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Il movimento What Women Want tra suggerimenti e proposte

COSENZA –  Le donne del movimento WWW (What Women Want) nei giorni scorsi hanno costituito a Cosenza un tavolo tecnico per l’elaborazione di proposte operative e metodologie di gruppo-What-Women-Wantprogettazione partecipata e condivisa. L’incontro ha visto la partecipazione di un nutrito numero di donne con diverse professionalità ed esperienze che si sono confrontate sull’idea di città, territorio e vivibilità.

Attraverso il Cantiere “Prove tecniche di partecipazione attiva” WWW si avvierà un processo di partecipazione nella città di Cosenza attraverso riflessioni progettuali. Si darà vita a progetti urbani specifici preceduti da eventi come l’animazione territoriale attraverso incontri, dibattiti, performance, proiezioni ed altre iniziative in aree urbane degradate, edifici fatiscenti, luoghi dismessi in cui, partendo dal basso con i cittadini, si progetterà la trasformazione. Analoghe iniziative si svolgeranno nelle altre province calabresi, così da poter organizzare numerose proposte su scala regionale.

Cosca Ascone di Rosarno: accusate 18 persone

REGGIO CALABRIA – Roberto di Palma, il Pm della Dda Reggio Calabria, ha richiesto durante il processo con rito abbreviato per 18 persone pene da cinque anni e mezzo a sedici. La loro accusa è quella di appartenere alla cosca della ‘ndrangheta degli Ascone di Rosarno. Le accuse contestate sono molteplici, da associazione mafiosa a possesso illegale di armi. Compaiono tra i titoli di reato anche possedimenti illegalmente intestati, ricettazione, riciclaggio e complicità con latitanti.

Scajola: inizia il processo

REGGIO CALABRIA – Un semplice “Buon giorno”: si è limitato a dire questo ai cronisti Claudio Scajola, arrivato stamane in Tribunale a Reggio Calabria per il processo che lo vede indagato per il presunto favoreggiamento della latitanza di Amedeo Matacena. L’ex ministro era accompagnato dal proprio legale, Giorgio Perroni.
La direzione distrettuale antimafia sarà costretta a far ricorso in cassazione contro la scelta del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, che ha ritenuto inammissibile ”per carenza di interesse” il ricorso della Dda stessa contro l’esclusione dell’aggravante mafiosa nei confronti di Scajola.

Processo Why Not: 9 Assolti e 9 Condannati

leggeCATANZARO – I giudici del tribunale di Catanzaro hanno emesso la sentenza per i 26 imputati del processo Why Not sugli illeciti nella gestione dei fondi pubblici. La condanna prevede dagli 8 mesi ai 3 anni e 6 mesi per nove degli imputati, di cui il massimo della pena è toccata a Giancarlo Franzè, altri nove sono stati assolti e per i restanti otto i reati sono prescritti.  Tra gli assolti c’è Nicola Adamo, l’ex vice presidente della Regione Calabria.

La Cassazione chiede conferma assoluzioni ‘Sud ribelle’

I tredici no global erano accusati aver partecipato a scontri G8

CATANZARO, 21 GIU – La Procura della Cassazione – con la requisitoria del Pg Nicola Lettieri – ha chiesto alla Quinta sezione penale di respingere il ricorso della Procura della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro per la riapertura del processo per i 13 No global del gruppo ‘Sud ribelle’ assolti in primo e secondo grado dall’accusa di associazione sovversiva, associazione per delinquere e attentato agli organi istituzionali per attività legate ai global forum di Genova e Napoli del 2001.
(ANSA)


Caso Marlane, presentato il libro all’Università della Calabria

COSENZA – «I medici mi avevano mandato a casa, ero finito…», non riesce a parlare Luigi Pacchiano. Poi riprende: «ma in quel momento ho avuto la forza di lottare non solo per me, ma per gli altri, per i morti. Questo fatto ci deve insegnare a lottare, a non farsi calpestare». Luigi Pacchiano è l’operaio della Marlane che nel 1996 ha denunciato lo stabilimento tessile di Praia a Mare per danno biologico. Insieme a lui, Francesco Cirillo e Giulia Zanfina hanno presentato il loro libro sulla vicenda, Marlane: la fabbrica dei veleni, all’Università della Calabria. L’iniziativa è stata promossa dal Partito dei Comunisti Italiani, «per riprendere le lotte e ripartire dal basso», chiarisce il segretario provinciale, Giovanni Guzzo. Sono intervenute, inoltre, Rossella Morrone e Laura Corradi.

 

Il processo alla Marlane

Nel libro si legge che Luigi Pacchiano «ha creato i presupposti per le indagini» sullo stabilimento tessile dei Marzotto. L’inchiesta è stata avviata più di dieci anni fa dal pm Antonella Lauri della Procura di Paola. Si è conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio per tredici ex responsabili e dirigenti accusati, a vario titolo, di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e disastro ambientale, per la morte di decine di operai e le patologie tumorali di altri ex lavoratori – che sarebbero state causate dai vapori della tintoria – e lo smaltimento illecito di rifiuti tossici.

Il processo è iniziato il 19 aprile 2011, ma il dibattimento non è mai cominciato: in un anno si sono susseguiti sei rinvii. Nell’ultima udienza è stata battaglia per l’ammissione delle parti civili. «Gli avvocati della difesa, tra cui Ghedini, – afferma Cirillo – cercano sempre cavilli per far scattare la prescrizione».

Intanto, nel 2004, la fabbrica di Praia a Mare ha chiuso: produzione delocalizzata.

 

Da Rivetti ad oggi: la ricostruzione di Francesco Cirillo

Francesco Cirillo parte dagli anni ’50 quando il Conte Rivetti – «con soldi dello Stato» – costruisce due fabbriche tessili, a Maratea prima e a Praia a Mare poi. «Anche un giornalista del calibro di Montanelli – fa sapere Cirillo – scriveva che prima dell’arrivo di Rivetti, in Calabria, vivevano come venti secoli fa». Il mediattivista sottolinea che gli operai lavoravano e producevano tanto.

Negli anni ’80 – «con soldi dello Stato» – subentra il gruppo Marzotto. A questo punto del suo racconto, Francesco Cirillo enumera i punti critici emersi: l’uso di prodotti che hanno causato la morte degli operai – «la Procura ne ha accertati una cinquantina, ma noi pensiamo siano molti di più. E’ molto difficile raccogliere i dati, noi siamo andati casa per casa» – la mancanza di misure protettive per gli operai, i sindacalisti a capo delle piccole imprese dell’indotto, i rifiuti sotterrati sotto la fabbrica o smaltiti illecitamente.

Cirillo, quindi, passa in rassegna i passaggi che hanno portato al processo in corso e le proteste per chiederne l’inizio effettivo. «Nell’ultimo sit-in eravamo in pochi. Alla Thyssen erano in mille, all’Ilva c’erano tutti gli studenti. Purtroppo, in Calabria, non riusciamo a riunirci».

 

Luigi Pacchiano, la memoria storica

Ha lavorato alla Marlane Luigi Pacchiano. «Io posso raccontarvi delle condizioni interne», esordisce. Racconta che, nello stabilimento di Praia a Mare, l’ambiente era unico, non c’erano divisioni tra i reparti, quindi i vapori della tintoria raggiungevano tutti. «C’erano polveri, cattivi odori, vapori, noi dicevamo: ‘c’è nebbia in Val Padana’». D’estate, con 40° di temperatura, ricorda di come dovessero uscire fuori per respirare. «Non ho mai visto un medico – puntualizza – mai una visita ispettiva. Non usavamo né guanti né mascherine né cappelli». Alla domanda sui sospetti degli operai circa la possibile nocività dei vapori, risponde: «ci dicevano che era solo cattivo odore. In più, strappavano le etichette».

Luigi Pacchiano va indietro nel tempo. Al 1973, quando muoiono i primi due operai – «il primo aveva trentacinque anni». Al 1993, quando gli viene diagnosticato un tumore contro cui combatte ancora oggi – «sono stato trentacinque volte sotto anestesia». Allo spostamento di postazione negato. Al riconoscimento della malattia professionale da parte dell’INAIL. Alla sua lettera di licenziamento e alla denuncia dell’azienda per danno biologico. All’impegno per il coinvolgimento degli altri lavoratori nella questione Marlane. Luigi Pacchiano racconta ai presenti la sua storia. Per un attimo non riesce a parlare, mentre rievoca il giorno in cui i medici lo mandarono a casa: «ero finito… ma in quel momento ho avuto la forza di lottare non solo per me, ma per gli altri, per i morti. Questo fatto ci deve insegnare a lottare, a non farsi calpestare».

 

L’appello di Giulia Zanfina

La documentarista fa riferimento all’intervista fatta a Francesco Depalma nel 2010 e trascritta nel libro. L’operaio, ora scomparso per il cancro, aveva rivelato di aver sotterrato «il rimanente del rifiuto del colore» nel terreno della Marlane perché – aveva spiegato – «se non lo facevi tu, lo faceva un altro, in quelle condizioni dovevi farlo per forza».

«Ci aspettavamo che la nostra inchiesta fosse acquisita come prova in quanto Francesco non c’è più – dice Giulia Zanfina – faccio qui questa richiesta».

 

 

Rita Paonessa