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Problemi alle vertebre lombari: traumi, fratture e rimedi

ALTOMONTE (CS) – Le fratture delle vertebre lombari si verificano a causa di traumi gravi, di un indebolimento patologico dell’osso o di entrambi. L’osteoporosi è la causa di molte fratture lombari, colpisce soprattutto le donne in menopausa. Le fratture spinali osteoporotiche possono verificarsi senza traumi apparenti. Una diagnosi accurata è necessaria per escludere un tumore spinale. Le 5 vertebre 1vertebre lombari sono le più grandi e forti della colonna vertebrale. Queste ossa costituiscono la parte inferiore della schiena. Le vertebre lombari partono all’altezza dell’ultima costa (o costola) e si estendono fino all’osso sacro. I muscoli stabilizzatori più forti della spina dorsale si inseriscono in questo tratto. La frattura amielica non provoca un danno neurologico a differenza della frattura mielica che causa una lesione nervosa e un deficit neurologico.

La maggior parte delle fratture della colonna vertebrale lombare, che richiedono un trattamento chirurgico, si verificano a livello t12 (o d12), l1 oppure l2. Queste lesioni sono principalmente di origine traumatica, mentre la maggior parte delle fratture lombari non traumatiche sono di origine osteoporotica. Le fratture del polso e quelle vertebrali interessano generalmente le donne con osteoporosi di tipo 1 (età compresa tra 51 e 65 anni). La carenza di estrogeni è il fattore di rischio principale della bassa densità di calcio nelle ossa. L’osteoporosi di tipo 2 (tipo senile) si verifica dopo i 75 anni, con una frequenza doppia nelle donne rispetto agli uomini.

Molte tipologie di fratture lombari, che colpiscono i giovani e gli uomini di mezza età, sono di origine traumatica. Le cadute che causano un forte impatto possono provocare la rottura dell’osso, mentre le cinture di sicurezza delle automobili possono causare fratture a cuneo in caso di colpo di frusta. Esistono due tipi di classificazione delle fratture: quella vertebrale stabile e quella vertebrale vertebre 2instabile. La stabile non causa una deformità spinale o problemi neurologici. La colonna vertebrale può ancora trasportare e distribuire il peso abbastanza bene. Il corpo della vertebra può essere deformato, la parte posteriore rimane intatta. La frattura instabile provoca difficoltà per la colonna vertebrale nel trasporto e nella distribuzione del peso: non curata può peggiorare e causare ulteriori danni. Il corpo della vertebra si lesiona insieme alla colonna posteriore che si può deformare in compressione, rotazione o flessione laterale. Generalmente si forma una cifosi post-traumatica e si verificano dei sintomi neurologici progressivi. Una frattura lombare può derivare da un incidente stradale in estensione, come un’improvvisa frenata, in cui forza della cintura di sicurezza allontana le vertebre.

 

Fratture da compressione, da scoppio e da rotazione

Fratture da compressione: la parte anteriore (corpo) della vertebra si rompe e l’altezza si riduce, ma la parte posteriore non si deforma. Solitamente questo tipo di frattura è stabile e raramente provoca disturbi neurologici. Le fratture da compressione sono causate generalmente da una forza che viene dall’alto e provoca lo schiacciamento delle vertebre nella parte anteriore.

Frattura da scoppio: la vertebra perde altezza sia nella parte anteriore sia in quella posteriore. Di solito è causata da caduta in piedi dall’alto. Le fratture a volte possono causare retro-pulsioni della vertebra nel canale vertebrale.

Frattura da rotazione: le fratture del processo trasverso, oltre che rare, sono la conseguenza di una flessione laterale estrema: di solito non alterano la stabilità della colonna. La frattura con lussazione è una frattura in cui l’osso e il tessuto molle collegato si allontanano dalla vertebra adiacente. Questo tipo di frattura è instabile e può causare una grave compressione del midollo spinale.

 

Sintomi della frattura delle vertebre lombari

La localizzazione del dolore corrisponde al punto in cui è avvenuta la frattura, come si vede dalle radiografie. I pazienti anziani con grave osteoporosi potrebbero non aver dolore dato che la frattura si verifica spontaneamente. Gli adulti e i giovani possono sentire un forte mal di schiena, dopo un trauma come una caduta o un incidente automobilistico. La debolezza o l’intorpidimento delle estremità inferiori sono importanti sintomi di lesioni neurologiche che possono verificarsi nelle vertebre 3fratture mieliche. Le rotture vertebrali possono anche causare dei dolori riferiti. Il trattamento della frattura con vertebro-plastica ha dato sollievo all’83% di questi pazienti. L’osteoporosi è una malattia che progredisce in silenzio. Le fratture osteoporotiche da compressione sono spesso diagnosticate quando un paziente anziano si presenta con sintomi quali scoliosi progressiva o dolore lombare meccanico e il medico effettua la radiografia lombare.

 

Esami diagnostici

La radiografia è l’esame standard necessario per la valutazione delle fratture della colonna vertebrale in proiezione antero-posteriore e laterale della colonna lombare. In caso di frattura somatica, la vista laterale mostra eventuali diminuzioni nell’altezza del corpo vertebrale. La vertebra cambia forma perché è schiacciata dal peso del corpo, può diventare a cuneo (con la parte anteriore più bassa) oppure biconcava (con la parte centrale corta). La tac mostra un eventuale restringimento nel canale spinale. Questo strumento è utile per escludere una frattura da scoppio. La risonanza magnetica è necessaria quando si sospetta una frattura con la compressione della radice del nervo e il paziente lamenta una sciatalgia. Questo tipo di immagine è più sensibile nel rilevare le emorragie, i tumori e le infezioni. La mineralometria ossea computerizzata (moc) attualmente è il metodo più usato per osservare la densità ossea di un individuo.

I test ortopedici di valutazione per le fratture della quarta e quinta vertebra lombare ( l4 e l5 ) dovrebbero essere: un esame clinico lombare con la palpazione delle vertebre, un esame neurologico delle estremità inferiori oppure un test di stiramento del nervo sciatico (test di lasegue) eseguito sollevando la gamba dritta da supino. Il fisioterapista dovrebbe osservare la zona lombare per individuare calore ed eventuali arrossamenti, oltre che testare le vertebre lombari, così da notare vertebre 4eventuali deformità. In caso di frattura, durante il movimento, il paziente lamenta forte dolore nel punto in cui l’osso è rotto. Il trattamento chirurgico della frattura della vertebra l1 o l2 si effettua quando sono presenti disturbi neurologici, così da riparare la lesione. Ci sono diverse procedure in base al grado di compressione, al livello spinale in cui è avvenuta la frattura e allo stato di salute del paziente. Se il soggetto con frattura lombare è giovane, il chirurgo può inserire placche, viti e altre strutture meccaniche per fondere le vertebre rotte.

 

Rimedi chirurgici

Vertebroplastica: è un trattamento efficace nella gestione delle fratture vertebrali di compressione che consiste nell’incisione chirurgica della schiena e nell’iniezione di una sostanza simile al cemento osseo nel corpo vertebrale fratturato.

Cifoplastica: è una procedura mini-invasiva in cui si esegue solo un piccolo foro invece di un’incisione con il bisturi. L’operazione allevia il dolore della frattura vertebrale inserendo del cemento osseo all’interno della vertebra, in modo da solidificare e stabilizzare la parte lesionata. Gli studi scientifici mostrano che la cifoplastica ha circa gli stessi risultati della vertebroplastica, ma presenta un maggior recupero dell’altezza vertebrale.

 

Terapia non chirurgica

La cura per i pazienti che non necessitano di un intervento chirurgico serve per alleviare il dolore e si basa sul rinforzo e sulla riabilitazione. Le fratture con compressione e quelle che interessano la parte anteriore e centrale delle vertebre sono le più adatte a questo tipo di trattamento. Il tutore usato per questo tipo di lesione è il busto in estensione che comprende il dorso e la parte lombare della schiena. Durante le sedute di fisioterapia, i pazienti devono aumentare la propria mobilità senza avvertire vertebra 5dolore. Con questo tutore possono muoversi ed eseguire esercizi di riabilitazione. Le opzioni non chirurgiche stanno diventando il metodo di trattamento preferito in caso di frattura lombare perché spesso il rinforzo e le terapie sono più efficaci dell’operazione. Gli obiettivi della riabilitazione sono: ridurre il dolore, recuperare la mobilità e migliorare la forza e l’equilibrio. Esistono problematiche che potrebbero complicare il raggiungimento degli obiettivi: mancata riduzione della frattura, lesioni neurologiche (paralisi) e deformità della colonna vertebrale.

 

Tempi di recupero post-frattura vertebrale e prognosi

I tempi di guarigione dipendono dal tipo di danno: una lesione neurologica può non guarire, mentre l’osso, generalmente recupera in modo graduale in circa 3 mesi. La magnetoterapia riduce i tempi di formazione del callo osseo fino al 50%.

 

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170

 

 

 

 

 

 

 

La riabilitazione nelle distorsioni della caviglia

ALTOMONTE (CS) –  In ambito ortopedico – traumatologico le principali problematiche a livello del complesso articolare della caviglia o articolare tibio – tarsica sono le distorsioni (oltre alle fratture soprattutto di tibia). La distorsione di caviglia, detta comunemente “storta“, non è un’alterazione permanente. Tuttavia, essendo il più frequente trauma muscolo – scheletrico dell’arto inferiore, è quello che maggiormente può creare problemi soprattutto se non viene effettuata una buona riabilitazione.distorsione 1

È tipica dei giovani, in particolare degli sportivi. Gli sport maggiormente a rischio sono il basket, il calcio e la pallavolo. La maggior parte dei pazienti recupera completamente ma in circa un 30% dei casi compaiono dolore e instabilità cronica. La dinamica classica nelle distorsioni della caviglia è una ricaduta sbilanciata e accidentale dopo un salto o a seguito di un movimento o un contatto brusco. Il più frequente meccanismo di infortunio è in inversione (rotazione interna della pianta del piede) e a volte i due meccanismi possono coesistere. In alcuni casi è una fragilità derivante da precedenti episodi mal curati o dovuta a uno scarso tono muscolare o ad una lassità legamentosa.

Le distorsioni sono classificate a secondo della gravità in una scala che va da 0 a 3, dalla meno grave alla più seria. Il grado 0 è costituito da una distorsione ove il dolore della caviglia scompare o si attenua nel giro di una decina di minuti circa, e non ne compromette il movimento. Solitamente, le distorsioni di grado zero non danno luogo a gonfiore. Nelle distorsioni di grado 1, o leggere, c’è una compromissione dei legamenti che vengono stirati ma non compaiano rotture. È presente un modesto gonfiore solitamente non immediato ma che compare dopo qualche ora del trauma, dolore che non impedisce di camminare ma allo stesso tempo non permette, se non con sofferenza, di riprendere l’attività interrotta. Il danno funzionale è quasi assente quindi non è compromesso il movimento e non è presente instabilità articolare. Nelle distorsioni di grado 2, o moderata, c’è una parziale rottura dei legamenti, il gonfiore compare pochi minuti dopo l’evento traumatico e si possono vedere anche delle chiazze rosse sotto pelle. Esse indicano che alcuni vasi sanguigni si sono rotti. In tale situazione è impossibile riprendere l’attività distorsione 2fisica e il dolore, anziché passare con il tempo, tende ad aumentare o a rimanere costante per diverse ore. Si riscontra una certa perdita della funzione articolare e quindi del movimento e una lieve instabilità. Nelle distorsioni di grado 3, o gravi, vi è una rottura completa dei legamenti con gonfiore che inizia subito dopo il trauma, oltre ad un versamento interno di sangue. Il paziente avverte un dolore intenso, non riesce a muovere la caviglia e non può sopportare nemmeno che qualcuno cerchi di farlo. Si riscontra un’instabilità meccanica e l’incapacità di sostenere il peso sull’arto. Nelle distorsioni di terzo grado, il danno può essere rappresentato oltre che da una rottura dei legamenti anche da una frattura ossea.

Qualora si trattasse di una frattura, va esaminata e, se necessario, si dovrà intervenire chirurgicamente oppure fare una ingessatura che il paziente dovrà portare per 40 giorni, alla quale seguirà un ciclo di fisioterapia mirata a riprendere la corretta mobilità del piede, fino a giungere in 60 giorni alla guarigione completa. Nelle distorsioni della caviglia è molto importante il primo intervento, quello che si fa in campo, subito dopo l’intervento traumatico. È bene quindi sapere cosa fare, nel caso non ci fosse un esperto. Per prima cosa quindi bisogna applicare il ghiaccio e mettere la gamba in alto (elevarla). Dopo aver tolto delicatamente la scarpa e la calza, bisogna fasciare la caviglia con un bendaggio compresso e non caricare con il peso. Nel caso la lesione sia di grado 3, come detto prima, potrà essere necessario un distorsione 3trattamento chirurgico, al quale seguirà un percorso riabilitativo post – chirurgico. Non tutti concordano sulla necessità di un intervento, alcuni ortopedici e fisiatri consigliano, anche in caso di rottura dei legamenti, un trattamento conservativo: ritengono che un adeguato programma fisioterapico sia sufficiente a ridare stabilità alla caviglia .

Nella prima fase del trattamento è consigliabile immobilizzare la caviglia, un’immobilizzazione parziale senza tutori o apparecchi gessati, a meno che non ci sia una frattura. È più conveniente immobilizzare parzialmente la caviglia, ed utilizzare una stampella per camminare (se si vuole mantenere un carico parziale sulla caviglia lesa) o due in caso in cui è prescritta l’assenza totale di carico sulla caviglia lesa) per poi cominciare precocemente la riabilitazione.

È stato dimostrato infatti che il movimento velocizza la guarigione, mentre l’immobilizzazione la rallenta o addirittura la blocca. Applicazione del ghiaccio per 20 minuti ogni 2-3 ore, non tenendolo a contatto con la pelle perché provocherebbe ustioni. Bisogna mettere 3-4 cubetti in una borsa del ghiaccio adatta per il contatto con la pelle. Dopo questa fase, l’applicazione di ghiaccio andrà interrotta: prolungarla infatti rallenterebbe il processo di guarigione dei tessuti. La caviglia dovrà essere avvolta in un bendaggio compressivo, mantenere l’arto in posizione elevata per favorire il ritorno venoso e per la riduzione dell’edema (gonfiore). Nella seconda fase, o sub – acuta, se non sono comparse complicazioni si potrà cominciare con la rieducazione funzionale. La riabilitazione è un percorso progressivo dove il lavoro, la fatica e la difficoltà degli esercizi andrà gradualmente aumentando nel tempo. Questa fase sarà incentrata sul controllo del dolore e recupero del rom articolare (range of movement), quindi dell’ampiezza del movimento per il recupero della forza muscolare e della stabilità. Per il dolore si utilizzeranno terapie fisiche (tecar, tens, elettrostimolazione, ultrasuoni), terapie manuali, in particolare massaggi drenanti per la riduzione del gonfiore e massaggi trasversali (con cautela).

 

Per una graduale ripresa della mobilità articolare:

mobilizzazione passiva manuale, da effettuare sul lettino con il paziente sdraiato supino, in assenza di carico. Il fisioterapista farà flettere e stendere la caviglia del paziente ovviamente nel rispetto più assoluto del dolore, per riuscire a guadagnare la piena escursione articolare della flessione ed estensione plantare.

mobilizzazione attiva – assistita. In parte il paziente, sdraiato supino, muoverà attivamente la caviglia. In caso di difficoltà il terapista lo aiuterà nel completare il movimento. Inoltre si faranno esercizi dove si chiederà la flesso – estensione autonoma del ginocchio per poi portare dietro la caviglia, sotto la quale si potrà posizionare una piccola palla.

mobilizzazioni attive e contro resistenza. Il paziente fletterà ed estenderà la caviglia autonomamente sempre sul lettino. Gli si chiederà di fare circonduzioni, o disegnare con il piede figure geometriche o le lettere dell’alfabeto. Infine effettuerà anche movimenti contro resistenza, da sdraiato o da seduto, lavorando in questo modo anche sul recupero della forza muscolare.

Si lavorerà anche per il risveglio e il rinforzo muscolare, che deve essere selettivo, mirato ad alcune catene muscolari, accompagnato da esercizi di allungamento e rilasciamento in modo da ristabilire l’equilibrio muscolare fondamentale per restituire almeno la parte dinamica della stabilità.

Per il rinforzo muscolare si faranno: esercizi in carico, sollevare le punte e i talloni, mettere un piede su un gradino, esercizi con le bande elastiche aumentando gradualmente la resistenza dell’elastico, rinforzo del tibiale anteriore e dei peronieri, esercizio con l’aiuto di una palla di spugna messa sotto il piede ed esercizi sulla deambulazione, cioè sul passo, per reintegrare il piede nella funzione dell’arto inferiore. Lo si farà camminare in avanti, all’indietro e lateralmente. Seguiranno altri esercizi in flessione plantare distorsione 4prima a ginocchio esteso poi a ginocchio flesso (piegato). Nella terza fase la caviglia sarà completamente asciutta ed il tono muscolare buono. Ciò lo si potrà comprendere perché: il paziente potrà camminare veloce alternando una corsa leggera, corsa sul nastro trasportatore (tapis roulant) e corsa in strada. Si dovrà far abituare nuovamente il paziente, facendogli percorrere dei percorsi con ostacoli, per prendere di nuovo coscienza dell’instabilità del terreno che non sarà mai omogeneo. Negli atleti è importante anche rieducare il gesto atletico, affinché venga eseguito nel modo migliore e limitare eventuali recidive. In tutte queste fasi inoltre si effettueranno esercizi per la rieducazione propriocettiva, che nella riabilitazione della caviglia ha un ruolo importantissimo: bisognerà riacquistare la capacità propriocettiva, vale a dire rieducare il piede al perfetto controllo posturale e al movimento.

 

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170

Tutto quello che c’è da sapere sulla lesione del legamento crociato

ALTOMONTE (CS) – All’interno dell’articolazione del ginocchio vi sono due legamenti interposti tra tibia e femore, denominati crociati perché si incrociano al centro dell’articolazione e sono distinti in legamento crociato anteriore (LCA ) e legamento crociato posteriore (LCP).

Tali legamenti hanno la funzione di limitare rispettivamente il movimento di traslazione anteriore o posteriore della tibia rispetto al femore e formano il cosiddetto “pivot centrale” (centro di rotazione) del ginocchio, struttura fondamentale nel garantire la stabilità dell’articolazione.

Il legamento crociato anteriore è una struttura sottoposta ad estreme sollecitazioni meccaniche durante l’attività sportiva e i traumi che ne determinano la rottura sono nella maggioranza dei casi di natura sportiva. La lesione totale nei giovani e negli sportivi pone in genere una indicazione alla terapia chirurgica. Nel caso in cui non si proceda alla ricostruzione, si consiglia al paziente l’astensione dalle attività a più alto impatto. Il rischio principale nella prosecuzione sportiva o lavorativa/ricreativa potrebbe causare una lesione totale del legamento crociato anteriore non riparata e di riportare una serie di microtraumi distorsivi che producono lesioni a carico dei menischi e delle strutture legamentose periferiche, producendo un’artrosi precoce del ginocchio.

La lesione del legamento crociato anteriore può accompagnarsi a una lesione dei menischi, in particolare del menisco mediale. Attualmente si tende ad effettuare la ricostruzione del legamento prima che si sviluppi una lesione degenerativa a carico delle strutture meniscali. Nel caso in cui la lesione 1lesione del menisco sia insorta in contemporanea con la lesione del legamento, durante l’intervento chirurgico di ricostruzione si compirà anche la riparazione del menisco lesionato (quando possibile, la lesione meniscale viene trattata per mezzo di una sutura; se a causa del tipo di lesione ciò non sia possibile, si effettuerà una pulizia selettiva della porzione di menisco danneggiato).

In genere, una lesione traumatica del legamento crociato anteriore non necessita di una terapia chirurgica d’urgenza (come una frattura) ma, al contrario, le attuali indicazioni consigliano di non intervenire su una articolazione sede di un importante processo flogistico in atto per evitare il rischio d’insorgenza di fenomeni fibroaderenziali importanti nel post-operatorio, con possibilità di evoluzione in un’artrofibrosi.

La diagnosi di lesione è prevalentemente di tipo clinico basata su un corretto esame obiettivo eseguito dallo specialista, il quale non può essere sostituito in nessun caso dai soli esami strutturali.

L’anamnesi è estremamente rilevante in quanto il paziente stesso espone la dinamica dell’incidente. La rottura del legamento crociato anteriore si osserva spesso durante una distorsione del ginocchio mentre il piede è bloccato al suolo e il ginocchio effettua un movimento di torsione; nello stesso istante a livello del ginocchio si può percepire un “crac”, dopo il quale il ginocchio tenderà a gonfiarsi (a causa di un versamento di liquido siero-ematico intrarticolare). Dopo alcuni minuti tuttavia, se la lesione è isolata, l’individuo potrà a volte rialzarsi e camminare. Altre manovre da utilizzare per confermare la diagnosi sono il “segno del cassetto anteriore“ che non è tuttavia sempre positivo nelle lesioni pure, ed il “pivot-shift test“, il quale risulta difficile da obiettivare in acuto per il subentrare della contrazione antalgica.

Nelle prime ore dopo il trauma, lo specialista potrà ritenere opportuno eseguire un’artrocentesi (prelievo di liquido dal ginocchio mediante siringa). Questo gesto ha una finalità sia diagnostica, per ricercare la presenza di un emartro (presenza di liquido contenente sangue all’interno del ginocchio) dotato di elevato valore diagnostico presuntivo, sia terapeutica, per alleviare il dolore provocato dalla distensione della capsula articolare.

L’esame radiografico del ginocchio nelle due proiezioni standard antero-posteriore (AP) e latero-laterale (LL) è indispensabile per escludere eventuali lesioni ossee, in particolare per ricercare lesioni a carico delle spine intercondiloidee (punto di inserzione del legamento crociato anteriore a livello del punto tibiale) evenienza relativamente frequente negli sportivi di giovanissima età, oppure la cosiddetta frattura di segond, di per sé indicativa della lesione del legamento. Particolari esami radiologico – strumentale (rx sotto stress) permettono di ottenere una valutazione semiquantitativa di lesioni inveterate del legamento crociato anteriore, ma non sono praticamente mai necessari. Per la valutazione di lesioni legamentose, meniscali o cartilaginee, il gold standard diagnostico è rappresentato dalla risonanza magnetica nucleare e tale esame risulta praticamente indispensabile nella valutazione definitiva di una lesione del legamento crociato anteriore. Le varie tecniche attualmente utilizzabili per la ricostruzione del legamento crociato anteriore vengono eseguiti in artroscopia. Nella maggior parte dei casi si procede ad un prelievo tendineo “autologo” (cioè dal paziente stesso). I tendini più frequentemente utilizzati sono la porzione centrale del tendine rotuleo e quelli semitendinoso e gracile, suturati insieme a formare un prelievo quadruplicato, avente lo spessore di quattro fasci. Possono essere utilizzati per la ricostruzione anche prelievi tendinei “omologhi “ (da donatore), specialmente in caso di interventi di revisione o di instabilità legamentosa multipla. Il trapianto prescelto viene posizionato per via endoscopica all’interno della cavità articolare del ginocchio e quindi fissato al femore e alla tibia con cambre metalliche o viti ad interferenza (in base alla tecnica utilizzata). Le viti ad interferenza utilizzabili per la fissazione all’osso femorale e tibiale del neolegamento possono essere riassorbibili o metalliche. La moderna chirurgia ortopedica si può avvalere anche dell’utilizzo di “navigatori chirurgici“, i quali consentono di ricostruire il legamento crociato anteriore con tecnica computer assistita, facendo aumentare l’accuratezza nel posizionamento dell’impianto e permettendo una verifica quantitativa intra-operatoria della correzione eseguita con l’intervento.

La riabilitazione del ginocchio operato di ricostruzione del legamento crociato anteriore è fondamentale per il raggiungimento di un buon risultato dal punto di vista clinico e funzionale. Viene pertanto condotta seguendo precisi protocolli, che variano in funzione alla tecnica chirurgica utilizzata, dal tipo di trapianto e dalla sua fissazione. Lo scopo essenziale è comunque quello di iniziare la riabilitazione nell’immediato post-operatorio. Il paziente può flettere ed estendere il ginocchio immediatamente dopo l’intervento. Nei primi 15 giorni si possono facilmente raggiungere i 120° di flessione senza alcun pericolo per il neolegamento. L’estensione totale deve essere cercata e recuperata da subito. In generale, si ottiene una completa flessione fino a circa 140° normali a tre mesi dall’ intervento. Per quanto riguarda il potenziamento muscolare, bisogna impedire che i muscoli si disabituino alla mobilità, perdendo in efficacia nella loro capacità di associazione con una serie di opportuni esercizi muscolari. Naturalmente, accanto ad un adatto programma di potenziamento muscolare, è molto importante lo stretching. Una procedura fondamentale nell’ambito delle tecniche riabilitative è la riabilitazione “propriocettiva”. Alcune scuole consigliano l’utilizzo di un tutore nell’immediato post-operatorio, soprattutto per proteggere il trapianto impedendo la iperestensione al progressivo recupero del paziente dall’anestesia, ed esso può essere rimosso pochi giorni dopo l’intervento. Riguardo alle ginocchiere, la loro importanza è soprattutto di ordine psicologico, al fine di assicurare il paziente, mentre non sembrano indispensabili alla effettiva protezione del neolegamento. In definitiva, le ginocchiere sembrano capaci di potenziare la sensibilità propriocettiva, senza impedire la traslazione anteriore della tibia rispetto al femore. Si consiglia la ripresa del carico deambulatorio completo dopo 30 giorni dall’intervento, consentendo fino a tale termine la deambulazione con ausilio di due stampelle con carico parziale. A 2 mesi inizio della corsa, nuoto, bicicletta, a 5-6 mesi inizio di allenamenti più intensi per la ripresa agonistica nello sport praticato. La scelta del tipo di anestesia è indifferente dal punto di vista chirurgico ed in genere viene fatta dall’anestesista di sala operatoria, tenendo conto, per quanto possibile, delle richieste e delle preferenze del paziente. È possibile procedere alla ricostruzione del crociato in anestesia spinale o in anestesia loco regionale, impiegando il blocco nervoso periferico dei nervi dell’arto inferiore, e anche in anestesia generale. Il tempo medio di degenza in ospedale è tra i 3 e i 5 giorni. Un lavoro sedentario può essere ripreso dopo 7- 10 giorni, un’attività lavorativa pesante necessita dai 2-3 mesi. I punti di sutura sono rimossi tra 12-15 giorni dopo l’intervento. In generale la cicatrice è più corta se si ricostruisce il legamento crociato anteriore con i tendini del gracile e semitendinoso quadruplicati rispetto alla cicatrice anteriore, il quale prevede l’utilizzo del tendine rotuleo. È necessario non bagnare la cicatrice per 15-20 giorni. Durante questo periodo è sconsigliato andare in piscina o fare il bagno. In generale si riprende la guida dopo 30-45 giorni dell’intervento.

Dott. Fisioterapista Mario Turano, Via Aldo Moro, Altomonte (CS), cell. 348 8841170