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Droga ed estorsioni, blitz contro il clan Muto di Cetraro: 33 arresti

CETRARO (CS) – Sono ben 33 le persone indagate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta chiamata in codice “Katarion”, nel corso della quale i carabinieri del comando provinciale di Cosenza, e dall’alba di stamani, stanno eseguendo altrettante misure cautelari emesse dal Gip del tribunale del capoluogo di regione.

Agli indagati, a vario titolo, si contestano l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti; la produzione, traffico e detenzione illeciti di droga; l’estorsione, tentata e consumata, aggravata dal ricorso al metodo mafioso; la detenzione illegale di armi da fuoco.

Le investigazioni sono state orientate su una presunta organizzazione criminale attiva dunque nel traffico di droga, operativa nell’area dell’alto Tirreno cosentino e sotto l’egida della storica cosca di ‘ndrangheta Muto di Cetraro. 

Tutti i nomi degli indagati

Muto junior, alias Zorro
Giovanni Atta
Salvatore Audino
Salvatore Amoroso
Carmine Antonuccio
Giuseppe Antonuccio
Ciriaco Casella
Mario Cianni
Poldino Cianni
Annaelisa Esposito
Giovanni Franco
Flavio Graziosi
Roberta Greco
Stefano Greco
Luca Grosso Ciponte
Agostino Iacovo
Fabrizio Iannelli
Michele Iannelli
Ciro Impieri
Luca Impieri
Rosario Alessandro Impieri
Rossella Lombardi
Giuseppe Mandaliti
Pasquale Napoli
Pierluigi Oliverio
Salvatore Orto
Lorenzo Pastorelli
Alessio Presta
Carlo Ricca
Stefania Ricca
Loris Ricco
Marcello Ricco
Alfonso Scaglione
Franco Scorza
Giuseppe Spanò
Annamaria Sollazzo
Maurizio Tommaselli
Alessio Carmine Tundis
Luigi Tundis
Andrea Valente
Claudio Vattimo
Ivan Vilardi
Gianluca Vitale
Concettina Zucca

Sequestrata lavanderia di un presunto esponente del clan Muto

DIAMANTE (CS) La Dia di Catanzaro ha sequestrato a Diamante una lavanderia industriale riconducibile ad un presunto esponente della cosca Muto della ‘ndrangheta, Antonio Mandaliti, di 60 anni, ma formalmente intestata alla moglie, Maria Iacovo. Mandaliti é stato arrestato insieme alla moglie nell’ambito dell’operazione “Frontiera”, eseguita nell’estate del 2016 , su direttive della Dda di Catanzaro, contro la cosca Muto. Il decreto con cui é stato disposto il sequestro è stato emesso dal Tribunale di Cosenza sulla base di un’articolata proposta di prevenzione personale e patrimoniale avanzata dal direttore della Dia e basata sull’esito di indagini patrimoniali condotte dagli investigatori della Sezione operativa di Catanzaro e che hanno interessato un arco temporale compreso tra il 1997 ed il 2015. La lavanderia industriale riconducibile a Mandaliti, secondo il decreto di sequestro “appare, per come ipotizzato nel procedimento ‘Frontiera’, come frutto o reimpiego di attività illecita”. (Immagine di repertorio)

 

Operazione antidroga, Fasano: «Legami con il clan Muto»

COSENZA – «Siamo soddisfatti per il lavoro svolto in pochissimo tempo e insieme alla dottoressa Fasano abbiamo raggiunto un buon risultato». Il comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza Ottaviani si è detto soddisfatto dell’operazione condotta dai carabinieri di Scalea e coordinata dalla Procura di Paola, che ha portato al fermo di 25 persone per spaccio di droga nel Tirreno cosentino. Un’indagine che ha evidenziato il ruolo delle donne e anche di una ragazza minorenne. Sono emersi legami familiari con la cosca Muto di Cetraro ma su questo ci sono ancora indagini in corso. Anche il sostituto procuratore Fasano ha voluto rimarcare l’importanza del lavoro svolto. «Parliamo di un’indagine molto complessa e veloce. Lo spaccio riguardava soprattutto hashish e marijuana». L’indagine ha preso il via dall’arresto di una persona che ha portato poi a quattro mesi intensi di indagini. «Abbiamo riscontrato anche un reato di estorsione aggravata ai danni di uno degli indagati che è stata causata dai crediti derivanti dalla cessione dello stupefacente». E’ stato poi evidenziato nel corso della conferenza stampa «un ruolo molto attivo delle donne sia nei compiti di trasporto sia della cessione singola della droga». L’operazione ha infatti portato al fermo di ben sei le donne. Secondo quanto riferito dagli inquirenti, i canali di approvvigionamento erano principalmente il territorio di Cetraro e anche Rosarno ma anche su questo aspetto ci sono indagini in corso. «Il provvedimento di fermo – prosegue la Fasano – è stato necessario per una velocità delle indagini durante le quali è emersa anche la preparazione di un furto a un supermercato che è stato sventato. Ci sono volti noti della criminalità locale e anche nuove leve. E’ emerso l’utilizzo di una ragazza minorenne, di quindici anni, non solo come consumatrice ma utilizzata per trasportare la droga. Al momento il reato rimane traffico di droga. Nell’organizzazione il ruolo attivo delle donne si giustifica con rapporti di parentela tra gli indagati». Lo spaccio avveniva nei locali della movida dell’Alto Tirreno cosentino. Dovranno inoltre essere approfonditi i rapporti con la cosca Muto di Cetraro: «Quello che emerge – conclude la Fasano – sono legami e rapporti di contiguità familiare e il ruolo di Mandaliti che è il referente del clan sul territorio».

‘ndrangheta, sgominato clan Muto. Gratteri: «Si muoveva come una multinazionale»

COSENZA – A finire nei guai anche alcuni amministratori giudiziari ai quali era stata affidata l’Eurofish, una ditta confiscata a seguito di una maxi operazione condotta nel 2006 e che continuava ugualmente a rispondere agli ordini dei capicosca. Alcuni di essi sono noti a Cosenza per aver assunto il controllo della squadra di calcio nel 2003, quando la società silana venne commissariata dalla giustizia. Si tratta di Nicola Giuseppe Bosco e Gennaro Brescia, per i quali i magistrati avevano richiesto anche l’arresto, richiesta respinta dal Gip. Nel complesso dell’operazione, denominata “Frontiera” le manette sono scattate per 58 persone, tutte appartenenti al clan del re del pesce Franco Muto. 400 i militari impiegati per cingere d’assedio l’abitato di Cetraro e consentire l’arresto degli appartenenti al sodalizio criminale. In carcere anche i due figli di Franco Muto, Luigi e Mara. Esercitavano il monopolio sul pescato lungo il Tirreno cosentino, estendendo le proprie articolazioni anche sulle coste lucane e nel Cilento. Riuscivano a controllare ogni singola barca, stabilendo il prezzo di vendita del pesce e procedendo alla piccola e alla grande distribuzione. E chi non si piegava subiva delle ritorsioni, come capitato ad un grande supermercato della catena Conad, incendiato il giorno della inaugurazione. L’inchiesta, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro ed avviata nel 2014, ha consentito di accertare anche legami con la camorra nella gestione dei traffici di sostanze stupefacenti, in particolare di cocaina, che inondavano le località turistiche del Tirreno. La cosca inoltre aveva il monopolio commerciale anche nel settore delle lavanderie industriali cui ristoranti ed attività alberghiere erano obbligate a rivolgersi. I particolari dell’indagine sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa organizzata presso il comando provinciale dei carabinieri di Cosenza, alla quale sono intervenuti il comandante dei Ros Giuseppe Governale, i magistrati Nicola Gratteri, Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto della direzione distrettuale antimafia, il comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza Fabio Ottaviani. Emersa anche l’inerzia delle istituzioni. A Cetraro il comune ha inaugurato dei locali che avrebbero dovuto ospitare l’asta del pesce. Scatole vuote rimaste malinconicamente inattive.«La cosca Muto si muoveva come una multinazionale, diversificava le proprie attività e gli interessi economici per avere il controllo assoluto del territorio, controllava quasi il respiro in questo territorio. Oggi abbiamo colpito i vertici di una delle famiglie più importanti della ‘ndrangheta della famiglia Muto di Cetraro che tra l’altro controllava il pescato di tutte le imbarcazioni che operavano sulla costa cosentina – ha spiegato Gratteri sottolineando che – ordinavano a tutti i pescatori che tipologia di pesce volevano, se non era quello imponevano di buttarlo in mare: controllavano questo pescato che rivendevano alla grande distribuzione e a tutti i ristoratori della fascia tirrenica cosentina». Tra gli indagati anche diversi amministratori giudiziari. «Infedeli, asserviti alle organizzazioni mafiose, perché beni confiscati continuavano a essere gestiti dalla cosca. Per questi amministratori giudiziari abbiamo chiesto misure interdittive, che non sono state accolte ma faremo appello perché queste persone devono andare in carcere – ha aggiunto Gratteri – Ai fini della credibilità dello Stato non è possibile che beni sequestrati alla mafia continuino a essere nella disponibilità dei mafiosi». I magistrati hanno dato esecuzione anche ad un decreto di sequestro preventivo di beni mobili ed immobili per un valore complessivo di 7 milioni di euro. Presente alla conferenza stampa anche il generale del Ros dei carabinieri Giuseppe Governale. Francesco Pirillo lo ha intervistato:

L’inchiesta calabrese si incrocia con quella condotta in Campania sull’omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo, assassinato il 5 settembre 2010. Le indagini infatti, consentivano di accertare la presenza di tentacoli della cosca Muto nell’area del Cilento e nel Vallo di Diano dove Franco e Luigi Muto e Pietro Valente, della cosca di Scalea confederata con i Muto, avevano stretto rapporti con Vito Gallo di Sala Consilina. Inoltre, una parallela attività investigativa avviata dai Carabinieri della Compagnia di Scalea, metteva in rilievo i traffici illeciti di cocaina, hashish e marijuana che il clan Muto gestiva sull’intera costa dell’alto Tirreno cosentino, dove poteva contare su un fiorente mercato legato alla presenza di migliaia di turisti nelle note località estive di villeggiatura, Scalea, Diamante e Praia a Mare. Durante l’inverno il mercato della droga rimaneva comunque attivo poiché i clienti arrivavano anche dalla vicina Basilicata e le dismesse abitazioni estive venivano usate come depositi di stupefacente. Sulla base degli elementi indiziari raccolti, in particolare dai militari della Compagnia di Scalea per i quali Gratteri e Luberto hanno speso parole di elogio per il lavoro effettuato, si delineava l’operatività del sodalizio mafioso facente capo a Francesco Muto, dedito principalmente ad attività di narcotraffico ed al pervasivo sfruttamento delle risorse del territorio di diretta influenza, attraverso una serie di attività fittiziamente intestate a prestanomi mediante le quali assumevano il controllo monopolistico di importanti settori commerciali, il principale dei quali era il settore ittico. Muto, considerato il re del pesce, era già stato condannato per aver avviato un vero e proprio controllo monopolistico dell’offerta e della domanda di pescato nell’alto tirreno cosentino, tramite l’impresa Eurofish intestata al genero Andrea Orsino. La Eurofish era già stata confiscata nel 2006 ma di fatto, è rimasta nella disponibilità dei Muto per come emerso dalle indagini. Secondo i magistrati vi sarebbe stata una documentata connivenza degli amministratori giudiziari, per cui la Eurofish ha continuato ad esercitare l’offerta di pescato in regime di monopolio, garantendosi l’esclusivo conferimento da parte delle flottiglie locali di pescatori e imponendo modalità, tempi e tipologia di prodotti ittici da immettere sul mercato. Sono inoltre emersi i rapporti con la grande e media distribuzione, con i ristoratori e con gli albergatori della riviera settentrionale cosentina, ai quali i prodotti ittici venivano distribuiti e commercializzati in assenza di concorrenza. Il controllo ‘ndranghetistico nel settore è stato ulteriormente assicurato dalla diretta gestione dei punti vendita al dettaglio e dalle imposizioni estorsive agli imprenditori più che si ribellavano al sistema. In questo ambito, Vito Gallo e Pietro Valente, per assicurare ai Muto la gestione della pescheria interna al Centro Commerciale di Sant’Arsenio (SA) e del supermercato di Scalea, entrambi a marchio Conad, mettevano in atto richieste estorsive ed attentati volti a convincere i titolari delle imprese a piegarsi al racket. Inoltre la cosca dei Muto, utilizzando vari congiunti e prestanome, ha avviato diverse rivendite di pesce assicurandosi così una significativa fetta dell’offerta al dettaglio di prodotti ittici, eludendo le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione ed agevolando la consorteria di ‘ndrangheta di appartenenza. Vi era poi un interesse nel settore delle lavanderie industriali. L’attività era gestita da Antonio Mandaliti, elemento di vertice della cosca Muto, ed era fittiziamente intestata alla moglie Maria Iacovo. Forniva le proprie prestazioni ai numerosissimi alberghi, ristoranti, resorts e villaggi turistici nel territorio criminalmente controllato dal sodalizio, imponendo contestualmente l’approvvigionamento di prodotti ittici presso l’impresa dei Muto. Ancora il clan gestiva i servizi di vigilanza e sicurezza dei locali di intrattenimento sulla riviera settentrionale tirrenica, attraverso una serie di fidati imprenditori di settore che hanno assicurato al sodalizio cosiddetto “degli zingari” di Cosenza ed agli stessi Muto, la ripartizione di tali attività, imponendo ai titolari di locali e discoteche il numero di buttafuori ed addetti, nonché il costo delle prestazioni di ciascuno di essi. L’indagine ha inoltre documentato, anche attraverso una serie di mirati interventi repressivi, un’intensa attività di narcotraffico realizzata dagli appartenenti alla cosca Muto principalmente su due piazze di spaccio individuate nei centri di Sala Consilina (SA) e Praia a Mare (CS), sfruttando diversificati canali di approvvigionamento, utilizzati in base al tipo di sostanza commercializzata. Tra i con stampa blitz mutorapporti in essere, vi era quello che legava i Muto al clan camorristico dei Nuvoletta di Marano di Napoli. Per quanto attiene la cocaina, è stato documentato, anche mediante diversi interventi di riscontro e sequestri, come la stessa, una volta approvvigionata, venisse custodita a Cetraro e poi ceduta, in quantitativi variabili, ai vari rappresentanti di zona, operativi nella gestione di singole piazze di spaccio. Sono stati inoltre accertati, soprattutto nella stagione estiva, gli interessi della cosca Muto anche per la coltivazione di canapa indiana sugli estesi contrafforti appenninici dei comuni interni della provincia settentrionale tirrenica cosentina. Nell’estate del 2015 veniva infatti localizzato un significativo appezzamento di terreno coltivato con canapa indiana, nel comprensorio del comune di Buonvicino (CS) e nella mattinata del 29 settembre 2015 venivano tratti in arresto 3 soggetti che si erano recati a mietere il raccolto, successivamente quantificato in complessive 336 piante con la massima percentuale di principio attivo. Nel corso della perquisizione, all’interno di un manufatto, venivano rinvenute e sequestrate numerose armi e munizioni, tra le quali un fucile a canne mozze, cinque pistole (tutte armi con matricola abrasa), un pugnale da caccia, 4 ordigni artigianali, esplosivo da cava e miccia detonante. La centralità della cosca di Cetraro nel mercato dello stupefacente dell’alto Tirreno è stato confermata, come già detto, da pregresse indagini della Compagnia di Scalea. Le attività investigative hanno infine consentito di individuare anche un gruppo di fuoco dedito alle rapine presso uffici postali ed istituti di credito del territorio controllato dalla cosca Muto, documentando finanche le fasi precedenti ad uno di questi assalti, programmato presso l’Ufficio Postale di Sangineto. Il 4 giugno 2015, nell’imminenza della rapina, le forze dell’ordine procedevano ad un intervento preventivo che consentiva l’arresto in flagranza di 7 rapinatori ed il sequestro di armi con matricola abrasa complete di munizionamento, giubbetti antiproiettile, indumenti per il travisamento, materiali da sfondamento e 2 autovetture di provenienza furtiva. Questo l’elenco completo degli arrestati: Antonio Abbruzzese, Carlo Antonuccio, Gianluca Arlia, Pierpaolo Bilotta, Agostino Bufanio, Giulio Caccamo, Giuseppe Calabria, Pietro Calabria, Vincenzo Campagna, Giuseppe Candente, Gino Caroprese, Enzo Casale, Angelo Casella, Simone Chiappetta, Fedele Cipolla, Franco Cipolla, Alessandro De Pasquale Gianfranco Di Santo, Giuseppe Natale Esposito, Gaetano Favaro, Giuseppe Fiore, Pier Matteo Forestiero, Amedeo Fullin, Antonietta Galliano, Cono Gallo, Vito Gallo, Agostino Iacopo, Maria Iacovo, Simone Iannotti, Emanuel La Scaleia, Guido Maccari, Alessandra Magnelli, Filippo Martelliani, Francesco Muto, Luigi Muto, Mary Muto, Carmine Occhiuzzi, Luca Occhiuzzi, Andrea Orsino, Alfredo Palermo, Valentino Palermo, Sara Passariello, Antonio Pignataro, Sabrina Silvana Raimondo, Maurizio Rango, Vittorio Reale, Andrea Ricci, Francesco Giuseppe Riente, Simona Maria Assunta Russo, Luigi Sarmiento, Giuseppe Scornaienchi, Salvatore Sinicropi, Mariangela Tommaselli, Eupremio Rocco Trazza, Alexander Tufo, Pietro Valente e Fabrizio Vitale. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal gip Distrettuale del tribunale di Catanzaro, Giovanna Gioia. Gli arrestati sono accusati a vario di titolo di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, estorsione e rapina.

Pier Paolo Bilotta
Pier Paolo Bilotta
Alexander Tufo
Alexander Tufo
Francesco Giuseppe Riente
Francesco Giuseppe Riente
Andrea Ricci
Andrea Ricci
Vittorio Reale
Vittorio Reale
Filippo Matellicani
Filippo Matellicani
Emanuel La Scaleia
Emanuel La Scaleia
Amedeo Fullin
Amedeo Fullin
Gino Caroprese
Gino Caroprese
Vincenzo Campagna
Vincenzo Campagna

‘ndrangheta, operazione del Ros contro clan Muto. Sono 58 gli arresti

CETRARO (CS) – I carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza stanno eseguendo, nelle province di Cosenza e Salerno ed in altre località del territorio nazionale, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa su richiesta della DDA di Catanzaro, nei confronti di 58 persone, indagate tra l’altro per associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, estorsione e rapina. Al centro delle indagini c’è una delle più pericolose e violente cosche della ‘ndrangheta, con a capo Francesco Muto di Cetraro detto il “re del pesce”, che ha monopolizzato per oltre 30 anni le risorse economiche del territorio, occupandosi della commercializzazione di prodotti ittici, di servizi di lavanderia industriale nelle strutture alberghiere e della vigilanza a favore dei locali d’intrattenimento della fascia tirrenica cosentina e del basso cilento, area a forte vocazione turistica. Le indagini hanno documentato un importante traffico di stupefacenti che, sotto il controllo del clan, inondava di cocaina, hashish e marijuana le principali località balneari della costa tirrenica calabrese. Sequestrati beni per circa 7 milioni di euro. I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà, alle ore 11, presso la sede del comando provinciale dei carabinieri di Cosenza alla presenza del procuratore capo della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri.