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Intervista/ Ron: individuare una voce di pace comunque. Il cantante ha chiusto la Festa a Pentone

Chi si rallegra, chi si commuove. Chi prega, chi ascolta. Chi ritorna, chi riparte. Chi resta. Storie accomunate, a Pentone (CZ), dalla Festa della Madonna di Termine. Dalla prima alla seconda domenica di settembre, una settimana di celebrazioni ed eventi, il lunedì seguente la Festa dell’Emigrante. Quest’anno, nella giornata dedicata al fanciullo, i più piccoli hanno avuto la possibilità di esprimere il loro talento e la loro spontaneità con canti, balli, sfilate e teatro. Domenica la processione per i colli che, nei giorni precedenti, sono stati illuminati dalle ‘Luminere’. Il giorno clou è stato chiuso da Ron, in tournee con ‘Way out’. Lo abbiamo sentito prima del concerto.  

 

‘Way out’ [ultimo album e tournee, ndr] arriva dopo quattro anni di silenzio discografico in un momento di crisi globale. Perché questo silenzio e perché proprio questo momento per un nuovo progetto?

Veramente sono stati quattro anni di fermo perché non volevo fare un disco inutile, un disco giusto di passaggio, giusto per farne uno insomma, per cui ho fatto questo perché mi piaceva entrare nella dimensione di altri paesi, di ragazzi che scrivono ancora canzoni loro, giovani, e sentire la loro – ero molto curioso – come feci con Jackson Browne, insomma.

 

Ha scritto una canzone sull’emergenza acqua [‘Canzone dell’acqua’, ndr], un’altra sulla violenza sui minori [‘Il gigante e la bambina’, ndr]: la musica può avere ancora una voce in capitolo?

Direi di sì, dipende sempre da come scrivi le cose, c’è un modo di essere beceri e dare la sensazione di sfruttare l’argomento, per esempio. No? Una canzone come ‘il gigante e la bambina’ ha un linguaggio così poetico che è difficile pensare che sia stata scritta per sfruttarne la storia.

 

Musicista, produttore, interprete, esperienze cinematografiche, cantautore: una carriera variegata…

Devo dire la verità, sono tanti anni che faccio questo lavoro, sono molto contento di quello che faccio, di quello che ho fatto. Però mi è piaciuto, in qualche modo, spostarmi anche, in binari diversi. Ho avuto delle occasioni, le ho anche sfruttate. Il cinema, ho fatto un paio di cose importanti, belle, una con Magni, l’altra con Giuliano Montaldo, e altre cose. Poi ho fatto anche teatro, nel senso che mi è piaciuto portare in teatro me stesso … uno spettacolo che si chiamava l’altra parte di Ron, per cui era un monologo con me stesso e i personaggi che io facevo. E poi la musica rimane, comunque, perché poi è la cosa che mi viene più naturale.

 

Andiamo agli esordi: qual era la sua paura più grande?

La mia paura più grande? Uhm … nessuna paura. In effetti forse la mia forza era proprio quella di non aver paura a salir su un palco, anzi, più salivo sul palco e più si scatenava la mia energia

 

Ha fatto un album, Le voci del mondo, ispirato all’omonimo libro di Robert Schneider. Quali sono, oggi, le voci del mondo che dovremmo ascoltare?

Ognuno ascolta le voci che vuole ascoltare, purtroppo. A volte si ascoltano voci negative, per cui i messaggi negativi ci sono, come ci sono quelli positivi. Le voci sono tante, l’importante è individuare una voce di pace comunque, fraterna, ecco, non voci di disaccordo e di distanza.

 

La musica è anche un modo per vivere la fede?

Credo di sì, credo che la musica è un modo per agganciarsi veramente a qualcosa di spirituale. Insomma la musica è questa cosa magica, un dono invisibile, per cui quando uno crede in qualche cosa sicuramente si aggancia a quel credo anche con la musica e diventa tutto più spirituale, più bello.

 

Il suo spettacolo, questa sera, chiude una festa religiosa dedicata alla Madonna. Come vive il portare una tournee in un contesto del genere?

Sono molto devoto alla Madonna, per cui per me cantare in ogni occasione così è importante, mi sento sempre molto onorato, per cui sono felice di questo.

 

 

Rita Paonessa

A volte ritornano/ Il Visconte spezzettato: storia di un acquedotto rivoluzionario

Un momento della serata. Da sx Gianpiero De Santis e Vincenzo Marino (foto di Maria Tarantino)

VISCONTE (CZ) – Dodici km: tanto è lungo l’acquedotto Visconte-Catanzaro. La storia e l’impatto dell’opera voluta nell’Ottocento nel periodo napoleonico sono stati raccontati, nei giorni scorsi, da Walter Fratto e Salvatore Bullotta. Proprio a Visconte, centro al confine tra Pentone, Gimigliano e Catanzaro. La serata è stata organizzata dal circolo PD di Pentone in collaborazione con l’associazione culturale Musagete Due. La ricostruzione delle vicende dell’acquedotto e del suo tragitto si è rivelata un pretesto per conoscere un pezzo di storia. Storia globale che, oltre ai grandi eventi, considera le condizioni materiali e il cambiamento del paesaggio. Storia che potrebbe prendere una piega diversa se solo l’acquedotto – riscoperto – fosse valorizzato. Sull’opera, di recente, si è fermata anche l’attenzione della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Calabria. La sua storia è stata riannodata. Ora – sembra di leggere tra le righe di una serata in cui anche il pubblico è intervenuto – tocca ad amministratori, associazioni e cittadini evitare di smarrirla.

L’incontro, nelle intenzioni del PD locale, lascerà una traccia. Vincenzo Marino, coordinatore del circolo PD di Pentone e moderatore della serata, ha reso noto che verrà prodotto un documento sulla manifestazione e verrà richiesto ai comuni di Gimigliano e di Pentone di fare un deliberato per sensibilizzare il Comune di Catanzaro. L’associazione Musagete 2, nelle parole del presidente Gianpiero De Santis, si è detta pronta a impegnarsi per la valorizzazione dell’opera architettonica.

Una veduta dell'acquedotto (foto dalla rete)

La sua riscoperta prende le mosse dalle sollecitazioni di Riccardo Elia, lo ha premesso Walter Fratto. Che ha commentato le immagini delle cartine e gli spezzoni del suo video, ‘Il Visconte Spezzettato: storia (sepolta) di un acquedotto rivoluzionario’. Prima dell’arrivo dei francesi nell’Ottocento, a Catanzaro non esisteva un acquedotto: le condizioni igieniche lasciavano a desiderare. La costruzione, ha spiegato l’architetto, è stata realizzata scavando nella nuda roccia. Il suo pensiero è andato al possibile tributo degli operai di cui, però, non è stata ritrovata traccia negli archivi. Fratto si è soffermato anche sull’importanza dell’opera per Visconte: «senza acquedotto non esisterebbe». Perché non si fanno gallerie, ma si scavano trincee. Vengono tolti alberi e pietre: resta una strada. Quella di Visconte.

Ma l’acquedotto rientra nel più ampio impatto del decennio francese (1806-1815). E’ Salvatore Bullotta, che ha collaborato al progetto, a contestualizzare. Il dottorando in storia ha focalizzato l’attenzione sull’ambivalenza della presenza francese. Ha spiegato che essa introduce conoscenze (anche nel campo dell’ingegneria), amministrazione del territorio a cui risalgono le odierne articolazioni amministrative, un codice civile. Tuttavia si tratta di un’occupazione militare: la popolazione è vessata. I suoi accenni al brigantaggio o alla continuità della nuova amministrazione borbonica aprirebbero altri nodi: si arriverebbe all’attuale dibattito tra Neoborbonici e sostenitori dell’Unità d’Italia.

Ma questa è un’altra storia. Quella dell’acquedotto è stata riportata alla luce. L’Uisp (Unione italiana Sport per Tutti)  Catanzaro, di cui fanno parte Riccardo Elia e Walter Fratto, di recente ha organizzato una passeggiata ecologica proprio nelle zone in cui l’acqua sgorga. L’incontro di Visconte vi ha puntato di nuovo i riflettori. In molti sembrano non voler dimenticare.

 

Rita Paonessa

Equità per il miglioramento di tutto il paese: Emanuele Ferragina presenta la sua proposta

PENTONE (CZ) –  «I soldi ci sono, ma sono male distribuiti», contraddice il ritornello ripetuto come un mantra ai tempi dell’austerity, Emanuele Ferragina. Il giovane catanzarese insegna politiche sociali a Oxford. Nel suo ultimo libro destinato al grande pubblico, Chi troppo chi niente, raccoglie le sue ricerche per dimostrare che conseguire l’uguaglianza – di reddito, opportunità e trattamento – migliorerebbe il nostro paese: un possibile progetto politico da realizzare nel breve termine. Il libro è stato presentato ieri a Pentone, nella serata organizzata dall’amministrazione comunale. L’assessore alla cultura, Francesco Citriniti, ha inquadrato l’iniziativa nelle «serate che mirano a valorizzare la calabresità positiva». Al tavolo anche Pasquale Squillace: per l’iscritto PD è fondamentale «trovare un modo per far sì che questi incontri consentano la creazione di una massa critica». Intervistato dal giornalista Domenico Iozzo, Emanuele Ferragina ha ricostruito gli argomenti della sua tesi. Fondata su «numeri che non si possono discutere».

Cinque campi, un principio – Secondo il ricercatore catanzarese, ridurre le disparità andrebbe a discapito di 4 o 5 milioni di cittadini, ma sarebbe un vantaggio per tutti gli altri. E per lo stesso consenso elettorale dei politici. Ma perché mostrare l’utilità di un principio la cui bontà sembrerebbe evidente? Probabilmente perché si vuole «convincere le menti razionali» con una serie di riforme fattibili: un proclama non basta. Emanuele Ferragina propone di intervenire in cinque campi – ordini professionali, previdenza, lavoro, coesione sociale, federalismo. Ad esempio, sostiene la tassazione di pensioni di anzianità e patrimoni per finanziare il reddito minimo garantito, una misura adottata in tutti i paesi europei ad eccezione di Italia e Grecia. Ma si tratta di interventi a breve termine. Sul lungo periodo si imporrà un ripensamento della crescita – «non abbiamo più bisogno di cose» – e del lavoro (dal lavoro retribuito al lavoro che serve).

«Meridionale d’Albione» – La scrittura del libro comincia in seguito alla telefonata dell’editore. Che contatta Emanuele Ferragina dopo la sua discussione con Susanna Camusso a Servizio Pubblico: l’aveva accusata di essere conservatrice. L’autore definisce Chi troppo chi niente «un libro di buon senso scritto da un meridionale che ha passato del tempo a studiare con metodo anglosassone». Al libro mancano alcuni capitoli, sull’immigrazione, la scuola, l’evasione fiscale: il ricercatore ha voluto concentrarsi solo sugli ambiti di sua competenza. Qualcuno – racconta –  lo ha accusato di dire delle ovvietà. Lui replica: «ma allora perché nessuno le ha messe insieme o nessun politico le ha mai fatte?» .

Politici e tecnici – L’animatore del think tank Fonderia si sofferma anche sul Movimento Cinque Stelle di cui si interessa in quanto sociologo della politica: secondo la sua analisi, i dati interessanti del movimento sono il capitale sociale degli attivisti e il consenso di lavoratori precari e disoccupati. «Le grandi riforme partono da chi ha disagio», spiega proseguendo le riflessioni.

E il rapporto tra tecnici e politici? Secondo Emanuele Ferragina il politico è colui che decide di occuparsi del bene comune e fa delle scelte in base alla consultazione con chi se ne intende di una data materia. D’altra parte – nella sua visione – il tecnico dovrebbe farsi carico di informare l’opinione pubblica.

Rita Paonessa

Notte di Nausicaa a Pentone: parole e visioni su accoglienza e ospitalità

La Pro Loco ha aderito all’iniziativa provinciale ‘la notte di Nausicaa’. La serata si è tenuta il giorno dopo la presentazione del cartellone estivo

 

 

Ulisse

PENTONE (CZ) –  Sulle tracce di Ulisse e Nausicaa, si punta il faro su accoglienza e ospitalità: la Pro Loco di Pentone ha aderito all’iniziativa dell’UNPLI (Unione Pro Loco) provinciale di Catanzaro, ‘la notte di Nausicaa’. Ieri, nei comuni aderenti di tutta la provincia di Catanzaro, la serata è stata articolata in modo diverso, ma con un denominatore comune: «cultura dell’accoglienza e sacralità dell’ospite». A Pentone, dopo un breve dibattito tra mito, religione, storia e storie contemporanee, è stato messo in scena l’arrivo di Ulisse nella terra dei Feaci e il suo incontro con Nausicaa. Parole e visioni da tradurre, però, nella vita di ogni giorno, e non solo nei confronti dello straniero. Perché quello dell’«accoglienza» non sia un vuoto vessillo.

Le declinazioni dell’accoglienza – Moderato dal giornalista Vincenzo Marino, il dibattito si è snodato tra letteratura e impegno vissuto, religione e antropologia. Francesco Citriniti, assessore alla cultura del Comune di Pentone, si è soffermato sull’importanza di valorizzare l’accoglienza. Filippo Capellupo, presidente della Pro Loco di Catanzaro, ha richiamato la teoria dello storico Wolf, secondo il quale Ulisse sarebbe sbarcato nella provincia di Catanzaro.

Un momento del dibattito

Ma gli interventi non si sono limitati alla sola grecità: il versante cristiano e quello greco dell’accoglienza sono stati tratteggiati da Don Gaetano Rocca, parroco di Pentone e Massimo Iiritano, professore di filosofia. Il prete ha fatto riferimento al salto del cristianesimo per cui accogliere il fratello equivale ad accogliere Dio: «fare questo salto consentirebbe di superare le barriere politiche». Il filosofo ha puntualizzato che comunque la xenia, l’ospitalità greca ha un valore sacrale: «Nausicaa si fa portavoce del valore dell’ospitalità, molto sentito nell’antica Grecia», ha spiegato rilevando l’ambiguità feconda della parola “ospite” – «colui che ospita e colui che viene ospitato».

Dai valori e dalle radici al contesto contemporaneo: il passaggio è stato fatto da Saverio Cosentino, membro di Migrantes e Sandro La Penna, educatore di comunità di ‘Città solidale’. Per entrambi è necessario partire dal basso, da ciascuno di noi. Saverio Cosentino è ritornato anche sulla Calabria che partiva con la valigia di cartone, Sandro La Penna ha analizzato la posizione della Calabria di oggi, «una costa di frontiera» dove approda chi scappa da tragedie – Egitto, Turchia, Siria. Secondo l’operatore, le nuove generazioni si dovranno confrontare anche con la ricchezza di chi arriva e ora si deve «cominciare dal popolo per poi salire verso le istituzioni».

Vitaliano Marino, presidente della Pro Loco di Pentone, ha concluso sull’accoglienza dal punto di vista turistico, ma ha citato anche le esperienze di accoglienza dei rifugiati in Calabria, di competenza dell’amministrazione comunale. Prima del dibattito, inoltre, Mariagrazia Serafini Lamanna e Stefania Marino hanno letto il passo del Vangelo di Luca sul buon samaritano e il commento di Don Gaetano.

Ulisse e Nausicaa
Alcuni dei personaggi dietro le quinte (foto M.E.Marino)

La messa in scena – L’incontro di Ulisse con Nausicaa e con il padre Alcino si è materializzato. Sotto la direzione artistica di Amerigo Marino, i personaggi sono stati interpretati da: Nicoletta Capicotto , Alessia Marino (Ancelle); Cristian Caroleo, Vincenzo Critelli, Raffaele Marino (Soldati); Giuseppe Paonessa (Alcino); Vincenzo Capicotto (Zeus); Annarita Marino (Atena); Vanessa Merante (giovane e Calipso); Rosita Lazzaretti (Nausicaa); Fioravante Caroleo (Ulisse).

Dietro le quinte: Michele Capicotto, Irene Amoroso, Mariagrazia Critelli, Maria Emanuela Marino, Alida Serafini Lamanna. Ottavio Capicotto e Maurizio Veraldi hanno costruito rispettivamente la zattera e l’arpa presenti in scena. Ha presentato la serata Maria Tarantino.

 

Cartellone estivo – La serata dedicata a Nausicaa si è tenuta appena un giorno dopo la presentazione del cartellone estivo pentonese. Venerdì, nel piazzale della Musica, l’assessore alla cultura Francesco Citriniti ha illustrato gli eventi del territorio (Pentone, S.Elia e Visconte). Contestualmente è stato presentato ‘La malaparentela’, libro di Natale Saccà. Il medico dell’ospedale ‘Pugliese’ ha ambientato il suo romanzo proprio tra le corsie dell’ospedale, anche per «dare un volto all’infermiere e una dignità alla professione». Oltre allo stesso Natale Saccà, sono intervenuti Daniela Rabia con un profilo tecnico dell’opera e con domande rivolte all’autore e Maria Antonia Capicotto, caposala dell’ UTIC del ‘Pugliese’, con una testimonianza.

 

 

 

 

 

 

Rita Paonessa

La protesta per i detenuti palestinesi si sposta a Torino

PENTONE (CZ) – Lo sciopero della fame per i detenuti palestinesi si fa itinerante e si trasferisce a Torino. Sei giorni fa Rosario Citriniti di InvictaPalestina, centro di documentazione sulla Palestina, ha avviato uno sciopero della fame sistemandosi in una tenda montata all’entrata della chiesa di Pentone, paese della presila catanzarese che ospita il centro stesso. La protesta ora si sposterà a Torino, nei pressi del Centro Studi Sereno Regis, insieme ad altre persone. Intanto, Samer Issawi, in sciopero della fame da circa 210 giorni, il 6 marzo rischia di non uscire perche’ gli si addebita una precedente condanna.

Sciopero della fame per i detenuti palestinesi a Pentone (Cz) si trasferisce

Lo sciopero della fame per i detenuti palestinesi, e in particolare per Samer Issawi, si fa itinerante e si trasferisce a Torino. Sei giorni fa Rosario Citriniti di InvictaPalestina, centro di documentazione sulla Palestina, ha avviato uno sciopero della fame sistemandosi in una tenda montata all’entrata della chiesa di Pentone, paese della presila catanzarese che ospita il centro stesso. La protesta ora proseguirà a Torino, nei pressi del Centro Studi Sereno Regis, insieme ad altre persone. Intanto, Samer Issawi, in sciopero della fame da circa 210 giorni,  il 6 marzo rischia di non uscire perché gli addebitano una precedente condanna.

Nei giorni scorsi, oltre ai messaggi di solidarietà dalla Calabria, dall’Italia e da altri paesi, Rosario Citriniti ha sentito la vicinanza e le domande di alcuni pentonesi. Chi gli ha portato latte e tè, chi dei teli per ripararsi dalla pioggia, chi ha fatto asciugare guanciali e coperte. Alcuni ragazzi gli hanno chiesto spiegazioni sulle motivazioni della sua iniziativa – « non un gesto clamoroso, ma un’azione che scuota sì» per i diritti dei prigionieri palestinesi e la scarcerazione di chi è in carcere senza accuse né processi. Un’intera classe della scuola elementare di Pentone è andata a trovarlo: i bambini hanno fatto domande e preso appunti. Faranno un elaborato e lo invieranno ad InvictaPalestina, il lavoro più completo sarà premiato. Il centro, inoltre, ha donato alla maestra dei libri sulla questione palestinese.

Un paio di giorni fa, il parroco Don Gaetano Rocca, vista la pioggia abbondante, ha permesso a Rosario Citriniti di dormire in sacrestia. La Via Crucis di ieri, inoltre, ha toccato uno dei calvari dei nostri giorni: quello dei palestinesi. «Le Vie Crucis che celebriamo – ha detto il parroco –  sono scritte, ancora oggi, con il sangue di migliaia di oppressi che lottano per la loro liberazione. Tra questi ci sono i palestinesi che sono ogni giorno costretti in interminabili checkpoint, in uno stato di umiliazione continua e terribile». Rosario Citriniti ha raccontato di Samer Issawi e per la decima stazione ha letto un brano di Don Nandino Capovilla: «Sette famiglie su 10 piangono i loro parenti senza sapere dove sono, ignorando le torture che subiscono, le volte in cui verrà rinnovata “la detenzione amministrativa”, quella forma di arresto senza accusa su cui nemmeno gli avvocati potranno indagare».

La lettera scritta a Samer Issawi – Rosario Citriniti ha scritto una lettera a Samer Issawi, il prigioniero palestinese scambiato con il caporale israeliano Shalit nell’ottobre 2011. Per protesta, da circa 210 giorni è in sciopero della fame: rischia di morire.

«Caro fratello, Caro Sami – comincia la lettera – l’eco della tua lotta è arrivata in Calabria (ITALIA). In un piccolo paese di questa regione abbiamo montato una tenda della speranza nella quale da quattro giorni anch’io faccio lo sciopero della fame in solidarietà con la tua lotta che poi è quella di tanti fratelli e sorelle palestinesi che ogni giorno s’impegnano per la fine dell’occupazione sionista».

La missiva prosegue con una proposta: «caro Sami,  ti propongo di scegliere la vita al martirio, scegliendo di comune accordo di sospendere il nostro sciopero per camminare insieme nella lotta di liberazione del popolo palestinese, t’invito a sospendere insieme,  io in Italia  tu nelle carceri israeliane,  lo sciopero in corso e sostituirlo con la lotta collettiva, quotidiana, che un giorno, insieme a tutti le persone che resistono e solidarizzano col tuo popolo, porterà sicuramente alla  liberazione della tua terra».

Le condizioni dei detenuti palestinesi – 4520 detenuti nelle carceri israeliane di cui 10 donne, 164 bambini (16 hanno meno di 21 anni) e 8 parlamentari palestinesi. Dal 67 ad oggi più di 800mila palestinesi sono stati arrestati: il 20 % della popolazione palestinese –  il 40% della sola popolazione maschile –  è stato in carcere. Ogni anno 700 bambini vengono arrestati. Sono i dati, aggiornati a novembre 2012, presentati da Grazia Careccia, capo dipartimento di Ricerca Legale e Advocacy internazionale Al-Haq-Ramallah, a Padova alla giornata ONU per i diritti del popolo palestinese. Restituiscono il dominio di Israele nei territori occupati della Palestina e l’oppressione subita dai palestinesi.

Arrestati nel cuore della notte, sottoposti a umiliazioni e misure degradanti, tenuti in custodia (quindi «senza che si sappia perché una persona sia in carcere») fino a un anno, i palestinesi vivono assoggettati dal regime militare di Israele e sono sottoposti alle regole di Israele. Che sono, però, diverse per i palestinesi e per gli israeliani. Ad esempio, se un processo per un israeliano dura 9 mesi, per un palestinese si protrae per 18 mesi. Se i palestinesi sono trattenuti senza accuse per interrogatori fino a 90 giorni, gli israeliani lo sono per 64 giorni.

Grazia Careccia, lo scorso dicembre, si è soffermata sulla pratica dell’internamento o – come viene chiamata dagli israeliani – “detenzione amministrativa”: «è un caso di privazione della libertà degli individui molto particolare perché avviene in mancanza di accuse e di un vero e proprio processo – ha spiegato – la potenza occupante dice: c’è un pericolo di sicurezza, però questa persona non ha commesso nessun reato, tuttavia l’unico modo che ho per proteggere la mia sicurezza è internare questa persona». Secondo il diritto internazionale, l’internamento è un provvedimento di carattere eccezionale e deve essere limitato nel tempo. Ma Grazia Careccia precisa che Israele ricorre costantemente all’internamento e lo reitera in modo illimitato. Inoltre viola i diritti alla presunzione di innocenza, alla difesa e a un equo processo.

 

video completo della relazione di Grazia Careccia all’indirizzo

http://www.youtube.com/watch?v=wnYnYRM6yL4&list=UUop3V1dXcqFYbhewDp0vEEA&index=10

 

Per informazioni

http://www.invictapalestina.org/

info@invictapalestina.org

Canale youtube: https://www.youtube.com/user/invictapalestina

Sciopero della Fame per Detenuti Palestinesi a Pentone

Rosario Citriniti

PENTONE (CZ) – Prima notte di sciopero della fame per Rosario Citriniti di ‘InvictaPalestina’, centro di documentazione sulla Palestina. La tenda è stata montata a  Pentone, paese della presila catanzarese che ospita il centro, nei pressi della chiesa (non è stato possibile sistemarsi nella chiesa stessa). All’origine della protesta, le condizioni dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane e, in particolare, il grave stato di salute di Samer Issawi. Il prigioniero palestinese scambiato con il caporale israeliano Shalit nell’ottobre 2011, in sciopero della fame da 204 giorni, rischia di morire.

L’iniziativa a Pentone è cominciata ieri perché gli organismi nazionali e/o internazionali prendano provvedimenti per la garanzia dei diritti dei detenuti palestinesi, la scarcerazione dei prigionieri in carcere senza accuse né processi, la salvaguardia dei detenuti in sciopero della fame. Da mesi, infatti, i detenuti palestinesi hanno adottato questa forma di protesta per richiamare l’attenzione sulla loro condizione.  Lo sciopero della fame nel centro presilano è stato avviato in risposta agli appelli di Amnesty International, dell’Arcivescovo Atallah Hanna e delle organizzazioni palestinesi.

Le condizioni dei detenuti palestinesi – 4520 detenuti nelle carceri israeliane di cui 10 donne, 164 bambini (16 hanno meno di 21 anni) e 8 parlamentari palestinesi. Dal 67 ad oggi più di 800mila palestinesi sono stati arrestati: il 20 % della popolazione palestinese –  il 40% della sola popolazione maschile –  è stato in carcere. Ogni anno 700 bambini vengono arrestati. Sono i dati, aggiornati a novembre 2012, presentati da Grazia Careccia, capo dipartimento di Ricerca Legale e Advocacy internazionale Al-Haq-Ramallah, a Padova alla giornata ONU per i diritti del popolo palestinese. Restituiscono il dominio di Israele nei territori occupati della Palestina e l’oppressione subita dai palestinesi.

Arrestati nel cuore della notte, sottoposti a umiliazioni e misure degradanti, tenuti in custodia (quindi «senza che si sappia perché una persona sia in carcere») fino a un anno, i palestinesi vivono assoggettati dal regime militare di Israele e sono sottoposti alle regole di Israele. Che sono, però, diverse per i palestinesi e per gli israeliani. Ad esempio, se un processo per un israeliano dura 9 mesi, per un palestinese si protrae per 18 mesi. Se i palestinesi sono trattenuti senza accuse per interrogatori fino a 90 giorni, gli israeliani lo sono per 64 giorni.

Grazia Careccia, lo scorso dicembre, si è soffermata sulla pratica dell’internamento o – come viene chiamata dagli israeliani – “detenzione amministrativa”: «è un caso di privazione della libertà degli individui molto particolare perché avviene in mancanza di accuse e di un vero e proprio processo – ha spiegato – la potenza occupante dice: c’è un pericolo di sicurezza, però questa persona non ha commesso nessun reato, tuttavia l’unico modo che ho per proteggere la mia sicurezza è internare questa persona». Secondo il diritto internazionale, l’internamento è un provvedimento di carattere eccezionale e deve essere limitato nel tempo. Ma Grazia Careccia precisa che Israele ricorre costantemente all’internamento e lo reitera in modo illimitato. Inoltre viola i diritti alla presunzione di innocenza, alla difesa e a un equo processo.

 

Rita Paonessa

Intervista a Giulietto Chiesa su crisi, futuro, media, Alternativa e Grillo

Giulietto Chiesa ha partecipato al convegno su crisi e politiche europee che si è tenuto a Pentone(Cz), presso il salone del Santuario di Termine. Lo abbiamo sentito su crisi, futur, media, Alternativa e Grillo.

Crisi e scenari futuri: solidarietà o guerra

Fatti e interpretazioni

Media e manipolazione

Grillo e Alternativa

 

 

 

A cura di Rita Paonessa

FOCUS/Crisi, politiche europee, futuro: un convegno a Pentone (Cz). Giulietto Chiesa ha chiuso la serata

PENTONE (CZ) – Crisi, politiche europee, debito e speculazione, futuro: se ne è parlato a ‘Famiglie in crisi: quale futuro per l’Italia?’. Il convegno si è tenuto a Pentone, in provincia di Catanzaro, presso il salone del santuario di Termine. Giulietto Chiesa [intervista] ha chiuso la serata. Prima di lui sono intervenuti Alberto Scerbo (docente Magna Graecia già direttore Osservatorio Giuridico Conferenza Episcopale Calabra), Vincenzo Falcone (docente universitario già segretario generale Comitato delle Regioni UE) e Sergio Basile (direttore ‘QuiEuropa’ – Osservatorio nazionale Politiche Europee). Dopo i saluti del sindaco di Pentone, Raffaele Mirenzi, ha introdotto il convegno Don Gaetano Rocca, rettore del Santuario e direttore diocesano Ufficio Pastorale del Lavoro e Problemi sociali. L’incontro è stato organizzato dal Santuario Madonna di Termine, in collaborazione con l’Università ‘Magna Graecia’ di Catanzaro (Dipartimento di Filosofia del diritto), QuiEuropa (www.quieuropa.it) e Comune di Pentone.

«Ce ne torniamo a casa arricchiti, ma ci avete dato troppe nozioni», interviene un uomo dal pubblico a fine serata. In effetti, i relatori hanno dato informazioni e dati, anche tecnici, di cui non si sente parlare spesso: sulle prime, orientarsi è difficile. Ma il sasso è stato lanciato. Per Don Gaetano Rocca non sono importanti tanto le risposte quanto le domande. Il rettore del santuario, nell’introduzione, ha fatto ricorso alla metafora, diffusa, della malattia e della cura: «la malattia è evidente e conclamata – ha detto – la terapia per risolverla è avvolta da una nebulosa che spazia tra ideologia e particolare formazione culturale». Tra gli altri, ha citato Ford: «È un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina».

L’elemento comune alle relazioni sembra essere stato il fattore tempo. E’ necessario agire in fretta. E’ necessario guardare al lungo termine per intravvedere gli esiti – catastrofici – della crisi attuale e trovare le relative soluzioni. E’ necessario pure guardare al passato. Per tentare di capire come siamo arrivati al punto in cui ci troviamo, individuare le responsabilità, renderci conto di chi siamo e di chi possiamo essere. Dopo gli interventi dei relatori, i presenti hanno posto domande e condiviso riflessioni: il confronto è continuato.

 

Cambiamenti veloci e politica lenta, il caso Calabria – Mutamenti economici veloci, politica lenta nel rispondere: è il gap messo in luce da Vincenzo Falcone. Quanto all’Europa, per il professore, «la coscienza europea non si ottiene dall’oggi al domani e, anche se il percorso è ancora lungo, il processo è irreversibile». Falcone si è soffermato sulla Calabria, «la regione dove nulla si trasforma – ha detto – lo dico perché a causa di una classe dirigente che non sa guardare oltre il breve periodo ed è carente circa la conoscenza dei processi, cioè noi abbiamo una classe politica ignorante, che non conosce la storia della Calabria». Il professore ha snocciolato alcuni dati: accesso al credito inesistente, 70mila miliardi di vecchie lire messe a disposizione della Calabria, impatto degli interventi comunitari uguale a zero.

Politica, economia, Europa – Alberto Scerbo ha fatto il punto sull’Europa: una parola – secondo lui – dietro cui ci si nasconde («Si dice ‘ce lo ha ordinato l’Europa’, ma non so quante cose ci ha realmente ordinato l’Europa»). Per il docente, l’Europa politica non c’è: «un problema molto difficile è la sovranità degli Stati: perché si possa parlare di un organismo sovranazionale, è necessario che gli Stati facciano un’azione di abdicazione alla propria sovranità, ma questa abdicazione non c’è stata». D’altra parte, Scerbo ha sottolineato la prevaricazione dell’elemento economico: «l’economia è diventata il problema essenziale, muove la politica: politica e diritto sono arretrati e hanno messo davanti a sé l’elemento economico, usato per giustificare le scelte della politica e del diritto».

Debito e risposte europee (Fiscal Compact e Fondo salva Stati) – Sergio Basile ha analizzato debito pubblico e risvolti delle risposte europee. «In Italia il debito pubblico scoppia negli anni ’80 – ha spiegato – in trenta anni passa dal 60% al 125 %». Ha proseguito: «in parte è dovuto alla cattiva gestione politica, ma questo è vero solo al 10%, lo dicono i dati». Il direttore di QuiEuropa ha fatto, quindi, riferimento alla privatizzazione della Banca d’Italia (1992, Governo Amato), agli 80 miliardi di interessi passivi pagati ogni anno alle banche, alle agenzie di rating e ai loro “consigli” manipolati seguiti come diktat, ai 45 miliardi d’euro l’anno che dovremmo pagare per venti anni secondo il Fiscal Compact, ai meccanismi inquietanti del Fondo salva Stati. Fattori che hanno giocato e giocano un ruolo rilevante nel debito pubblico. «La mia non è una teoria complottista, sono dati pubblici, si trovano su internet», ha precisato Sergio Basile.

Crisi, pianeta e guerra – Giulietto Chiesa ha ampliato la prospettiva al pianeta e agli scenari futuri. Il giornalista ha spiegato che le risorse del pianeta (petrolio incluso) sono limitate, ma viviamo in un sistema – quello capitalistico – orientato a uno sviluppo illimitato. «Ma in un sistema finito di risorse, uno sviluppo infinito è impossibile». D’altra parte, paesi fino a ieri sfruttati – Cina, Brasile, America Latina, India, i cosiddetti BRICS – crescono velocemente. «Non siamo più al centro del mondo – ha detto – dovremo fare i conti con la necessità di diminuire i consumi. Per il presidente di Alternativa, proseguire con questo ritmo significa andare dritti verso la guerra perché «si dovrà andare a prendere le risorse dove ci sono». Perciò «non possiamo più crescere», è la conclusione di Giulietto Chiesa, in controtendenza rispetto al leitmotiv di questi tempi. Il giornalista ha fatto anche riferimento all’infinita produzione di denaro e a rifinanziamento delle banche fallite.

 

Rita Paonessa

Fossato (Cz), in ricordo di Benedetto Antonio Calogero la raccolta di fondi per i malati di fibrosi cistica

FOSSATO SERRALTA (CZ) – «Quando manca il sorriso/sorridi sempre/a colui che lo pretende/ e vedrai che la vita aiuterà/a colui il quale /il sorriso sempre porgerà/ E quando un giorno/ la tua vita finirà/ Il tuo sorriso /Nella memoria di tutti rimarrà». La poesia è ‘Il sorriso’, la raccolta è ‘Pezzi di una vita normale’. Parole di pietra scritte da Benedetto Antonio Calogero. L’uomo è stato ricordato dalla sua comunità (Fossato Serralta) e da quelle vicine. Le sue parole attraversano una vita. Una «vita normale» la definisce. L’amore e il lavoro. La bestia (la malattia) e il coraggio di affrontarla. L’alba e il tramonto. L’avvicendarsi della stagioni e l’orgoglio di essere originario di Fossato. La tristezza e l’ottimismo. La consapevolezza e la voglia di non mollare. «I volti della vita», di «una parola corta/ Che racchiude/ un’esistenza contorta/brutta o bella che sia/è un dono prezioso/che non si può/buttare via». Le rime impongono di fermarsi e riflettere su come viviamo, su quello che non siamo capaci di apprezzare, sul tempo che (non) dedichiamo a ciò che conta.

Nel primo anniversario della scomparsa, è stata celebrata la Santa Messa. Nella giornata, inoltre, sono stati venduti la raccolta ‘Pezzi di una vita normale’ e i ciclamini (la stessa pianta venduta qualche settimana fa dai volontari della ‘Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica – onlus’). Il ricavato sarà interamente devoluto per la cura e l’assistenza delle persone affette dalla fibrosi cistica, la malattia più diffusa nel mondo occidentale. Ogni settimana quattro neonati nascono con un gene mutato che condizionerà tutti i loro giorni. Ogni settimana una persona muore a causa di questa malattia. Una persone su venticinque circa ne è portatore sano, il più delle volte non lo sa: informarsi e prevenire diventa particolarmente importante.

 

Rita Paonessa