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“Il Canto dei Cantici” mostra di Maurizio Romani

La sensualità dello spirito e la bellezza della carne si incontrano nella mostra del maestro Maurizio Romani, “Il Cantico dei Cantici”, che sarà inaugurata mercoledì alle 17, con la benedizione del Vescovo, presso la sala “Mario Donato” della chiesa “Sacra Famiglia” di Andreotta di Castrolibero, alle porte di Cosenza.

La mostra è organizzata dal “Centro Studi e Ricerca delle Arti Gianfranco Labrosciano”, con la collaborazione dell’Associazione Milleventi e il patrocinio del Comune di Castrolibero, che si è impegnato nel supportare l’organizzazione dell’evento culturale. Sarà un momento di grandissimo fervore spirituale, artistico e letterario, su un tema, quello del Cantico dei cantici, che sarà dibattuto da importanti figure che ne hanno studiato la profondità di pensiero e di fede.

Mercoledì 19, alle ore 17, il critico Gianfranco Labrosciano inaugurerà la mostra alla presenza del Sindaco di Castrolibero, Orlandino Greco, e di quella del Vescovo don Salvatore Nunnari. Durante la cerimonia saranno ospiti  il biblista Don Michele Fortino, che si concentrerà sull’esegesi dell’opera sul piano religioso, e il professor Flavio Nimpo, che offrirà delucidazioni dell’opera dal punto di vista letterario.
La mostra sarà visitabile fino al 29 dicembre e culminerà, il 10 gennaio, in un grande evento culturale e fideistico con una conferenza incentrata sul “Cantico dei Cantici”, alla presenza del sindaco di Castrolibero Orlandino Greco. Ospite d’eccezione, oltre all’artista Maurizio Romani, sarà il biblista e membro del Presbiterio della Patriarcale Basilica Vaticana, don Ennio Innocenzi, che fu grande amico personale del compianto Papa Giovanni Paolo II. Per l’occasione, il Dance Studio “Mirella Castriota” offrirà una interpretazione di danza del Cantico dei Cantici. Modererà il giornalista del quotidiano Gazzetta del Sud Carlo Minervini.

La nudità… la nostra identità!

Cosenza – La Mujer Invisible, ultimo spettacolo del progetto Isole in Rete, è stato messo in scena, ieri pomeriggio, al Teatro dell’Acquario che, in questo mese, ha visto tra le sue quinte e il suo palco un susseguirsi di attori e ballerini con produzioni allettanti ed innovative. Con la compagnia Provisional Danza di Madrid si chiude così il cerchio e si pone fine alla complessa, tortuosa e spinosa ricerca dell’identità, della propria essenza, del proprio io. Uno spettacolo intenso fatto di corpi, parole e musiche; corpi che volteggiano, si muovono all’unisono e poi si scorporano, corpi che si inseguono, si sfiorano, si cercano mettendo in scena amori, affetti, relazioni fatte di presenze e spesso anche di molte assenze impreviste, dolorose e, a volte, necessarie.

Una compagnia che ha fatto della semplicità e del sentimento il proprio stile di ballo e di vita; quattro uomini e tre donne hanno calcato le “tavole” del teatro con l’intenzione di mettere da parte tecnica e virtuosismi e lasciare ampio spazio all’anima, al sentimento, al cuore di chi, con il solo ausilio del proprio corpo, riesce a comunicare la propria identità; un’identità piena, chiara e cristallina come l’acqua pura ed incontaminata che sgorga dalla sorgente.

I ballerini hanno deciso di mettersi a nudo e mostrare la propria pelle, il proprio corpo; un nudo non proprio metaforico perché il corpo di ballo ha deciso realmente di abbandonare, in diversi momenti della coreografia, le proprie gonne, le proprie maglie, i propri pantaloni e mettere in evidenza i propri corpi longilinei e vigorosi; un nudo mai volgare, mai osceno perché abbellito dai movimenti leggeri, docili e soavi del corpo. Si è detto no agli abiti diventati ormai involucri di pelle artificiale atti a contenere le proprie insicurezze, i propri difetti, il proprio illusorio moralismo, la propria falsa castità che in privato si trasforma in immorale oscenità; è arrivata l’ora di spogliarsi, di mostrare realmente sé stessi, di tornare nel giardino dell’Eden perché nudi siamo nati e nudi ritorneremo. Bisogna dunque mostrare la rosea pelle è questo il nostro involucro naturale, il nostro abito da sera, da giorno, il nostro abito preferito; è il nostro corpo, con le sue miriadi di peculiarità e di difetti, che definisce la nostra identità.

Termina così un viaggio fatto di spettacoli e compagnie diverse; quattro produzioni e quattro differenti modi di approcciarsi al pubblico, all’arte, alla tematica dell’identità; quattro viaggi dissimili ma mai banali o scontati, quattro diverse letture del nostro essere o, forse, del nostro non essere più.
“È così che si conclude” – afferma il direttore artistico del Teatro dell’Acquario Antonello Antonante – “un’esperienza molto forte per noi e spero e penso anche per gli spettatori. Vi do appuntamento al prossimo anno con un nuovo progetto che vedrà coinvolte 12 città europee. Vi ringrazio molto per la vostra presenza e per il vostro sostegno”

Annabella Muraca

Convegno per presentare un Corso di Formazione Professionale per “Esperto in Bachi sericoltura”

Cosenza – La produzione della seta: “ Il fascino di un luogo e la riscoperta di una tradizione attraverso un progetto di formazione e l’inserimento lavorativo per Filandaie”, è il tema del Convegno che si terrà martedì 18 dicembre, alle ore 10.00, nel Salone degli Specchi, in Piazza XV Marzo a Cosenza.
L’obiettivo del corso è quello di rispondere al bisogno di formazione e di orientamento su tematiche legate al recupero di antiche tradizioni. I destinatari dell’intervento saranno 15 donne disoccupate o inoccupate in possesso almeno del titolo di studio di licenza scuola media inferiore.

Introduce e coordina l’Assessore Provinciale alla Formazione Professionale e Mercato del Lavoro Giuseppe Giudiceandrea. Intervengono: il Dirigente Provinciale del Settore Formazione Professionale Gaetano Pignanelli, il Docente Unical e Direttore del Museo della Seta “F. Gaudio” di Mendicino Giovanni Sole, il Docente e Ricercatore Tessile del Centro di Formazione Professionale di Rossano Pasquale Filippelli (nativo di Bocchigliero e residente a Mirto Crosia), l’Assessore alla Cultura del Comune di Mendicino Francesca Reda e l’Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Mendicino Daniele Pescatore. Concludono: il Sindaco di Mendicino Ugo Piscitelli e il Presidente della Provincia di Cosenza Gerardo Mario Oliverio. L’evento si inserisce nell’ambito di una Convenzione stipulata tra la Provincia di Cosenza ed il Comune di Mendicino, riguardante la progettazione di un Corso di Formazione Professionale per “Esperto in Bachi sericoltura” e la considerazione che nel borgo pedemontano di Mendicino è stato istituito un museo d’archeologia industriale in cui sono state recuperate antiche filande, documenti, usi e tradizioni della sericoltura domestica che fino al secolo scorso era diffusa in tutta la Calabria. L’antica filanda “Gaudio”,inoltre, una tra le più caratteristiche e incantevoli d’Italia,  in discreto stato di conservazione, per volontà dell’Amministrazione Comunale di Mendicino e la consulenza del  Perito Tessile Pasquale Filippelli, si sta pensando di ristrutturarla e renderla funzionante esattamente com’era  nel passato e darla in gestione alle future “Filandaie”. Il Museo/Laboratorio della Seta intende diffondere un patrimonio plurisecolare di pratiche e conoscenze, con l’ambizione di tessere un’economia cittadina ecocompatibile finalizzata al benessere della comunità.

Abatemarco : riduzione fornitura idrica per blocco impianto di sollevamento

Cosenza – Una riduzione della fornitura idropotabile, assicurata dall’Acquedotto Abatemarco, si sta verificando in quasi tutta la città, a causa di un blocco di alcune pompe dell’impianto di sollevamento “Nascejume”, verificatosi a causa delle avverse condizioni atmosferiche.

Lo ha comunicato al Comune la Sorical precisando che “sono in corso le manovre di riavvio dell’impianto e che, una volta concluse, sarà ripristinata l’ordinaria fornitura.”

 

 

Buone Feste Cosentine: due giorni dedicati ai bambini

Sempre più vario il programma di attività che l’Amministrazione comunale, nell’ambito del “Buone Feste Cosentine”, dedica ai bambini che, quest’anno, hanno un ‘Villaggio’ loro dedicato in piazza dei Bruzi.

Gli animatori dell’Associazione Piccole Stelle propongono per il pomeriggio di martedì 18 dicembre, dalle ore 15 alle 19, un laboratorio che insegna ai bambini come costruire “I giochi di una volta” per scoprire poi come si divertivano i nonni, magari giocando proprio con loro.

Mercoledì 19 dicembre, sempre nella fascia pomeridiana, doppia animazione: un divertente ventriloquo e il “Truccabimbi”. Un’animatrice ‘trasformerà’, con materiali assolutamente innocui, il volto dei bambini con un abile trucco creativo.

 

Gli eventi natalizi della Fondazione Casa S. Francesco d’Assisi

 Mercoledì 19 dicembre alle ore 12.30, con il tradizionale  Pranzo di Natale, benedetto dal P. Arcivescovo S. E. Rev.ma Mons. S. Nunnari, alla presenza delle numerose autorità civili e militari, la Fondazione Casa S. Francesco d’Assisi dei Frati Cappuccini di Cosenza aprirà il cartellone degli eventi organizzati in occasione delle Festività Natalizie.

Gli appuntamenti proseguiranno il giorno successivo, 20 dicembre alle ore 09.30 presso il Cineteatro Morelli, con uno spettacolo realizzato dai bambini delle scuole elementari cittadine dal titolo  “E’ Natale! Dio svela all’uomo il segreto della povertà per fargli dono della vera ricchezza”.

Venerdì 21 dicembre a partire dalle ore 18.00 la  Casa S. Francesco ospiterà per un’allegra Tombolata con degustazione dei “cuddruriaddri”caldi, i membri del gruppo facebook “Il senso del tempo. Il valore di un posto. Cosenza”.

 Sabato 22 dicembre alle ore 19.30, verrà preparata e condivisa una Cena augurale con i  rom presenti in città.

 Il giorno di Natale alle ore 12.30 tutti gli ospiti della Mensa di Casa S. Francesco e chiunque vorrà unirsi a loro, parteciperanno al “Pranzo della Festa” che sarà preparato e servito dagli allievi e docenti dell’Istituto Professionale Alberghiero “P. Mancini” di Cosenza.

Nelle giornate dal 20 al 23 dicembre, presso l’ipermercato Interspar Due Fiumi, sarà realizzata una raccolta alimentare per la Mensa della Carità di Casa S. Francesco dal titolo “Metti un po’ di carità nella tua spesa”. L’iniziativa sarà condivisa e allietata dagli allievi dell’Istituto comprensivo di Rovito e dalla loro orchestra musicale.

 

“Amo la vita Storia di un malato di Sla” di Giacomo Guglielmelli: esistere e non sopravvivere

COSENZA – Una sala gremita ieri, presso la sede dell’Ordine provinciale dei Medici chirurghi e Odontoiatri nel centro di Cosenza, ha accolto l’invito degli organizzatori della manifestazione “Anatomia di un evento: segni e storie del Natale”, in occasione della quale si è tenuta nel pomeriggio la presentazione del libro “Amo la vita Storia di un malato di Sla” (Comet Editor Press, 2012).

Il libro, scritto da Giacomo Guglielmelli poeta e scrittore , nasce dall’incontro dello stesso con Cristian Filice, giovane 37enne che da quattro anni convive con la diagnosi della Sclerosi Laterale Amiotrofica, lungo una testimonianza che colpisce ed emoziona, ma soprattutto fa riflettere sul valore e le priorità che spesso nella quotidianità (non) si danno alle cose.

Il libro infatti, racconta la storia di Cristian e – riprendendo le parole della dott.ssa Agata Mollica che ha moderato gli interventi della presentazione –  il “superamento della dimensione della malattia verso l’apertura al mondo”.

Oltre la dott.ssa Mollica, erano presenti al dibattito, l’autore del libro, Don Giacomo Panizza che ne ha scritto la prefazione, il presidente dell’Ordine dei Medici Eugenio Corcioni e lo stesso Cristian Filice.

Ad introdurre l’incontro, una scena tratta dal celebre film “Natale in casa Cupiello”, interpretato da Eduardo De Filippo, a richiamare le ragioni dell’evento che ha ospitato la presentazione, ovvero la volontà dell’ordine di celebrare il Natale con una manifestazione che, attorno al senso della natività e del presepe, innescasse delle riflessioni sul cambiamento del modo di “vivere” questo periodo dell’anno.

Il presepe, la famiglia, l’intimo degli affetti che spesso indispensabile per affrontare le difficoltà; cui nel caso di Cristian, protagonista del libro, si sono uniti a una rete di relazioni affettive esterne al nucleo famigliare rivelatisi indispensabili per affrontare la quotidianità con addosso il fardello di una malattia invalidante. In questa rete di affetti rientra proprio lo stesso autore del libro, Giacomo Guglielmelli che offre il proprio supporto a Cristian da diverso tempo e che, con il libro, ha deciso di dare un ulteriore input a questo suo “ruolo” donando– come ha dichiarato lo stesso autore – “voce a chi voce non può avere, in modo che l’esperienza narrata accomuni e coinvolga anche chi non la vive in prima persona”. Quello dell’autore è un vero e proprio invito a “condividere e rivolgersi al prossimo”, indipendentemente dalle proprie credenze religiose.

L’esperienza della condivisione e del racconto come accrescimento personale e apertura verso l’esterno, è stato il concetto ripreso anche nell’intervento di Don Giacomo Panizza, personalità celebre per il suo impegno sociale in Calabria da circa quarant’anni. “Per vivere appieno le esperienze è necessario sapere darvi un nome, saperle raccontare, dunque sapere leggere e scrivere”, per questo è necessaria la massima apertura e il massimo sostegno affinché anche chi “non sa di saper leggere le cose belle della vita” ne divenga capace.

Don Giacomo ha sottolineato come spesso si tenda a dare tutto per scontato, senza porsi troppe domande su ciò che si ha intorno, sul senso delle cose, sul senso della vita; chi soffre una malattia da questa prospettiva possiede una marcia in più, perché supera la barriera del “consueto” e “coglie il da farsi senza poterlo fare”. E’ qui, nel modo in cui si affronta il quotidiano, che risiede la sottile differenza tra vivere e sopravvivere; riprendendo le parole del sacerdote: “esiste una logica dell’esistere, diversa da quella del sopravvivere: e questo è nel libro, l’esistenza e non il sopravvivere. La malattia fa vedere cose diverse, realtà diverse; aiuta a focalizzare non su quanto tempo si ha nella vita, ma su quanta vita c’è nel tempo che abbiamo”.

A concludere la presentazione, la testimonianza del protagonista del libro, portavoce del messaggio in esso veicolato, di cui è saltata subito all’occhio la tenacia e la determinazione nel combattere la malattia, ma anche il pregiudizio e l’indifferenza che purtroppo spesso si manifesta anche a livello istituzionale, con una società che non è in grado di tutelare chi per forza di cose non può condurre una vita “normale”.

“La malattia è la prigione del mio corpo, ma io non mi rassegno, voglio vivere, amo la vita”.Queste le parole di Cristian che ha poi proseguito: “spesso comprendiamo il valore delle cose nel momento in cui stiamo per perderle, quando invece sarebbe sufficiente viverle giorno per giorno; in questo senso la Sla mi ha consentito di andare oltre, di non dare le cose per scontare e capire che nella vita ci sono dei doni, il primo fra tutti la famiglia”. Il ruolo della famiglia e degli affetti che è fondamentale, e che acquista ancor di più un valore se rapportato a chi è affetto da patologie pervasive.

Un messaggio forte ed importante quello trasmesso ieri nel corso dell’incontro che è stato accolto in maniera particolarmente partecipata dai presenti nel pubblico, tra cui è importante citare Maurizio Casaddio, presidente dell’AISLA/RC, il quale, tra l’altro, ha contribuito alla stesura del libro con la propria testimonianza dal punto di vista del malato.

 

Giovanna Maria Russo

Al Rendano la Locandiera di Goldoni: il successo di Nancy Brilli

È un esordio brillante quello della stagione di prosa cosentina. Sabato 15 dicembre il Rendano ha ospitato La Locandiera di Goldoni, diretta da Giuseppe Marini che, per la prima volta alle prese con l’opera goldoniana, ne firma la regia e accoglie anche il consenso della città bruzia, unica tappa calabrese della tournée. La scenografia di Alessandro Chiti fa la differenza e salta subito all’occhio. La “trovata” dei pannelli girevoli, rigorosamente bianchi sullo sfondo nero, consente un fluire costante degli ambienti che, di fatto, variano solo sensibilmente sulla base di una scena fissa. L’attualità dell’opera è vivacizzata anche dai costumi disegnati da Nicoletta Ercole: fedeli all’epoca di Goldoni eppure vicini ai vezzi contemporanei. L’incedere è costante, ma privo di ansie. Nancy Brilli, nei panni di Mirandolina dopo otto anni di assenza dalle scene, incarna fedelmente, con le dovute modulazioni del caso, quella modernità concepita dal librettista veneziano. È una donna strategica e narcisista che gode dell’ammirazione maschile e non può farne a meno. È cinica, calcolatrice e si compiace del corteggiamento “utile” e insistente del Marchese di Forlipopoli e del Conte di Albafiorita. Il primo (interpretato da un Fabio Bussotti che piace particolarmente) cerca di conquistarla con l’altisonanza di parole e maniere “ridicole” tra finta protezione e tirchieria che imprimono all’opera la vena più comica. Il secondo, invece, (che sulla scena è Maximilian Nisi), punta tutto sullo sperpero ostentato: cosparge la locandiera di doni preziosissimi ai quali lei, ovviamente, non si sottrae. L’equilibrio viene spezzato dall’arrivo del Cavaliere di Ripafratta. La misoginia del Cavaliere (Claudio Castrogiovanni) stuzzica l’orgoglio della locandiera che non accetta l’indifferenza e i modi rustici di un uomo che non ha mai amato una donna. «Tutto il mio piacere consiste nel vedermi servita, vagheggiata, adorata» ammette la donna che ancora una volta escogita e colpisce. Si insinua nella debolezza del tenebroso, si fa complice di lui nella “crociata” verso la libertà priva di legami. E il Cavaliere abbocca. Ma una volta appagata la fame di vanità, Mirandolina “soffre” i suoi stessi inganni: la locanda si scalda con uno scontro tra uomini innamorati e una donna astuta che li dirige abilmente. L’ingannevole groviglio si sbroglia, solo formalmente, con una promessa: per proteggere se stessa e i propri affari, alla fine la donna concede la mano a Fabrizio (Andrea Paolotti) il cameriere sempre presente, gelosissimo e tormentato. La borghesia avanza, la nobiltà decade, ma la decisione è amara: la locandiera, in fondo, non sarà sposa per amore e la guerra tra i sessi non ha vinti né vincitori.

 

Beatrice Anna Perrotta

 

Alla ricerca del confine

COSENZA – In quello spazio dimezzato da un’intangibile ma netta linea che divide e fonde il cielo con il mare si va ad insinuare lo sguardo attento e analitico di Antonio Armentano che con le sue foto restituisce perfettamente le coordinate del confine, quello più estremo, l’orizzonte.

Da sempre emblema della separazione, del limite sul quale sorge e tramonta il sole ma dalla simbologia ambivalente, il suo essere impercettibile e lontanissimo produce l’illusione dell’infinito e al tempo stesso rappresenta la vicinanza, la sovrapposizione o addirittura la coincidenza tra aria e acqua.

Le foto di Armentano parlano da sole, agiscono all’interno di una dimensione che è un continuo oltrepassamento, si muovono nel visibile ma mostrano ciò che più di impercettibile esista, il suo occhio indaga sulla profondità del mistero cercando di arrivare al confine per immortalarne la sua sconfinata bellezza .

Ma nei suoi scatti c’è anche dell’altro, ci sono storie che parlano di nuvole sempre in viaggio, di terre diverse, di venti che indicano la direzione, storie che raccontano di ciò che si può arrivare a vedere e di ciò che sfugge alla nostra vista, che raccontano quel posto dove il cielo e il mare cominciano a parlare senza interruzione e il mondo finisce.

Vedere questi scatti è un’occasione per rallentare e fermarsi a guardare verso l’orizzonte, lasciare che lo sguardo si perda nell’infinito dei riflessi che salgono dal mare, specchiarsi in quelle luci, abbandonarsi all’oltre senza difendere più i confini, senza avere necessariamente una terra su cui approdare. Un modo per bloccare il tempo e rimanere fermi in equilibrio tra cielo e mare, immobili nella contemplazione, sospesi.

La mostra “Confini di mare” di Antonio Armentano è stata inaugurata ieri pomeriggio nella galleria d’arte L’Impronta e rimarrà esposta fino all’11 gennaio.

Gaia Santolla

 

Presentato il libro in ricordo di Lea Garofalo: quando il “coraggio di dire no” non basta

COSENZA – Si è tenuta ieri presso la libreria Ubik di Cosenza, la presentazione del libro “Il coraggio di dire no. Lea Garofalo la donna che sfidò la ‘ndrangheta” dedicato alla storia di Lea Garofalo – vittima della ritorsione dell’ex compagno, pregiudicato appartenente a una cosca del crotonese – scritto dal giornalista Paolo De Chiara e pubblicato dalla Falco editore. Presenti al dibattito, moderato dal direttore responsabile del Quotidiano della Calabria Emanuele Giacoia, l’on. Angela Napoli componente Commissione Antimafia, Paolo Pollichieni direttore del Corriere di Calabria, l’editore Michele Falco e l’autore.

A circa un mese dal ritrovamento dei resti della giovane donna – che inizialmente si era pensato fosse stata sciolta nell’acido – sparita nel 2009 nel milanese dove si rifugiava per scampare ai suoi persecutori, esce questo libro che, nel ripercorrere le tappe della tragica vicenda, racconta lo spaccato di una società, spesso “impotente” o talvolta “distratta” dalla burocrazia, a tal punto da non essere in grado di tutelare una donna perseguitata, solo perché si era opposta all’ambiente malavitoso, cui pure “apparteneva” sin dalla nascita.

Questa l’unica colpa di Lea: l’essere nata in un contesto distorto e governato da logiche al di sopra della sua tolleranza; l’aver amato e poi rinnegato l’uomo sbagliato. Seppure il colpevole della scomparsa di Lea non sia esclusivamente l’esecutore materiale del delitto, ma tutto un gioco di forze di cui la donna si è ritrovata ad essere pedina. Perché Lea, perseguitata, è stata anche abbandonata; e non solo dalla sua stessa famiglia, ma l’abbandono più pesante che la donna ha subito è quello dello Stato.

E’ su questo doloroso aspetto che si sono concentrati gli interventi della presentazione, a cominciare da quello dell’on. Angela Napoli: “si parla troppo di legalità e antimafia, ma la vera lotta all’illegale non esiste; esiste invece una ‘zona grigia’, linfa vitale offerta alla ‘ndrangheta che si serve di essa”; questo per dire, riprendendo le parole della Napoli, che responsabile della morte della donna è in primis lo Stato, che non è stato in grado di tutelarla. Una vera e propria condizione di abbandono che si è incarnata nell’erroneo “status” conferito a Lea la quale, seppure non fosse direttamente coinvolta in nessun reato, è stata sempre considerata una collaboratrice di giustizia anziché una testimone. Questo ha comportato un diverso trattamento della sua causa, nonché un rilevante contraccolpo psicologico che subisce colui che è costretto a nascondersi di continuo cambiando vita e abitudini; condizione che per Lea è divenuta insostenibile al punto da decidere (dopo 7 anni di protezione provvisoria) di abbandonare il programma di protezione, andando incontro alla morte.

E ancora con le parole dell’on. Napoli, che segue da vicino vicende consimili a quella di Lea, “lo stato non può abbandonare colui che rifiuta lo status di collaboratore di giustizia, lavandosene le mani. Il testimone è una risorsa e la sicurezza gli dev’essere garantita a vita”.

A seguire l’intervento del giornalista Paolo Pollochieni, che aprendo sul libro ne ha sottolineato la puntualità e “cattiveria” che conducono il lettore ‘oltre’ la cronaca dei fatti: “negli ultimi tempi, si è passati dalla politica del negazionismo, alla massima popolarità della ‘ndrangheta, sino al rischio di veicolare informazioni sbagliate: non è il caso del libro di De Chiara; in esso emerge, al di là dell’inchiesta sulla storia della Garofalo, l’approccio ‘incostante e dilettantistico’ delle istituzioni, troppo spesso non in grado di insinuarsi nelle meccaniche malavitose e di far luce nella cosiddetta ‘zona grigia’”. Il direttore ha poi proseguito: “quella di Lea era una battaglia persa. Ma a perdere non è stata solo Lea, ma noi tutti e con noi le stesse istituzioni, inadeguate a seguire la vicenda. E’ questo il vero dramma”.

“E’ necessario denunciare questa condizione, sensibilizzare la società stessa, raccontare ciò che gli altri non raccontano, seppure con difficoltà”. Questa la testimonianza dell’editore Michele Falco, che ha preso la parola subito dopo Pollichieni: “parlando delle vicende come quella che ha coinvolto Lea, spesso emerge un disagio, che è quello di chi non si sente in grado di cambiare le cose: disagio che però, non sarà mai rassegnazione”.

Subito dopo la parola è passata brevemente al giovane nipote di Lea Garofalo, Rosario Garofalo che nel ringraziare i presenti per l’attenzione conferita alla vicenda, ha brevemente “raccontato” Lea dal di dentro dell’ambiente familiare.

A concludere gli interventi l’autore, Paolo De Chiara che, nel ripercorrere alcune tappe salienti dell’inchiesta racchiusa nel suo libro, ha rimarcato sulle responsabilità e le “colpe” delle istituzioni e della magistratura che non sono riusciti a “prelevare” Lea da un ambiente insano, permeato dalla ‘ndrangheta e che l’ha condotta alla morte a soli 35 anni.

La presentazione si è conclusa con l’esibizione della cantautrice calabrese Francesca Prestia che ha cantato “La Ballata di Lea”, pezzo con il quale aveva vinto, nel corso della scorsa edizione di “Musica contro le mafie” il premio Menzione Speciale.

 

Giovanna Maria Russo