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Incendio nel centro storico di Cosenza, sopralluogo del procuratore aggiunto Marisa Manzini

COSENZA – Il procuratore aggiunto di Cosenza, Marisa Manzini, ha effettuato un sopralluogo, questa mattina, nell’appartamento di corso Telesio, nel centro storico , dove il 18 agosto scorso, a causa di un incendio, sono morte tre persone. Marisa Manzini è stata accompagnata dalla polizia scientifica ed è riuscita ad entrare nei locali interessati dal rogo solo grazie alle scale dei vigili del fuoco. Ispezionato anche l’adiacente Palazzo Compagna, dove l’incendio ha portato alla distruzione di importanti documenti storici. Nessuna dichiarazione è stata rilasciata sulle indagini in corso per accertare le cause del rogo.

La cultura per il rispetto dell’ambiente per contrastare le ecomafie

COSENZA – Il principio della legalità in materia ambientale trattato nel corso di una iniziativa organizzata da Confapi Calabria, presieduta da Francesco Napoli, con la partecipazione del magistrato Marisa Manzini e di Luigi Cerciello Renna, capo team dell’Autorità nazionale anti corruzione ed esperto in materia ambientale . L’incontro, patrocinato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dall’ordine provinciale dei dottori agronomi e forestali, ospitato nell’Università della Calabria, è stato introdotto dal saluto del rettore Gino Crisci e da Teresa Vigile, rappresentante dell’Associazione Italiana Esperti Ambientali. Sul tavolo le nuove norme di contrasto alle ecomafie ed ai reati ambientali. «Stiamo assistendo da anni ad una spiccata sensibilià da parte dei cittadini verso i temi ambientali, soprattutto ci chiedono più trasparenza – ha detto tra l’altro Luigi Cerciello Renna che è anche membro dell’Osservatorio Appennino Meridionale – La Calabria insieme al Molise non ha mai comunicato i dati sulla contaminazione delle acque. Parlo del rapporto Ispra che ogni anno viene diramato a livello nazionale. Molto si fa dal punto di vista dell’impulso del legislatore, perché la nuova legge sugli eco reati segna un passo decisivo, ma è un giro di boa. La svolta culturale è legata alla capacità e volontà delle amministrazioni di azzerare la distanza con i cittadini, che si annulla solo colmando quel vuoto di trasparenza. C’è ancora molto da fare – ha concluso Cerciello Renna –  a cominciare dalle scuole, dalle università, dagli ambiti sociali. Serve una svolta culturale che faccia crescere nelle coscienze di ognuno di noi il senso di appartenenza all’ambiente ancora poco radicato». Marisa Manzini, procuratore aggiunto di Cosenza, ha sottolineato che soltanto negli ultimi anni il tema del diritto ambientale e dunque la tutela sul piano giuridico e penale dell’ambiente, ha avuto una accelerazione, grazie alle nuove norme introdotte dal legislatore. Il grande passo in avanti è stato compiuto, secondo il magistrato, individuando fattispecie di responsabilità da parte degli enti pubblici. «Biasogna ulteriormente sensibilizzare le amministrazioni locali affinché si attrezzino per la prevenzione del danno ambientale. Quando interviene la magistratura l’illecito è già stato compiuto. La vera sfida è invece quella di impedire che il reato ambientale venga commesso».

Aggressione verbale alla Manzini. La solidarietà di Magarò

«Manifesto la mia solidarietà personale e quella dell’Associazione che rappresento, alla dott.ssa Marisa Manzini, oggetto di minacce gravi ed inaccettabili pronunciate da un esponente della criminalità organizzata durante l’udienza di un processo in corso a Vibo Valentia». Lo afferma Salvatore Magarò, presidente dell’Associazione Più di Cento – Tana per la legalità. «Un mese fa, il 14 settembre scorso, abbiamo consegnato al magistrato il Pacchero d’Argento per la sua attività  contro la ‘ndrangheta ed il malaffare. Sono convinto che questa deprecabile aggressione verbale non ne fiaccherà l’impegno quotidiano per l’affermazione della giustizia e della legalità»

La ‘ndrangheta progettava un attentato contro la Manzini

VIBO VALENTIA – Alcune cosche di ‘ndrangheta avevano progettato di uccidere i magistrati Marisa Manzini e Giancarlo Bianchi «per la loro azione incisiva contro il clan Mancuso». A riferirlo stamani, nel corso del processo “Purgatorio” che vede imputati, con le accuse a vario titolo di associazione mafiosa e concorso esterno, l’ex dirigente della Squadra Mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento, il suo vice, Emanuele Rodonò, e l’avvocato Antonio Carmelo Galati, è stato lo stesso Lento durante l’esame cui è stato sottoposto dal pm della Dda di Catanzaro, Camillo Falvo. L’imputato ha fatto riferimento, in particolare, ad «un’intensa attività investigativa» che riguardava Salvatore Bonavota, esponente dell’omonimo cosca di Sant’Onofrio, ed altre persone, dalla quale era emerso il progetto di attentato di danni di Marisa Manzini, ex pm della Dda di Catanzaro ed attuale procuratore aggiunto a Cosenza, e di Giancarlo Bianchi, presidente della sezione penale del Tribunale di Vibo, a capo del collegio che nel 2008 emise la prima sentenza di condanna contro la cosca Mancuso.

Uccise la figlia. Il 14 aprile udienza al tdl

COSENZA – E’ stata fissata il prossimo 14 aprile l’udienza davanti al Tdl di Catanzaro per Giovanna Leonetti, la biologa cosentina accusata di aver ucciso la figlia di appena sette mesi lo scorso 20 febbraio. “Potrebbe fuggire e commettere gesti autolesivi”. Sono queste le motivazioni per le quali la Procura di Cosenza ha presentato appello al Tribunale del Riesame contro la decisione del gip di mettere la 37enne agli arresti domiciliari. La giovane dal giorno della tragedia si trova ricoverata nel reparto di Psichiatria dell’ospedale ‘Annunziata’ ed è sottoposta a cure specifiche perché affetta da depressione post partum. Per gli inquirenti – le indagini sono coordinate dal procuratore aggiunto Marisa Manzini e condotte dal sostituto Domenico Frascino – “non si può ritenere tranquillizzante la somministrazione di un’adeguata terapia mirata” perché quando ha compiuto il grave gesto era in “cura da diverso tempo, anche farmacologica”. Ecco perché “l’unica misura davvero adeguata – è scritto nell’appello della Procura – in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari che il gip ha ravvisato, è la misura cautelare in carcere”. Per i magistrati è possibile applicare tale misura perché allo stato le condizioni della donna non risultano incompatibili con il regime carcerario. Assunto respinto dal suo difensore, l’avvocato Marcello Manna che ha acquisito la cartella clinica della donna per valutare attentamente le condizioni di salute della giovane mamma.

Cosenza, operazione Black Out. Sgominata banda del rame. 13 ordinanze restrittive (NOMI)

gang del rame 1COSENZA – Sono in tutto 13 le misure cautelari eseguite stamane a conclusione di un’indagine congiunta di Polizia di Stato e Corpo Forestale dello Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Cosenza, contro un’organizzazione che riciclava rame rubato grazie alla complicità di imprenditori del settore che mettevano a disposizione le loro aziende per la ricettazione di metallo di provenienza furtiva. L’operazione è scattata all’alba. Le indagini effettuate dalla Squadra Mobile della Questura di Cosenza e dal Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale del Comando Provinciale di Cosenza hanno portato questa mattina all’esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari per 4 persone, e all’esecuzione di ulteriori 9 misure cautelari per altrettante persone. Sono stati contestati i reati di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, ricettazione aggravata e associazione per delinquere. La complessa indagine, coordinata dal Procuratore capo Dario Granieri, dal Procuratore aggiunto Marisa Manzini e dai sostituti procuratori Salvatore Di Maio, Domenico Assumma e Domenico Frascino, è durata diversi mesi. Secondo gli inquirenti, All’interno delle aziende “Autodemolizioni Franco Carriere srl” e “F.lli Bartucci Snc” di San Pietro in Guarano (cs) , confluivano ingenti quantitativi di cavi in rame rubati a società operanti nel settore energetico, dei trasporti e delle telecomunicazioni, materiale che veniva poi destinato alla ditta Ecotek srl di San Pietro Lametino (Cz). La refurtiva veniva conferita alle aziende da personaggi, alcuni dei quali destinatari delle misure cautelari, organici all’organizzazione. Il rame, sia “pulito” che bruciato, riciclato è stato quantificato dagli investigatori, grazie ad attività di videosorveglianza e intercettazioni, in decine di tonnellate. Il metallo veniva sigillato in containers e sistemato sotto uno strato di pneumatici fuori uso o nascosto all’interno dei veicoli da demolire accatastati all’interno dei piazzali delle aziende per poi essere caricato a bordo di mezzi dove veniva nascosto sotto gang del rame 3altri tipi di rifiuti e inviato alla Ecotek di Lamezia Terme (Cz) che provvedeva a inserire il materiale nel mercato legale. Gli spostamenti, che avvenivano con frequenza, sono stati costantemente monitorati nel tempo dagli investigatori della Polizia di Stato e dl Corpo Forestale. Il giro d’affari è stato stimato dagli investigatori in oltre 1.500.000 euro. Questa mattina è scattato IMG-20160329-WA0027il sequestro di numerosi beni aziendali, dei mezzi utilizzati per il trasporto e sono state eseguite tredici misure cautelari personali a carico di Franco Carriere, 43 anni, Francesco Bartucci 44 anni, Silvio Ciardullo, 33 anni, Raffaele Carlini, 56 anni, Marco Mauro, 32 anni, Francesco Bevilacqua, 23 anni, tutti di Cosenza; Fabio Angelo Perri, 44 anni, Giuseppe Lucchino 34 anni, Rosario Bandiera, 34 anni, Giovannino Gallo, 32 anni, tutti di di Lamezia Terme; Daniel Adam 34 anni e Andrei Cotet 35 anni, entrambi romeni; Marcello Munegato 42 anni, di Castiglione Cosentino. Nel corso delle operazioni sono state eseguite perquisizioni all’interno delle aziende coinvolte. IMG-20160329-WA0025

Omicidio Taranto, arrestato il presunto assassino

pattuglia carabinieri controlli notturni CcCOSENZA I carabinieri del comando provinciale di Cosenza hanno arrestato Domenico Mignolo, 28 anni, pluripregidicato contiguo alla potente cosca di ‘ndrangheta “Rango-Zingari”. L’uomo è accusato di aver ucciso il 29 marzo scorso, nel giorno della domenica delle Palme, Antonio Taranto, 26 anni, cosentino, con un colpo di pistola calibro 38. L’arresto è stato eseguito in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip su richiesta della Procura della Repubblca del tribunale di Cosenza. Le indagini, condotte dal reparto operativo dei carabinieri, coordinate dai magistrati Antonio Tridico e Donatella Donato e dirette dal procuratore capo Dario Granieri e dall’aggiunto Marisa Manzini, hanno consentito di accertare il movente dell’omicidio. Domenico Mignolo era in preda all’ira poiché non aveva ricevuto lo stipendio dal proprio clan nel periodo in cui era stato detenuto. Mentre era affacciato al balcone della propria abitazione, alla vista della persona che riteneva responsabile del mancato pagamento, non ha esitato ad esplodere due colpi di pistola, che poi si è fortunatamente inceppata, uccidendo però la persona sbagliata, Antonio Taranto. L’episodio si è verificato in Via Popilia. I particolari dell’operazione sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa. L’indagine è stata portata a compimento grazie ad intercettazioni, dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, attività compiuta dalla polizia giudiziaria nell’immediatezza dei fatti e consulenza balistica. “Sappiamo – ha detto il procuratore aggiunto di Cosenza, Marisa Manzini – che tutto origina da una lite avvenuta in discoteca, lite degenerata sino all’omicidio avvenuto in altro luogo. In questa fase possiamo formulare solo ipotesi, ma sicuramente Domenico Mignolo aveva avuto dei dissapori con Taranto e con un’altra persona presente ai fatti. Di certo c’era la volontà di uccidere quel soggetto o quei soggetti con cui era entrato in contrasto. Siamo in fase di indagine e tutto l’aspetto del movente dovrà essere sviluppato”. La lite tra il gruppo di Mignolo e quello di Taranto, secondo la ricostruzione degli inquirenti, iniziata in un locale, sarebbe continuata in via Popilia dove poi è degenerata. Mignolo sarebbe rientrato nella propria abitazione e affacciatosi dal balcone avrebbe sparato nel gruppo, colpendo Taranto. L’arma del delitto, probabilmente un revolver calibro 38, non è stato ritrovata.