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Antichi canti skattarusi, raccolta di canzoni e filastrocche scomparse di Mena Filpo

fotoCOSENZA – Il Centro Cultura e Arte 26, diretto dall’antropologa Maria Zanoni, nell’ambito del 5° Festival del Dialetto di Calabria, ha curato la pubblicazione di una raccolta di antiche canzoni e filastrocche, Canti sckattarusi, trascritti da Mena Filpo e carpiti negli anni dalla viva voce degli anziani protagonisti di un mondo contadino ormai scomparso. Mena Filpo, studiosa di dialetto, si affaccia sul palcoscenico per presentare la sua prima commedia in vernacolo di Castrovillari, la sua città, alcuni anni addietro per gridare la sua passione per la lingua madre, un bene culturale prezioso, da tramandare, perchè riflette la condizione esistenziale della società dei secoli passati, ricca di valori socio-culturali complessi.
In una società multiculturale e plurilinguistica che sta progressivamente perdendo la propria identità, promuovere la cultura del dialetto locale significa riappropriarsi delle proprie radici identitarie, cogliendo la modernità dei complessi valori portati dal patrimonio linguistico.
Il dialetto è parte integrante nei processi integrativi tra lingua, storia e identità. Esso racconta la storia di una comunità. Perciò ha un rilevante valore antropologico-culturale. Studiare le forme dialettali consente di ripercorrere il tracciato antropologico e storico di un popolo grazie al suo modo di esprimersi e di comunicare. E’ finito il tempo di considerare il dialetto “la lingua del popolo senza libro”. Mettiamo da parte il pregiudizio che il dialetto è una “lingua di serie B, senza timore di sembrare “poco colti”. E’ ora di “studiare” i tratti caratterizzanti di un mezzo espressivo tra i più efficaci della cultura italiana, che accomuna, con il suo legame alle tradizioni, ed oggi è sempre più vicino alle culture giovanili, passando anche attraverso la musica ed il teatro. E Mena Filpo  lo ha capito da tempo, da quando ha formato la sua compagnia di Teatro dialettale amatoriale “I Pirrupàjini” con la quale ha rappresentato ben 10 sue commedie. I Canti di fede, le canzoni popolari, i modi di dire, a volte coloriti ed efficacissimi, che Mena Filpo ha raccolto con entusiasmo, recitano emozioni, appartenenze, legame alla propria terra. In queste pagine vive la gente semplice, la sentenziosità, la saggezza popolare, in cui si esprime il buon senso tipico dell’ambiente popolare che si manifesta, appunto, in certi caratteristici atteggiamenti del linguaggio. Mena sa che il prezioso patrimonio linguistico che va scomparendo necessita di operazioni di valorizzazione. E questo lavoro mira al riscatto della memoria, che risulta sempre più necessaria alle nuove generazioni, per non perdere il contatto, senza enfasi né esaltazioni, con l’identità dei progenitori.
Non è il solito rimpianto di cose lontane e perdute. È un che di vivo, di gioioso che ci riporta ad un mondo “a misura d’uomo”, lontano dalla solitudine e dalle inquietudini di una vita massificata e malsana della società postmoderna.