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A Ferramonti i sopravvissuti calabresi ai campi di concentramento

TARSIAIMG-20170127-WA0027 (CS) – Al campo di Ferramonti di Tarsia oggi è stato il giorno delle celebrazioni per il 72° anniversario del Giorno della Memoria.

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Il prefetto Tomao consegna la medaglia al sopravvissuto Fava

La giornata, riservata alle riflessioni e al ricordo, è stata aperta dalla celebrazione religiosa con la deposizione della corona al monumento dedicato agli internauti di Ferramonti, alla presenza di don Natale Caruso, parroco di Tarsia. A seguire il sindaco di Tarsia, Roberto Ameruso, e il prefetto di Cosenza, Gianfranco Tomao, insieme alle altre istituzioni presenti, hanno consegnato la medaglia della Liberazionne e le medaglie d’onore ai cittadini italiani, militari e civili, deputati e internati nei campi di concentramento, destinati al lavoro coatto e ai familiari dei deceduti. Fra essi Vincenzo Diurno, di San Sosti, e Giovanni Fava, 95 anni, di Torano Castello. La medaglia per Francesco Cinelli, di Cosenza, deceduto lo scorso anno all’età di 93 anni, è stato invece ritirata in memoria dal figlio Antonio: era stato internato in Germania dal settembre del 1943 al maggio del ’45. Altro momento emozionante la proiezione del video messaggio di Silvio Wolf, figlio di Mojzesz Aron Wolf, internato a Ferramonti dal luglio del 1940 all’aprile del 1942. La giornalista Rai Annamaria Terremoto, ha poi presento anche il convegno “Mnemosine: La Memoria e il Dono di Sé delle Donne nella Shoah”, le cui relazioni sono state curate da Luciana Costa, Presidente IRSEM, e da Giuseppe Noia, Primario Hospice perinatale “A. Gemelli” di Roma. Nel pomeriggio ha chiuso le celebrazioni il concerto a cura del Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi” di Milano – Spazio della memoria musicale – “Kurt Sonnenfeld: Vienna, Ferramonti, Milano”.

Andreina Morrone

Gli eredi di un calabrese deportato in Germania chiedono i danni alla Merkel

COSENZA – Il prossimo 26 maggio, davanti al Tribunale di Cosenza, con il giudice Carmen Misasi, vi sarà la causa per risarcimento del danno intentata contro la Repubblica Federale di Germania dagli eredi d’un sergente maggiore cosentino, Domenico Bove, fatto prigioniero dall’esercito tedesco il 22 settembre 1943. L’uomo venne deportato in Germania per essere adibito ai lavori forzati nel Campo di Concentramento di Essen, succursale di quello di Buchenwald. La deportazione avvenne su carri bestiame, in ognuno dei quali si trovavano circa 80 persone e durò quattro giorni e tre notti, senza cibo e con scarse razioni di acqua. Il campo di concentramento, ove si trovavano circa 28.000 internati, non solo italiani, è rimasto famoso per i lavori massacranti che i prigionieri dovevano sopportare sia nelle miniere di carbone, profonde fino a 2.200 metri, che all’esterno per le operazioni di trasporto del carbone. La città di Essen era un importante centro industriale collegato alle famose industrie siderurgiche di proprietà della famiglia Krupp, in cui si costruivano le armi da guerra per il regime nazista. Spesso accadeva che gruppi di internati, venissero incolonnati per recarsi a piedi nei campi di lavoro che distavano anche alcuni chilometri dal campo di prigionia. Marciavano in silenzio, a dieci gradi sotto lo zero, con solo una tuta addosso. Proprio come accadde al sergente maggiore Domenico Bove. I prigionieri dormivano in baracche di legno su “letti” a castello a cinque livelli, nutrendosi quotidianamente d’un tozzo di pane ed una brodaglia a base di verdure. Le condizioni igieniche erano inenarrabili, non esistendo l’acqua calda ed il sapone, per cui solo d’estate era possibile lavarsi. Durante il resto dell’anno gli internati venivano fatti spogliare e poi cosparsi di insetticidi. Ciò andò avanti fino al 25 maggio 1945, quando Domenico Bove venne liberato dagli Alleati. Il sottufficiale calabrese, il cui peso si era ridotto a 42 chilogrammi, venne dunque mantenuto per due anni in condizioni di sostanziale schiavitù, privo dello status di prigioniero di guerra, e delle relative garanzie assicurate dalla Convenzione di Ginevra. Per i suoi eredi, rappresentati in giudizio dagli avvocati Antonio ed Elvira Bove, il sergente maggiore subì dallo Stato Tedesco gravi ed inenarrabili sofferenze, la cui responsabilità politica e morale ricade oggi sulla Repubblica Federale di Germania. Ora, a distanza di circa 70 anni, dovrà essere un tribunale italiano a stabilire la misura del risarcimento dei danni, sia di natura patrimoniale che extrapatrimoniale, che la Repubblica Federale dovrà versare ai congiunti-eredi del sottufficiale calabrese. Bove fu infatti costretto alla deportazione che è considerato un crimine di guerra contro l’umanità e, come tale, imprescrittibile in base alle norme del diritto internazionale. In processo dovrà costituirsi il cancelliere federale pro-tempore Angela Merkel.