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Conflitti del futuro e nuovo ordine mondiale, il Generale Mini: «Covid-19 è guerra civile»

RENDE (CS) – “Le guerre del futuro saranno collocate in un nuovo ordine mondiale”. Così è iniziata la lezione di Fabio Mini, Generale, saggista e giornalista, tenuta in video conferenza al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri. Mini ha affermato che le guerre sono sostanzialmente le stesse da quando nel 500 a.C. Sun Tzu delineava “L’arte della guerra” fino a ad arrivare allo scoppio della bomba nucleare. Oggi, l’approccio ai conflitti del futuro sarà molto diverso e nebuloso per i decisori pubblici: saremo tutti soldati di queste nuove guerre, ma bisogna stabilire con quali mezzi. Il generale ha proseguito sostenendo che la guerra globale si combatterà sia per un ordine mondiale che per il profitto. Inoltre, si scontreranno attori e non statali: questi due gruppi possono agire contemporaneamente, spesso si sovrappongono e alle volte si confondono. Ha poi proseguito dicendo che “esistono false guerre scatenate per accedere alle risorse e si concretizzano attraverso il terrorismo e la guerra civile, come in Libia, Siria e Iraq. In questi casi, ci si rende conto che senza gli interessi interni ed esterni tali scontri non si sarebbero mai verificate”. “Esistono – ha proseguito – anche false guerre giustificate da motivazioni umanitarie: ma cosa c’è di umanitario in una guerra che provoca 300.000 morti?”. Ha ribadito che “è sempre esistita una guerra per le risorse, che oggi non è rivolta solo per accaparrarsi le risorse tradizionali ma anche per l’appropriazione dei beni comuni, i cosidetti “global commons”, come gli oceani, i fondali sottomarini, l’Antartide, l’Antartide, l’atmosfera, lo spazio esterno, il cyberspazio”. “Tutto ciò – ha proseguito – è circondato da una grande ipocrisia, collocata in una zona grigia in cui tutto si confonde. Ci sono guerre ambigue in cui non si conosce chi è il vincitore e guerre ibride dove convergono anche una serie di fattori tradizionali. Il potere militare è aumentato a dismisura con crescenti investimenti economici, adesso bloccati in questo periodo di pandemia”. Per il generale, “il Deep State è la parte dell’establishment che cerca di conservare, in molti casi, sia l’equilibrio che la gerarchia, in un contesto in cui tutti gli Stati sono in profonda competizione tra loro”. Mini ha poi parlato della “guerra della generazione 0” che verrà combattuta dalla generazione nata tra il 2002 e il 2022, affermando che toccherà a loro avviare o evitare la guerra nucleare. “Al momento – ha precisato – non ci sono i termini perché chi possiede l’ordigno è in grado di attivarlo, ma certamente non sarà capace di resistere alle reazioni che si verificheranno. La guerra oggi, infatti, è diffusa e viene considerata piccola da chi la vede dall’esterno, mentre è immensa per chi è costretto a viverla in prima persona”. Per il generale “il campo di battaglia della guerra cambierà tra un decennio. Infatti, tra il 2030 e il 2050, ci saranno guerre nel cyberspazio con super soldati e piattaforme a controllo autonomo guidate dall’intelligenza artificiale. In tale contesto, saranno impiegati nei combattimenti meno uomini, ma questo paradossalmente comporterà anche meno riguardi verso la vita umana. Per questo nuovo tipo di guerra, non a caso, sono in corso la realizzazione di progetti di sopravvivenza”. Mini ha poi fatto riferimento al “Discorso sulla servitù volontaria” di Étienne de La Boétie citando la frase: “il padrone ha solo in più i mezzi per distruggerci che noi stessi gli forniamo”.
Secondo il docente, nella guerra globale emergono due concetti importanti che possono essere accumunati all’attuale periodo del COVID-19: il primo è che questo virus può essere considerato come un livellatore sociale, che incide sulla sovrappopolazione del pianeta; il secondo è che può paragonarsi ad una guerra di distruzione di massa in cui le cose sembrano più chiare ma allontanano dalla comprensione della realtà. I morti ci saranno ma le conseguenza economiche e sociali saranno ancora peggiori. Mini ha quindi approfondito i sistemi d’arma, precisando che l’Italia ha dovuto affrontare, dopo la Seconda Guerra Mondiale, costi abnormi sia per cambiare gli armamenti, sia per la manutenzione e l’adeguamento. Ed ha pure evidenziato che i Paesi che a livello globale affrontano i costi maggiori per le spese militari sono anche quelli più indebitati.
Gli F-35, secondo Mini, sono stati pensati per una guerra che non c’è più. “Allo stato attuale – ha detto – a causa del COVID-19, potranno annullati molti progetti militari perché le risorse verranno dirottate sulla spesa sanitaria, o saranno sospesi perché le aziende degli armamenti sono state costrette a ridurre le produzioni. Il docente ha poi parlato del Super Robot ed effetto sciame: a tal proposito, ha ricordato le tre leggi della robotica di Isaac Asimov, coniate intorno agli anni ’50: la prima è quella di non recare danno agli umani; la seconda che il robot deve obbedire agli ordini impartiti dall’uomo; infine, che il robot deve pensare alla propria sopravvivenza purché non sia in contrasto con le altre due leggi precedenti.
Mini ha quindi approfondito il tema del COVID-19 collegando la pandemia alla guerra. Nella sua opinione, si tratta di una strana epidemia che non si sa da dove arrivi e che è risultata imprevedibile, sebbene fosse stata ipotizzata anche dall’intelligence statunitense. “Più propriamente – ha affermato – potrebbe trattarsi di una guerra civile e lo si può notare dai comportamenti della società dove le persone sono viste come potenziali untori, e quindi come persone da abbattere. Tra l’altro, in condizioni di emergenza all’interno degli ospedali, in alcuni casi, sembra si sia dovuto decidere chi salvare e chi no”. “Si dovrà considerare e paragonare – ha proseguito – ciò che è chiesto ai virologi e quello che si vuole sapere dall’intelligence, ovvero le informazioni che servono per legittimare le scelte politiche, aspetto importante per comprendere quanto sta accadendo. Di sicuro è che che attualmente la cura al virus non è stata ancora trovata”. Il generale ha quindi affrontato il tema delle guerre biologiche che pongono a nudo le vulnerabilità dell’intero sistema sociale, perché quando si ammalano gli anziani si registra l’inadeguatezza dell’organizzazione. Quando addirittura qualcuno ha parlato di eutanasia praticata nei confronti delle persone anziane, non è altro che la conseguenza della cattiva organizzazione dei sistemi sanitari che sono strutturati in base a logiche privatistiche, in funzione degli utili e non dei bisogni della collettività. Mini ha concluso richiamando l’immagine della Conferenza di Yalta con Roosevelt, Churchill e Stalin che hanno disegnato i destini del mondo dopo la seconda guerra mondiale. Oggi, il nuovo ordine mondiale è nelle mani di Trump, Putin e Xi Jinping, con tarature differenti rispetto agli statisti del 1945, ma che certamente definiranno l’ordine che impatterà sul futuro dell’umanità e con esiti totalmente imprevedibili.

Unical, Alberto Pagani e l’Intelligence tra passato, presente e futuro ai tempi del Covid-19

RENDE (Cs) – «In questo sconvolgimento globale dovuto alla pandemia da COVID-19, la Cina continua imperterrita a perseguire la sua Grande Strategia, che è un disegno molto flessibile di sfruttamento di tutte le opportunità che si offrono e di costruzione di nuove condizioni di vantaggio». Questo l’incipit della recente lezione di Alberto Pagani, deputato componente della Commissione Difesa alla Camera, tenuta, in video conferenza, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.

«La Repubblica Popolare Cinese, ha proseguito Pagani – con la Belt and Road Initiative, intende certamente costruire una rete di collegamenti infrastrutturali e di accordi commerciali, sulla direttrice dell’antica via della seta, ma anche realizzare, attraverso la costruzione di relazioni di interdipendenza economica, un nuovo sistema di alleanze politiche: questa è l’essenza della strategia cinese, e risponde perfettamente all’antica cultura e al modo di pensare dell’antichissima civiltà che l’ha prodotta». E, a tal proposito, ha citato i diversi filoni religiosi e filosofici della cultura cinese m, come il Taoismo e il Confucianesimo ed il Legismo.
Il docente ha poi fatto un paragone con il pensiero strategico dei giochi da tavolo: in Occidente il gioco strategico per eccellenza è quello degli scacchi, rappresentazione simbolica della guerra il cui scopo è l’annientamento dell’avversario, che produce la vittoria e la sconfitta dei giocatori. Il gioco strategico degli orientali invece è il wei chi, un gioco di accerchiamento in cui vince chi occupa meglio il terreno di gioco, muovendosi in base agli spazi lasciati vuoti dall’avversario: è la rappresentazione simbolica di una cultura strategica che cerca di evitare il più possibile lo scontro, proprio come insegnato nell’antichissimo trattato di strategia militare “L’arte della guerra” del generale e filosofo cinese Sun Tzu, il cui motto era: “il migliore generale non è chi vince cento battaglie, ma chi vince la guerra senza combattere nessuna battaglia”.
Per questo il fondamento della strategia cinese non è mai un obiettivo fermo ed inamovibile, da perseguire ostinatamente, ma la ricerca della massimizzazione delle condizioni di vantaggio nel contesto occasionale, che si ottiene cogliendo tutte le opportunità che si presentano. La realtà è concepita come mutamento, e le opportunità sono di natura dinamica e relazionale.
A tal proposito, Pagani ha ripreso l’argomento delle “Nuove Vie della Seta”, un progetto che non può essere interpretato come se fosse solamente un grandioso piano di interconnessione infrastrutturale tra Asia e Europa. Non è un caso che il XIX Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese, tenuto nel 2017, su proposta di Xi Jinping, abbia inserito “La Via della Seta” nella costituzione cinese. Si tratta di un progetto politico, uno strumento di geopolitica, e non di un piano di opere pubbliche, che riguarda soltanto le strade, le ferrovie, linee aeree e navali, i porti e gli aeroporti, le pipline energetiche o i cavi di connessione dati. La B.R.I è essenzialmente un progetto politico del partito Comunista Cinese, finalizzato a conquistare, attraverso l’interdipendenza economica, l’appoggio di nuovi alleati nel sistema di autorità ed enti sovranazionali che governano il mondo.
«La Cina, abbracciando l’economia di mercato senza allontanarsi dalla sua cultura e senza cambiare il suo modello politico autoritario – ha affermato Pagani – in pochi decenni è riuscita a diventare la seconda, o forse la prima potenza economica ed industriale del mondo». Con una popolazione che conta oltre un miliardo e mezzo di persone, ha oggi un peso politico sul piano globale che non corrisponde né alla sua forza economica né al suo peso demografico. Per questo la classe dirigente cinese sta tentando di costruire un sistema di alleanze che le consenta di avere riconosciuto quel ruolo e peso politica da grande potenza mondiale a cui ritiene di avere diritto. E questo sistema di alleanze, che si basa sull’interdipendenza economica, comporta necessariamente anche delle conseguenze politiche. Quando un Paese lega la propria economia ed il proprio benessere ad un altro non può che averne a cuore anche il destino ed il successo politico. E tutti i Paesi che lungo le nuove vie della Seta si legheranno alla superpotenza economica cinese hanno ovviamente una dimensione ed un peso molto inferiore rispetto a quello della Cina. Per questa ragione, ha continuato Pagani, se l’Italia aderisce singolarmente al progetto politica della Repubblica Cinese, e quindi del Partito Comunista Cinese, si trova per forza in una posizione debole e subalterna. Confrontarsi con il progetto della B.R.I. per il nostro a Paese è necessario ed inevitabile, ma se il dialogo sarà tra la Superpotenza cinese ed una variegata è litigiosa compagine di Paesi europei che interloquiscono in ordine sparso, o tentando di fregarsi l’un l’altro, ciascuno di questi conterà poco o nulla e negozierà delle briciole. Questo vale anche per l’Italia, che senza la forza ed il peso contrattuale dell’Europa Unita, potrà avere solo un ruolo subalterno e residuale, e peserà come uno dei tanti Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Il Mediterraneo è un mare intercontinentale ed è un mare fondamentale perché strategico per tutti questi Paesi, centro di libero scambio; ma nel XXI secolo ha perso la sua antica centralità a favore dell’Oceano Pacifico. Citando Kissinger Pagani sottolinea che la trasformazione di questo inizio millennio è talmente profonda che rende evidente che il vecchio Ordine Mondiale, basato sul Washington Consensus, è ormai finito. Dalle sue ceneri ne nascerà certamente uno nuovo, che oggi però è ancora indefinito. Questa ridefinizione dei ruoli e riallocazione del potere su scala globale avverrà nei prossimi anni. Bisogna che questo accada senza cadere in quella che il politologo Americano Graham Allison chiama “trappola di Tucitide”, facendo riferimento alla guerra del Peloponneso, tra Sparta ed Atene. Nella maggior parte dei casi storici nei quali una potenza emergente ha insidiato il ruolo egemone di una potenza dominante, il conflitto è sfociato in una guerra. Il nostro destino però non è scritto negli astri, non è segnato, dipende dalle scelte degli uomini. Non sta scritto da nessuna parte che la nascita di un nuovo equilibrio tra le grandi potenze debba passare per forza attraverso una nuova guerra tra USA e Cina, che diventerebbe inevitabilmente globale e rischierebbe di distrugge il Pianeta. È meglio costruire il nuovo ordine mondiale con metodi pacifici, ed in questo processo quella Grande potenza civile che è l’Europa, con la sua storia, la sua cultura politica e giuridica e la sua antica civiltà, potrà giocare un ruolo determinante, se sarà unità. Dentro un’Europa Unita anche l’Italia può avere un peso determinate. Rispondendo poi alle domande degli studenti il docente ha trattato anche il tema del MES, affermando che è un argomento che solo in Italia trova un dibattito così isterico. Questo dovrebbe insegnare agli italiani ad individuare quali sono i temi realmente cruciali per il loro futuro e a non perdere tempo accapigliandosi inutilmente attorno a quelli marginali, confondendo ingenuamente le cause con gli con gli effetti. «I medici che salvano le persone non curano i sintomi, curano le malattie», ha aggiunto Pagani.
«Se nelle democrazie il dibattito politico so concentra su visioni di breve periodo – ha proseguito Pagani – i politici usano inevitabilmente la demagogia carpire la fiducia dei cittadini ed ottenerne il consenso, ma non fanno un buon servizio al loro Paese, né fanno del bene alle democrazie.
Il vantaggio competitivo dei Paesi autoritari consiste proprio nella possibilità di programmare e progettare il futuro su una dimensione temporale più lunga della durata di una legislatura. Se vogliamo proteggere le democrazie liberali dalle loro pulsioni autodistruttive dobbiamo imparare a pensare anche noi con un orizzonte temporale più lungo di quello che passa tra una campagna elettorale e l’altra. I progetti che producono innovazioni e trasformazioni reali e profonde per la vita delle persone richiedono più tempo di una campagna pubblicitaria ed hanno un maggiore respiro. Serve meno tatticismo ed una reale visione strategica». A tal proposito, il docente ha proposto l’esempio dell’introduzione della tecnologia 5G nelle telecomunicazioni: «decidere da quali fornitori le società di telecomunicazioni acquisteranno la tecnologia di rete è come scegliere a quale vicino affidare le chiavi di casa, sperando che questo sia animato sempre da buone intenzioni. Il dibattito sull’opportunità o meno di utilizzare tecnologia Huawei non è infondato, perché bisogna scegliere tra economicità, efficienza tecnologica, e rischi per la sicurezza delle informazioni e dei sistemi. Per valutare correttamente quali sono i pericoli reali che ne discendono è necessaria una classe politica e che conosca realmente i problemi tecnici e che sia capace di imaginare e precedere quelli che saranno le conseguenze e gli sviluppi futuri delle scelte che deve compiere. Pertanto, c’è bisogno di competenze, di informazioni corrette e puntuali, e soprattuto di una classe politica adeguata al suo compito e lungimirante».
 

Unical, Lucio Caracciolo al master in Intelligence: «Mondo virato dopo il Coronavirus»

RENDE (CS) – «Oggi è un mondo virato». Con questa considerazione, riferendosi alla geopolitica dopo il COVID-19, è iniziata la lezione di Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, tenuta in video conferenza, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri. Caracciolo ha evidenziato tre argomenti. Il primo tema è che “non siamo in guerra”: «tutti parlano di guerra ma è solo uno scudo per legittimare un accentramento di poteri fuori dal comune». Ha quindi paragonato l’attuale momento con l’11 Settembre, rilevando come quest’ultimo abbia avuto un impatto minore rispetto a ciò che sta accadendo in questo periodo. Questo perché «il terrorismo è portato avanti da pochi, mentre il virus si infiltra ovunque».

Il secondo punto è che questa non è una pandemia, che è un termine burocratico, utilizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. A tal proposito Caracciolo ha ricordato quanto detto dal virologo Anthony Fauci: “It really is borderline semantics”: cioè pandemia è una parola borderline. L’epidemia è selettiva, non globale, in quanto possiamo constatare che ha un impatto geopolitico differenziato a seconda dei Paesi, cioè si diffonde in modo disomogeneo. Infine, il docente ha precisato che sul virus sappiamo poche cose ma alcuni elementi appaiono chiari: è scoppiato in Cina a Wuhan, una città strategica perché è una cerniera tra la Cina più sviluppata e quella più arretrata, rurale dove vive il 40% della popolazione. In quest’area, si confrontano due sistemi sociali, sanitari e igienici. La Cina ha ritardato a dare le informazioni perché il sistema cinese strutturalmente le rallenta. E questo ritardo è stato anche la conseguenza che ha portato a sottovalutare il problema, per alcuni aspetti in modo criminale. Il Deep State cinese è il Partito Comunista, un’organizzazione capillare distribuita in 650 mila unità territoriali, che ha la capacità di essere presente in modo capillare, a livello di ogni singolo caseggiato.

La diplomazia degli aiuti

«Dopo la seconda metà di marzo – ha proseguito Caracciolo – la Cina ha potuto lanciare la sua controffensiva facendo leva su due elementi principali: le proprie conoscenze epidemiologiche e la capacità produttive, soprattutto quelle specifiche di mascherine e respiratori». Una controffensiva che Caracciolo ha definito “diplomazia degli aiuti”. Mentre l’Europa e gli U.S.A. erano piuttosto indifferenti, siamo rimasti colpiti dalla rapidità dei pur modesti aiuti cinesi, che hanno impressionato gli italiani. Infatti, in un recente sondaggio della società italiana SWG alla domanda: “Chi sono i nostri migliori amici?” è emerso che il 52% ha scelto la Cina, il 32% la Russia e solo il 17% gli U.S.A. Alla domanda opposta:“Chi sono i nostri nemici?”, il 45% ha risposto la Germania e il 38% la Francia. «In questo quadro – ha affermato Caracciolo – sembra quasi sia maturato a livello di opinione un rovesciamento delle alleanze, derivato dall’aspetto emotivo che con il tempo si attenuerà». Il docente ha poi sottolineato la propaganda portata avanti dalla Cina e dalla Russia. In particolare, quest’ultima ha targato i pacchi inviati in Italia con una frase alla James Bond: “Dalla Russia con amore”. Ha quindi ribadito che «l’Italia ha acconsentito con enfasi all’arrivo degli aiuti cinesi, seguendo il comportamento del “Memorandum of understanding” tra Italia e Cina sottoscritto nel 2019. E proprio questo accordo, ha confermato che l’Italia, secondo gli U.S.A.,è un paese ad affidabilità limitata. Il virus ha colpito gli U.S.A. con ritardo. In questa situazione, anche la potenza statunitense ha subìto un danno economico grave. Pertanto, nella competizione geopolitica tra Cina e U.S.A., in questo momento, la prima ha potuto trarre qualche vantaggio, malgrado i suoi gravi problemi strutturali». «Le epidemie sono sempre esistite. Ci sono stati casi fin dall’antico Impero Romano, come la “peste Antonina”, oppure nel Rinascimento come a Venezia, durante i quali si è reagito attraverso l’isolamento fisico che porta a risultati misti. Infatti, i luoghi di contenimento, se da un lato aiutano la guarigione ed evitano i contatti, dall’altro rappresentano bombe di incubazione del virus. Il modello cinese è interessante perché nessuno ha uno Stato con un controllo cosi accentuato e capillare, al contrario di europei e americani dove il controllo sociale è ridotto. Trump, sin dal primo momento, ha avuto un atteggiamento non consono alla realtà. Quando il virus ha iniziato a diffondersi ha affermato che si trattava di una bufala dei democratici. In seguito, ha dichiarato che l’epidemia sarebbe stata sconfitta rapidamente e solo oggi sta utilizzando una retorica più realista, cercando di prendere le redini di una partita geopolitica inizialmente fallimentare».

La crisi economica

Caracciolo ha poi affrontato la possibilità di limitare i danni della crisi economica, conseguenza di quella sanitaria: «Bisogna scegliere qual è il rischio maggiore e quale quello minore, tenendo conto che se si deve privilegiare il danno sanitario, questo di riflesso comporta il rischio della pace sociale. Infatti, il virus tende a dividere a livello geopolitico, producendo falle piuttosto profonde. Per alcuni questa è l’ora più scura mentre sotto altri aspetti potrebbe essere l’ora più chiara in quanto vengono sottolineate le contraddizioni del sistema sociale, dimostrato da come i vari Stati rispondo alla minaccia della paura». Caracciolo ha quindi parlato delle criticità degli stati. Ha ricordato quali siano quelle della Cina, rappresentate al meglio dalla questione di Taiwan che è un’isola stato, dove l’82% degli abitanti non si considera cinese. Se nel 2049 Taiwan non rientrerà in Cina, bisognerà vedere quale sarà la posizione degli U.S.A. In secondo luogo, la Cina tenta di diventare una potenza oceanica, seguendo gli esempi storici degli U.S.A. e della Gran Bretagna. Infine, il sistema finanziario è molto fragile, anche perché, al di là delle statistiche di regime, negli ultimi anni i tassi di sviluppo si sono molto ridotti. «Anche gli U.S.A. – ha ribadito – presentano forti criticità». A proposito, ha ricordato il pensiero di Graham T. Allison che ha evidenziato il concetto della “trappola di Tucidide”, ripercorrendo il conflitto tra Sparta che si sentiva minacciata da Atene scatenando la guerra del Peloponneso. Allison usa questo precedente per definire i rischi che possono essere causati dall’inasprimento della rivalità tra due Paesi in forte competizione tra loro. In particolare, sostiene che la sfida di una potenza emergente a una potenza egemone, pone una grave minaccia alla stabilità e alla pace mondiali. Tale rischio, secondo Allison, potrebbe portare ad una rotta di collisione inevitabile tra Cina e U.S.A. Secondo lo studioso americano, la situazione più efficace sarebbe quella di tornare allo schema della Guerra Fredda, cioè con due distinte aree di influenza, con gli U.S.A. da un lato e la Cina dall’altro. 

Caracciolo ha poi affrontato il rapporto tra gli U.S.A. e l’Italia. Ultimamente, il nostro Paese è in contrasto con gli U.S.A. proprio a causa della firma del “Memorandum” con la Cina, che, pur non avendo un grande valore, dal punto di vista simbolico vale moltissimo, perché l’Italia è stato il primo Paese della NATO a sottoscrivere un patto culturale e commerciale con l’impero del Dragone. Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo il Direttore di “Limes”, «vedremo come, nei prossimi giorni, si concretizzeranno gli aiuti da parte dell’U.E., che saranno quelli possibili. In questo quadro, abbiamo due posizioni diverse: da un lato la Francia, che intende fare da capofila per i Paesi del Sud, ma che è sempre pronta a trovare un compromesso con la Germania; dall’altro lato, la Cancelliera Angela Merkel non ha alcun interesse ad una crisi eccessiva dell’Italia perché la catena produttiva del valore tedesca è estesa fino alla linea gotica, in quanto le aziende italiane contribuiscono allo sviluppo tedesco». «In definitiva – ha concluso Caracciolo – siamo di fronte ad uno scontro tra capitalismi di Stato. In Europa i trattati comunitari valgono sempre meno e questo accentua la competizione. L’Italia deve proteggere gli interessi nazionali a partire dall’applicazione della Golden Power, così come dobbiamo migliorare la legislazione di emergenza che è stata fino ad ora stentata e diversamente interpretabile, dimostrando come, accanto ad una decadenza politica, ci sia anche una decadenza burocratica. C’è bisogno di una nuova formazione e selezione di classi dirigenti per disporre di una tecnocrazia pari a quella degli altri Paesi. Infine, in Italia è fondamentale costruire una mentalità che ci abitui ragionare in base al pensiero strategico, poiché affrontare i problemi in un’ottica di breve respiro impedisce il nostro sviluppo».

Algoritmi per anticipare il contagio e riaprire gradatamente le città. Ricerca della Società Italiana di Intelligence e dell’Unical

ROMA – “Link City: Oltre Lo Shock del Coronavirus. Un modello predittivo per fronteggiare le pandemie di oggi e prevenire quelle di domani” è il titolo dello studio della Società Italiana di Intelligence e del Laboratorio Predictive Intelligence dell’Università della Calabria per definire le aree a maggiore rischio di contagio all’interno delle città. La ricerca è stata realizzata da Mario Caligiuri (Università della Calabria e Presidente della SOCINT), Elia Lombardo(Coordinatore del Laboratorio Predictive Intelligence dell’Università della Calabria) e Donato Piccoli (Urbanista). La pubblicazione è disponibile presso il portale editoriale della SOCINT (press.socint.org) oppure può essere scaricato direttamente al seguente link https://drive.google.com/uc?export=download&id=1K1_k0V94dyfALrm3PpdrvZ9GOSuTmQ2K.

Utilizzando l’algoritmo XLAW, già sperimentato in 11 comuni italiani per prevenire i crimini di carattere predatorio, si possono individuare le zone dove effettuare la prevenzione sulla diffusione della pandemia del coronavirus. Per verificare la validità della proposta, è stata effettuata una simulazione nel nucleo centrale della città di Napoli individuando le tredici zone a più alta probabilità di contatti tra individui. In questo modo si potrebbe disporre di un modello predittivo che permetta di limitare chirurgicamente sul territorio il contatto tra i cittadini per una più efficace gestione dell’emergenza in attesa che venga individuato il vaccino. Infatti, nelle zone individuate dall’algoritmo come quelle a maggiore rischio di contagio presente e futuro si potrà intervenire con azioni mirate. Tra queste: la chiusura totale o parziale di questi luoghi, l’incremento degli sforzi sanitari come l’uso di tamponi specificamente per la popolazione delle zone interessate, il perfezionamento dei controlli di polizia. Inoltre, considerando la “Fase 2” e la probabile “Fase 3” del dopo Coronavirus, questo approccio potrebbepermettere di valutare con sufficiente attendibilità il rischio del contagio in funzione di una graduale e consapevole riapertura delle città, quartiere per quartiere e strada per strada. In definitiva, l’idea che si propone nella ricerca è un’originale integrazione tra ambiti differenti e che attualmente operano in modo scollegato. Partendo dall’esperienza concreta del progetto XLAW, potrebbe risultare utile una collaborazione tra istituzioni pubbliche(dai Comuni all’Istituito Superiore della Sanità), mondo assicurativo (che dispone di competenze specifiche ma affatto non utilizzate nelle politiche pubbliche) e aziende tecnologiche (sempre più strategiche per i dati crescenti di cui dispongono e per le soluzioni digitali che creano). La condizione indispensabile è che questa possibile cabina di regia debba essere guidata dal settore pubblico, che è il responsabile dell’interesse generale per evitare che le esigenze del settore privato possano prevalere. A cominciare da quelle delle multinazionali tecnologiche.

Mayer all’Unical: «Irrobustire ruolo del CISR per Inteligence Economica: il coronavirus accentuerà crisi mondiale»

RENDE (CS) – ›Oggi è più difficile e interpretare la realtà perchè usiamo categorie culturali ormai superate». In questo modo Marco Mayer, Direttore del Master in Intelligence e Security della Link Campus University di Roma, ha avviato la sua lezione in videoconferenza da Firenze al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.

Il docente ha poi affrontato le attuali vicende internazionali e, in particolare, ha approfondito tre fattori concomitanti. Il primo è relativo al nuovo atteggiamento dell’Amministrazione Statunitense in cui Trump ha privilegiato ii rapporti bilaterali e non il dialogo con U.E, NATO per non parlare delle altre organizzazioni internazionali. Il secondo elemento è rappresentato dalla posizione internazionale della Cina decisamente più assertiva sul piano internazionale. Infine, il terzo fattore consiste nell’attuale recessione economica che si accentuerà con il COVID-19. Per Mayer queste circostanze “creano un’elevata fragilità sia per l’U.E. che per l’Italia. La guerra commerciale tra U.S.A. e Cina, nei prossimi mesi, potrebbe accentuarsi anche a causa delle elezioni presidenziali americane di novembre e questo inevitabilmente condizionerà le dinamiche delle relazioni internazionali.

Il docente ha poi analizzato il profilo sanitario del COVID-19 sotto tre aspetti: la velocità di trasmissione del virus; l’incapacità di avere dati e numeri certi di chi è effettivamente contagiato senza sintomi; ed, infine, l’assenza del vaccino e i tempi necessari per produrlo, testarlo e commercializzarlo, precisando che «le tempistiche del virus sono molto più veloci dei tempi delle istituzioni democratiche e non».
A proposito dei tempi di diffusione del virus, il docente ha fornito un riepilogo. Il 17 novembre 2019 è stato censito il primo contagio a Wuhan, che è rimasto taciuto fino al 31 dicembre 2019 quando ne è stata data comunicazione ufficiale, ma errata e sottovalutata a OMS. Il vero e proprio
allarme e le misure di emergenza sono state attivate solo il 23 gennaio, quando Singapore per prima poi Corea del Sud e Taiwan avevano già assunto provvedimenti rigorosi. Ha quindi affermato che «Le grandi pandemie della storia hanno modificato in modo profondo gli equilibri dell’ordine mondiale e questa sicuramente potrebbe dimostrare il fallimento del capitalismo selvaggio».

L’U.E. sta affrontando con un certo ritardo e incertezza la vicenda del COVID-19. La B.C.E., metterà a disposizione 750 miliardi di euro per il Pandemic Emergency Purchase Programme mentre si sta animatamente discutendo sull’ipotesi di creare un fondo sovrano europeo e l’emissione di EuroBond. Il docente ha poi ricordato che ci sono tre dimensioni verificate dalle principali strutture di intelligence che si confondono e si sovrappongono dando vita a qualcosa di nuovo, ma che ancora non conosciamo in profondita’. Sono molto più sfumate anche sepersistono: la differenza tra minacce interne ed esterne; la distinzione tra pubblico e privato e infine il dualismo tra civile e militare.

Mayer ha inoltre precisato che in Italia, con una Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 si è dichiarata l’emergenza sanitaria per sei mesi per il
COVID-19. Dichiarazione a cui tuttavia non si ‘ accompagnata come in altri paesi la piena consapevolezza della minaccia. Nelle settimane successive, alcuni eventi pubblici organizzati sopratutto in alcune città e comini del nord hanno poi contribuito alla diffusione del virus. Nelle prime due o tre settimane di febbraio si e” assistito a contrastanti che hanno portato confisione. Purtroppo il 20 marzo il numero dei morti ha superato quello della Cina.

 

Intelligence, Morozov al Master dell’Unical: «La democrazia è insidiata dal potere del mondo digitale. Covid-19 occasione per i giganti digitali»

RENDE (CS) – Il sociologo bielorusso e saggista di fama internazionale Evgeny Morozov ha tenuto per il terzo anno consecutivo una lezione in video conferenza al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri. 

«Siamo di fronte all’irrazionalità digitale – ha affermato Morozov -, dove il mondo digitale è presentato come un mondo virtuale, ma in realtà non è così. Per esempio, il valore di Apple ha superato il valore totale delle 30 più grandi aziende della Germania, dimostrando come l’innovazione digitale potrebbe aiutare le aziende tedesche a crescere sul mercato. Nel 2019, il valore della marca di auto elettriche Tesla, ha superato il valore della Volkswagen che vende più auto ed investe di più in ricerca e sviluppo». 
Morozov ha poi evidenziato che l’economia mondiale non è del tutto uscita dalla crisi del 2008: per esempio il fondo sovrano della Norvegia continua ad investire 1.000 miliardi di dollari in tutte le aziende mondiali, soprattutto in quelle digitali per un sicuro rendimento economico; oppure, il fondo sovrano dell’Arabia Saudita cerca di diversificare gli investimenti per ridurre la dipendenza dal petrolio che in futuro è destinato a finire.
Il docente ha precisato che l’economia degli U.S.A. cresce per via dei profitti digitali, che non sono tutti tracciabili, tanto che potremmo definirla come un’economia “finta” ed ha precisato che nella situazione attuale, il COVID-19 potrebbe far crollare questo modello di crescita, rappresentare una minaccia nel rapporto tra stato e aziende digitali che otterrebbero un forte vantaggio da questa situazione.
Per il docente «se lasciamo tutto nelle mani delle piattaforme digitali, che rappresentano il più decisivo elemento di sviluppo economico di questo tempo, tra pochi anni le multinazionali di internet potranno prevalere sulla politica, gestendo direttamente servizi pubblici, come la sanità, i trasporti e l’educazione. Già oggi intere zone di Smart City, come Toronto, sono realizzate con l’apporto determinante di Google, con l’incremento esponenziale dell’uso di internet e, contestualmente, alla diminuzione della privacy». Ha quindi proseguito sostenendo che, proprio per questi motivi, «la popolazione di Toronto sta contestando la gestione della Smart City. Delegando alle aziende digitali anche il controllo delle istituzioni significa, in effetti, porre in discussione il modello politico, mettendo a repentaglio la democrazia. L’esempio di Barcellona può essere esemplare, perché la città ha, invece, provato a sperimentare uno sviluppo tecnologico democratico, a favore dei cittadini».
Tornando al Covid-19, secondo il docente, «sarebbe interessante vedere come l’intelligenza artificiale può essere applicata sia per l’analisi dei dati della diffusione della malattia che per la creazione di un vaccino. Questo può portare ad una diversa percezione dell’utilità sociale delle aziende digitali che, a livello mondiale, da circa due anni sono fortemente contestate. Nelle prossime settimane, i Big Tech quindi potrebbero intervenire direttamente nelle vicende del Covid-19».

Inoltre, per quanto riguarda l’emergenza sociale che si sta vivendo in queste settimane, ha ricordato che potrebbe affermarsi sempre di più il ruolo del digitale, per esempio con lo smart working e l’e-Learning.

Sempre in merito al Covid-19, il docente ha detto che «si possono creare le condizioni affinché la solidarietà ritorni al centro del dibattito, stimolando le aziende digitali a mettere a disposizione i dati per trovare il vaccino se il settore pubblico non è capace di farlo»
«Non possiamo essere – proseguito – solo utenti di Amazon o Google, ma anche portatori di diritti e doveri. Occorre allora pensare a un’alternativa digitale perché ormai non si può tornare indietro dal modello che stiamo vivendo, in quanti i politici stanno dimostrando di non essere capaci di affrontare questa crisi» 
Per Morozov, le aziende digitali hanno un know how molto sviluppato ed hanno aspetti positivi ma anche negativi perché creano squilibri sociali. Uber, seppur in perdita, ha due strategie per aumentare i profitti. Il primo è quello di espandere il mercato; l’altro è quello di ridurre i costi come, per esempio, usare macchine guidate dall’intelligenza artificiale: questo, però, porterebbe al licenziamento degli autisti che rappresenterebbero un costo sociale molto elevato. Ha poi incentrato l’attenzione sull’utilizzo da parte le settore pubblico e privato delle tecnologie, che però hanno costi nascosti: «a breve termine, si riducono i costi ma a medio termine, se le istituzioni pubbliche, che forniscono servizi collettivi, come le università, oppure se gli editori, che pubblicano i giornali e i libri, vengono sostituiti da Google, Amazon, Facebook e Apple non è un bene per la democrazia».
«Oggi – ha proseguito Morozov – il settore pubblico non ha i mezzi per poter combattere alla pari questa battaglia perché la classe politica attuale non è capace di fronteggiarla».

«Tra 5 – 10 anni – ha concluso – il ruolo dello Stato potrà essere fortemente ridimensionato anche dalle grandi aziende digitali: è uno scenario molto delicato di fronte al quale le classi dirigenti democratiche dovrebbero porre la massima attenzione, ma ancora non sembrano consapevoli di quanto sta realmente accadendo davanti ai loro occhi»

Intelligence e criminalità, Gratteri: «Contrasto globale alle mafie valorizzando l’esperienza italiana»

RENDE (CS) – «Perché i ladri di polli in Italia sono diventati mafia e altrove sono rimasti ladri di polli?». Con questo interrogativo il Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri nei giorni scorsi ha avviato la sua lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria.

Il direttore del Master Mario Caligiuri ha introdotto la lezione commentando i libri del procuratore, gran parte dei quai scritti con Antonio Nicaso. Gratteri ha inquadrato storicamente il fenomeno, ricordando che nel 1869 il Comune di Reggio Calabria venne sciolto per brogli elettorali con minacce e vessazioni e metodi mafiosi, così come la criminalità sfruttó anche la ricostruzione dopo il terremoto del 1908. Per il Procuratore, il salto di qualità avvenne negli anni Settanta con la nascita della Santa, che può essere considerata «la più grande invenzione della ‘Ndrangheta, uno spartiacque poiché, per esempio, non si discuteva più chi dovesse vincere un appalto ma se dovesse essere costruita un’opera». Infatti «i sequestri di persona erano serviti per comprare ruspe, e camion e per costruire case». Ha poi ricordato che «per frenare la rivolta di Reggio capoluogo, il Pacchetto Colombo prevedeva la realizzazione di una serie di opere pubbliche, tra le quali la realizzazione del centro siderurgico a Gioia Tauro e dell’impianto della liquilchimica a Saline Joniche. La ‘Ndrangheta si è arricchita realizzando i lavori, maturando la consapevolezza di poter contare di più. Si è quindi adoperata per cambiare le regole del gioco. Infatti, i giovani boss hanno ucciso i vecchi rappresentanti delle ‘ndrine, come Antonio Macrì, che aveva un grande peso all’ateneo di Messina, e Domenico Tripodo». Ha proseguito dicendo che «invece di andare alla ricerca di alibi, il Sud deve essere consapevole della propria storia per ripartire, utilizzando le grandi risorse di cui dispone». Gratteri ha poi spiegato che «il problema degli appartenenti alla élite della ‘ndrangheta è come giustificare la ricchezza, tanto che sono tra quelli che pagano con più puntualità tutte le tasse», evidenziando che «le imprese mafiose hanno successo perché sono competitive, aggiudicandosi con alti ribassi i lavori pubblici e privati. In questo quadro, sono fondamentali i rapporti con la politica e la pubblica amministrazione». Per quanto riguarda la presenza nelle zone di origine, ha evidenziato che «i mafiosi sono presenti sul territorio 365 giorni all’anno, molto più della rappresentanza politica con la quale negli ultimi decenni il rapporto si è completamente ribaltato: prima ai politici si chiedeva il posto di bidello oppure il trasferimento del militare, mentre adesso si propongono pacchetti di voti in cambio di utilità. La ‘ndrangheta non ha ideologie perché punta sempre sul cavallo vincente per non rimanere mai all’opposizione. Inoltre, la legge Bassanini ha favorito oggettivamente le mafie, annullando i controlli esterni». Ha quindi ricordato che «la ‘ndrangheta opera sotto traccia a differenza della mafia siciliana che ha sfidato lo Stato sul piano militare». Ha poi affrontato il tema del traffico di droga, che consente utili enormi alla criminalità, evidenziando che i grandi produttori di cocaina allo stato naturale sono Colombia, Bolivia e Perù. La ‘ndrangheta acquista tutto ciò che è in vendita sul mercato per imporre il prezzo. Se intervenisse l’Onu, si potrebbe trattare direttamente con i coltivatori di piante di coca facendo la conversione delle culture, attraverso specifici incentivi. Si spenderebbe meno di un sesto di quanto adesso sta costando la lotta alla droga. Infatti, è impossibile contrastare la marijuana, che si può coltivare dovunque, oppure le droghe sintetiche, che si realizzano in laboratorio e sono particolarmente dannose. Negli Stati Uniti è ritornato preponderante il consumo di eroina, perché costa la metà della cocaina, e il fentanil, che sta decimando migliaia di giovani nei campus». Ha quindi evidenziato «il pericolo della mafia albanese che è in crescita nel Nord Italia, in Olanda, in Germania, in Belgio ed è particolarmente forte perché non viene adeguatamente combattuta nei territori di origine. È presente anche in Sud America, per ora insieme alla ‘ndrangheta ma è anche in grado di organizzare viaggi autonomi in Europa». La mafia nigeriana al momento è forte sul piano militare ma non è infiltrata con la politica e l’imprenditoria. Gratteri ha quindi sottolineato le evoluzioni rapidissime delle mafie che sono in costante trasformazione come la struttura sociale, rendendone difficile il contrasto. Ha concluso parlando dell’intelligence nazionale la cui presenza all’estero andrebbe rafforzata per contrastare l’immigrazione negli effettivi territori di partenza. L’Italia ha maturato una particolare esperienza nella lotta alle mafie sia come legislazione che come professionalità ma nessuna delle agenzie europee di contrasto alla criminalità si trova nel nostro Paese, segno della nostra debolezza sul piano internazionale (Eurojust ed Europol si trovano all’Aja, ndr). Così come quando si affronta a livello comunitario il tema dell’omologazione dei codici, come base di partenza non si sceglie mai il nostro sistema giudiziario, pur se riconosciuto il più avanzato nel campo della legislazione antimafia. L’unificazione comunitaria dei codici non può infatti avvenire partendo magari dal sistema lettone.

Nicolò Pollari all’Unical: «La globalizzazione ha reso l’intelligence sempre più determinante»

RENDE (CS) – “La globalizzazione ha reso l’intelligence sempre più determinante”. Così ha esordito il generale Nicoló Pollari, Direttore del SISMI dal 2001 al 2006, in occasione della sua lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Pollari ha poi continuato sottolineando che l’Intelligence è essenzialmente conoscenza e che una corretta ricognizione e valutazione di fatti e fenomeni è il miglior modo per avvicinarsi alla conoscenza del vero.
Come ricorda Karl Popper, infatti: “tutta la vita è risolvere problemi”. Naturalmente questo processo cognitivo richiede una serie di condizioni che, muovendo da una fase di identificazione del fabbisogno informativo e quindi di pianificazione e direzione procede con quelle di ricerca per l’acquisizione dell’informazione, notizia o dato che sia, di gestione dell’informazione attraverso l’analisi e l’elaborazione della medesima e infine di disseminazione all’Autorità competente di semplici informazioni, di rapporti, di analisi e punti di situazione, utili per le decisioni di assumere o per le attività da intraprendere.
Si tratta, evidentemente di un processo descrittivo, situazionale e speculativo gravido di innumerevoli inferenze, anche mentali, che normalmente perviene a configurare risultanze tendenzialmente probabilistiche. Il valore dell’intelligence risiede, infatti, nella capacità fornire informazioni e dati previsionali, accompagnati da un giudizio sulla relativa misura di affidabilità, del quale deve assumere responsabilità chi tali informazioni, dati e giudizi fornisce. Un siffatto contributo di conoscenza, reso in termini comprensibili, non può non influenzare in termini significativi le valutazioni e le scelte del decisore pubblico.
L’intelligence, quindi, di fronte all’imminenza di un pericolo o di unaconcreta minaccia all’interesse nazionale, può orientare priorità e direzione dei processi decisionali dell’Autorità, a tutela e presidio di tale interesse, rispetto a rischi di natura politica, militare, economica, finanziaria, energetica, sanitaria e altro.
A riguardo, Pollari ha ricordato che negli Stati Uniti d’America è costume che il responsabile della comunità intelligence pressoché quotidianamente sia ricevuto dal Presidente al fine di sottoporgli un numero di “casi” selezionati per importanza, delicatezza ed urgenza, rispetto ai quali è tenuto a esprimere il proprio giudizio, anche tecnico e probabilistico sulla qualità e sull’affidabilità di quanto ha riferito, nonché a formulare a quell’Autorità politica valutazioni e proposte sulle misure da adottare.
E’ agevole supporre che l’atteggiamento del responsabile dell’intelligence rispetto alle informazioni, alle valutazioni offerte, ai pareri da lui resi ed alle sue conseguenti proposte di azione, di norma possano orientare e talvolta, addirittura, condizionare scelte politiche.
In conseguenza di ciò è altrettanto agevole comprendere come il giudizio del Presidente sull’intelligence nazionale e su chi lo governa, dipenderà dalla percentuale statistica delle informazioni risultate aderenti al vero e dalla qualità delle valutazioni di intelligence operate, verificate alla luce di quanto in concreto, nella realtà, è poi avvenuto.
L’esposizione è, poi, proseguita con la trattazione di aspetti peculiari delle vicende di intelligence, come la natura e le peculiarità delle acquisizioni, la particolare posizione degli operatori, anche in funzione delle diversità degli ordinamenti di appartenenza, le carenze di estensione delle attività, la crescita esponenziale del bisogno di intelligence, specie negli ambiti della competizione economica e finanziaria, nonché la sorprendente, scarsissima informazione pubblica che caratterizza le scoperte energetiche degli anni 2000, specie nel Mediterraneo orientale.
Le modalità classiche delle acquisizioni di intelligence, com’è noto, avvengono per via umana o mediante l’utilizzo di tecnologie e delle conseguenti tecniche sempre più moderne e sofisticate. Ovviamente l’intelligence umana presenta intrinsecamente maggiori livelli di rischio, perché sconta il prezzo della fragilità della natura e della condizione dei singoli donne od uomini chiamati a svolgere le peculiari attività he la caratterizzano. Ed è forse per il poco equilibrato dosaggio fra utilizzo di intelligence umana rispetto a quella tecnologica una delle principali ragioni dei tragici fatti dell’11 settembre 2001. Quegli eventi non hanno certo cambiato il mondo, ma il mondo ha “dovuto” rendersi conto di essere cambiato, con l’urgente necessità di comprendere e valutare il grande mutamento epocale da cui era ormai investito. In quel clima, con l’accentuazione di ogni necessità di conoscenza, specie in prospettiva di prevenzione e tutela, oltre che di contrasto al terrorismo fondamentalista, pressoché tutti i Paesi del mondo hanno premuto l’acceleratore dell’utilizzo dell’intelligence quale punta avanzata di conoscenza e contrasto. E questi sopratutto nei Paesi, nei siti e negli ambienti più difficili, improbabili e pericolosi. Inoltre, analoga attenzione è stata rivolta all’interno di ciascun Paese, accentuando significativamente la domanda di intelligence, rafforzando o addirittura costituendo organismi deputati alla difesa. Si pensi, ad esempio, alla creazione di entità di homeland security in Paesi che, per antica tradizione e sensibilità sociale avevano ritenuto superfluo dotarsene.

Radicalizzazione nella cultura e nel diritto degli Islam. L’analisi di Cotroneo al master in Intelligence dell’Unical

RENDE (CS) – Radicalizzazione islamica fra storia e attualità, a diverse latitudini geografiche e da un ponte all’altro della storia: questo il focus della lezione dal titolo “La radicalizzazione nella cultura e nel diritto degli Islam” che Vincenzo Cotroneo, esperto di diritto islamico e docente, ha tenuto al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, introdotto dal direttore Mario Caligiuri.

Nulla è lasciato al caso

«La radicalizzazione – ha spiegato agli interessati studenti Cotroneo – è una questione scientifica, analitica, assolutamente pianificata. Nulla è lasciato al caso. E va affrontata e contrastata con le stesse armi scientifiche che si basano sulla contro-ideologia e sulla pianificazione dei campi di attivazione che sono il web in primis, e le strutture sociali ad alto rischio a seguire, come carceri, campi profughi, centri culturali e centri di preghiera occultati, aree periferiche degradate, scuole ed università». La lezione di Cotroneo così, attraverso un’attenta panoramica storica sulla nascita e la diffusione dell’Islam, e una rapida analisi di concetti fondamentali quali “identità”, “radici”, “comunità”, “sottomissione”, ha trattato i metodi, i riti e gli impieghi della radicalismo islamico. Uno sguardo attento che ha offerto spunti interessanti per comprendere il passato e fotografare il mondo di oggi; perché ogni analisi deve partire dalla conoscenza, soprattutto della storia.

Basi e concetti storici per entrare nel merito della questione

Ecco quindi che Cotroneo, anche grazie alle proprie esperienze professionali maturate, ha snocciolato spiegazioni su salafismo, fratellanza musulmana, Jihad, reclutamento e  conversione. Del resto, «non esiste – ha aggiunto – solo la radicalizzazione del singolo, ne esiste una silente ed indiretta che viaggia sul binario finanziario dei grandi gruppi di pressione e di influenza che, godendo di fonti non indifferenti, riescono ad infiltrare colosdindella comunicazione, dello studio, della politica, delle strutture sociali piegandole a nuove ed estreme o radicali logiche di nuova comunità. Il passaggio è graduale e quasi impercettibile, ma continuativo e implacabile fin quando regge il flusso economico di sostegno all’idea». Da qui uno dei contributi più significativi della lezione: «Non esiste cellula terroristica che possa operare senza un adeguato e continuativo flusso finanziario. La radicalizzazione non può prescindere dall’avere adeguati sponsor in gradi di sostenere lo sforzo al reclutamento di nuove leve da impiegare su più fronti. Stati, comunità, associazioni fino ai singoli. I gruppi di pressione ed influenza a favore delle organizzazioni radicali infiltrano la propria ideologia attraverso key leader all’uopo cresciuti formati ed addestrati che operano nelle grandi catene della comunicazione, della politica, dei social media, degli istituti di formazione. Tutti orientati verso la comune ideologia, adeguatamente asserviti e profumatamente comprati».

Possibili conclusioni

Infine, come sottolineato dallo stesso Cotroneo, è essenziale distinguere fra movimenti islamici a contenuti anche radicali e terrorismo. «Con i primi si può, anzi si deve, cercare di dialogare e offrire mediazioni per agevolare il necessario ricambio di classi politiche ormai bruciate dai loro errori e fallimenti. Con il secondo, ossia il terrorismo, non è possibile alcun dialogo. Il recupero di un margine ragionevole di collaborazione e dialogo nella ricostruzione di un ordine politico, sociale ed economico a Sud non può che avere un riflesso positivo su quella che è la “nostra” sicurezza e il nostro ordine».

 

 

Intelligence, Carlo Mosca al master Unical: «Prima il diritto era considerato un impedimento»

Rende (Cs) -«» “Dal 1977 il diritto è entrato formalmente a disciplinare l’attività dell’intelligence ponendo dei limiti ai comportamenti degli operatori dei Servizi. Fino ad allora il diritto era quasi considerato un impedimento alle attività dei Servizi”. È quanto ha affermato il Prefetto Carlo Mosca, Vice Direttore del SISDE dal 1994 al 1996, durante la sua lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri. Mosca ha iniziato il suo intervento sostenendo che la democrazia è potere visibile dove la trasparenza deve essere la regola e la segretezza deve costituire un’eccezione limitata ai casi espressamente previsti dalla legge. Ha poi continuato affermando che i comportamenti degli operatori dell’intelligence sono legittimi quando vengono finalizzati alla sicurezza della Repubblica, i cui principi rispondono a tre canoni: il rispetto degli altri, l’osservanza della legalità, la salvaguardia del bene comune”.
Il Prefetto ha quindi proseguito sostenendo che i comportamenti degli operatori dei Servizi, apparentemente illegali sotto il profilo penale, sono giustificati se preventivamente autorizzati nei casi e secondo procedure stabilite dalla legge. Del resto, la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 86 del 1977, ha riconosciuto che l’attività dei Servizi, quando rispettosa delle finalità previste dal legislatore, non va contro la legge, ma semmai oltre la legge. A tal proposito, e’ stata ricordata la distinzione richiamata più volte dallo stesso Presidente Francesco Cossiga tra legalità dei mezzi e legittimità dei fini.
Mosca, nel parlare delle garanzie funzionali, ha poi precisato che non possono essere autorizzate condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato, a parte alcune limitate e specifiche eccezioni e che, in ogni caso, il segreto di Stato non potrà mai coprire notizie, documenti o cose relativi a fatti di terrorismo o eversivi dell’ordine costituzionale e cioè dell’essenza stessa dello Repubblica.
A questo punto, Mosca ha ricordato la distinzione tra il segreto di Stato e la classifica di segretezza e si è quindi soffermato sul regime dei controlli affidati al Parlamento, al Governo e a una specifica struttura del DIS, non trascurando di fare riferimento alle autorizzazioni da parte della Magistratura per alcune particolari attività come le intercettazioni preventive o come i colloqui nelle carceri.
Il Prefetto ha, di conseguenza, affrontato il rapporto tra intelligence e magistratura dal punto di vista della fisiologia del sistema. In proposito, ha rilevato che esistono relazioni istituzionali tra operatori dei servizi e operatori della magistratura e in questo quadro ha sottolineato la particolare funzione di garanzia svolta dalla Procura Generale della Corte d’Appello di Roma, alla quale compete rilasciare lecitate autorizzazioni preventive.
Circa i controlli li ha considerati essenziali per la tenuta della democrazia, e ha evidenziato il potenziamento del Copasir che ha sostituito il Copaco, e al quale sono stati attribuiti poteri più incisivi e funzionali alla stessa attività di garanzia svolta, prevedendo contestualmente che la funzione di presidente dall’organo parlamentare venga ricoperta da un rappresentante dell’opposizione.
Il prefetto ha ancora sottolineato come i valori e i principi della Costituzione non possono mai essere posti in discussione, auspicando nel contempo che, come avviene in altri Paesi, vengano disciplinati gli stati eccezionali di emergenza.
Mosca è, infine, passato ad affrontare lo sviluppo culturale dell’intelligence considerandolo fondamentale per tutelare gli interessi del Paese nei vari ambiti, sostenendo peraltro che l’università deve formare persone libere. Del resto – ha concluso Mosca – “la cultura agevola la visione dei fatti che accadono nel mondo ed è in grado di orientare le stesse scelte politiche, il che pone l’urgenza di affrontare il tema della formazione e della selezione delle élite pubbliche, le quali devono comunque osservare leggi e Costituzione”.