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Giornata di studio sul Novecento letterario a Rossano

rossano pasoliniROSSANO (CS) – Proseguono le attività formative all’Itas Itc di Rossano. Un momento di grande cultura ha riguardato il Novecento letterario e, in particolare Pierpaolo Pasolini a 40 anni dalla morte. Il dirigente scolastico della scuola organizzatrice, Maria Gabriela Chiodo, dopo i saluti ha detto: ”E’ necessario superare le logiche della competizione fra le istituzione scolastiche. Importante, invece, è la collaborazione fra le varie scuole che operano in un territorio”.La dirigente dell’Itis “E. Majorana”, Pina De Martino, ha evidenziato che il Novecento andrebbe studiato in maniera predominante. Ha riferito che da un’indagine è risultato che tanti ragazzi che frequentano le quinte classi delle scuole superiori non conoscono questo importante periodo letterario. Da qui i complimenti ai tanti giovani presenti e attenti all’iniziativa culturale promossa dall’Itas Itc. Il professore Roberto Carnero, autore del libro  ‘Morire per le idee. Vita letteraria di Pierpaolo Pasolini’  ha messo a confronto  la vita del Pasolini autore e del Pasolini uomo. Ha sottolineato che il Novecento italiano rischia di restare una sorta di illustre sconosciuto. Carnero, fra l’altro, ha evidenziato le difficoltà dei docenti a completare il programma sul ‘900. A suo giudizio è importante insegnare la letteratura del Novecento perché aiuta a meglio decodificare la nostra realtà. Il professore Giuseppe Iannicone, coautore insieme a Carnero di libri di testo per il triennio delle scuole secondarie superiori, ha sottolineato che insegnare il ‘900 non deve rappresentare un’abitudine. Dunque, il bisogno di aggiornare anche percorso dei docenti. Anch’egli ha riscontrato che a differenza del primo Novecento, la seconda parte di questo periodo, a volte, viene tralasciata. Eppure, ha detto, è fondamentale legare il contesto storico a quello letterario .A dare, invece, una veste artistica all’evento, il regista  e direttore dell’Accademia d’arte drammatica di Rossano, ‘G. B. Shaw’, Antonio Iapichino che, con i ragazzi delle classi quinte, ha curato e nell’occasione presentato un laboratorio su Pasolini. Frutto del lavoro un vero e proprio film – documentario dove è stata ripercorsa la vita e le opere dell’autore, con spezzoni presi da film, interviste e poesie, oltre a documenti storici sulle varie tematiche che l’eclettico scrittore ha toccato. In esso si rimarca lo spirito profetico delle opere del poeta, che aveva visto nel boom economico dell’epoca i germi di una società individualista, egoista e fragile, senza valori e fantasia. Una società portata al declino da una politica autocelebrativa e asservita al potere e dall’uso-abuso dei mezzi di comunicazione, in particolare della televisione. Al termine dell’incontro lo stesso attore e regista ha esortato i giovani a non lasciare che le loro parole, ma soprattutto quelle di Pasolini, vadano al vento, a cercare di superare questa omologazione, vera piaga della società, e a trovare la gioia del riscoprire la propria originalità.

Francesco Saponaro. Un viaggio tra la formazione artistica in Calabria e il suo “Calderon”

www.centrostudipierpaolopasoliniincasarsa.it
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RENDE-Francesco Saponaro, regista napoletano reduce dal successo della prima di “Calderon” andato in scena ieri sera presso il Teatro Auditorium dell’Unical, ci accoglie per rilasciare una intervista esclusiva in cui parla della sua formazione artistica e del suo “Calderon”.

D-È curioso che lei non si sia formato a Napoli, sua città natale, ma abbia scelto l’Accademia di arte drammatica di Palmi

R-In realtà il primo contatto col teatro è avvenuto a Napoli ma ero molto giovane e avevo iniziato in una scuola- laboratorio napoletano quando avevo sedici anni insieme ad un altro collega, Francesco Maria Cordella che tra l’altro è tra i protagonisti di questo spettacolo, e poi successivamente all’età di venti anni ho sentito il bisogno di andare via dalla mia città e di frequentare un’accademia che mi formasse anche con un metodo e un sistema più europeo. In quegli anni l’Accademia di arte drammatica della Calabria era diretta da Alvaro Piccardi , era una scuola all’avanguardia dove insegnavano docenti provenienti da tutto il mondo . Noi abbiamo fatto un corso da dove sono venuti fuori attori come Fortunato Cerlino, Peppino Mazzotta, Vito Facciolla, Massimo Zordani, insomma attori e artisti che lavorano  anche con un discreto successo. L’esperienza è stata fondamentale perché avevamo la possibilità di viaggiare, seguire seminari internazionali, fare residenze formative per esempio all’accademia di arte drammatica di Varsavia oppure al festival internazionale di Amsterdam in cui abbiamo incontrato straordinari docenti di teatro, è stato un momento importante agli inizi degli anni Novanta , la Calabria è stata un momento di gestazione formativa per me e per molti dei miei colleghi.Ritornare in Calabria, lavorare in maniera continuativa con l’Università della Calabria significa un po’ ritornare alla mia origine formativa, un po’ alla mia terra madre.

D-Perché ha scelto di mettere in scena “Calderon” e perché proprio in questo momento ?

R-Non per vezzo però a volte capita che sia un autore a sceglierti e tu devi metterti a disposizione. Ci sono una serie  di circostanze non solo celebrative ma nate anche da un accompagnamento  che da anni Pasolini fa all’interno del lavoro di Teatri Uniti, del mio personale lavoro di indagine e investigazione creativa, al lavoro fatto all’interno della compagnia Rosso Tiziano e , pur non mettendo direttamente in scena Pier Paolo Pasolini  trovava in Pasolini una guida, un riferimento, una sollecitazione costante. Dopo Eduardo, il ponte naturale attraverso la lettura e la messa in scena in voce di “Porno Teo Kolossal” questa sceneggiatura scritta da Pier Paolo Pasolini immaginata per Eduardo De Filippo. Dopo l’allestimento di “Dolore sotto chiave”  proprio qui in Calabria ci sembrava interessante collegare tra il trentennale della scomparsa di Eduardo  e il quarantennale di quella di Pasolini, al di là di questo  momento celebrativo, di ricongiungere questo dialogo tra Eduardo e Pasolini  e quindi passare da Eduardo ad un testo fondamentale, il primo testo teatrale pubblicato in vita di Pier Paolo Pasolini, “Calderon”, una sorta di contenitore espressivo di tutte le sollecitazioni poetiche, liriche, culturali che l’autore affronta con questo testo.

D- Quanto c’è di Pasolini in questo “Calderon” e quanto, invece, è suo?

R-Io credo che uno spettacolo teatrale sia un dialogo intercessorio  tra quello che senti come sensibilità tua personale rispetto all’autore ma quello che io faccio come regista è quello di mettermi prima di tutto al servizio di una storia e di un autore. Di Paolini c’è tutto quello che ci deve essere da un punto di vista letterario, di nostro, più che di mio c’è lo sguardo e l’accoglienza a tutte le sollecitazioni che lui ci propone. Penso che in fondo lo spettacolo teatrale quando riesce bene non sia più né dell’autore né del regista che lo fa ma dello spettatore che lo riceve e semmai dell’attore che lo interpreta.

D- La presenza esclusivamente visiva dei reali spagnoli è un rimando al cinema oppure è da considerarsi sul versante psicoanalitico lacaniano come presenza dell’Altro?

R-Forse entrambe le cose o meglio il dispositivo cinematografico ci consente la forma visiva, dell’audiovisivo cinematografico ci consente di raccontare questi due emblemi, questi due simboli come espressione del potere, dell’alterità del potere coercitivo in un gioco di forme e di linguaggi espressivi articolati in maniera sapiente insieme poi all’utilizzo strategico della musica o di tecniche espressive affidate ad una straordinaria Anna Bonaiuto che ancora ringrazio per la capacità e la possibilità che ci ha dato e mi ha dato di poter entrare in dialogo con una delle più importanti attrici che in questo momento abbiamo in Italia.

D- Prima al Teatro Auditorium dell’Unical e poi al Piccolo di Milano.partenza da un teatro relativamente recente e approdo ad un teatro storico: come mai questa inversione di rotta?

R-Non è una inversione di rotta. Non amo le categorie chiuse  e penso che se Milano è vicino all’Europa anche Cosenza parla europeo. Qui c’è un tessuto sociale, didattico e antropologico interessantissimo, ci sono tanti studenti dell’Erasmus, io sento che è un posto che non è viziato, soggiogato da certi vizi della provincia ma ha delle qualità e una dimensione molto interessante che ci mette in connessione con delle modalità che sono più europee.Forse in una metropoli o in vera e propria città questo processo laboratoriale di residenza non si sarebbe potuto attivare e qui ad Arcavacata è invece possibile.

Rita Pellicori

Quando il teatro fa presa. Ipnotico il “Calderon” di Francesco Saponaro

fine spettacolorosauraRENDE-Basterebbe ascoltare gli applausi e dare voce al senso di spaesamento a fine spettacolo ma sarebbe eccessivamente semplice ed egoistico non descrivere ciò che gli occhi hanno visto e il cuore sentito.Ieri sera, presso il Teatro Auditorium dell’Unical è andato in scena Calderon di Pier Paolo Pasolini con la regia di Francesco Saponaro. Sorto dalla produzione tra Teatri Uniti e l’Università della Calabria, lo spettacolo è frutto di un progetto di residenza creativa al quale ha partecipato un gruppo di studenti dell’Ateneo. Il testo è “Calderon”, primo testo teatrale di Pier Paolo Pasolini iniziato nel 1967 e pubblicato in edizione definitiva nel 1973. Testo teatrale,accademico ed eminentemente politico in cui Pasolini rileva il qualunquismo del popolo italiano, “Calderon” , ispirato a “La vita es sueño “ di Calderon de la Barca,mette in scena la tragedia operata dal potere che neutralizza e manipola tutti gli atti di trasgressione messi in atto dalla classe borghese. È la storia dei sogni e dei risvegli di Rosaura-prima aristocratica, poi prostituta e infine borghese- e del lager in cui vive. E il potere si esercita sul corpo. Rosaura rivuole il suo corpo, lo ripete incessantemente a  mo’ di preghiera «Aaaaaah, aaaaah, ridatemi il mio corpo!È mio, è mio!» mentre Manuel la ammonisce «È proprio perché lei ha un corpo, povera Rosaura, che lei può essere il nostro capro espiatorio»A fare da sfondo è il quadro di Diego Velazquez “Las Meninas” dipinto ambiguo in cui Velazquez ritrae la coppia dei reali spagnoli- una “teologia della pittura” per usare la definizione di Luca Giordano- un quadro cinestesico. Semplice in apparenza, sembra un gioco di reciprocità: un faccia a faccia, un incrociarsi e sovrapporsi di sguardi, una tela in cui vigono la moltiplicazione degli sguardi,il visibile e l’invisibile in un gioco di campo e controcampo .« Accolti sotto questo sguardo- scrive Michel Foucault ne “Le parole e le cose”- siamo da essi respinti,sostituiti da ciò che da sempre si è trovato là prima di noi: dal modello stesso.Ma a sua volta lo sguardo del pittore diretto , fuori del quadro, verso il vuoto che lo fronteggia , accetta altrettanti modelli quanti sono gli spettatori che gli si offrono ; in questo luogo esatto, ma indifferente, il guardante e il guardato si sostituiscono incessantemente l’uno all’altro». La realizzazione scenografica di una parete che renda conto della geometria del quadro, quadro che da un lato è una camera di tortura, dall’altro è una spinta alla fuga e ai sogni di Rosaura, le linee ei vettori del quadro tessono una ragnatela che è al contempo trappola e custodia , una griglia tra la fuga e il sentirsi proteso come l’animale irretito nella tela del ragno in un vortice di cedimento e ansia. rosaura e sigismondoRosaura, interpretata dalla giovane attrice argentina Maria Laila Fernandez, è nel primo episodio la figlia degli aristocratici spagnoli Basilio e Doña Lupe-l’uno fascista autoritario, l’altra entrata nel mondo aristocratico dopo un passato di lotte-una Elettra del diciassettesimo secolo, una ragazza passionale in preda al delirio d’amore per Sigismondo lo straniero,lo sconfitto, il sovversivo alla scena e al contesto, colui che rompe la bidimensionalità della scena arrivando dall’esterno e con un’intuizione geniale lancia lo zaino che lo ha accompagnato in guerra ,gesto che sancisce il suo ingresso nella storia. Un amore affannoso, pericoloso quello di Rosaura per Sigismondo (Sigismondo tra l’altro è anche il nome del protagonista de “La vita es sueño”) non tanto perché i due appartengono a classi sociali differenti ma perché scopriamo attraverso una serie di coincidenze che Sigismondo è il padre di Rosaura e, l’amore tra i due sarebbe un gesto sacrilego. prostIl secondo risveglio di Rosaura cambia i toni e gli scenari di quella che sino ad allora era una società aristocratica.Pasolini opera un taglio netto attraverso il passaggio da una residenza aristocratica ad una baracca, la Fogna in cui vive e lavora una Rosaura carnale e terragna, una prostituta che per caso un giorno riceve Pablo,sedicenne colto, dai bei capelli e begli occhi, un ragazzo gentile di cui Rosaura si innamora.Un amore sfortunato questo, come quello precedente, un amore che non può e non deve consumarsi perché scopriamo attraverso il dialogo tra Rosaura e il prete(interpretato da Francesco Maria Cordella) essere il figlio che lei ha avuto in gioventù con Sigismondo. fine spettacoloL’ultimo episodio- in cui Rosaura interpreta una donna borghese afasica che chiede alla sorella Agostina« un cuscino amaro e un caffè soffice» , lobotomizzata moglie di Basilio un uomo sardonico, nocivo, più pericoloso dei fascisti- è l’unico a dare spazio al mondo esterno( fino ad allora solo nominato e mai propriamente visto) attraverso le scene della  battaglia politica tra  studenti universitari e poliziotti nel ’68 nota come “battaglia di Valle Giulia”, scena che il regista Saponaro ambienta nel centro storico di Rende, un episodio amaro che spazza via l’oniricità che è il filo conduttore del dramma e che fa dire a Basilio«Un bellissimo sogno, Rosaura, davvero un bellissimo sogno. Ma io penso che proprio in questo momento comincia la vera tragedia . Perché di tutti i sogni che hai fatto e che farai si può dire che potrebbero essere anche la realtà, Ma, quanto a questo degli operai, non c’è dubbio: esso è un sogno, niente altro che un sogno». Un lungo applauso ci riporta alla realtà e riscalda gli attori. Scenografia semplice ma sapientemente costruita attraverso un gioco di immagini da Lino Fiorito, coinvolgenti gli attori tutti e in particolare Clio Cipolletta- grottesca,falangista e coercitiva nei panni di Stella,borghese nei panni di Agostina e verace nei panni di Carmen- sorella e “angelo custode” che tenta di riportare ogni volta alla realtà Rosaura, ;Maria Laila Fernandez la ribelle,prorompente e afasica Rosaura;Andrea Renzi elemento ipnotico dello spettacolo. Un intreccio politico,amoroso, psicoanalitico per una prima che verrà replicata questa sera per poi approdare al Piccolo di Milano, un modo per far rivivere l’arte di Pasolini esponente culturale del Novecento strappatoci troppo presto.Nota dolente sono i troppi posti lasciati vuoti per uno spettacolo così pieno.

Rita Pellicori