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Expo 2015: Orgoglio nazionale o grande bluff?

 

expo 12expo 13L’orgoglio di una nazione o un esperimento fallito costato una fortuna ad una paese già fortemente provato dalla crisi economica. L’Expo2015, per la maggioranza degli italiani, è un dualismo ricco di contrapposizioni, una di quelle classiche esperienze  che non lasciano spazio ai sentimenti di mezzo: o si amano o si odiano. Un evento, per molti ben riuscito, per altri, segno rivelatore di un’incapacità gestionale che non smette mai di apparire. Un complotto “criminale” per i più cinici che nell’Expo intravedono l’ennesima azione “terroristica” nei confronti della natura, causa della distruzione di intere foreste di alberi per nutrire monocolture destinate a rimpinzare le pance di maiali  e pollami.

Dal 1 maggio, data di apertura della fiera internazionale, l’Expo si ebbra di chiacchiere. Quelle dei visitatori che dopo ore e ore di file capaci di travalicare ogni limite umano, si apprestano ad entrare entusiasti nei padiglioni, salvo uscirne delusi lamentando qualcosa che doveva essere e non era. Quelle di chi ha acquistato biglietti dal prezzo troppo altro che, trascorsi i primi quattro mesi, è diventato possibile ottenere quasi quasi anche comprando un pacco di merendine. Quelli di chi, convinto di assaporare, gratuitamente ,le prelibatezze dei vari paesi ospiti si ritrova a spendere i suoi risparmi nei vari ristoranti il cui costo medio per un pranzo è pari al compenso giornaliero di un dipendente di un call center. E visto che in Italia chi non lavora in un call center, generalmente, o è disoccupato o è molto fortunato, il livello di spesa a cui l’Expo condanna un visitatore comune si rivela decisamente troppo alto. expo 18expo 21

Un viaggio intorno al Mondo, nato con l’obiettivo di  far conoscere e apprezzare cibi ed usanze di tutti quei milioni di paesi che non conosciamo ma che ambiamo a frequentare, perché lì non c’è la crisi, perché lì si lavora, perché lì si fanno i soldi, che, a pochi giorni dalla chiusura, si rivela, almeno secondo buona parte dell’opinione comune, un grande bluff. A partire dai padiglioni che, in molti casi, sono piccoli laboratori di informazioni destinati a rimanere nella mente dei visitatori per meno di cinque minuti.

Che fine ha fatto la Calabria? Regina delle polemiche sin dal primo istante, la Calabria, dopo aver rinunciato ai Bronzi di Riace, trova il suo piccolo spazio in Expo. Difficile capire se fosse destinato a durare a lungo o molto poco. Sta di fatto che se ancora oggi esiste da qualche parte, la futuristica struttura architettonica del padiglione italiano lo nasconde molto bene. Doveva portare in luce il bergamotto e farne conoscere la coltivazione come se, per conoscere una terra così complessa, bastasse raccontarne un quarto. Oggi, chi vuole conoscere la Calabria, o si accontenta di qualche scorcio paesaggistico sulle colonne della metro o prende un aereo e viene ad ammirarla dal vivo. expo 11

Padiglione Italia: Una struttura architettonica imponente, dai contorni incomprensibili, a primo impatto riconducibili al Polo Nord  piuttosto che all’Italia. Il concetto, contemporaneo, di abbraccio e di collaborazione che si perde all’interno delle quattro aree espositive che vedono l’Italia scissa in quattro temi: dalla  “potenza del saper fare” (che vede riuniti i più importanti esponenti del mondo imprenditoriale per ciascuna Regione, secondo un principio di produzione ed ecosostenibilità), alla” potenza della bellezza” ( che racchiude in una grande sala degli specchi le più belle immagini della terra italiana), passando da “la potenza del limite” (non visibile al momento della visita per motivi non meglio identificati), ai disastri ambientali e al mondo senza Italia. Un padiglione che nonostante i suoi limiti e le sue “brutture”, riesce ugualmente a toccare le corde di qualche anima. Del resto, lo si sa, l’Italia è un popolo di sensibili lamentosi e forse anche per questo l’albero della Vita,un’ iconica struttura destinata ad illuminarsi ad intervalli di un’ora, secondo le tonalità del tricolore, riempie di orgoglio quasi quanto l’inno di Mameli. Indipendentemente dalle sue sembianze da antenna telefonica. Uno spettacolo dal sapore breve ma intenso per il quale vale la pena aspettare. expo 3

La Top Ten: Poter ammirare gli oltre cento padiglioni esposti in Expo richiede tempo e forze fisiche al di fuori da ogni percezione comune. Tuttavia, volendo ricostruire al meglio la classifica di quelli più aderenti al tema, più completi e scenograficamente più impattanti annoveriamo tra i migliori il Giappone, il Cile, la Thailandia, l’Israele, l’Italia, gli Emirati Arabi, il Kazhakstan,la Cina, la Malesia e la Germania. Menzione d’onore al Vietnam e all’Ecuador per ciò che concerne la struttura esterna che vanta creatività e fedeltà alla tradizione. Lo stesso non si può dire per l’interno, approssimativo e distante dall’obiettivo, quantomeno nel primo caso. Plauso al Giappone per la costruzione nei dettagli, l’accuratezza e la capacità di centrare a pieno il tema. Uno dei rari casi in cui è possibile dire di aver imparato qualcosa, anche se al Ristorante Virtuale sarebbe stato preferibile quello reale. E magari meno caro.expo 19expo 20

I peggiori: Riconosciuta come la migliore struttura in assoluto tra quelle esposte in Expo, l’Inghilterra ha il merito  di aver dato vita a qualcosa di imponente e complesso nella sua realizzazione ma  totalmente distante dalla realtà. Che una zona così bella e ricca di atmosfere come il Regno Unito sia semplicemente identificabile in un grosso alveare per le api è  discutibile. Nessun approfondimento tematico di tipo alimentare, nessuna forma di sharing economy, nessun progetto futuristico. Solo un grosso alveare in ferro capace di riprodurre il ronzio delle api. La seguono a ruota, il Brasile, il Vietnam dal punto di vista dell’approfondimento tematico, la Francia e l’Olanda (praticamente inesistente). Medaglia d’oro per la pessima costruzione alla Svizzera. Ore di file per poi scoprire quattro torri rimaste vuote per l’ingordigia delle persone. Obiettivo: lanciare il messaggio che se non impariamo a condividere di più, prima o poi, le risorse finiranno.

expo 15Un’esperienza apparentemente da non rifare. Come se visitare l’Expo dovesse necessariamente implicare il concetto di bellezza, di perfezione  e di divertimento. Doveva essere un viaggio intorno al Mondo e come tutti i viaggi ha lasciato scoprire bellezze e imperfezioni, contraddizioni e sorprese. Dell’Expo nessuno ricorderà i padiglioni, probabilmente. Tutti però ne rivangheranno gli eventi, la fatica, la stanchezza, l’atmosfera, gli odori, i sapori, le polemiche che, in un modo o nell’altro, hanno lasciato che l’Italia facesse parlare di sè.  Come se lo scopo della conoscenza, del resto, non fosse questo. Non già conoscere molte cose, ma mettere molte cose in contatto, questo è uno dei primi gradini dello spirito creativo”. 

 

Lia Giannini

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Lucio Presta ufficializza la sua candidatura a Sindaco di Cosenza e dichiara: “Solo per amore”

amo cosenza 1COSENZA – Si dichiara “pronto a perdere”, ma solo perché gli altri sono già sicuri di vincere. Lucio Presta, noto manager televisivo di origine cosentina, ha annunciato ufficialmente alla stampa, questa mattina, la sua intenzione di candidarsi a sindaco di Cosenza nelle prossime elezioni amministrative del 2016. Sciolta ogni riserva, sulla quale hanno pesato due anni di valutazione, l’annuncio, tutt’altro che sorprendente, era nell’aria da tempo e ulteriormente avallato dall’impegno profuso nei confronti della città cosentina negli ultimi due anni.

A stupire è la motivazione che spinge uno stratega come Lucio Presta, uomo ormai di successo ed economicamente realizzato, abituato a vincere per natura, ad intraprendere un’avventura difficile che lui si dichiara “pronto a perdere, se davvero i cittadini reputeranno più bravo qualcun’ altro rispetto a me.” E’ il desiderio di vedere rinascere e crescere una città che, sempre secondo il manager, è ricca di giovani e potenzialità, spesso mal gestite, nei confronti della quale nutre un amore spassionato, figlio di un’infanzia dal sapore agrodolce che lo ha sempre tenuto, in qualche modo, legato alla Calabria. Una lista civica, “Amo Cosenza”, scevra da connubi politici prestabiliti, rappresentata da un gruppo di professionisti e di tecnici che, dotati di esperienze, che abbiano la capacità di far emergere al meglio la “sua” Cosenza. Lui, dal canto suo, intende metterci tutto l’impegno possibile, consapevole che ad oggi, gli “altri” impegni, quelli televisivi, possano andare avanti anche senza di lui. Nel suo mirino, prima di tutto, i  giovani, quelli che sta aiutando e nei quali crede senza remore poiché ritiene che ” essi meritino di non doversene andare via dalla loro città e di potersi realizzare lì dove nascono. Se aiuti loro e gli dai la possibilità di misurarsi con i meriti e non con le “raccomandazioni”, aiuti automaticamente anche gli adulti.”amo cosenza 2

E’ un Lucio Presta ben disposto, soprattutto nei confronti della stampa, con cui dichiara di voler instaurare un rapporto nuovo, fatto di confronti e critiche costruttive e alla quale si racconta, sempre con molta attenzione, tra una nota scaramantica e un aneddoto sull’infanzia. Un uomo che ha realizzato la sua fortuna e che, a quasi 56 anni, ha deciso di portare avanti, quello che lui definisce un sogno. Nessun secondo fine, nessuna spinta esterna. E’ disposto solo a vincere, ma “se perdo so dove tornare, perché non ho nessuna intenzione di fare il politico di professione”.

“Ci sono state e ci sono tuttora persone che mi dicono chi me l’ha fatto fare. Una di queste è Matteo Renzi. Io ho deciso di andare avanti, perché alla mia età e nella mia posizione non ho niente da perdere e tutto da guadagnare”.

Basterà?

 

Lia Giannini

 

 

 

Made in B: chi lo ha detto che va di moda solo “Zara”?

bdragoni 4Domenica. Tempo di passeggiate tra le montagne, di castagne, di cinema. Di moda. A spasso sui social network, a caccia di tendenze per l’inverno vi regaliamo un’intervista dal sapore semplice e raffinato che parla di una giovane dalle idee già molto chiare e le capacità ben definite. Non una di quelle fashion blogger che girano per il web cercando di dare consigli per gli acquisti, bensì una ragazza di talento che, tra i social, propone sì outfit, ma personalizzati e creati, il più delle volte, da lei stessa. Il suo nome? Benedetta Dragoni o, per i più esperti, MADE IN B. Scommettiamo che finita l’intervista, correrete a cercarla su Instagram?

Nome: Benedetta Dragoni meglio conosciuta come MADE IN B.

Luogo e data di nascita: Sarzana, il giorno dell’Immacolata di 26 anni fa.

Professione: Fashion blogger, anzi no, “web influencer”.

Studi: Ultime battute di una laurea in Economia

Sogno nel cassetto: Aprire una piccola azienda, inizialmente un e-commerce che mi dia la possibilità di continuare a produrre capi personalizzati e sartoriali e che nel frattempo mi consenta di accrescere i contatti e di propormi sul mercato con le mie creazioni.bdragoni 3

Valore aggiunto: Sono convinta che ogni iniziativa determini impegno e sacrificio e che, seppur nelle difficoltà che derivano da un contesto globalizzato, il mio punto di forza consista nella capacità di creare capi personalizzati che vadano al di là della grande distribuzione industriale. Inoltre, questo mi da la possibilità di soddisfare le esigenze anche di chi non ha propriamente il fisico da “modella”.

Collezione 2015/2016: Ho pensato di concentrarmi inizialmente sulla creazione di gonne che siano elaborazioni di tessuti strutturati e molto colorati. Cerco sempre di seguire le tendenze del mercato, almeno quelle più stimolanti.bdragoni

Consigli per gli acquisti “social”: Agli adolescenti che si muovono sui social consiglio sempre molta prudenza poiché sul web si puo trovare di tutto. Muoversi con attenzione verificando sempre i vari feedback e valutare la qualità dei contatti è ciò che, in genere, riduce il livello di rischio.

Giornalista o web influencer?: Personalmente ritengo che in ogni cosa alla base vi sia il talento. Talento che mischiato ad un po’ di fortuna e alla giusta dose di impegno, può aiutare ad ottenere ciò che si desidera. Senza sarebbe impossibile. Rispetto ai due ruoli, sono entrambe figure che fanno parte di un mondo in autoalimentazione. Le une necessitano delle altre. Chi fa moda ha bisogno della comunicazione e il mondo della comunicazione ha bisogno della moda.

Un vizio, un difetto, un pregio, un’abitudine di Benedetta: Ho il vizio di mangiare le unghie, l’abitudine ad ingurgitare tanta frutta e verdura, sono una persona estremamente disponibile ma un po’ permalosa.

Immagina di essere un pubblicitario. Dimmi uno slogan per il tuo “brand” che ne riassuma l’essenza: Made in B, l’emozione del capo personalizzato.bdragoni 2

 

 

Ph. Made in B

Lia Giannini

 

 

 

Parla il Comitato Lametino per l’Acqua Pubblica: “Siamo in attesa di risposte”

comitato acqua_per blogCirca un mese fa il Comitato Lametino per l’Acqua Pubblica, attivo dal 2006 per la salvaguardia e la ripubblicizzazione del servizio idrico, ha richiesto formale incontro al Comune, a mezzo lettera, finalizzato alla  ripresa dei lavori del Tavolo Tecnico per la creazione di una Azienda Speciale di diritto pubblico per il governo e la gestione del Servizio Idrico Integrato in città.

L’idea del tavolo tecnico è nata a ridosso della vittoria referendaria del 2011 proprio come “struttura” che ha come obiettivo principale l’applicazione dell’ esito della consultazione popolare. Il Comitato, inoltre, si dichiara impegnato dal 2011 in un percorso di confronto con il Comune per avviare l’iter di ripubblicizzazione del servizio Idrico Integrato.

Un primo Tavolo Tecnico è stato aperto nel novembre del 2013 e la formalizzazione dello stesso è avvenuta durante il consiglio comunale del 15/04/2015 approvando con voto unanime la proposta di delibera n. 279 del 01/09/2014.

Al TAVOLO partecipano esponenti del Movimento per l’Acqua Pubblica (Comitato Lametino Acqua Pubblica, Coordinamento Calabrese Acqua Pubblica e Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua) ed i rappresentanti della Giunta Comunale e della Lamezia Multiservizi S.p.A.

Il comitato, nel rivendicare il suo impegno decennale sul territorio lametino in difesa dell’acqua e dei beni comuni, richiede con forza all’Assessore Francesco Caglioti, al Sindaco Paolo Mascaro ed agli altri soggetti destinatari della missiva, la convocazione di un incontro preliminare per la programmazione e la ripresa dei lavori del Tavolo.

In attesa di  risposta da parte della Giunta, il Comitato comunica l’intenzione a mobilitarsi nelle forme che più riterrà opportune.

 

Padri e Figlie: Muccino racconta la “paura di amare”

padri-e-figlie-primo-trailer-del-film-di-gabriele-muccino-con-russell-croweCi sono voluti sette anni perché il potere di toccare le corde dell’anima ritornasse nelle mani di un grande regista come Gabriele Muccino.

Il suo talento, nel realizzare pellicole che hanno il potere di smuovere le emozioni anche quando il tempo destinato alla visione del film è terminato, viene fuori dirompente nel suo ultimo lavoro “Padri e Figlie“, nei cinema dal 1 ottobre.

La Trama: Jake (Russell Crowe) è uno scrittore di successo. Dopo la perdita della moglie, in un incidente stradale, è costretto ad allontanarsi dall’adorata figlia, per una malattia del sistema nervoso dalla quale non guarirà mai. In un concatenarsi di flashback che si alternano a momenti di vita presente, nell’ambito di una narrazione che si muove, per tutta la durata, su un duplice piano emozionale,  Muccino racconta il dramma di una giovane venticinquenne (Kate), la cui perdita del padre ha sancito un trauma profondo: l’incapacità assoluta di amare e di legarsi a qualcuno per paura di essere lasciata da sola, che la spinge a legarsi, in un ossessivo susseguirsi di rapporti occasionali, a una miriade di uomini senza alcun sentimento.

Un’impronta, quella del regista italiano, che è impossibile non riconoscere. La tendenza a trasferire, all’interno della pellicola, quell’intensità emotiva che porta ciascuno spettatore a rivedersi nel protagonista e lo costringe ad incassare il colpo, consapevole che quello che sta osservando non è poi così lontano dalla propria realtà, è ciò che ne contraddistingue il talento.

Come nei precedenti, seppur in modo meno urlato e forse più sottile, anche qui Muccino rilancia il melodramma nel quale chiunque può rivedere la propria esperienza. Una vera e propria seduta di gruppo durante la quale ognuno, nella propria intimità, riesce a dare sfogo ai  ricordi, rivedendo parte della propria vita e della propria infanzia. Del resto è proprio su questo che il regista punta attraverso il suo film. Ricordare agli spettatori che “siamo tutti figli di qualcuno”, tutti costretti, prima o poi, a fare i conti con i nostri dolori, i nostri vuoti, i nostri mancati e/o perduti affetti.

Un film sui sentimenti, sulla paura di amare, adatto a chi non ha paura di piangere e di ricordare. Un film nel quale la disperazione urlata, tipicamente Mucciniana, e propria delle pellicole precedenti, lascia spazio ad una sofferenza più intima, più introspettiva, che porta sorriso e commozione di fronte alla tenerezza e alla dolcezza dei fotogrammi tra padre e figlia, più che allo stordimento tipico dei precedenti film, in un succedersi di corse a perdifiato e urla fuori dal petto. 

E se in parte “Padri e Figlie” si discosta dai precedenti, sotto altri aspetti li abbraccia completamente evidenziando una serie di elementi che si susseguono come leit motiv ricorrenti in ogni pellicola. Dal coraggio proprio dei protagonisti di non mollare mai arrivando a superare le ingiustizie della società, fino all’abitudine, quasi attesa, di lanciare messaggi “reali” al di fuori dalla finzione cinematografica. 

Lia Giannini

 

 

 

«Sono stato ospite della mia vita», racconto di una vita al limite

Da sx Michele Merante, Mario Pugliese e Franco Gigliotti

PENTONE (CZ)-  Nella tasca porta sempre una fiche di 20.000 lire: tutto quello che gli rimase dopo aver giocato 40 milioni al casinò. «La vita non è solo quella che si è vissuta, ma anche quella che si sarebbe potuta vivere», lo ripete Mario Pugliese. Classe 1957, si è messo a nudo di fronte alla sua comunità. Ha raccontato la sua storia, ‘una vita al limite’ la definisce: l’infanzia senza scarpe, la partenza per Milano, gli hotel (prigioni e stazioni), i giostrai, la malavita  – o la «vita mala» – la droga. Passa da un anno all’altro. «Sono stato ospite della mia vita», ribadisce.  Arriva al secondo tempo: niente droga, impegno contro la violenza su donne e bambini, passione per l’ornitologia e premi nei relativi concorsi. Condivide il suo percorso nell’incontro organizzato dal Comitato civico “L’Arco”. Mette in guardia chi lo ascolta – soprattutto i giovani perché basta un attimo per perdersi – e propone di istituire uno sportello per minori e ragazze madri. Il racconto di una vita è stato introdotto da Franco Gigliotti e Michele Merante, membri del Comitato. Entrambi hanno sottolineato come Mario Pugliese ribadisca sempre che il suo non è un esempio da seguire. A inizio serata Faustina Macrì ha letto la lettera di una volontaria Caritas che ha operato nel carcere di Siano.

Mario Pugliese parte dell’infanzia. Nasce a Pentone. Dove gira sempre scalzo, anche in una discarica alla ricerca di un po’ di alluminio per racimolare qualche soldo. A quattordici anni lascia la scuola edile e parte per Milano. Da allora diventa un nessuno. «Pascolavo tra la stazione e la metropolitana, se rubavi un cartone ti accoltellavano –  ricorda – giravano delinquenti, pedofili…dormire non si dormiva: avevo paura». «Ho sempre vissuto rubacchiando», aggiunge. Entra ed esce dal carcere minorile, molte volte si fa beccare di proposito: per avere un pasto caldo e un posto dove dormire.

Un gruppo di giostrai lo prende con sé. Sulle prime sembra il paese dei balocchi. Ma è un inferno. Mario vive da schiavo: recluso, manodopera a costo zero, pranzo fuori accanto al cane. Riesce a fuggire, scappa nei boschi. Per qualche tempo vive con gli zingari – «almeno venivo trattato da essere umano» commenta. Dopo la malavita o la «vita mala», come la chiama lui. L’incontro con la droga. «Ho cominciato con gli amici, con il solito ‘prova’ – racconta – ‘smetto quando voglio’…mi fa ridere questa frase». Mario entra in un giro di trafficanti: sarà arrestato, vivrà anche l’isolamento completo. Arriva pure a fare uso di eroina. «L’eroina ti annienta, l’eroina ti fa perdere il rispetto di te stesso – dice – non riesci a descrivere cosa provi, ecco perché è così difficile uscirne». Ma Mario ne esce. E non dalla porta dell’overdose o dell’aids. Ne esce pensando alle figlie, dopo tentativi e ricadute, «crampi come coliche renali» e anni in cui «il richiamo dell’eroina lo senti nella tua testa».

Oggi è ritornato nel suo paese, racconta la sua storia e forse si sorprende dell’ascolto e dell’affetto dei suoi concittadini.

 

Rita Paonessa