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Intervista a Matilde Lanzino: “insegniamo agli uomini a proteggersi da sé stessi”

Incontro la signora Matilde in tarda mattinata: mi ha chiesto di anticipare l’appuntamento di mezz’ora perché vuole ritornare in tempo a casa dai suoi nipoti a cui deve preparare il pranzo.

Nonostante il carico di sofferenza che si è trascinata in questi lunghi anni, Matilde è una donna tenace e battagliera, come tutte le donne che accettano un intimo dolore sapendo di poterlo trasformare in energia e impegno quotidiano verso la vita. Da quella lontana estate del 1988, anno in cui Roberta, sua figlia, viene stuprata e uccisa mentre si sta recando da Cosenza – città di residenza – verso San Lucido, meta della villeggiatura estiva con i genitori. Da lì in poi inizierà il calvario della fam. Lanzino, anni in cui non si verrà mai a capo di un femminicidio i cui presunti colpevoli sono stati scagionati nei tre gradi di giudizio; un caso ancora aperto dopo 24 anni di indagini lacunose e imprecise per le carenti strumentazioni investigative dell’epoca; una ferita ancora non rimarginata.

Matilde indossa un grosso paio di occhiali scuri, forse un caso o forse un modo per nascondersi e proteggere da quell’intimità rubatale in questi anni. Inizio l’intervista, che ha come obiettivo quello di conoscere e approfondire le attività e il modus operandi della Fondazione Lanzino, nata per volontà dei genitori che si occupano di combattere la violenza sulle donne e sui minori e l’omertà che troppo spesso le accompagna. Contemporaneamente sul territorio nasce anche il “Centro contro la violenza alle donne”, deputato ad accogliere le donne vittime di maltrattamenti e di soprusi. e che prevede anche una casa di accoglienza, momentaneamente chiusa  per mancanza dei fondi necessari. Per diventare operatrici di accoglienza è necessario essere sgomberi da qualsiasi stato emotivo che possa ostacolare il proprio lavoro. “Noi lavoriamo col criterio del volontariato assoluto e il metodo che usiamo è quello dell’abbraccio contenitivo, fatto di empatia; il nostro motto è ‘mettersi in ascolto per educare all’ascolto’. Per la donna è difficile venire a parlare con noi che siamo degli estranei, quindi dobbiamo far sì che questa barriera naturale sia colmata dall’abbraccio contenitivo. La donna non viene mai con una chiarezza del problema, che si definisce solo attraverso diverse sedute di ascolto.Non spingiamo mai la donna né alla denuncia né alla non denuncia; Noi ci atteniamo ad ascoltarla. Poi emerge il bisogno e lì la volontà di rafforzarla e supportarla legalmente attraverso la conoscenza dei propri diritti. Assistiamo le donne nei percorsi legali e nei percorsi più forti ci costituiamo parte civile”. Matilde è soddisfatta del lavoro compiuto in questi anni: “Siamo partiti da casa nostra e piano piano ci siamo allargati con un centro che oggi include anche un ambulatorio e una sala di rappresentanza”.

Ma quello che sta di più a cuore a Matilde, forse essendo nonna, è sensibilizzare i più giovani verso una tematica così delicata. “Come responsabile della formazione della Fondazione Lanzino, operiamo sul territorio con la prevenzione nelle scuole. Ogni anno incontriamo più di mille studenti e, attraverso progetti e attività, cerchiamo di accostare i ragazzi verso un percorso formativo e graduale. Non è facile entrare nelle scuole, perché il progetto è nostro dunque noi andiamo a proporlo ai docenti che più sensibili al tema. La nostra metodologia non è scolastica ma interattiva. Ci mettiamo in circolo con loro, c’è una forte interazione e puntiamo molto sulle immagini. Oggi non è facile trovare film che abbia una pulizia morale. Il progetto si conclude sempre con l’incontro della psicologa che li raccoglie a sé e si incomincia una discussione. Li abituiamo ad ascoltare l’altro”.

Le chiedo se i ragazzi sono ricettivi verso questo tema. “Sì – mi risponde – i ragazzi sono molto interattivi e si lasciano coinvolgere in tutto quello che proponiamo. I ragazzi si ricordano di noi anche a distanza di tempo e ci scrivono lettere. Non sono obbligati, lo fanno spontaneamente”.

Le faccio un’ultima domanda, quella che più spesso sente pronunciare da noi giornalisti, forse la più importante: “Alla luce dei tragici eventi di femminicidio, avvenuti in questi ultimi giorni, qual è il messaggio che sente di lanciare contro la violenza sulle donne?”

“Il messaggio che mi sento di lanciare è attraverso la formazione e la prevenzione. I ragazzi devono riconoscere i segnali della violenza, non solo quella fisica. Bisogna riconoscere i segni della prevaricazione quando sono lontani. Noi nelle scuole lavoriamo in questo senso”. Matilde mi fa capire che per loro è difficile parlare ad adolescenti che il più delle volte vivono in una dimensione fiabesca, sognante, tipica di quell’età. “Quando trattiamo queste tematiche dobbiamo stare attenti perché li vogliamo mettere in allerta ma nello stesso tempo non vogliamo scoraggiarli con la conseguenza di avere un futuro di persone annerite dalla sfiducia; ma gli adolescenti devono stare attenti”.

E poi conclude: “Non bisogna educare solo gli adolescenti. Anche l’uomo deve imparare a riconoscere dentro di sé i segnali che lo stanno portando ad andare oltre. Bisogna insegnare all’uomo a proteggersi da sé stesso”.

Sonia Miceli