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Rende, la nuova vita del Cinema Santa Chiara. Proiezione del film “Queen of the desert”

RENDE (CS) – L’associazione Cineforum Falso Movimento per il Cinema Santa Chiara di Rende, insieme all’assessorato al centro storico, propone per il prossimo 19 luglio a partire dalle 21 la proiezone del film “Queen of the desert” di Werner Herzog. Il lungometraggio, presentato alla Berlinale 2015, racconta la storia di Gertrude Bell che nei primi del Novecento esplorò impavida la parti più remote e pericolose del Medio Oriente. Si tratta di una pellicola sui confini, quelli politico-geografici, quelli tra norme sociale ed etichette, e quelli tra generi cinematografici, che Herzog mescola sapientemente.
«Un film per questo primo incontro tra Cineforum Falso Movimento e l’Assessorato al Centro Storico del Comune di Rende, per abbattere quei confini al di là o al di qua dei quali non ci è mai piaciuto né mai ci piacerà stare», ha affermato Giuseppe Scarpelli, cui ha fatto eco l’assessore Marina Pasqua: «È quella di Falso Movimento una delle realtà associative che con passione da anni si spende per la diffusione della settima arte. La vocazione del Santa Chiara è la stessa: cerchiamo di incentivare percorsi che valorizzino scelte di qualità nel panorama cinematografico locale, nazionale ed internazionale. Il nostro è uno dei pochissimi cinema comunali presenti sul territorio nazionale: la sua salvaguardia va preservata con iniziative come questa».

Falso Movimento: Ombre Sonore #5: Violeta se fue a los cielos di Andrés Wood

Martedì 26 alle ore 20.30, presso il teatro comunale di Rovito, verrà proiettato il film inedito in Italia Violeta se fue a los cielos di Andrés Wood.

Violeta Parra (1917-1967) era una musicista, cantante, pittrice, scultrice e poetessa cilena. E una donna moderna e indipendente. Eppure legata alla propria terra d’origine da un amore profondo ed assoluto. Nel corso della sua esistenza, contrassegnata da successi insperati ma anche da tanti dispiaceri, Violeta non ha mai smesso di cercare il suono della tradizione, quello che emana spontaneamente dall’anima di un popolo. Avrebbe buttato all’aria tutti i suoi straordinari talenti pur di poter stare in mezzo alla gente: quella da cui, fino all’ultimo, ha voluto attingere la straziante voce del dolore. Violeta aveva avuto un’infanzia infelice, segnata dalle intemperanze del padre, che era maestro di scuola ed amava la musica, però era un forte bevitore. Alla sua morte, gli averi della famiglia erano andati in fumo, e Violeta aveva potuto ereditare soltanto una vecchia chitarra scordata. Pur non avendo mai ricevuto una vera educazione musicale, da ragazzina aveva iniziato ad esibirsi per strada e nei locali per contribuire al sostentamento dei suoi numerosi fratelli. Poi, improvvisamente, il mondo si accorge di lei. Viene invitata a cantare in Polonia e le sue opere grafiche, realizzate con tecniche che spaziano dalla pittura al ricamo, vengono esposte al Museo del Louvre, nella sezione dedicata alle arti decorative. Tornata in patria, fonda, nei pressi di Santiago, un circolo culturale destinato ad ospitare complessi folcloristici della regione andina, ricevendo, almeno inizialmente, una risposta positiva da parte del pubblico. Nel frattempo, però, la sua vita privata procede tra mille traversie: le muore un figlio appena nato, i suoi due matrimoni falliscono, intraprende una relazione con un antropologo svizzero, molto più giovane di lei, che presto la abbandona. Violeta, ciò malgrado, continua a scrivere, dipingere, comporre, seguendo il respiro affannoso del tempo che passa, togliendole progressivamente le forze e la fiducia nel futuro. Finisce per sentirsi dimenticata da quella gente che tanto amava, e, dopo aver lanciato, con le sue ultime melodie, un potente grido di disperazione, decide di porre fine ai suoi giorni. Il film riproduce il ritmo danzante di un’inquietudine che imita il verso della natura per diventare armonia. Da bambina Violeta aveva imparato dal padre a fischiare come fanno gli uccelli, e la suggestione di quella musicalità primitiva, eppure così toccante, l’aveva convinta che l’espressione più autentica del sentimento non può essere filtrata dalla disciplina, perché deve essere lasciata libera di sgorgare dall’intimo, senza sottostare ad alcuna prescrizione. Sedetevi al piano e distruggete la metrica. Gridate invece di cantare. Soffiate nella chitarra e pizzicate la tromba. Odiate la matematica ed amate il turbine. La creatività è un uccello senza piano di volo, che non volerà mai in linea retta. Queste sono le esortazioni che Violeta rivolgeva ai giovani artisti. Il regista Andrés Wood dà, a quella viscerale vocazione al caos, la forma di una femminilità selvatica, forgiata dal vento e dalla polvere, ed avvolta in una ricercata eleganza di stracci e capelli arruffati.
Una figura fatta per interpretare l’arioso fruscio del ricordo, che si fa bellezza ma racchiude il suono del pianto. Le sue canzoni ripetono l’eco mai spenta di una sofferenza universale, eternata dal male della povertà, e causata dalle ingiustizie perpetrate dai potenti. In Violeta, la tristezza urla, perché nasce dalla ferocia: quella con cui, in uno dei suoi brani più celebri, il gavilán, lo sparviero, attacca e divora una gallina, mentre questa tenta in ogni modo di sottrarsi al suo becco ed ai suoi artigli. È il pensiero marxista applicato al destino, alla natura, alla vita in quanto tale: ed è visto dalla prospettiva di una donna ribelle e combattiva, che ha sempre lottato disperatamente, ed alla quale, ciononostante, è stato tolto tutto. Violeta se fue a los cielos è la storia di una volontà inflessibile, che non ha mai rinunciato al diritto di scegliere la propria strada, anche a costo di violare apertamente le logiche del mondo. Ben sapendo che, se la gioia è una breve illusione, e la felicità è impossibile, l’onestà con se stessi e la fede nella propria unicità sono principi sempre validi: forse non bastano a riempire la solitudine, ma aiutano a dare comunque un senso al proprio percorso esistenziale.

Falso Movimento (OmbreSonore#4): SOUNDS AND SILENCE (ECM)

Martedì 12 alle ore 20.30, presso il teatro comunale di Rovito, verrà proiettato il film Sound and Silence.

Viaggio nel mondo della musica, delle melodie e dei suoni, il nuovo documentario dei registi svizzeri Peter Guyer e Norbert Wiedmer, presenta l’operato del celebre discografico tedesco Manfred Eicher. Fondatore dell’etichetta Edition of Contemporary Music, Eicher – uno dei nomi più importanti nell’ambito della produzione di musica jazz – estende il marchio alla musica classica e contemporanea in genere producendo artisti come Jan Garbarek, Steve Reich, John Adams e Eleni Karaindrou.

Il film segue il discografico nel suo lavoro con compositori e interpreti quali Anouar Brahem, Nick Bärtsch e Gianluigi Trovesi, nel corso di concerti o dentro gli studi di registrazione, dove Manfred Eicher non esita ad abbandonare i sentieri già battuti a favore di un’evoluzione creativa. Omaggio alla musica, Sounds and Silence è un’avventura avvincente nel cuore della passione di un uomo per la propria arte.

Con gli occhi della meraviglia: Baraka di Ron Fricke

Venerdi 1 marzo, alle ore 21.00, presso l’acquario Bistrot, verrà proiettato il film  Baraka (1992) di Ron Fricke, secondo appuntamento della rassegna  cinematografica “Con gli occhi della meraviglia: un viaggio sensoriale nel cinema di Ron Fricke”, a cura di Falso Movimento.

6 continenti, 24 paesi, 14 mesi di riprese rigorosamente in 70 millimetri per un viaggio spettacolare dalle sonorità e ritmi mistici che svela la bellezza e la distruzione della natura e del mondo umano. E’ così che vengono presentati sullo schermo bellissime sequenza che ritraggono tribù dell’Amazzonia non contaminate dalla civiltà progredita, le affollate metropoli che non dormono mai, i luoghi di culto delle maggiori confessioni religiosi, le fabbriche dimenticate nei paesi in via di sviluppo, le montagne innevate dell’Himalaya e i deserti aridi, teatri di guerre e desolazione.

Baraka, frequentemente tradotto con Benedizione. Forse Ron Fricke ha tentato di cercare il significato di tale parola attraverso l’occhio meccanico della macchina da presa, una lente impura e umana, una lente con cui catturare lo spirito di una Terra che ribolle di incomprensibili dissonanze. Dissonanze e infezioni che gli esseri umani hanno innestato tra le radici degli alberi e tra le nuvole che si assiepano sopra le teste degli animali che fuggono le macchine, e di esseri umani che ricercano, come il regista, ancora oggi la benedizione del pianeta, attraverso proprie radici culturali, mantenendo attivi collegamenti spirituali con un passato congelato in una crisalide, mantra continui che si tramutano in movimenti ripetitivi, preghiere al dio macchina della produzione e alla catena di montaggio. Fricke non narra niente, come è puro ciò che incide sulla pellicola, nonostante l’innesto umano, puro è il suo modo di farlo, attraverso il solo non-racconto e le immagini scevre di narrazione, di trama, si affida solo alla magia del montaggio e di un cinema che guarda alle origini e alla magia di un silenzio che oggi, e nel 1992 anno di uscita del “film”, manca in maniera quasi totale, lasciando spazio solo ad un commento musicale originale a cura di Michael Stearns e brani di Dead Can Dance, L. Subramaniam, Ciro Hurtado, Inkuyo, David Hykes.

 

Falso Movimento XX/2012.2013 CARLOS di Olivier Assayas

Domenica 27 gennaio alle ore 17.15, presso il Teatro Comunale di Rovito, verrà proiettata la versione integrale del film  CARLOS di Olivier Assayas.

Il leggendario Carlos è al centro della storia del terrorismo internazionale negli anni 1970 e 1980, dall’attivismo filo-palestinesi all’Armata Rossa Giapponese. Allo stesso tempo estremista di sinistra e mercenario opportunista al soldo dei servizi segreti delle potenze del Medio Oriente, ha fondato la sua organizzazione, al di là della cortina di ferro, attiva durante gli ultimi anni del Guerra Fredda. Il film è la storia di un rivoluzionario internazionalista, manipolatore e manipolato, trasportato dal flusso della storia della sua epoca e dai suoi eccessi. Carattere contraddittorio, violento come l’epoca che ha incarnato, Carlos rimane un’enigma.

 

http://youtu.be/H3QkM7uyF10

Falso Movimento XI/2012-2013: Il mio migliore incubo

Martedi 20 novembre alle ore 21.00, presso il Teatro Comunale di Rovito, ritorna il cineappuntamento del gruppo “Falso Movimento”. In programmazione la visione del film Il mio migliore incubo di Anne Fontaine Con Isabelle Huppert, Benoit Poelvoorde e Andrè Dussollier.

Agathe (Isabelle Huppert) vive con figlio e marito (André Dussolier) in un ricco appartamento. Patrick (Benoit Poelvoorde), invece, vive con suo figlio nel retro di un furgone. Sono due persone diametralmente opposte e non tollerano l’uno la vista dell’altro. Non avrebbero mai voluto incontrarsi, ma i loro figli sono inseparabili.

Falso Movimento X/2012-2013: “The Angels’ Share” di Ken Loach

Martedi 13 novembre alle ore 21.00, presso il Teatro Comunale di Rovito, ritorna il cineappuntamento del gruppo “Falso Movimento”. In programmazione la visione del film, inedito in italia, “The Angels’ Share” di Ken Loach con Roger Allam, John Henshaw, William Ruane, Daniel Portman, David Goodall.

A Glasgow, il 24enne Robbie, da poco diventato padre, trova nella visita ad una distilleria di whisky l’idea per una nuova carriera lontano dal crimine e una via poco ortodossa per una fuga dalla povertà.

Falso Movimento IX/2012.2013: ALPIS di Giorgos Lanthimos

Domani 6 novembre, alle 0re 22.00, presso il Teatro Comunale di Rovito, verrà proiettato il film, inedito in Italia, ALPIS di Giorgos Lanthimos (2011).

“Alpis” (Alpi) è il nome di uno strano gruppo. Una piccola “società”, un’improbabile congregazione, l’appellativo di un quartetto tanto inusuale quanto male assortito. Un’infermiera e un paramedico, una ginnasta e il suo allenatore. Vite, età, sogni diversi riuniti in un’attività imprenditoriale finora sconosciuta: sostituirsi nella vita di tutti i giorni ai cari estinti per attenuare il dolore della perdita delle famiglie. Rimpiazzi, surrogati, palliativi dietro compenso, l’attività del gruppo “Alpis” va oltre il profitto economico, soprattutto per l’infermiera, che pagherà a caro prezzo le sue “terapie domiciliari”, non appena scavalcherà la squadra per agire individualmente.

E’ un mondo difficile quello descritto dal greco Giorgos Lanthimos, regista pluripremiato con Kynodontas (vincitore di Un Certain Regard a Cannes 2010 e nomination all’Oscar per il miglior film straniero, visto a Rovito nel nostro cineforum lo scorso anno e ancora senza distribuzione in Italia). I suoi personaggi sono ai margini di una società che non si accorge di loro. Una realtà esterna che assume confini indefiniti e impalpabili finché “Alpis” non si riunisce e decide di manifestarsi nel mondo reale, e i suoi membri di agire e diventare protagonisti, pur sacrificando la propria identità. Ed è forse questo il loro scopo primario, annullare il proprio io per diventare – in altro modo – importanti per qualcuno. Costruire esistenze alternative e fuggire dalla gabbia triste in cui si vedono imprigionati ogni giorno di più può allora diventare l’unica e ultima speranza di salvezza.
Nelle sue storie di perdita e impossibili sostituzioni, Alpis (presentato nel concorso ufficiale di Venezia 2011 dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura) mostra l’estremizzazione di alcuni istinti, esigenze, paure, ma soprattutto procede allo svuotamento, al drenaggio silenzioso di quanto abitualmente costituisce l’individuo. Svuotamento dei corpi, della loro capacità di relazione e della densità, fino a renderli del tutto accessori – e attribuendogli in questo modo una pura forza figurativa; svuotamento delle parole, attraverso meticolose operazioni di revisione dei significati, di distacco dal senso, di svelamento dell’artificialità del meccanismo di corrispondenze; svuotamento dei rapporti, nell’incapacità di coltivarne, di comprendere ruoli sociali che continuano comunque a esercitare una forte pressione. Il fatto stesso che il mondo, svuotato, sia oggetto di rappresentazione – registrazione e visione – genera la dimensione del film di Lanthimos: ancora più che ironico e cinico, pienamente paradossale, quindi intimamente realistico.
Una pellicola non facile dunque che si insinua sottopelle puntando sulla dirompente fisicità dei protagonisti (nel cast anche la brava Ariane Labed, Coppa Volpi a Venezia 67 per la sua interpretazione in Attenbergh), anime solitarie in cerca di umanità.

Falso Movimento presenta: “Marina Abramovic: The Artist Is Present”

theartistROVITO (CS) –  La nuova stagione di Falso Movimento prenderà il via l’11 settembre alle ore 21 con il film documentario Marina Abramovic: The Artist Is Present di Matthew Akers, dedicato a una delle figure chiave dell’arte contemporanea. Una data e un appuntamento significativi per apprezzare uno dei documentari più applauditi della stagione, presentato al Sundance Film Festival 2012 e vincitore, tra gli altri premi, del Panorama Audience Award alla 62. Berlinale e dello Special Jury Award allo Sheffield Doc/Fest.

 

Non un semplice film su un’artista, ma l’estrema epifania di una personalità che da quarant’anni ridefinisce il concetto stesso di arte mettendosi in gioco senza rete: la dimostrazione semplice e profonda allo stesso tempo di come basti l’immobilità di un corpo a risvegliare la commovente emozione di essere uomini. Un viaggio cinematografico all’interno dell’opera radicale di Marina Abramović, e insieme il ritratto intimo di una donna affascinante e magnetica, che non fa alcuna distinzione tra la vita e l’arte.

Marina Abramović (Belgrado, 1946), usando il suo corpo come un “mezzo”, spingendosi oltre i propri limiti fisici e mentali, crea performance che ci sfidano, scioccano e commuovono. È, “semplicemente”, una delle figure più interessanti del nostro tempo, un’icona del mondo dell’arte. Marina Abramovic: The Artist Is Present ci conduce dentro il suo mondo, seguendola mentre si prepara per quella che può essere considerata la tappa più importante della sua vita: la grande personale dedicatale dal MoMA di New York nel 2010. Retrospettiva che non solo segna un grande momento della sua carriera, ma le offre l’occasione per mettere a tacere la domanda che continua a sentire da quattro decenni: “Ma perché questa è arte?”.