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Morti sul lavoro: Aprile un mese drammatico. 51 vittime in trenta giorni

Primo quadrimestre 2013: ancora un tragico bilancio per le vittime nei luoghi di lavoro. Sono infatti 51 i decessi registrati nel mese di aprile dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro di Vega Engineering. In marzo erano 24. Così nei primi quattro mesi del 2013 sono 125 le morti sul lavoro rilevate nel nostro Paese. Oltre il 40 per cento delle quali viene individuata in agricoltura (40,8 per cento), mentre al settore delle Costruzioni si fa ricondurre il 20,8 per cento degli infortuni mortali.

Intanto nella graduatoria delle regioni in cui è stato registrato il maggior numero di decessi da gennaio ad aprile, al primo posto troviamo Emilia Romagna e Lombardia (14 vittime), seguite dalla Sicilia (13), dal Piemonte (12), e dal Lazio che in aprile ha visto raddoppiare le proprie vittime del primo trimestre. Così in trenta giorni è arrivato a contarne 10. Veneto e Campania invece contano 9 decessi sul lavoro.
Dopo agricoltura e costruzioni il terzo settore coinvolto nel dramma è quello del Commercio e Attività Artigianali (9,6 per cento).

La caduta dall’alto nei primi quattro mesi del 2013 ha provocato il 24 per cento degli infortuni mortali, come il ribaltamento di un veicolo/mezzo in movimento, mentre nel 21,6 per cento dei casi la morte è stata la conseguenza di uno schiacciamento dovuto alla caduta di oggetti pesanti.

Osservando l’indicatore del rischio di mortalità per regione – ovvero l’incidenza della mortalità rispetto alla popolazione lavorativa – la maglia nera in questo primo quadrimestre spetta alla Calabria (con un indice di incidenza pari a 13,9 contro una media nazionale di 5,4); il secondo posto spetta al Molise (9,3) e il terzo alla Sicilia (9,1). Sotto la media nazionale solo gli indici di Basilicata, Lazio, Veneto, Lombardia, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Valle D’Aosta. (Tutti i dati sono disponibili sul sito www.vegaengineering.com).
Rispetto al primo quadrimestre del 2012 nel 2013 si rileva un decremento della mortalità pari al 10,1 per cento. Ma la situazione non appare cambiata rispetto al 2010 quando da gennaio ad aprile si contavano sempre 125 vittime del lavoro.

Guardando alle classifiche provinciali sono Foggia e Cosenza a contare il maggior numero di vittime (5), seguite da Trapani, Ferrara, Frosinone, Reggio Emilia, Cuneo e Roma.
Ma il rischio di mortalità più elevato appartiene ad Oristano (indice pari a 52), seguito da Trapani (32,7), da Foggia (27,5) e da Ferrara (25,1).

Per quanto riguarda l’universo femminile, purtroppo nel primo quadrimestre sono già 10 le donne che hanno perso la vita al lavoro. Un dato allarmante dal momento che in tutto il 2012 erano decedute 9 lavoratrici.

La fascia d’età più coinvolta nell’emergenza morti bianche continua ad essere quella che va dai 55 ai 64 anni e nella quale si registra il maggior numero di vittime (40 su 125), seguita da quelle che vanno dai 35 ai 44 anni (24 casi). E’ invece la fascia d’età degli ‘over 65’ quella a maggior rischio di mortalità considerando la popolazione lavorativa.

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28 aprile giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro

“I dati delle morti sul lavoro degli ultimi tre anni in Italia sono tragici. Serve una maggiore sensibilizzazione dei datori di lavoro sul fronte della prevenzione e delle formazione”.

Intervento di Mauro Rossato, Presidente dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering

Il 28 Aprile è diventato da anni un giorno importante che unisce i lavoratori di tutto il pianeta. Dagli Stati Uniti all’Africa, dall’Europa all’Asia. Perché tutti celebreranno la Giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro. E per chi opera attivamente su questo fronte, si tratta di un’ulteriore preziosa occasione per riflettere e per far riflettere.

Cominciando con i dati delle morti sul lavoro che sono i più precisi punti di riferimento per la narrazione di un’emergenza che, nel nostro Paese, sembra essere ancora distante dall’essere risolta.

Negli ultimi tre anni – dal 2010 al 2012 – sono state 1588 le vittime del lavoro; in un dramma che va da Nord a Sud del Paese. Per la precisione sono state 509 le vittime del lavoro nel 2012, 553 nel 2011 e 526 nel 2010.

Nell’ultimo anno il decremento è stato pari all’8 per cento. Ma si tratta di una flessione apparente che deve necessariamente fare i conti con la diminuzione dell’occupazione e con l’incremento della cassa integrazione.

Intanto i settori maggiormente colpiti e le cause che conducono al decesso i lavoratori sono sempre tragicamente le stesse: agricoltura e costruzioni in primo piano. Caduta dall’alto e ribaltamento di un veicolo o mezzo in movimento le situazioni più rischiose.

In tre anni nel settore agricolo hanno perso la vita 580 lavoratori pari al 36,5 per cento del totale (179 nel 2012, 219 nel 2011, 182 nel 2010).

Mentre in edilizia la diminuzione costante dei casi di morte – dai 148 del 2010 ai 122 del 2011 ai 120 del 2012 – non può che far pensare alla crisi del settore: meno cantieri aperti, quindi anche meno vittime.

Risultato: in tre anni il 24,6 per cento delle morti sul lavoro è stato registrato proprio in edilizia. E la medesima considerazione può essere fatta nell’andamento del numero di decessi per caduta dall’alto rilevati soprattutto nelle costruzioni. Erano 146 nel 2010, sono passati a 135 nel 2011 per arrivare a 125 nel 2012. Nel triennio è deceduto per caduta dall’alto il 25,6 per cento dei lavoratori. I dati rimangono inquietanti nonostante le riduzioni in termini numerici e sconfortano ancor più perché nelle nostre elaborazioni, in base alle informazioni disponibili, il lavoratore non aveva indossato dispositivi di protezione individuale adeguati.

Il trattore invece è il mezzo killer per eccellenza quando si parla di morte dovuta al ribaltamento di un veicolo in movimento. In molti casi si tratta di macchine agricole piuttosto datate e non a norma. La percentuale di morti sul lavoro per il ribaltamento di un mezzo o veicolo in movimento tra il 2010 e il 2012 è stata del 20 per cento.

Nella narrazione geografica dell’emergenza, poi, si scopre una piaga senza confini. Perché se l’area in cui l’incidenza della mortalità rispetto alla popolazione lavorativa nell’arco del triennio è stata più elevata nel Sud del Paese (indice pari a 26,9 contro una media nazionale di 23,1), il risultato peggiore nella graduatoria regionale del ‘rischio’ spetta all’Abruzzo (48,4), seguito dal Trentino Alto Adige (48,1) e dalla Valle D’Aosta (46,9).

Gli indici di incidenza dovrebbero indirizzare le politiche nazionali e regionali ad adottare ulteriori provvedimenti soprattutto nelle zone che presentano valori elevati. Numericamente il maggior numero di vittime dal 2010 al 2012 viene registrato in Lombardia (215 morti bianche), seguita dall’Emilia Romagna (144) e dal Veneto (142). Mentre sul fronte provinciale la maglia nera per numero di decessi spetta a Brescia con 54 incidenti mortali, seguita da Roma (46), Bolzano (44), Torino (35) e Milano (33).

Le province con l’indice di mortalità più alto rispetto alla popolazione lavorativa sono: Benevento, che fornisce il dato più sconfortante (81,4); Belluno (75,7); Nuoro (69,7); Chieti (69,5) e Bolzano (61).


La poca esperienza e la precarietà, che costringe i giovani lavoratori a cambiare spesso occupazione senza venire adeguatamente formati e informati sui rischi connessi, sono elementi che contribuiscono a produrre condizioni gravose per la salute e per la sicurezza di ragazzi e ragazze.Mentre è il popolo dai capelli grigi ad avere la peggio; perché l’indice di incidenza più elevato in rapporto agli occupati, vale a dire la fascia d’età più coinvolta dal dramma è quella degli ultrasessantacinquenni (indice pari a 284,7 – ovvero 2,9 casi di infortunio mortale ogni diecimila occupati). In termini numerici invece è la fascia che va dai 45 ai 54 anni quella più colpita con 375 vittime in tre anni. Tragico anche il bilancio delle morti tra i giovani: 69 i decessi rilevati nel triennio tra i 15 e 24 anni.

Una spiegazione alla morte che potrebbe essere adattata anche alle vittime straniere del lavoro e pari all’11,9 del totale dei decessi sul lavoro tra il 2010 e il 2012. Romeni, albanesi e marocchini i lavoratori più colpiti.

Sono infine 44 le donne che hanno perso la vita nel nostro Paese nel periodo di tempo considerato dall’Osservatorio Vega Engineering, pari al 2,8 per cento del totale.

Questo lo sconfortante riepilogo di un triennio che ha visto quasi 1600 vite spezzate sul lavoro. L’unico auspicio è che il prossimo Governo adotti, sin da subito, azioni concrete e diverse dai suoi predecessori come quella di prevedere la detassazione degli utili sui costi sostenuti dalle aziende in materia di sicurezza come dovrebbe fare ogni paese civile in cui si muore troppo per lavoro. Tali incentivi costituirebbero sì un costo per lo Stato, ma comunque si tratterebbe di un investimento minore rispetto ai costi che la collettività sostiene a causa delle morti bianche.