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Dia: “I tentacoli della ‘ndrangheta sulla pandemia e il primato nel narcotraffico”

ROMA – Le mafie non ricorrono più alla violenza ma tendono ad adottare la linea dell’infiltrazione nel tessuto economico. E’ uno dei tanti dettagli sull’evoluzione delle organizzazioni criminali contenuta nella Relazione della Direzione investigativa antimafia, relativa al secondo semestre del 2020 e appena consegnata al Parlamento. In sostanza, spiegano gli esperti della Dia, tutte le organizzazioni mafiose hanno accelerato il “processo di trasformazione e ‘sommersione’ già in atto da tempo, senza però rinunciare del tutto all’indispensabile radicamento sul territorio e a quella pressione intimidatoria che garantisce loro la riconoscibilità in termine di ‘potere’ criminale“.

Calano gli omicidi ma più infiltrazioni illecite nell’imprenditoria

L’evoluzione del potere delle mafie è confermata dai dati: rispetto al secondo semestre del 2019 si registra da un lato il calo degli ‘omicidi di tipo mafioso’ e delle ‘associazioni mafiose’ (passati rispettivamente da 125 a 121 e da 80 a 41) e dall’altro un aumento dei delitti connessi con la gestione illecita dell’imprenditoria, le infiltrazioni nei settori produttivi e l’accaparramento di fondi pubblici.

Gli episodi di corruzione e concussione sono passati da 20 a 27l’induzione indebita a dare o promettere utilità da 9 a 16, il traffico di influenze illecite da 28 a 32, la turbata libertà degli incanti da 28 a 32. In questo quadro, oltre ai ‘tradizionali’ settori di interesse – usura, estorsioni, traffico di droga – le attenzioni delle organizzazioni si sono orientate sui settori del gioco d’azzardo e delle scommesse, anche grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia: imprenditori riconducibili ai clan, dicono gli analisti, costituiscono società nei paradisi fiscali e creano così un circuito parallelo a quello legale che consente di ottenere non solo ampi guadagni ma anche di riciclare in maniera del tutto anonima enormi quantità di denaro.

Altro settore d’interesse, fino a qualche anno fa riservato agli ‘specialisti’ delle società cartiere e delle frodi carosello, è quello del contrabbando dei prodotti energertici poiché consente di immettere nel mercato prodotti ad un prezzo molto più basso di quello praticato dalle compagnie petrolifere. Si creano così vere e proprie “sinergie tra mafie e colletti bianchi” con questi ultimi cui spetta il compito di curare le importazioni dei prodotti dell’est Europa e gestirne la distribuzione attraverso società create ad hoc attraverso le quali vengono riciclati i capitali messi a disposizione dalle organizzazioni. Sempre più spesso inoltre, spiegano ancora gli investigatori della Dia, le mafie ricorrono a pagamenti in criptovalute: i bitcoin e, più recentemente, il ‘Monero’, che non consentono il tracciamento e sfuggono al monitoraggio bancario”.

Emergenza Covid e i tentacoli mafiosi

Con il prolungamento dell’emergenza dovuta al Covid, “la tendenza ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale sano” da parte delle organizzazioni criminali “si sarebbe ulteriormente evidenziata”. E’ quanto afferma la Relazione della Dia al Parlamento relativa al II semestre del 2020 sottolineando che si tratta da parte delle mafie di una “strategia criminale che, in un periodo di grave crisi, offrirebbe alle organizzazioni l’occasione sia di poter rilevare a buon mercato imprese in difficoltà, sia di accaparrarsi le risorse pubbliche stanziate per fronteggiare l’emergenza sanitaria”.

Pandemia e nuovi modi d’infiltrazione

Nell’anno della pandemia, dicono ancora gli esperti della Dia, le organizzazioni criminali sembrerebbero aver utilizzato differenti modalità di infiltrazione: “se al nord, mediante il riciclaggio, risulterebbe intaccata l’imprenditoria privata con consistenti investimenti di capitali illeciti” si legge nel documento, al sud l’attenzione delle mafie si sarebbe rivolta “verso tutti i vantaggi offerti dai finanziamenti pubblici stanziati per offrire impulso alla crescita”.

Inoltre grazie alla capacità imprenditoriale, dovuta agli enormi capitali illeciti accumulati e alla collaborazione di imprenditori e colletti bianchi collusi le organizzazioni “potrebbero rivolgere le proprie attenzioni operative verso i fondi” stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza “che giungeranno a breve grazie alle iniziative del Governo per assicurare un tempestivo sostegno economico in favore delle categorie più colpite dalle restrizioni rese necessarie dall’emergenza sanitaria”. Proprio per evitare che le mafie mettano le mani su quei fondi, l’auspicio della Dia è che i governi dei singoli paesi e le istituzioni europee, mettano lo stesso impegno profuso per fronteggiare la pandemia e diano le stesse “risposte corali”.

 

“È auspicabile – si legge nella Relazione – che l’azione condivisa dei Paesi per il superamento dell’emergenza sanitaria possa esprimersi con analoga intensità di fuoco nel contrasto globalizzato alle organizzazioni criminali più strutturate e con diramazioni internazionali che sfruttano le disomogeneità legislative delle diverse Nazioni. Per una lotta efficace contro tali insidie oltre ad una auspicata e sempre più pregnante legislazione condivisa si impone un impulso sempre maggiore nella circolazione delle informazioni e nella cooperazione sinergica tra gli organi investigativi e giudiziari dei singoli Paesi”.

 

La ‘ndrangheta è leader nel narcotraffico, donne e minori sempre più coinvolti

La ‘ndrangheta rimane saldamente leader nel narcotraffico internazionale, ma “non appare più così monolitica ed impermeabile alla collaborazione con la giustizia da parte di affiliati nonché di imprenditori e commercianti, sino a ieri costretti all’omertà per il timore di gravi ritorsioni da parte dell’organizzazione mafiosa”. I gruppi affiliati si proiettano in tutte le regioni italiane, in diversi Paesi europei (Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Romania e Malta), nonchè in Australia, Stati Uniti e Canada.

Sottolineato anche il frequente coinvolgimento negli affari illeciti di donne e di minori. Le indagini, evidenzia la Relazione, danno conto “dell’ampio e pressoché inedito squarcio determinato dall’avvento sulla scena giudiziaria di un numero sempre più elevato di ‘ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia”. E anche “esponenti di primo piano hanno scelto di rompere il silenzio”. Nessuna tregua, però, sul contrasto, perchè le ‘ndrine sono infiltrate “in svariati settori commerciali, produttivi e dei servizi (costruzioni, autotrasporti, raccolta di materiali inerti, ristorazione, gestione di impianti sportivi e strutture alberghiere, commercio al dettaglio, senza tralasciare il settore sanitario, etc.)”.

I proventi del traffico di droga – in costante aumento – hanno reso la ‘ndrangheta una vera “potenza imprenditoriale” Le cosche, si legge ancora nel documento, “hanno da tempo dimostrato di essere straordinariamente abili ad adattarsi ai diversi contesti territoriali e sociali prediligendo, specialmente al di fuori dai confini nazionali, strategie di basso profilo e tenendosi, al contempo, al passo con il progresso e la globalizzazione. I modelli mafiosi originari vengono replicati al di fuori della Calabria facendo leva sui quei valori identitari posti alla base delle strutture ‘ndranghetiste. Alla stessa stregua non verrebbero abbandonate le tipiche ritualità di affiliazione che non rappresentano un mero fenomeno folkloristico ma preservano sentimenti fortemente caratterizzanti che rafforzano, ad esempio, il legame degli ‘ndranghetisti all’estero con la casa madre reggina”.

Reddito di cittadinanza

“La spregiudicata avidità della ‘ndrangheta non esita a sfruttare il reddito di cittadinanza nonostante la crisi economica che grava anche sul contesto sociale calabrese e benché l’organizzazione disponga di ingenti risorse finanziarie illecitamente accumulate”. Il riferimento è ad una serie di inchieste che hanno visto diversi personaggi affiliati o contigui ai clan calabresi quali indebiti percettori del reddito di cittadinanza: coinvolti, in particolare, uomini delle famiglie Accorinti, Mannolo, Pesce, Bellocco. Nell’ambito dell’operazione Tantalo, ad esempio, i Carabinieri hanno deferito all’autorità giudiziaria di Locri 135 percettori irregolari di buoni spesa Covid, alcuni dei quali legati per vincoli di parentela e/o affinità a sodalizi del luogo e, circa la metà, residenti a San Luca.

La ‘ndrangheta fuori dalla Calabria

San Giusto Canavese (Torino) e Lonate Palazzolo (Varese), Lona Lases (Trento) e Desio (Monza e Brianza), Lavagna (Genova) e Pioltello (Milano). Tutti posti ben lontani dalla Calabria, ma nei quali la ‘ndrangheta ha allungato i suoi tentacoli installandovi ‘locali’ (le strutture di coordinamento delle ‘ndrine). La Dia conta ben 46 ‘locali’ nelle regioni settentrionali: 25 in Lombardia, 14 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino Alto Adige. La ‘ndrangheta, rileva la Relazione, risulta “perfettamente radicata e ben inserita nei centri nevralgici del mondo politico-imprenditoriale anche nei contesti extraregionali” ed i numeri “dimostrano la capacità espansionistica delle cosche e la loro vocazione a duplicarsi secondo gli schemi tipici delle strutture calabresi”.

‘ndrangheta, arrestato in Spagna il boss Domenico Paviglianiti

BOLOGNA – I carabinieri di Bologna e la polizia spagnola hanno arrestato a Madrid il latitante di ‘ndrangheta Domenico Paviglianiti, 60 anni, “il boss dei boss” come era soprannominato negli anni Ottanta e Novanta.

Nei suoi confronti pende un provvedimento di esecuzione di pene concorrenti per 11 anni, 8 e 15 giorni, emesso il 21 gennaio dalla Procura di Bologna per i reati di associazione di tipo mafioso, omicidio e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Paviglianiti era stato rimesso in libertà nell’ottobre 2019, sulla base di un erroneo calcolo della pena. Aveva lasciato lasciato l’Italia e si era rifugiato in Spagna.
(Fonte e foto Ansa Calabria)

Operazione contro cosche del reggino: 11 arresti a Taurianova e Cinquefrond

REGGIO CALABRIA – I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito, a Taurianova e Cinquefrondi, un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip nei confronti di 11 persone, accusate di essere legate o, comunque, di avere favorito le cosche Zagari-Fazzalari e Avignone operanti a Taurianova. Gli arresti sono giunti a conclusione di un’indagine – denominata “Spes contra Spem” – coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri.

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi anche da guerra, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sostituzione di persona, tutti aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose.

I carabinieri hanno ricostruito le estorsioni ai danni di alcuni imprenditori che, interrogati, hanno confermato le richieste estorsive subite dai due principali indagati: i boss Domenico Avignone e Pasquale Zagari. Quest’ultimo, anche evocando esplicitamente i morti della faida di Taurianova e la sua capacità di risolvere i problemi con la violenza, ha costretto imprenditori e cittadini a dazioni in denaro, sia per rafforzare la cosca e sia per il mantenimento delle famiglie in carcere. Zagari si sarebbe intromesso anche nella compravendita di terreni, chiedendo somme di denaro per autorizzare l’acquisto. Zagari aveva avviato anche un apparente percorso di “riabilitazione sociale”, partecipando addirittura a dibattiti, convegni e incontri come testimone di redenzione e contro l’ergastolo ostativo. Ma, secondo gli investigatori, una volta scarcerato aveva ripreso a fare il capocosca dopo essere tornato a Taurianova.  (Foto di repertorio)

‘Ndrangheta, estorsioni, armi da guerra: blitz alle cosche in ‘Spes contra Spem’

REGGIO CALABRIA – I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito, a Taurianova e Cinquefrondi, 11 ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip nei confronti di altrettante persone, accusate di essere legate o, comunque, di avere favorito le cosche Zagari-Fazzalari e Avignone operanti a Taurianova.

 

 

Gli arresti sono giunti a conclusione di un’indagine – denominata “Spes contra Spem” – coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi anche da guerra, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sostituzione di persona, tutti aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose.

I NOMI

I soggetti destinatari della misura cautelare, tutti originari di Taurianova, sono:

1. ALESSI Antonino, classe 1989;

2. AVATI Francesco, classe 1982;

3. AVIGNONE Domenico, classe 1975

4. CANNIZZARO Giuseppe detto Enzo, classe 1970;

5. CARIDI Annalisa, classe 1970;

6. DE RACO Giuseppe, classe 1964, sottoposto agli arresti domiciliari;

7. LAFACE Claudio, classe 1964;

8. LAFACE Giuseppe, classe 1986;

9. LEVA Rocco, classe 1975;

10. PEZZANO Marzio, classe 1970;

11. ZAGARI Pasquale, classe 1964.

 

Sono inoltre indagati in stato di libertà:

12. R.A., classe 1966;

13. R.A., classe 1971.

14. C.M., classe 1972;

15. R.G., classe 1980.

 

“Spes contra Spem”, blitz alle cosche

 

Le indagini sono state supportate dalle testimonianze di alcuni imprenditori vittime di estorsione da esponenti della criminalità organizzata locale che hanno ammesso le vessazioni e le richieste estorsive subite da parte, in particolare, di due storici referenti mafiosi di zona, Domenico Avignone e Pasquale Zagari, quest’ultimo tornato a Taurianova dopo una lunghissima detenzione ed un periodo di sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale nel Nord Italia.  Zagari avvalendosi della fattiva collaborazione di partecipi e gregari, come Francesco Avati, Antonio Alessi e Rocco Leva, era tornato nel suo paese di origine da capo e reggente, referente mafioso per la risoluzione di qualsivoglia questione, anche privata, da vecchio ‘ndranghetista mai ravvedutosi realmente, che chiede il “pizzo” o cui ci si affida per la risoluzione di contrasti privati, tentando di ristabilire quel controllo egemonico del territorio scalfito dalle recenti operazioni di polizia.

 

Pasquale Zagari era l’unico esponente di rilievo della famiglia ad essere libero da vincoli giudiziari, atteso che gli altri fratelli Giuseppe cl.’63 e Carmelo cl.’69 sono detenuti, il primo condannato con sentenza definitiva alla pena dell’ergastolo ed il secondo condannato anche dalla Corte di Appello di Reggio Calabria nell’ambito procedimento penale “Terramara Closed” (esecuzione risalente al 2017) perché ritenuto appartenente ad associazione di tipo mafioso, unitamente alle sorelle, Italia Zagari cl.’59 (moglie dell’ergastolano Marcello Viola cl.’59) e Rosita Zagari cl.’75, entrambe condannate per concorso esterno nell’ambito dello stesso procedimento “Terramara Closed”, ed al cognato Fazzalari Ernesto, marito di quest’ultima, anch’egli già condannato con sentenza definitiva alla pena dell’ergastolo per plurimi omicidi, e catturato dopo una ventennale latitanza nel 2016.

 

Zagari: ex protagonista che ritorna sulla scena della criminalità

Pasquale Zagari è stato uno dei principali protagonisti della faida di ‘ndrangheta di Taurianova nei primi anni ’90, ed era stato condannato all’ergastolo, pena però poi rideterminata in 30 anni di reclusione, conclusi con un periodo di sorveglianza speciale nel Nord Italia. Pasquale Zagari aveva anzi avviato un apparente percorso di “riabilitazione sociale”, partecipando a dibattiti, convegni e incontri, come testimone di redenzione, pentendosi del suo passato criminale, e contro l’ergastolo ostativo, in ultimo proprio a Taurianova, nel settembre 2020. In realtà, proprio nei primi permessi rilasciati durante la sorveglianza speciale una volta uscito dal carcere, Zagari era ritornato a Taurianova per compiere le sue attività delittuose, insieme a nuove leve della criminalità organizzata.

 

Attraverso minacce, evocando i morti della faida di Taurianova e grazie alla sua capacità di risolvere i problemi con la violenza, ha costretto imprenditori e cittadini a dazioni in denaro, sia per rafforzare la cosca di appartenenza e sia per il mantenimento delle famiglie in carcere, o li hacostretti ad abbandonare i locali utilizzati per l’attività commerciale svolta, o ancora si è intromesso nella compravendita di terreni, chiedendo somme di denaro non dovute per autorizzare l’acquisto o comunque coartando la loro volontà nelle scelte imprenditoriali e private, in favore di altri soggetti a lui vicini. Zagari, da storico ‘ndranghetista, ha anche offerto e imposto la sua protezione mafiosa, non richiesta, alle vittime, in cambio di aiuti economici e favori, il tutto per tentare di ristabilire il controllo egemonico del territorio e ottenere l’assoluto riconoscimento di “capo”. Proprio a causa della violenza e insistenza delle sue pretese, nell’ottobre 2020 è stato arrestato in flagranza dai Carabinieri di Taurianova, in occasione dell’ennesima “visita” ad una delle vittime, in realtà vicenda rientrante in un più ampio piano delinquenziale.

 

Altri soggetti coinvolti

 

In tali gravi fatti entrano in gioco anche altri soggetti, come Marzio Pezzano, Giuseppe De Raco e Giuseppe Cannizzaro i quali, benché apparentemente estranei a contesti mafiosi, si erano rivolti a vario titolo proprio a Pasquale Zagari per risolvere forzatamente in loro favore le controversie in corso con alcune delle vittime delle condotte estorsive (anche al fine di ottenere il rilascio dei locali utilizzati per le attività aziendali), così divenendo veri e proprio mediatori, partecipi e “mandanti” delle azioni delittuose, ricercando e ottenendo quell’aiuto “mafioso” che rafforza e fortifica la criminalità organizzata nel territorio, in sostituzione dello Stato. Una richiesta illecita di aiuto che però si è ritorto contro di loro, essendo stati destinatari di misura cautelare quali concorrenti in estorsione aggravata dal metodo e finalità mafiose.

Significativo anche il ruolo di due cugini indagati in stato di libertà che, benché già ritenuti appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta “Asciutto-Neri-Grimaldi”, al tempo della faida contrapposta agli Zagari, oggi, per quanto ipotizzato dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, per garantire quella “Pax mafiosa” faticosamente raggiunta, hanno svolto un ruolo di mediatori in favore di Zagari e in danno di una delle vittime, organizzando e favorendo incontri epersuadendola ad accettare le pretese estorsive.

L’indagine ha consentito di acclarare anche come Domenico Avignone, al momento ricercato e anche lui già condannato per reati associativi, figlio dello storico capo Giuseppe Avignone cl. 38- già condannato all’ergastolo e protagonista dalle Strage di Razza’ del 1977, quando furono trucidati i Carabinieri Stefano Condello e Vincenzo Caruso – ha voluto mantenere nel territorio la sua autorevolezza mafiosa, offrendo “protezione” non richiesta nei confronti di alcuni imprenditori, risolvendo loro problematiche emergenti o rassicurandoli per lo svolgimento “in sicurezza” del loro lavoro, chiedendo in cambio dazioni in denaro, non necessariamente di grande entità; tutti elementi qualificanti di quella “estorsione ambientale” che rafforza la criminalità organizzata nel territorio. Anche lui si è intromesso nell’acquisto di terreni e immobili, arrogandosi il potere di rilasciare un ‘nulla osta’ in favore di qualcuno piuttosto che di altri e avendo il potere di estromettere eventuali soggetti non graditi interessati all’acquisto. Sono stati poi ulteriormente documentati i suoi costanti e attuali rapporti con altre cosche di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, in particolari i “Pisano” di Rosarno, soprattutto quale referente nel settore dello smercio di sostanze stupefacenti. Una figura che, nonostante l’avvio e conduzione di una attività commerciale legale e un atteggiamento apparentemente meno violento e riservato, ha continuato ad esercitare carisma criminale e influenza mafiosa.

Articolata poi la parallela vicenda ricostruita in indagine che ha visto come principali protagonisti i Laface Claudio e Giuseppe, zio e nipote, imprenditori di Taurianova, nonché la moglie del primo, Annalisa Caridi i quali, nel contesto della paura e dell’omertà esistente nel territorio, hanno compiuto numerose minacce per ottenere del denaro da altro locale imprenditore. I tre, infatti, a vario titolo, approfittando di problematiche personali e sentimentali di una delle vittime, hanno fatto leva su loro presunti collegamenti con le cosche di ‘ndrangheta di Cittanova, i cui esponenti potevano risolvere i suoi problemi, imponendo protezione e aiuto mafioso, però costringendo la vittima, ancheminacciando gravi ripercussioni in caso di inottemperanza, a numerose dazioni in denaro in loro favore, per diverse decine di migliaia di euro. Per attuare il loro piano criminale, addirittura, hanno talvolta ingannato la vittima sostituendosi direttamente a presunti esponenti della criminalità organizzata cittanovese, inviando messaggi diretti e indirettiper convincerlo a consegnare celermente loro il denaro o costringerla al pagamento di bollette, utenze, rate di finanziamenti ed altro.

Trovate armi da guerra

Le attività investigative condotte dai Carabinieri di Taurianova hanno poi dimostrato l’attuale e rilevante pericolosità del sodalizio mafioso, con il rinvenimento e sequestro di due fucili mitragliatori “Zastava” mod. “M70” cal.7,62×39 mm., armi da guerra, un fucile cal. 12 “beretta” mod. “Sauer” con matricola punzonata, numerose munizioni di vario calibro, due giubbotti antiproiettile, nonché una bomba a mano da guerra modello “m53 p3” di provenienza slava.

L’operazione odiernacolpisce ancora una voltalapresenza della ‘ndrangheta nel territorio taurianovese, i cui esponenti, avvalendosi della forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di omertà che ne derivano, sono in gradodi mantenere il controllo egemonico del territorio in svariati settori creando quell’assoggettamento psicologico ed economico di cittadini ed imprenditori, per coartarli nelle loro scelte individuali eponendosi quali non imparziali “arbitri” nelle controversie tra privati, in sostituzione della Legge e dello Stato. Ancora una volta viene però dimostrato come l’unica vera e risolutiva via di uscita da una tale asfissiante situazione è rappresentata dalla denuncia e la piena collaborazione con i Carabinieri e la Magistratura.

‘Ndrangheta, incendiano un negozio per intimorire il proprietario: due arresti

REGGIO CALABRIA – Questa mattina i Carabinieri di Reggio Calabria hanno arrestato due persone con l’accusa di tentata estorsione, danneggiamento mediante incendio, porto di arma in luogo pubblico. L’episodio al centro dell’indagine coordinata dalla Dda reggina è legato all’incendio di un esercizio pubblico allo scopo di “ammorbidire” un esercente che non voleva accettare la proposta di acquisto recapitata da un esponente della ‘ndrangheta del capoluogo.

Dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza presenti sul luogo dell’incendio si vede chiaramente un  soggetto arrivare in scooter davanti l’esercizio commerciale il quale, sceso dal mezzo, appicca il foto alla saracinesca del negozio della vittima per poi dileguarsi.

L’operazione e i sequestri

L’operazione ribattezzata “La fabbrica dei cornetti” ha portato all’arresto di Antonio Morabito, reggino di 40 anni e Riccardo D’Anna, 28 anni, nato a Siracusa. Morabito è ritenuto responsabile di associazione di tipo mafioso ed entrambi di tentata estorsione, danneggiamento mediante incendio, detenzione e porto in luogo pubblico di arma da sparo in concorso ed aggravati dall’agevolazione mafiosa. Morabito inoltre, secondo gli inquirenti, avrebbe un ruolo centrale nella ‘ndrangheta dell’area meridionale di Reggio Calabria.

Quanto acquisito nel corso delle indagini, oltre a fornire una dimostrazione del pieno inserimento degli indagati nelle dinamiche mafiose locali, costituisce importante elemento di riscontro alle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia. Le risultanze investigative hanno permesso di documentare come Morabito, con l’ausilio di D’Anna, aveva inizialmente tentato di estorcere – attraverso l’invio di messaggi diretti al proprietario di un tabaccaio di Ravagnese – il consenso alla cessione della sua attività, e di fronte alle resistenze di quest’ultimo, aveva poi dato mandato al D’Anna affinché venisse appiccato il fuoco alla saracinesca dell’esercizio commerciale.

E’ stato inoltre accertato come Antonio Morabito, in ragione del suo stabile inserimento all’interno della ‘ndrangheta, fosse perfettamente in grado di procurarsi clandestinamente armi da sparo tanto da mettere a disposizione una di queste ad un soggetto non identificato mediante la collaborazione del sodale Riccardo D’Anna. L’ indagine ha anche portato al sequestro di due imprese operanti nel settore della produzione e vendita di prodotti dolciari e della panificazione a Reggio per un valore complessivo di circa 2 milioni di euro. I due soggetti sono stati portati nel carcere di Reggio Calabria.

Arrestato il superboss Rocco Morabito, uno dei latitanti di ‘ndrangheta più pericolosi

SAN PAOLO – E’ stata posta la parola fine per la  la latitanza del superboss della ‘ndrangheta Rocco Morabito, arrestato in Brasile in un’operazione congiunta dei carabinieri del Ros e del Servizio di cooperazione internazionale di polizia, con la collaborazione di Dea, Fbi e dipartimento di giustizia statunitense. Morabito, ricercato dal 1994, era inserito nell’elenco dei 10 latitanti più pericolosi del Viminale. Il boss era già stato arrestato nel 2017 in Uruguay dopo 23 anni di latitanza ma due anni dopo era riuscito a fuggire dal carcere di Montevideo dove era in attesa di estradizione in Italia. Con Morabito è stato arrestato anche Vincenzo Pasquino, latitante originario di Torino, anche lui inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi. All’indagine che ha portato all’arresto dei due hanno collaborato anche il gruppo dei carabinieri di Locri e quelli del comando provinciale di Torino.

Chi è il boss Morabito

Il boss Rocco Morabito, esponente di spicco della cosca Morabito – Bruzzaniti – Palamara di Africo Nuovo, è destinatario di più sentenze di condanna, per reati associativi e in materia di traffico di stupefacenti e considerato il numero uno tra i broker che gestiscono il traffico di cocaina per i cartelli del Sudamerica. Dall’anno della sua evasione da un carcere dell’Uruguay, nel 2019, il Ros è stato sulle sue tracce senza mollare mai fino a oggi, quando la squadra di circa 20 uomini arrivata in Brasile per braccare il secondo ricercato più pericoloso dopo Matteo Messina Denaro, sono riusciti a far scattare la trappola e a catturare Morabito nella capitale San Paolo.

La fuga prima dell’estradizione

Morabito era riuscito a evadere insieme ad altri tre detenuti dalla terrazza del carcere “Central” di Montevideo, in Uruguay, forse grazie all’aiuto di membri dei Bellocco residenti tra Buenos Aires e Montevideo. Da allora, principale punto di riferimento dei cartelli del narcotraffico, il boss era diventato il numero due tra i latitanti più ricercati, secondo solo al capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. I tre fuggitivi che accompagnavano Morabito nell’evasione a Montevideo erano stati catturati nei giorni successivi mentre del boss si erano perse le tracce fino ad oggi. Nell’inchiesta sulla fuga sono stati arrestati successivamente anche dei presunti fiancheggiatori di nazionalità russa, che avrebbero favorito l’uscita di Morabito dall’Uruguay. Il boss, condannato in contumacia dalla magistratura italiana a 30 anni di carcere per traffico di droga, era in attesa di essere trasferito dopo che la giustizia locale aveva concesso l’estradizione nel mese di marzo del 2019. L’uomo, 53 anni, era stato arrestato nel settembre del 2017 in un hotel di Montevideo dopo 23 anni di latitanza. Si celava dietro la falsa identità di un imprenditore brasiliano di 49 anni, di nome Francisco Cappelletto. La giustizia uruguaiana tuttora indaga sulle eventuali complicità interne che hanno favorito la rocambolesca fuga attraverso la terrazza del carcere e da lì ad un appartamento al quinto piano di un edificio adiacente. I fuggitivi avevano potuto contare su circa sette ore di tempo per dileguarsi prima che le autorità si accorgessero della loro assenza dal carcere.

 

“Platinum”, maxi blitz internazionale contro la ‘ndrangheta

TORINO – Maxi operazione in corso in Germania, Romania, Spagna e su tutto il territorio nazionale, un’operazione di polizia giudiziaria denominata “PLATINUM-DIA” contro la ‘ndrangheta, coordinata dalla Procura distrettuale di Torino, che vede impegnati oltre 200 donne e uomini della Direzione Investigativa Antimafia e un centinaio di unità della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza con il supporto di unità cinofile, elicotteri e militari del Reggimento Genio Guastatori di Caserta, nonché 500 agenti della Polizia Criminale del Baden-Wuttemberg, della Polizia Economico Finanziaria di Ulm e della SEK(G), dalla polizia rumena e spagnola. Maggiori dettagli saranno forniti nel corso della conferenza stampa che si terrà alle 11.00 odierne, presso la sala “CONSIGLIO GIUDIZIARIO” del Palazzo di Giustizia Bruno Caccia di Torino a cui interverranno il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, dott. Federico Cafiero De Raho, membro nazionale italiano ad EUROJUST, dott. Filippo Spiezia, il Procuratore Capo di Costanza dott. Johannes George Roth, il Procuratore Capo di Torino, dott.ssa Anna Maria Loreto, il Capo ESOCC European Serious organised crime center di Europol, dott. Jari Liukku, il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, Dott. Maurizio Vallone e il Vice Direttore della Direzione Investigativa Antimafia Generale di Brigata G.di F. Nicola Altiero.

Operazione “Platinum” tra Italia e l’estero

Nell’ambito dell’operazione “Platinum- DIA”, il personale della Direzione Investigativa Antimafia, unitamente alla Polizia Criminale di Friedrichafen (D) e alla “Polizia Economico Finanziaria” di Ulm (D), con il supporto della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, all’esito di una indagine antimafia internazionale eseguita di concerto con il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia e resa operativa grazie alla Rete Antimafia – @ON in collaborazione con Europol ed Eurojust, per il contrasto delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, sta eseguendo numerose misure di custodia cautelare e perquisizioni, emesse dal Tribunale di Torino su richiesta della DDA piemontese e coordinata dalla DNA, in Italia ed in Germania, nei confronti di soggetti ritenuti affiliati alla ‘ndrangheta, attivi nel “locale” di Volpiano (TO), considerati terminale economico della famiglia Agresta di Platì (RC), nonché nei confronti di esponenti della famiglia Giorgi, detti “Boviciani”, di San Luca (RC), ritenuti responsabili di narcotraffico internazionale ed attivi in Piemonte, Calabria, Sardegna e, in Germania, nel Land del Baden Wùrttemberg, nelle località turistiche del Lago di Costanza. Operazione “Platinum-DIA” contro la ‘Ndrangheta: sequestrati numerosi beni per milioni di euro. Nell’ambito dell’esecuzione delle misure cautelari, la Direzione Investigativa Antimafia sta operando, su disposizione del Tribunale di Torino, numerosi sequestri preventivi di beni costituiti da compendi aziendali, società cooperative ed edilizie, immobili, autoveicoli, conti correnti bancari e postali, corrispondenti ad un valore per equivalente di molti milioni di Euro. In particolare, sono oggetto della misura ablativa 5 compagini societarie che operano nel settore della ristorazione; nello specifico la torrefazione “Caffè Millechicchi” e il bar “VIP’S” di Torino, rivendita tabacchi sita in Volpiano (TO), nel settore immobiliare “G.P. Immobiliare” e nel settore dell’edilizia la società “General Costruzione”, imprese con sede nel capoluogo piemontese.

Usavano i minori per spacciare droga, 21 arresti nell’operazione “Keys”

CATANZARO – Nelle prime ore di oggi, a Soverato, Guardavalle, Montepaone, Davoli e Catanzaro, i Carabinieri del Comando Provinciale di Catanzaro hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, nei confronti di 21 indagati, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, porto e detenzione di armi clandestine, danneggiamento, con l’aggravante di aver indotto minorenni a commettere tali reati.
Sono destinatari della misura cautelare della detenzione in carcere 11 indagati, mentre gli altri 10 sono sottoposti alla misura degli arresti domiciliari.

L’indagine, diretta dalla Procura Distrettuale di Catanzaro e condotta dai carabinieri della Compagnia d Soverato a partire dal 2019, ha consentito di individuare una specifica organizzazione malavitosa dedita alla gestione dell’attività di spaccio di cocaina e marijuana nell’area del basso Ionio-catanzarese, con proiezioni nella limitrofa provincia di Reggio Calabria.
Le emergenze investigative hanno permesso di ricostruire anche i collegamenti di alcuni degli indagati con i vertici della, attiva in provincia di Catanzaro, con proiezioni nel Lazio, in Toscana e in Lombardia, funzionali al rafforzamento della capacità operativa del sodalizio.

Il ruolo di “corriere” veniva spesso affidato a insospettabili minorenni che avevano il compito di trasportare lo stupefacente nel soveratese per distribuirlo ai pusher attivi nelle locali piazze di spaccio. Le investigazioni hanno consentito inoltre di censire numerose transazioni economiche, operate utilizzando sistemi di pagamento elettronico, oltre che per eludere le investigazioni, anche per sopperire alle restrizioni di movimento dettate dall’emergenza epidemiologica.
Attraverso un analitico lavoro di riscontro sulle fonti di prova, basato su intercettazioni telefoniche e video, sono state documentate numerose cessioni di sostanze stupefacente nel territorio di operatività del sodalizio criminale.

I dettagli dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà in mattinata presso la sede del Comando Provinciale Carabinieri di Catanzaro.

‘Ndrangheta, duro colpo al clan. Arresti per traffico internazionale di droga

CATANZARO – Dalle prime luci dell’alba oltre 150 finanzieri del Comando Provinciale di Catanzaro e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata di Roma, coordinati dalla Procura della Repubblica – D.D.A. di Catanzaro, hanno dato esecuzione alla ordinanza di misura cautelare custodiale emessa dal GIP presso il Tribunale di Catanzaro nei confronti di esponenti di una organizzazione transnazionale dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, riconducibile ad una storica famiglia della criminalità organizzata calabrese, radicata nel versante ionico catanzarese.

Sono state eseguite le misure cautelari custodiali nei confronti di 20 soggetti, gravemente indiziati a vario titolo, di associazione dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, commercio di sostanze stupefacenti e detenzione abusiva di arma da fuoco. 

In connessione all’operazione in corso a cura della Dda di Catanzaro, dalle prime ore del mattino i Carabinieri della Toscana stanno eseguendo 3 distinte ordinanze di custodia cautelare, su disposizione della Dda di Firenze, in relazione a 3 indagini collegate tra loro in materia di inquinamento ambientale, narcotraffico internazionale, estorsione ed illecita concorrenza, tutti aggravati sia dall’agevolazione che dal metodo mafioso “in favore di potenti cosche di ‘ndrangheta“. I dettagli saranno forniti in una conferenza stampa convocata in mattinata al Palazzo di giustizia di Firenze e tenuta dal procuratore capo Giuseppe Creazzo.

I nomi degli indagati

Agazio Andreacchio 44 anni; Giuseppe Bava 44 anni; Nicola Chiefari 48 anni; Leonardo Ferro 36 anni; Emanuele Fonti 61 anni; Nicola Guido 34 anni; Domenico Marino 30 anni; Mario Palamara 51 anni; Benito Andrea Riitano 27 ani; Francesco Riitano 40 anni; Paolo Riitano 45 anni; Agazio Andrea Samà 47 anni; Gianluca Tassone 42 anni; Francesco Taverniti 46 anni; Domenico Vitale 51 anni; Domenico Vitale 44 anni; Giuseppe Vitale 44 anni; Angelo Gagliardi 25 anni; Francesco Galati 44 anni; Bruno Gallace 49 anni; Cosimo Damiano Gallace 60 anni.

‘ndrangheta, arrestato a Lisbona super latitante Francesco Pelle

REGGIO CALABRIA – Il boss della ‘ndrangheta Francesco Pelle, 43 anni è stato arrestato a Lisbona.

Secondo quanto si apprende, Pelle (Foto: Ansa Calabria) è stato scovato dai Carabinieri in una clinica della capitale portoghese dove era in cura per il Covid.

Era irreperibile dal 2007

Francesco Pelle si trova ora piantonato nell’Hospital de Sao José di Lisbona, dove è ricoverato per le conseguenze del Covid. Ad individuarlo, in seguito alle indagini dei carabinieri di Reggio Calabria, sono stati gli agenti dell’Unità nazionale contro il terrorismo (Unct) della polizia portoghese che hanno ricevuto le informazioni nell’ambito di ‘I Can’, il progetto della Direzione centrale della Polizia criminale in collaborazione con l’Interpol per la cattura dei latitanti e l’aggressione dei patrimoni illeciti della ‘Ndrangheta. Le squadre sono state attivate tramite i canali di Interpol una volta che le informazioni raccolte hanno dato la ragionevole certezza che il latitante si trovasse effettivamente ricoverato in ospedale.

Pelle, detto “Ciccio Pakistan”, era stato condannato all’ergastolo in via definitiva dalla Cassazione nel 2019 quale mandante della strage di Natale del 24 dicembre 2006 in cui fu uccisa Maria Strangio, moglie del capoclan avversario Giovanni Luca Nirta.

Il fatto di sangue, che si inserisce nella faida di San Luca tra i Pelle-Vottari ed i Nirta-Strangio, fece da prologo alla strage di Ferragosto 2007 a Duisburg, in Germania con 6 morti. Pelle – costretto sulla sedia a rotelle dopo essere stato ferito in un agguato il 31 luglio del 2006 ad Africo – al momento di darsi alla fuga si trovava a Milano dove era sottoposto all’obbligo di dimora proprio in attesa della sentenza della Cassazione. Giunta quella, fece perdere le proprie tracce ad inizio di luglio.

Pelle aveva già trascorso un anno di latitanza e fu arrestato dai carabinieri nel settembre 2008 in una clinica di Pavia.