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‘Ndrangheta, catturato nella notte il boss Giuseppe Pelle

CONDOFURI (RC) – Il boss latitante Giuseppe Pelle, considerato capo strategico e membro dei vertici della ‘ndrangheta, è stato arrestato dalla polizia in un blitz scattato nella notte a Condofuri, in provincia di Reggio Calabria. Pelle era nascosto in una abitazione isolata in una zona impervia alle porte del paese calabrese. Al blitz nelle hanno partecipato 50 uomini della squadra mobile di Reggio Calabria e del Servizio centrale operativo della Polizia, coordinati dalla Dda reggina. I poliziotti hanno scovato il boss in un’abitazione isolata in una contrada impervia nell’entroterra. Quando è scattato il blitz, all’interno della casa c’erano oltre al boss altre persone. Nessuno di loro ha opposto resistenza. Pelle,58 anni e latitante dal 2016, è considerato dagli inquirenti elemento di spicco delle cosche di San Luca e facente parte della Provincia, uno degli organi di vertice della ‘Ndrangheta. Deve scontare una pena residua definitiva di 2 anni,5 mesi e 20 giorni di reclusione per associazione mafiosa e tentata estorsione. (Foto zazoom)

Cosenza, operazione “Auto Stop”, sequestrata vettura al boss Franco Muto

COSENZA – La Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Cosenza, coordinata dalla Procura della Repubblica di Cosenza, ha eseguito un Decreto di sequestro preventivo, nei confronti di Francesco Muto, alias “il re del pesce”, ritenuto il
Boss dell’omonimo Clan Cetrarese di matrice ‘ndranghetista e ristretto in regime speciale di cui all’art. 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario, avente ad oggetto una “Jeep Renegade” nuova e di prima immatricolazione, del valore di
euro 26.500. Il provvedimento, emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cosenza – dr. Piero Santese, su richiesta del capo della Procura Bruzia – dr. Mario Spagnuolo, è scaturito da un’indagine di Polizia Giudiziaria
effettuata dai Finanzieri cosentini, in materia “Antimafia”: con particolare riferimento alle disposizioni normative che disciplinano il “monitoraggio” ed il “controllo” delle “variazioni patrimoniali” dei soggetti destinatari di “Misure di Prevenzione” e/o “condannati per reati di particolare allarme sociale”. I soggetti condannati per reati di stampo mafioso e quelli colpiti da misure di prevenzione, infatti, sono obbligati a comunicare alla Guardia di Finanza, per dieci anni decorrenti dalla data del provvedimento definitivo (Decreto di Prevenzione e/o Sentenza di condanna) emesso a loro carico, ed entro trenta giorni dal fatto, tutte le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio, di valore non inferiore all’ammontare di euro 10.329,14. Qualora tale importo dovesse essere raggiunto a seguito di diversi e separati incrementi, la comunicazione deve essere effettuata entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello in cui i fatti si sono
verificati. Il suddetto obbligo costituisce una Misura di Prevenzione di natura patrimoniale, volta a esercitare un controllo preventivo e costante sui beni dei condannati o degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, anticipato rispetto a quello svolto con le misure, pure patrimoniali, di carattere preventivo-repressivo costituite dal sequestro e dalla confisca, al fine di accertare ogni forma di illecito arricchimento. Le Fiamme Gialle, attraverso il costante utilizzo delle banche dati ed altre investigazioni di Polizia Giudiziaria, hanno ricostruito l’intera vicenda della compravendita dell’autovettura, effettuata presso una concessionaria con sede in altra regione d’Italia, accertando le violazioni di legge commesse da Franco Muto, al quale è stato contestato il reato di “Omessa comunicazione di variazione patrimoniale”.
Il provvedimento cautelare emesso dall’Autorità Giudiziaria è finalizzato alla “confisca” dell’autovettura, che passerà nel patrimonio dello Stato. Continua, incessante e costante, l’azione della Guardia di Finanza Calabrese nella lotta alla criminalità organizzata, a quella comune ed alle illegittime e/o indebite accumulazioni patrimoniali.

Incendio a un’abitazione di romeni, accusato il boss Labate

REGGIO CALABRIA – La squadra mobile di Reggio Calabria ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa su richiesta della Dda, nei confronti di Antonino Labate, di 68 anni, ritenuto elemento di vertice dell’omonima cosca. E’ accusato di tentato omicidio plurimo e incendio doloso aggravati dalle modalità mafiose per avere appiccato, il 27 febbraio scorso, un incendio a un’abitazione nella zona sud della città per uccidere 6 cittadini romeni, tra cui 2 bambini. Nella casa viveva una donna romena di 46 anni senza fissa dimora che quel giorno ospitava dei connazionali.
Mentre stavano festeggiando un compleanno si accorsero delle fiamme mettendosi in salvo scavalcando una finestra. Dalle indagini è emerso che Labate, durante una lite, aveva picchiato con un bastone la donna minacciandola di “bruciarli vivi” per aver lasciato dei rifiuti vicino l’ingresso di un suo podere. Labate è stato ripreso dalla video sorveglianza della zona mentre riempie un bidone di benzina lo stesso giorno dell’incendio.

Revocata sorveglianza speciale a boss Papalia, per Corte d’Appello non è più pericoloso

MILANO – La Corte d’Appello di Milano, accogliendo un ricorso della difesa e, non ritenendolo più socialmente pericoloso, ha revocato la misura della sorveglianza speciale nei confronti del boss della ‘ndrangheta Rocco Papalia, definito il ‘padrino’ di Buccinasco (Mi), considerato uno dei più importanti capi della mafia calabrese al nord e scarcerato lo scorso maggio dopo 25 anni di detenzione.
Lo scorso luglio, infatti, la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano aveva confermato la sorveglianza speciale, applicata a Papalia sin dal ’94, spiegando che era ancora socialmente pericoloso e che nei suoi confronti doveva essere mantenuta la “misura” con “obbligo di soggiorno” nel comune a sud del capoluogo lombardo “per cinque anni” e di “ricercare, compatibilmente con le imperfette condizioni di salute, un lavoro”. I giudici di secondo grado, invece, hanno dichiarato la revoca e il sostituto pg di Milano Laura Barbaini farà ricorso contro la decisione. (Foto d’archivio).

Baciamano a boss, Cafiero de Raho: «Ignobile»

REGGIO CALABRIA – Il procuratore della Repubblica Federico Cafiero de Raho ha definito all’Ansa “ignobile” la scena del baciamano fatto da un vicino al boss Giuseppe Giorgi dopo la cattura. «Ignobile, ma non è certo né condivisione né tantomeno segno di debolezza dello Stato che anzi, in questa occasione, ha dato una straordinaria dimostrazione di forza». «I carabinieri che si abbracciano dopo l’arresto – ha aggiunto Cafiero de Raho – sono la parte più bella di uno Stato efficiente in grado di catturare un latitante. I carabinieri non l’avrebbero mai permesso ma si sono trovati a muoversi in uno spazio ristretto dopo una perquisizione durata oltre 5 ore nel corso della quale hanno lavorato in presenza di persone in casa che urlavano e minacciavano dicendo che non c’era nessuno. Noi, inoltre, conosciamo bene la forza militare della ‘ndrangheta, ed in quel contesto, i carabinieri erano anche impegnati a guardarsi intorno. L’importante era portare via Giorgi senza problemi ed è quello che è stato fatto».

Preso il boss Alvaro. Era latitante dal 2007

VIBO VALENTIA – La Polizia di Reggio Calabria ha localizzato e catturato, nell’agro di Monterosso Calabro (provincia di Vibo Valentia) il pericoloso latitante della ‘ndrangheta calabrese Giuseppe Alvaro, alias “Peppazzo”, considerato ai vertici della cosca Avaro, soprannominata “Carni i cani”, attiva a Sinopoli con proiezioni nel Lazio e all’estero. Era il latitante più longevo della Piana di Gioia Tauro: infatti era stato colpito a febbraio del 2009 da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, contestati nell’ambito dell’operazione Virus, condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria. Il ricercato è stato catturato al termine di prolungati servizi di osservazione svolti in un’ampia zona rurale. Al momento dell’irruzione eseguita in un frantoio, Alvaro ha tentato la fuga lanciandosi da una finestra, ma poco dopo è stato raggiunto dagli agenti che lo ha bloccato e ammanettato. Dopo le rocambolesche fasi della cattura, l’arrestato è stato trasportato all’ospedale di Vibo Valentia per essere sottoposto a un intervento chirurgico, poiché, cercando di fuggire dal frantoio, ha riportato la frattura scomposta della caviglia.

Il provvedimento restrittivo racchiude i risultati acquisiti durante l’attività investigativa, che aveva svolto la Squadra Mobile di Reggio Calabria per la cattura di Carmine Alvaro, 63 anni, padre dell’arrestato, rimasto latitante dal 9 giugno 2003 al 18 luglio 2005, condannato dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 18 novembre 2002, per associazione mafiosa, come promotore, organizzatore e capo dell’omonima famiglia mafiosa. In questo contesto era emerso un ruolo di assoluto rilievo di Giuseppe Alvaro nell’organigramma della cosca. I vari accoliti, infatti, non esitavano a eseguire puntualmente e immediatamente le direttive da lui impartite anche, perché, probabilmente, ne riconoscevano il ruolo di portavoce del padre boss. Gli incontri con il padre, dunque, non erano semplici incontri tra padre e figlio, ma vere e proprie riunioni per stabilire le attività illecite della cosca e per ricevere le direttive del boss latitante.

Giuseppe Alvaro era ricercato sin dall’inizio della propria latitanza, da quando si era sottratto alla cattura insieme al cugino Paolo Alvaro, 51 anni, originario di Sinopoli, catturato il 20 novembre 2015 a Melicuccà da militari dell’Arma dei carabinieri. A suo carico diversi precedenti penali e di polizia per associazione mafiosa, ricettazione, furto, rapina, truffa, riciclaggio, violazioni della legge sulle armi, favoreggiamento personale e procurata inosservanza dei provvedimenti dell’autorità. In relazione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere per la quale Alvaro risultava ricercato, il 7 aprile 2010, è stato condannato, al termine di un processo con rito abbreviato, alla pena di otto anni di reclusione ed euro 8mila di multa dal Gup del Tribunale di Reggio Calabria. La sentenza di condanna è stata confermata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria il 20 aprile 2010.

Cancella verbale di contravvenzione al figlio del boss, sottufficiale posto ai domiciliari

Reggio Calabria (Rc) – Un sottufficiale in servizio nella Capitaneria di porto di Reggio Calabria, Francesco Chilà, di 48 anni, é stato arrestato dalla Squadra mobile reggina e posto ai domiciliari con l’accusa di avere “cancellato” un verbale di contravvenzione che era stato elevato al figlio del boss della ‘ndrangheta Roberto Franco, di 56 anni, sorpreso alla guida di un’acquascooter senza il casco protettivo obbligatorio. Agli arresti domiciliari é stato posto anche il giovane al quale era stata elevata la contravvenzione, Francesco Franco, di 24 anni, mentre al padre di quest’ultimo, Roberto, di 56 anni, presunto capo dell’omonima cosca federata con quella dei De Stefano e già in carcere perché arrestato dalla stessa Squadra mobile di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione “Sistema Reggio” del 15 marzo scorso, l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip, su richiesta della Dda reggina, é stata notificata in carcere

‘ndrangheta, latitanti arrestati in un bunker. Preso il presunto assassino di Francesco Inzitari

Elicottero poliziaREGGIO CALABRIA – Sono stati arrestati questa mattina all’alba, dagli uomini della Squadra Mobile di Reggio Calabria con il supporto della prima divisione del servizio centrale operativo, i latitanti Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro. Crea, che da oltre dieci anni sfugge alla giustizia, e Ferraro, latitante da diciotto, sono stati scovati dagli investigatori in un bunker nascosto dentro un costone di roccia ad Agro di Maropati, fra Rizziconi e Melicucco. Figlio prediletto di Teodoro Crea, Giuseppe è per gli investigatori il capo dell’omonimo clan di Rizziconi, che ha continuato a dirigere durante gli anni di latitanza. Secondo alcune ipotesi investigative, non si tratterebbe solo di uno stratega lucido degli investimenti del clan, ma anche di un killer efferato. Secondo alcune ipotesi, sarebbe stato lui ad uccidere Francesco Inzitari, figlio appena diciottenne di Pasquale, ex consigliere provinciale di Reggio Calabria. Braccato dagli investigatori, Giuseppe Crea era sfuggito nuovamente all’arresto nel giugno 2014, quando l’operazione Deus ha prosciugato la sua rete di fiancheggiatori. Per oltre diciotto anni e’ riuscito a sfuggire agli investigatori l’altro boss finito in manette questa mattina all’alba, Giuseppe Ferraro, boss di Oppido Mamertina e capo storico dei Ferraro Raccosta, sopravvissuto alla cruenta faida che dagli anni Ottanta vede il suo clan in guerra con quello dei Mazzagatti- Polimeni – Bonarrigo. Un conflitto sopito per lungo tempo, ma che nel 2012 ha fatto registrare una nuova recrudescenza, dopo l’omicidio di Domenico Bonarrigo, capo del clan avversario dei Ferraro Raccosta. Sarà lo stesso Giuseppe Ferraro – secondo gli investigatori – a sacrificare gli uomini della sua famiglia che avevano usato turbare la pax mafiosa, consegnandoli ai Mazzagatti- Domenico- Bonarrigo, che li uccideranno uno dopo l’altro. Uno di loro, Francesco Raccosta, verrà dato in pasto ai maiali ancora vivo. I particolari dell’operazione saranno resi noti in una conferenza stampa, con la partecipazione del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho. Nel covo trovate anche circa 20 armi fra pistole, fucili mitragliatori, fucili a pompa e numerose munizioni. Intanto anche il Ministro Alfano ha espresso compiacimento per l’operazione: “Oggi è un’altra bella giornata per tutti e per il Paese, perché oggi la giustizia ha vinto ancora una volta e ha vinto in modo eclatante con l’individuazione e l’arresto di due boss capicosca della ‘ndrangheta, catturati in un bunker in provincia di Reggio Calabria – ha detto il Ministro Angelino Alfanodell’Interno – Sono stati arrestati, in una operazione di altissimo livello, Giuseppe Ferraro, latitante da quasi vent’anni e condannato per associazione mafiosa e omicidio, e Giuseppe Crea, il maggiore esponente della ‘ndrangheta tirrenica, ricercato da dieci per associazione mafiosa, entrambi esponenti dei clan della Piana di Gioia Tauro e inseriti nell’elenco dei latitanti più pericolosi d’Italia. Questo a dimostrazione del fatto che non si può sfuggire per sempre alla giustizia perché la squadra-Stato lavora ogni giorno per ripulire il territorio dalla mala pianta del crimine organizzato, perché i cittadini, che della squadra-Stato fanno parte, possano credere sempre di più nella forza delle istituzioni”.

Fermato boss che aveva minacciato testimone durante processo

guardia di finanza  genericaREGGIO CALABRIA – La Dda di Reggio Calabria ha emesso un provvedimento di fermo nei confronti di Pietro Labate, indicato come un esponente di spicco del clan, eseguito dai finanzieri del Gico di Reggio. Labate è accusato di intralcio alla giustizia aggravato dalle finalità e dalle modalità mafiose. L’uomo avrebbe minacciato una testimone in un processo a carico di esponenti di vertice della cosca Labate e, quindi, posto in essere una subdola e implicita attività intimidatoria.

Arrestato il boss Pignatelli

ROMA – Il Servizio Centrale Operativo (Sco) della Polizia, insieme a Interpol Roma e uomini della questura di Reggio Calabria hanno arrestato Nicola Pignatelli, 43 anni.

Inserito nell’elenco del Viminale dei 100 latitanti più pericolosi, è ritenuto elemento di vertice della cosca Mazzaferro e legato alle famiglie Ursino ed Aquino di Gioiosa Jonica.

Era ricercato per 416 bis e reati di droga e deve scontare una condanna a 13 anni e 6 mesi.

Il boss è stato localizzato in un bar a Juan Dolio, a Santo Domingo. Non era armato e quando sono scattate le manette, non ha opposto resistenza.