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Bombardieri nuovo procuratore di Reggio Calabria

REGGIO CALABRIA – Giovanni Bombardieri, attuale procuratore aggiunto di Catanzaro, é stato nominato Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. La nomina é stata decisa all’unanimità dal Plenum del Consiglio superiore della magistratura, che ha accolto la proposta fatta anche il quel caso all’unanimità il 29 marzo scorso dalla Commissione incarichi direttivi. Bombardieri succede a Reggio a Federico Cafiero De Raho, attuale Procuratore nazionale antimafia.

Su Giovanni Bombardieri

Giovanni Bombardieri, 54 anni, di Riace (Reggio Calabria), ha cominciato la carriera come giudice a Locri. È stato poi sostituto alla Procura di Roma, dove è rimasto sino al 2012, quando è stato nominato Procuratore aggiunto a Catanzaro. Si è occupato di inchieste di ‘ndrangheta ed ha attualmente la competenza sulle indagini in materia di terrorismo. Quando era pm a Roma, è stato titolare dell’inchiesta Broker-Mokbel, che ha portato all’emissione di 60 provvedimenti di custodia cautelare, uno dei quali a carico del senatore Nicola Di Girolamo.

Gli auguri di Wanda Ferro

«Rivolgo un augurio di buon lavoro al dottore Giovanni Bombardieri, attuale procuratore aggiunto a Catanzaro, nominato stamane dal plenum del Csm quale nuovo Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria». E’ quanto afferma il deputato e consigliere regionale di Fratelli d’Italia Wanda Ferro. «La nomina – prosegue Wanda Ferro – rappresenta il giusto riconoscimento per l’attività svolta dal magistrato nel corso della sua carriera, basti citare i brillanti risultati ottenuti nel corso degli ultimi anni trascorsi alla Procura distrettuale di Catanzaro nelle indagini dirette al contrasto della criminalità mafiosa. Un magistrato che tutti apprezzano per la sua preparazione, la sua laboriosità e la sua serietà. Straordinarie doti morali che, unite alle sue indiscusse capacità professionali e alla esperienza maturata sul campo – fin dall’inizio della sua carriera come giudice a Locri, passando per l’attività di sostituto alla Procura di Roma, fino all’attuale ruolo all’interno della distrettuale guidata dal procuratore Nicola Gratteri -, gli consentiranno di guidare con l’autorevolezza e la determinazione necessarie la Procura reggina, che ha competenza su un territorio estremamente complesso e delicato, in cui è forte e pervasiva la presenza di cosche di ‘ndrangheta di elevata caratura criminale».

Giovanni Bombardieri è il nuovo Procuratore di Reggio Calabria

REGGIO CALABRIA – Giovanni Bombardieri  è il nuovo Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. La nomina è stata decisa dal Consiglio Superiore della Magistratura all’unanimità . Già componente della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro Giovanni Bombardieri prende il posto di Federico Cafiero De Raho nominato recentemente Procuratore Nazionale Antimafia. Bombardieri, originario di Roccella Jonica ha 54 anni e ha già ricoperto significativi incarichi di qualità di sostituto procuratore a Roma e anche Gip a Locri.

Camera di Commercio Vibo, sportello per finanziamenti statali alle vittime di usura

VIBO VALENTIA – Donatella Romeo, segretario generale della Camera di Commercio di Vibo Valentia, ha commentato l’operazione giudiziaria della DDA, invitando cittadini e istituzioni a prendere ad esempio le parole dei magistrati Bombardieri e Luberto.

«L’ennesima operazione giudiziaria della DDA – ha affermato la Romeo – conferma che usura e racket sono ancora due cancri ben presenti nella nostra economia. Preciso, ovviamente, che va sempre riconosciuto a tutti il diritto alla presunzione di innocenza ma non può essere sottovalutato il peso  negativo di questi due fenomeni criminali per la nostra economia. I magistrati Bombardieri e Luberto hanno rivolto l’invito alla denuncia, un appello che ognuno di noi deve rilanciare e per questi motivi, come Camera di Commercio, già da diversi mesi abbiamo messo a disposizione delle vittime un apposito ufficio dove poter  presentare le richieste di finanziamento allo Stato. È importante che il mondo produttivo calabrese si renda conto che si tratta di una vera e propria emergenza che tarpa le ali allo sviluppo calabrese».

Arresti Rende, anche il boss Lanzino assunto nelle cooperative

RENDE (CS) – C’era anche il boss Ettore Lanzino fra le persone impiegate nella cooperativa Rende 2000. La sua assunzione, è stato ricostruito dagli inquirenti nell’inchiesta, avvenne nel 2008 e durò alcuni mesi. Un collaboratore di giustizia ha svelato che il boss cosentino “venne assunto solo in modo fittizio tale da fargli percepire lo stipendio (ammontante a circa 750 euro mensili) pur senza prestare effettiva attività lavorativa”. Lanzino, condannato per omicidio, era stato inserito nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi. Venne arrestato nel 2012 in un appartamento di Rende. Per gli inquirenti della Dda di Catanzaro e per il gip Carlo Saverio Ferraro, la sua, come “tutte le assunzioni presso la cooperativa Rende 2000, venivano decise o condivise da Sandro Principe”.

Arresti Rende, i magistrati: “Minate le regole democratiche”

CATANZARO – “Un sistema fortemente inquinato dalla criminalità organizzata, un’amministrazione pubblica piegata agli interessi del clan”. Così il procuratore facente funzioni di Catanzaro Giovanni Bombardieri ha sintetizzato il quadro emerso dall’inchiesta che ha portato all’arresto di dieci persone tra politici e affiliati alla cosca di ‘ndrangheta Lanzino-Ruà, egemone in provincia di Cosenza. I particolari dell’operazione sono stati resi noti durante una conferenza stampa cui hanno partecipato, oltre a Bombardieri, l’aggiunto Vincenzo Luberto, il comandante provinciale dei Carabinieri di Cosenza, col. Fabio Ottaviani, e il maggiore Michele Borrelli. L’inchiesta, condotta da Luberto e dal pm Pierpaolo Bruni, si è avvalsa di intercettazioni telefoniche e ambientali, dichiarazioni di alcuni collaboratori e racconti forniti da soggetti interni al Comune di Rende, funzionari e politici, sentiti dagli inquirenti come persone informate sui fatti. Ciò avrebbe consentito di ricostruire “la sistematicità di condotte illecite” in un periodo di tempo che va dal 1999 al 2014. I politici coinvolti avrebbero garantito, in cambio di voti, concessioni, appalti e assunzioni agli esponenti del clan Lanzino-Ruà. Al centro del “sistema Rende” vi sarebbe stata la cooperativa “Rende 2000”. “La coop – ha detto Bombardieri – era completamente in mano alla cosca, tanto che parte delle retribuzioni veniva versata nella ‘bacinella’ per le spese del clan”. L’ex sottosegretario al Lavoro Sandro Principe, anche dopo aver lasciato il ruolo di sindaco, avrebbe continuato a “influenzare fortemente l’agire dell’amministrazione”. Vittorio Cavalcanti, che lasciò prima della fine del mandato la poltrona di primo cittadino, “ha riferito – ha detto Bombardieri – delle forti pressioni subite da parte di Principe, che voleva continuare a dirigere l’amministrazione convocando autonomamente i funzionari e addirittura impendo al sindaco in carica di prendere la parola in un dibattito pubblico. Le ‘regole rendesi’ dovevano continuare a essere rispettate”. Bombardieri ha poi citato l’intercettazione in cui Cavalcanti, sfogandosi con la moglie per i continui interventi di Principe, esclama: “Mi dice che devo fare il sindaco e non il procuratore. Vorremmo – ha aggiunto il procuratore – che i sindaci facessero le persone oneste e che si occupassero del bene comune dei cittadini in modo da evitare l’intervento della magistratura”. Di “mercificazione del pubblico” ha parlato Luberto. “Ci sono conversazioni – ha detto – che offrono uno spaccato terribile della frustrazione dell’interesse pubblico. Le assunzioni venivano gestite in collusione con il clan, i manifesti elettorali venivano affissi dai lavoratori socialmente utili delle coop coinvolte nell’inchiesta. Questa è stata la realtà di Rende”. Soddisfazione per l’esito del lavoro investigativo è stata espressa da Ottaviani. “Questa indagine – ha detto – va a svelare l’atto più grave che possa commettere la criminalità organizzata, quello di minare il diritto dei cittadini a governarsi secondo le regole democratiche”.

Inchiesta Calabria Verde, l’ex dg Furgiuele non risponde ai magistrati

CATANZARO – Si è avvalso della facoltà di non rispondere l’ex direttore generale di Calabria Verde Paolo Furgiuele, indagato per abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta su presunti illeciti nella gestione dell’ente. Furgiuele, che nei giorni scorsi aveva ricevuto un invito a comparire, ha deciso di non rispondere alle domande dei magistrati titolari dell’indagine, il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e il sostituto Alessandro Prontera. L’ex dg era accompagnato dall’avvocato Nicola Cantafora. Furgiuele deve rispondere di tre ipotesi di abuso d’ufficio in concorso con Alfredo Allevato, responsabile unico del procedimento per la gara d’appalto da 33 milioni di euro finanziata con fondi Por Calabria Fesr 2007-2013 – poi sospesa in autotutela da Furgiuele – per l’acquisto di un parco autoveicoli destinato a funzioni di antincendio boschivo. Proprio la sospensione dell’appalto è una delle vicende contestate dai magistrati ai due indagati. L’altra contestazione riguarda l’utilizzo e la gestione dei fondi per il rischio idrogeologico. Infine, l’ultima ipotesi si concentra sugli incarichi affidati a professionisti esterni all’ente.

Terrorismo, arresto di Hamil Mehdi a Luzzi. Il riepilogo della giornata e le reazioni della politica

Conferenza stampa arresto hamil MahdiCOSENZA – Aveva in programma di trasferirsi in Belgio Hamil Mehdi, 25 anni, il cittadino di nazionalità marocchina, da dieci anni trapiantato a Luzzi, nel cosentino, e tratto in arresto dal personale della Digos di Cosenza, coordinato dal servizio centrale antiterrorismo, diretto da Claudio Galzerano e dal questore di Cosenza Luigi Liguori. I particolari dell’operazione sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa cui ha partecipato anche Giovanni Bombardieri, magistrato della Dda di Catanzaro, che ha coordinato le indagini. Su Hamil Medhi le forze dell’ordine hanno cominciato ad interessarsi dal luglio dello scorso anno, quando il giovane è stato respinto alla frontiera di Istanbul per motivi di sicurezza. Le autorità turche lo hanno rispedito in Italia poiché non aveva bagagli con sé, non aveva il biglietto di ritorno ed era sospettato di voler raggiungere, attraverso la Turchia, i territori islamici per unirsi ai guerriglieri dell’Isis. Al suo rientro il marocchino era stato fermato all’aeroporto di Fiumicino, dove i poliziotti gli avevano trovato uno zainetto con all’interno un paio di pantaloni militari, una pubblicazione dei Fratelli Musulmani sui comportamenti che deve tenere un buon musulmano secondo il Corano, due telefoni cellulari e 800 euro. Neanche ai familiari Mehdi aveva svelato le sue intenzioni. Quando gli agenti della Digos si presentarono a casa sua a Luzzi, a luglio, i familiari dissero che il giovane sarebbe rientrato quella stessa sera. Sulla vicenda dell’espulsione il giovane si difende sostenendo che era andato in Turchia “solamente per pregare”. Ai poliziotti che stamani lo hanno arrestato, il giovane ha ribadito che gli avevano à’ contestato di appartenere all’Isis, ma di avere spiegato che non era vero. Per oltre sei mesi la Digos di Cosenza, sotto le direttive della Dda di Catanzaro, ha monitorato il marocchino, nell’ambito di un’indagine di prevenzione che ha consentito di accertare che Hamil Mehdi aveva un12633298_934550579962159_309948123_o accanito interesse per immagini, filmati e altri contenuti propagandistici riferiti all’organizzazione terroristica dello Stato Islamico, linkati quotidianamente tramite diversi siti telematici d’area, i cui contenuti rimandano a forme di addestramento e combattimento tra soggetti incappucciati, tutti contrassegnati dall’inconfondibile “brand” dello Stato Islamico. Notato nel giovane anche l’estremo rigore nel seguire i dettami del Corano, oltre agli accorgimenti che il cittadino marocchino teneva durante la navigazione in internet per evitare di ricevere virus e di essere intercettati. Inoltre, le indagini hanno appurato che Hamil Mehdi aveva contatti indiretti con utenze di soggetti che sono stati accertati essere responsabili di attività a’ riconducibili al terrorismo internazionale, tra cui anche una a cui faceva capo anche Ayoub El Khazzani, l’attentatore del treno Parigi-Amsterdam. I numerosi elementi raccolti, hanno costituito una solida base per applicare la recente normativa di contrasto al terrorismo internazionale con particolare riferimento alla fenomenologia dei cosiddetti foreign fighters, ovvero persone che si autoaddestrano con la finalità di unirsi alla battaglia condotta dall’Isis. Per questo la Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro ha proposto al competente Gip l’adozione della misura di custodia cautelare che ha portato all’arresto di questa mattina. All’arresto si è giunti anche per evitare che il giovane riuscisse a fuggire, considerato che dopo l’espulsione in Turchia aveva manifestato l’intenzione di volersi trasferire in Belgio, viaggio poi rinviato per motivi di famiglia. Questo ulteriore elemento ha spinto il coordinatore della Dda di Catanzaro, Giovanni Bombardieri, ed il sostituto procuratore Paolo Petrolo a chiedere l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. L’arresto di Hamil Mehdi è ritenuto dal Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, un “caso importante” perche’ rileva come “internet sia utilizzata da Isis per reclutare manovalanza di morte e avviare processi di autoradicalizzazione”.

 

LE REAZIONI:

Matteo Renzi (Presidente del Consiglio) – Il potenziale terrorista arrestato a Cosenza questa mattina non è il primo e non sarà l’ultimo. Perché il lavoro delle nostro Forze dell’Ordine è straordinario. Quelli che dicono alziamo i muri e chiudiamo le frontiere non si rendono conto che molti sono già in Europa

Filippo Bubbico (Viceministro dell’Interno) – Il decreto anti terrorismo ha messo a disposizione del Paese strumenti molto importanti che funzionano. Questa operazione è stata resa possibile esattamente in ragione dei contenuti di quel provvedimento che ha garantito alle forze di polizia e alla nostra intelligence di poter analizzare, controllare e valutare meglio i fattori di rischio.

Antonio Gentile (Senatore Area Popolare) – L’operazione condotta oggi dalle Forze dell’Ordine a Cosenza e che ha portato all’arresto di un marocchino per terrorismo dimostra il livello altissimo di attenzione in Italia e l’efficienza del nostro sistema sicurezza. Tutto ció conferma l’ottimo operato del governo ed in particolare del ministro Alfano, la cui fermezza e decisione ha consentito il varo di norme, da ultimo proprio il decreto antiterrismo, che hanno rafforzato le difese del nostro territorio fornendo allo stesso tempo strumenti efficaci per il contrasto e la lotta al terrorismo internazionale. Sono azioni brillanti come queste che danno la misura del buon operato del governo, facendo giustizia delle demagogiche e populistiche dichiarazioni di chi invece sa soltanto fomentare le paure degli italiani. E’ anche questo il senso dello stare al governo e di essere una forza responsabile di governo come Area popolare

Rosa Calipari (vice presidente della commissione Difesa e componente del Copasir) – Complimenti alla Digos di Cosenza e allo Sco, il Servizio centrale antiterrorismo, per l’operazione che ha portato ad individuare un giovane pronto a trasformarsi in un foreign fighters. L’arresto di questa mattina dimostra che le norme esistenti, insieme a quelle di recente approvazioni con il decreto antiterrorismo, la preparazione e la professionalità delle nostre forze di sicurezza nel loro complesso sono efficaci. Possiamo senz’altro affermare che il nostro Paese oggi è all’avanguardia nel contrasto al terrorismo internazionale, un mostro particolarmente feroce e con molte teste, contro il quale la tecnologia può molto ma solo insieme al dispiego intelligente e generoso delle risorse umane.

Roberto Occhiuto (deputato Forza Italia) – Oggi è il giorno dei complimenti alle forze dell’ordine per la brillante operazione che hanno messo a segno. Ma non solo. Oggi deve essere anche il giorno in cui ci chiediamo quanto siano sicure le nostre città e cosa stia facendo il governo per garantire la sicurezza di tutti noi. Il governo non può fare finta di nulla, limitandosi a festeggiare l’evento, facendosi forza del successo della polizia. L’Italia, purtroppo, è un paese ad alto rischio di infiltrazioni terroristiche, anche per colpa delle politiche messe in campo da Renzi e Alfano, che stanno dimostrando di non essere assolutamente in grado di gestire queste emergenze. Mehdi sembrava perfettamente integrato, mentre questo parlava con terroristi e aspirava ad allacciarsi le cinture per l’ascesa al suo paradiso: attenzione, perché questa non è una rara eccezione, ma la regola di questi terroristi.

Ernesto Magorno (Deputato Partito Democratico) – Le forze di polizia calabresi hanno compiuto un’importante operazione antiterrorismo. A loro un grazie, il terrore non vincerà mai.

Operazione antiterrorismo a Luzzi. Arrestato presunto foreign fighter marocchino

questura-csCOSENZA – E’ scattato alle prime luci dell’alba il blitz antiterrorismo condotto dagli uomini della Digos di Cosenza che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un presunto foreign fighter marocchino. L’operazione è stata coordinata dal Servizio centrale Antiterrorismo. In manette è finito un giovane di 25 anni, Hamil Mehdi, Commerciante ambulante residente a Luzzi, in provincia di Cosenza: gli uomini della Polizia, che indagavano su di lui dal luglio scorso, lo hanno bloccato nella sua abitazione. Il marocchino è indagato per i reati previsti dalla nuova legge antiterrorismo in vigore da aprile 2015 ed in particolare gli viene contestato l’articolo 270 quinques del codice penale che disciplina il reato di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale. Secondo quanto si è appreso era pronto per raggiungere gli scenari di guerra e per combattere nelle file dell’Isis. Era arrivato in Turchia lo scorso 10 luglio, dove è stato fermato dalle autorità per un controllo. Al termine degli accertamenti, le autorità turche, d’intesa con gli uomini dell’Antiterrorismo italiano, lo hanno respinto per motivi di “sicurezza pubblica” e lo hanno fatto rientrare in Italia. “Sono andato in Turchia solamente per pregare” ha detto il marocchino ai poliziotti nel momento dell’arresto. “Mi avevano già contestato di appartenere all’Isis ma io ho sempre negato. Ed anche ora ribadisco che non appartengo all’Isis. Sono andato in Turchia solamente per pregare”. I dettagli dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa in programma alle 11 in questura a Cosenza alla presenza del questore Luigi Liguori e del coordinatore della Dda di Catanzaro Giovanni Bombardieri.

L’allarme dei magistrati della Dda: siamo rimasti in sei con mille udienze da presenziare

Bombardieri e lubertoCATANZARO – Dopo aver illustrato i particolari dell’operazione che ha consentito alla Direzione Distrettuale di Catanzaro di procedere alla confisca dei beni riconducibili alla cosca Tripodi, il procuratore aggiunto della Dda Vincenzo Luberto si è lasci uno sfogo davanti ai cronisti, denunciando in maniera determinata la carenza di organico dell’importante ufficio giudiziario. “La Dda di Catanzaro ha a disposizione solamente sei magistrati per far fronte a mille udienze cui i singoli pm devono presenziare. Si tratta di un numero esiguo di uomini che fronteggia in ogni modo possibile la criminalità organizzata ottenendo un successo insperato, se si considera la carenza di organico. Voglio ricordare che abbiamo competenza su due terzi del territorio regionale. Parliamo di zone come Lamezia, gestita con sacrificio inenarrabile vista la presenza radicata di cosche come quella dei Giampà e dei Torcasio che comunque siamo riusciti ad arginare con numerose operazioni come “Medusa” e “Perseo”, e non ultima “Dirty Soccer”, ma se analizziamo tutto il territorio di nostra competenza non sfugge che Vibo Valentia ha in ogni frazione piccole cosche che gestiscono le attività criminali che fanno capo a quelle più note. Anche lì – ha sottolineato Luberto – la nostra attività è stata determinante e parliamo sempre di un uomo solo a gestire tutto. La situazione non cambia a Cosenza e Crotone, dove ci si divide tra Paola e Castrovillari con il clan Rango-Zingari e dove siamo riusciti con la nostra attività a svelare le ramificazioni nazionali del clan Grande-Aracri, attività che ha portato all’operazione Aemilia. Infine c’è Catanzaro, che non è un’isola felice come tutti vogliono far credere o come si potrebbe pensare. Anche qui la ‘ndrangheta è permeata notevolmente. Se la ‘ndrangheta, quindi – ha concluso il procuratore aggiunto – è il nemico numero uno, come dicono, non è così che si combatte. Le forze sono insufficienti perché si finisce per trascurare alcune situazioni che possono essere importantissime. Lo sforzo della Procura è notevole, ma potrebbe alla lunga non bastare. Per questo ribadiamo che serve un incremento di organico”.

Cosenza, scacco matto al clan Perna. Diciannove provvedimenti di fermo

carabinieri-3COSENZA – Diciannove provvedimenti di fermo emessi nei confronti di altrettanti esponenti della cosca di ‘ndrangheta dei Perna sono stati eseguiti dai carabinieri di Cosenza nel corso di un’operazione condotta dai carabinieri del comando provinciale di Cosenza e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Secondo l’accusa, il clan dei Perna sarebbe a capo di un ampio traffico di sostanze stupefacenti articolato su una fitta rete di spaccio in grado di rifornire l’area urbana cosentina e gli altri comuni ad essa limitrofi. Tra i fermati spicca il nome di Marco Perna, di 41 anni, figlio del capo della cosca Franco, attualmente detenuto in regime di 41 bis. Dalle indagini è emerso il ruolo di leader che era stato assunto nel gruppo criminale da Marco Perna, che aveva di fatto assunto la guida della cosca dopo l’arresto del padre e che poteva contare anche sulla disponibilità di un deposito di armi, scoperto dai militari dell’Arma. All’interno di tale deposito, ubicato a Cosenza nel quartiere di Serraspiga, erano custoditi, tra l’altro, anche due revolver di grosso calibro. Per imporre il loro potere sul territorio, gli uomini della cosca, secondo quanto riferito dai carabinieri, si avvalevano di modalità tipicamente mafiose, specificamente contestate nel provvedimento di cattura. Secondo quanto si è appreso, l’attività di monitoraggio e controllo dei principali indagati da parte dei carabinieri ha riguardato un periodo di circa un anno, a partire dal mese di settembre del 2014. Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giovanni Bombardieri e dal sostituto Pierpaolo Bruni e condotte dai carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Cosenza in collaborazione con i militari della compagnia.