, ma sono dovuti all’aumento occasionale e feroce della pressione fiscale. Altri motivi di risparmio, di cui non ci si può certo vantare, sono la perdita di 2.600 posti di lavoro nel comparto sanità, per il mancato turn-over dal 2009 al 2012, e la riduzione della spesa farmaceutica, forse perché sono sempre di più i farmaci pagati di tasca propria dai cittadini.

Pur apprezzando i rilievi puntuali che il Tavolo Massicci muove nei confronti della politica sanitaria di questa Regione, non possiamo prendere i suoi verbali a modello della nostra piattaforma rivendicativa. Non potremo mai condividere i principi ispiratori dei piani di rientro, come la riduzione del debito ad ogni costo ed in tempi molto stretti, ben sapendo che l’unico modo per pagare quel debito è la privazione di diritti fondamentali, come il diritto alla salute e alla cura, per larghe fasce di popolazione. A nulla vale che il Tavolo sia denominato “per la verifica degli adempimenti del piano di rientro e la verifica dei livelli essenziali di assistenza” se i vincoli di bilancio prevalgono sui principi costituzionali, quando gli obblighi derivanti da entrambi gli obbiettivi entrano in conflitto tra loro.

Fortunatamente si va facendo strada una nuova consapevolezza tra le Regioni, come ha rilevato il Rapporto 2013 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica: è la consapevolezza che alcune regole di gestione dei piani di rientro dal debito hanno bisogno di essere riviste, perché finiscono per alimentare eccessi di spesa e, dunque, compromettere lo stesso fine per cui vengono adottate. Fra tutte citiamo il blocco del turn-over, che costringe a procedure più costose delle assunzioni a tempo indeterminato per sopperire alla mancanza di personale, come le prestazioni aggiuntive del personale dipendente o l’acquisto di prestazioni professionali da privati. È di questi giorni la notizia che l’Italia rischia di andare davanti alla Corte di Giustizia europea per avere disatteso la norma che prevede una media di 48 ore settimanali ed 11 ore di riposo giornaliero obbligatorio. Ma come sarà possibile rispettare questa norma se non si rivede il blocco del turn-over e non si mette fine alla piaga del precariato?

Mentre si discute sui tempi e le modalità per limitare il blocco del turn-over, non si dovrebbe sprecare quello che già si può fare con le regole attuali, come sta facendo l’Azienda Ospedaliera di Cosenza. Questa ha chiesto di utilizzare la deroga del 15 % per individuare nuovi posti di primario, invece di riempire i vuoti paurosi di personale medico ed infermieristico nelle aree di emergenza e nei tanti reparti per acuti, in cui il personale è ormai stremato dai turni e dall’aumento del carico di lavoro, portato dalla chiusura degli ospedali. Questi sarebbero incarichi da assegnare con urgenza, per fare fronte ad esigenze reali per garantire i LEA, anche in assenza di atti aziendali validi, ma ancora una volta si sta sacrificando l’interesse comune ai tanti piccoli interessi particolari.

La Regione, dal canto suo, non ha bloccato questa operazione, anzi la approva e la sostiene, fino a mettere alla berlina perfino gli scontri interni ai suoi uffici, come dimostra la vicenda delle circolari Orlando e Pezzi-D’Elia. Cosa ancora più grave, la Regione non ha inviato ai Ministeri la documentazione necessaria per l’applicazione della deroga al blocco del turn-over, come richiesto fin dal dicembre 2012! A questo punto ci chiediamo: ma a che serve un Ufficio per il Piano di rientro, se dopo sei mesi non riesce a produrre la documentazione necessaria a ottenere qualcosa che serve alla Calabria come un sorso d’acqua per un assetato?

Negli ultimi mesi abbiamo contestato ampiamente, per vari motivi di merito, l’atto aziendale dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, ed anche la sua approvazione da parte della Regione, e le nostre osservazioni sono state inviate a tutti gli organi che possono esercitare un controllo: dalle sedi ministeriali a quelle regionali e perfino alla magistratura contabile. Oggi si aggiunge una nuova denuncia delle segreterie regionali di categoria, che chiedono la rimozione di tre direttori generali, tra cui il nostro, per avere prodotto perdite di esercizio, come prevedono le norme nazionali. Eppure assistiamo ancora al tentativo di assegnare incarichi che, dopo la revisione delle linee guida regionali e degli atti aziendali, potrebbero risultare privi della posizione corrispondente e scatenare nuovi contenziosi legali, con nuove spese a carico del Servizio Sanitario.

L’ASP di Cosenza, in tema di forzature sulla riorganizzazione aziendale e di sprechi, non è da meno: la riduzione dei Distretti da 15 a 6 , se non sarà confermata dalle future linee guida e dal nuovo atto aziendale, rischia di non essere quella operazione di risparmio di cui si vanta il Direttore Generale. Sono stati denunciati più volte sulla stampa, e nei nostri comunicati sindacali, gli sprechi vergognosi delle consulenze legali, remunerate con cifre da capogiro; le esternalizzazioni selvagge di automezzi e ambulanze, delle mense, perfino di CUP e ADI, che non hanno prodotto alcun risparmio né alcun miglioramento di qualità dei servizi; tutto questo mentre i lavoratori non percepiscono dal 2010 la produttività, perché l’azienda non ha attivato la contabilità analitica per centri di costo.

Il riordino della rete ospedaliera della nostra azienda, e quindi della nostra provincia che ha ben 733 mila 500 abitanti, prevede 200 posti letto in meno rispetto a quanto richiesto dal criterio del 2,5 per mille abitanti, richiamato negli stessi decreti regionali, e soprattutto soffre di una distribuzione asimmetrica, che penalizza in particolare alcuni territori. Le Case della salute, che avrebbero dovuto rimpiazzare la chiusura degli ospedali, offrendo assistenza di base e specialistica continuativa per 24 ore, sono ancora agli studi di fattibilità. Intanto si premiano i medici di famiglia, soprattutto alcune cordate, per garantire ai propri pazienti un servizio esteso alle 12 ore diurne, utilizzando fondi finalizzati alla continuità nelle 24 ore. Dopo la sospensione delle interruzioni di gravidanza presso l’ospedale di San Giovanni in Fiore, sono sempre di meno gli spazi dove è possibile chiedere il rispetto di una legge dello Stato; una legge che ha sempre ricevuto minori attenzioni e riguardi, da parte degli amministratori, di quanto ne abbia ricevuto quella legge che consente l’obiezione di coscienza, spesso travisata, al punto da indurre la Corte di Cassazione a condannare dei sanitari per omissione di atti d’ufficio. Intanto, nella città di Cosenza si chiudono i Consultori e si ricolloca il personale in altri comuni, facendo il deserto dal centro storico fino ai quartieri di San Vito e Via Popilia.

È venuta alla luce negli ultimi tempi, grazie anche all’impegno di alcuni consiglieri regionali, la vicenda delle strutture costruite con i fondi della legge per l’edilizia sanitaria del 1988. Si tratta di 21 edifici, quasi tutti ultimati ma in stato di abbandono, 11 dei quali potrebbero essere utilizzati subito, con qualche intervento di manutenzione. Pur nella situazione attuale di crisi e di carenza di finanziamenti, non possiamo accettare lo scandalo di questo patrimonio pubblico, costato almeno 15 milioni di euro, che va in rovina giorno per giorno. Apriremo un tavolo di confronto e faremo le nostre proposte, all’ASP e alla Regione, per utilizzare alcune di queste strutture come residenze per anziani e soluzioni abitative per i pazienti in carico ai Centri di Salute Mentale.

Sono 439 i lavoratori dell’ASP che ancora rischiano di perdere la stabilizzazione del loro rapporto di lavoro. Altrettanti sono quelli, sempre nell’ASP,  che non sanno se la otterranno mai. A questi si aggiungono i 110 operatori a cui l’amministrazione dell’A.O. ha trasformato il rapporto a tempo determinato. Per tutti loro, in tempi molto sospetti, è stata confezionata una legge regionale, che ora il governo ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale. Il sindacato ha denunciato fin dall’inizio questo rischio ed ancora oggi continuiamo a chiedere alla politica, se davvero c’è la volontà di trovare una soluzione, di sedersi ad un tavolo per costruire una proposta credibile e condivisa. Ai Direttori Generali chiediamo: se la Regione progetta una legge di “sanatoria” per questo personale, perché loro vanno avanti nella direzione esattamente contraria? Forse qualcuno sta barando?

I lavoratori della sanità privata sono in stato di agitazione, perché avanzano stipendi arretrati, che in alcuni casi arrivano a 18 mensilità, e perché sono a rischio di licenziamento e sotto continuo ricatto occupazionale da parte dei proprietari, anche a causa delle incertezze che circondano le regole e i requisiti degli accreditamenti, su cui decreti e circolari regionali sembrano contraddirsi tra loro. Chiederemo ancora una volta e con maggiore forza una soluzione strutturale, che garantisca stabilità al mondo del lavoro della sanità privata, parità di trattamenti e di regole a parità di funzioni svolte in favore del sistema sanitario regionale e dei cittadini calabresi.

Non si sente più parlare della Stazione Unica Appaltante, istituita con legge regionale, con la missione di salvaguardare le pubbliche amministrazioni e le loro procedure di acquisto dal controllo della ‘ndrangheta. Il suo organico resta sotto dimensionato e per questo, come un cane che si morde la coda, non è in grado di fare fronte a tutte le richieste di gare pubbliche; alcune amministrazioni non hanno mai neppure chiesto il suo intervento, mentre lo stesso Consiglio regionale che l’ha istituita, chissà perché, se ne è dichiarato subito esente. È un vero peccato che la Calabria non abbia voluto utilizzare tutte le potenzialità e il valore strategico di questa sua creatura. Abbiamo estremo bisogno di mettere in luce esperimenti di legalità, più che di ogni altro provvedimento, anzi prima di qualunque azione di rilancio dell’economia del mezzogiorno. Il rischio è che altre occasioni e altri fiumi di finanziamenti finiscano nelle mani e nelle tasche sbagliate.

L’illegalità in questo nostro paese, e non solo in Calabria, ha tante facce: la ‘ndrangheta, i poteri trasversali che si avvalgono di società segrete e di servitori infedeli dello stato e della chiesa, gli imprenditori che agiscono senza rispettare le stesse regole del mercato; ma il volto più odioso dell’illegalità è quello della pubblica amministrazione, che gestisce la cosiddetta “zona grigia”.

La questione morale nel nostro paese fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte della politica. Non c’è un prestito concesso, un concorso vinto, un appalto affidato, un investimento erogato, se questo non è fatto nell’interesse o attraverso l’interessamento di un partito o di una corrente di partito. E ci sono sempre più persone disposte a subire tutto questo, perché ne sono o ne sono stati beneficiati oppure sperano di trarne qualche beneficio in futuro. Ma se non ci liberiamo di queste servitù questo paese non crescerà mai.

Erano più o meno queste le parole pronunciate da Enrico Berlinguer, ed era l’anno 1981.

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