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Intervista ad ʿAlāʾ al-Aswānī in vista del Premio per la Cultura Mediterranea

In vista della Cerimonia di Premiazione dei Vincitori della VI edizione del Premio per la Cultura Mediterranea – Fondazione Carical, che si terrà venerdì 28 settembre p.v. alle ore 17.30 al Teatro Rendano di Cosenza, ecco una breve intervista rilasciata all’Ufficio Stampa della Fondazione Carical da parte di ʿAlāʾ al-Aswānī, vincitore Sezione Cultura dell’Informazione, scrittore ed intellettuale egiziano. Nel suo ultimo libro La rivoluzione egiziana (Feltrinelli, 2011) racconta l’Egitto oppresso, l’Egitto della dissidenza, l’Egitto della rivoluzione di piazza Tahrir.

Intervista:

Un’opinione sul Premio per la Cultura Mediterranea, soprattutto in qualità di vincitore della Sezione Cultura dell’Informazione, vista l’enorme importanza assunta dai media (giornali, televisioni, social network) nel riscatto dell’Egitto oppresso dal regime di Mubarak:

Intanto, ringrazio per il premio che avete deciso di conferirmi e sono molto orgoglioso di essere tra i vincitori di questa edizione, perché non c’è ricompensa più grande per uno scrittore che sapere di essere conosciuto, letto ed apprezzato, ancor di più quando viene compreso ed apprezzato oltre confine.
Per me questo è il 15° premio internazionale che mi viene consegnato. Una cosa importante che vorrei sottolineare che arabi ed occidentali possono essere diversi per colore, religione e cultura, ma in quanto essere umani abbiamo uguali sentimenti e uguali pensieri.
La letteratura è un meraviglioso strumento di comunicazione umana e questo premio è la prova di quello che la letteratura può rappresentare per uno scrittore: l’Arabia e l’Italia possono essere due paesi lontani geograficamente , ma la letteratura rappresenta da sempre e per sempre sarà una lingua internazionale di comunicazione umana.

Qual è il legame della rivoluzione egiziana con gli altri movimenti di liberazione degli ultimi anni in alcuni paesi del Mediterraneo e quali sono le differenze?
Direi che stiamo vivendo la fine di tutte le dittature del mondo arabo. Ventidue paesi arabi sono stati occupati per anni dagli eserciti francesi o inglesi, poi durante gli anni ‘50 e ‘60 ci sono stati i movimenti di indipendenza che hanno messo fine all’occupazione straniera, ma questa indipendenza alla fine ci ha fatto cadere nelle mani di dittatori di tutti i tipi: rivoluzionari, militari, famiglie reali, movimenti fascisti, tutto questo ha portato il mondo arabo sull’orlo di una catastrofe. Dal 2000 assistiamo a questa progressiva liberazione dei paesi arabi dai regimi dittatoriali, abbiamo assistito alla fine del regime di Mubarak e dal 2000-2001 si è avviato questo processo di liberazione: la Tunisia è stata la prima, seguita da altri paesi come Egitto, Siria, Libia, anche se adesso siamo tutti consapevoli di quale difficile situazione questi paesi stiano attraversando. In ogni modo credo si tratti solo di questione di tempo e tutti questi paesi raggiungeranno la loro libertà. Ovviamente ogni paese vive situazioni diverse, ci sono paesi più poveri come l’Egitto e la Siria che non hanno il petrolio ma hanno molte persone istruite tra i cittadini, ma ci sono paesi che, nonostante la ricchezza di risorse, non hanno rivolto la loro attenzione all’istruzione del loro popolo. Non siamo però alla fine del processo di rinnovamento, credo che tutto questo andrà avanti per 10 -20 anni e alla fine non ci saranno più dittatori nei paesi arabi.

Nel suo ultimo libro La rivoluzione egiziana lei parla spesso della dignità dell’uomo, di giustizia e di libertà. Secondo la sua opinione quali sono i segni che preannunciano un pericolo per la libertà di espressione in una società civile e democratica?

Il problema è che c’è una bella differenza tra libertà di espressione e libertà di parola. Il regime di Mubarak consentiva la libertà di parola e noi potevamo scrivere tutto ciò che ritenevamo giusto scrivere, salvo che Mubarak faceva ciò che più riteneva opportuno, senza tenere conto di nessun opinione. Io non credo che ci sia libertà di espressione se questa non diventa poi uno strumento di cambiamento democratico. Seppure siamo liberi di scrivere quello che vogliamo ma il governo non risponde di conseguenza e non ci sono cambiamenti questo significa che non c’è libertà di espressione. Adesso abbiamo un presidente democratico e islamico e credo che questo sia un caso unico al mondo, stiamo cercando di scrivere una nuova costituzione in cui noi intellettuali ci stiamo battendo per una reale libertà di espressione.