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Un Sindbad misterioso per un salotto letterario nel cuore di Cosenza

COSENZA – Una serata insolita ed affascinante sta per svolgersi in un luogo segreto della nostra città. Apparentemente potrebbe trattarsi della presentazione di un libro ma in realtà è qualcosa di più originale e complesso.

Lo spunto è offerto infatti dal romanzo di Sándor Márai Sindbad torna a casa, uscito da poco per Adelphi in cui lo scrittore ungherese riprende il personaggio inventato da un altro scrittore suo connazionale ma di una generazione precedente, Gyula Krúdy, popolarissimo nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento. Questi ne fece una sorta di alter ego in un romanzo e due raccolte di racconti nel biennio 1911-12, trasfigurando a sua volta il personaggio mitico del marinaio delle Mille e una notte in un avventuriero magiaro dell’Ungheria fin de siècle.

Vi presento Sindbad. Il mito del libertino ungherese, trasognato viaggiatore nel tempo e nello spazio, dalle Mille e una notte alla belle époque mitteleuropea, dai Mari d’Oriente al Danubio, da Gyula Krúdy a Sándor Márai, tra vita e letteratura è il tema di un incontro pensato e condotto come una conferenza-spettacolo,da Ugo G. Caruso, studioso di cultura di massa e storico dello spettacolo, stavolta in veste di appassionato frequentatore della letteratura mitteleuropea.

L’occasione prevista per mercoledì 17 nel tardo pomeriggio, sarà ospitata in una casa privata nel cuore della città vecchia ed accoglierà non più di venti persone, le prime che avranno risposto all’invito diffuso dalla Libreria Mondadori di Cosenza che è promotrice dell’inusuale iniziativa. L’intento è proprio quello di ricreare l’ambiente di un salotto letterario dell’ottocento in tema con l’argomento trattato. Per meglio illustrare il fascinoso personaggio metaletterario nel suo reincarnarsi dalle novelle orientali nel nobiluomo magiaro, Caruso si avvarrà delle splendide immagini del film Szindbád, capolavoro diretto nel 1971 da Zoltán Huszárik, scoperto all’inizio degli anni ottanta a Pesaro nel corso di una retrospettiva.

Un appuntamento dunque che vuole essere prezioso ed originale, definito in ogni dettaglio non per gusto della stravaganza ma per restituire interamente l’atmosfera di un’epoca e il fascino di una creazione letteraria.

Corrado Alvaro, il profondo osservatore di fatti e costumi.

Nasce il 15 aprile 1895 a San Luca (Reggio Calabria), un piccolo paese sul versante ionico dell’Aspromonte. Il padre, maestro elementare, è fondatore di una scuola serale per contadini e pastori analfabeti; la madre proviene da una famiglia di piccoli proprietari. A San Luca trascorre un’infanzia felice, fortemente influenzato dal padre da cui riceve la prima istruzione e gli fa conoscere profondamente la natura, gli uomini e la tradizione della sua terra. Terminate le scuole elementari è mandato a proseguire gli studi nel prestigioso collegio di Mondragone, a Frascati. Tuttavia, nella sua memoria di scrittore, il paese natale, l’ambiente umano e sociale della sua regione, con i miti e le tradizioni di una gente ancora legata a strutture economiche quasi primitive, non si cancellarono; si fissarono anzi come un elemento fondamentale d’ispirazione e formarono il più ricco sedimento di valori poetici e morali nella coscienza di scrittore dell’Alvaro.Durante gli studi superiori si dedica con grande passione alla letteratura, approfondendo soprattutto le opere degli scrittori allora più noti e ammirati quali Carducci , Pascoli e D’Annunzio e compone lui stesso molti racconti e poesie. Nel 1914 pubblica le sue prime poesie su “Il nuovo birichino calabrese”. Nel gennaio del 1915 è chiamato alle armi come ufficiale di fanteria. Viene ferito alle braccia nella zona di San Michele del Carso e sarà anche decorato con la medaglia d’argento. Nel primo dopoguerra collabora al “Resto del Carlino” di Bologna, pubblicandovi i primi racconti, e successivamente è assunto al “Corriere della Sera” a Milano. Nel 1922 è chiamato come redattore al “Mondo” di Giovanni Amendola. Dopo il delitto Matteotti è tra i cinquanta firmatari dell’Unione nazionale delle forze democratiche guidata da Amendola. A partire dall’estate del ’24 sulla rivista umoristica “Il becco giallo”, che non risparmia critiche al regime, si occupa con lo pseudonimo V.E. Leno della rubrica “Sfottò”. Su “La Stampa” del 14 gennaio 1927 pubblica le pagine iniziali di “Gente in Aspromonte”. E’ oggetto di attacchi da parte dei giornalisti fascisti, ma declina l’invito fattogli da amici francesi ad andare a Parigi. Alla fine del ’28 parte per Berlino e segue attentamente la vita culturale tedesca. Rientrato definitivamente a Roma continua a collaborare con “la Stampa” e pubblica le raccolte di racconti “Gente in Aspromonte”, “La signora dell’isola” e il romanzo “Vent’anni”. Fino alla caduta del fascismo, Alvaro si mantiene comunque lontano dagli ambienti del potere e riesce a continuare con una relativa tranquillità la sua opera narrativa e saggistica. Nel gennaio del ’41 torna per l’ultima volta a San Luca per i funerali del padre. Tornerà invece più volte a Caraffa del Bianco (Reggio Calabria) a far visita alla madre e al fratello don Massimo, parroco del paese. Nel secondo dopoguerra esce “L’età breve”, primo romanzo del ciclo “Memorie del mondo sommerso”.

Vive e lavora tra Roma, nell’appartamento di Piazza di Spagna, e Vallerano, in provincia di Viterbo, dove ha una grande casa in mezzo alla campagna. Muore prematuramente a Roma il mattino dell’11 giugno 1956, lasciando alcuni romanzi incompiuti e altri inediti vari.

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