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[#Nerd30Consiglia] Shouwa Genroku Rakugo Shinjou

Tornano i consigli di Nerd30 con un anime recentissimo, concluso il 24 marzo 2017 con la sua seconda stagione.

Stiamo parlando di Shouwa Genroku Rakugo Shinjou, anime in 25 episodi (13+12) prodotto dallo studio Deen che rientra nel target “josei”, ovvero il corrispettivo femminile di “seinen”. L’anime è l’adattamento dell’omonimo manga di Haruko Kumota. Entrambe le stagioni sono disponibili sulla piattaforma di streaming legale VVVVID in giapponese sottotitolato in italiano.

Per il sottoscritto Rakugo (lo chiameremo così da adesso in poi) è il miglior anime del biennio 2016/2017, un vero e proprio capolavoro, che come spesso accade non ha avuto la giusta visibilità, sommerso da anime con nomi sicuramente più altisonanti, ma che non raggiungono neanche lontanamente la potenza di quest’opera. Personalmente credo che negli ultimi 2 anni solo i film di Kizumonogatari siano riusciti ad essere all’altezza di questo anime, ma avremo modo di parlare dell’intera Monogatari Series in uno dei prossimi consigli.

LA TRAMA

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La storia inizia con la scarcerazione di un detenuto, che ha deciso di diventare Rakugo-ka (o Hanashi-Ka), dopo aver assistito ad uno spettacolo durante la prigionia. Tuttavia il maestro, da cui ha in mente di andare ad imparare l’arte, non accetta apprendisti. Verremo catapultati in un lungo flashback che ci narrerà, tra storia, arte e poesia, le vicende umane e professionali del maestro e del suo eterno amico-rivale. Un coinvolgente tuffo nel mondo del rakugo, un genere teatrale giapponese, che consiste in un monologo comico in cui un narratore racconta una storia. (fonte Animeclick).

IL COMMENTO

Come potete capire Rakugo è un anime storico-drammatico che racconta di un’arte ormai fortemente di nicchia come il rakugo e lo fa attraverso la vita dei personaggi, che seguono un destino accomunato dalla loro passione per questo genere teatrale.

Come sappiamo l’arte è in continua evoluzione e ogni mezzo artistico e di intrattenimento tende ad incontrare un qualche “ricambio” con il passare degli anni, ma non bisogna dimenticare che l’arte è anche tradizione. Nel corso dell’anime assisteremo alla storia di personaggi che tentano di mantenere viva un’arte antica, sempre meno seguita ed apprezzata, sommersa dagli attuali mezzi di comunicazione artistica come cinema e televisione. Rakugo farà proprio leva su questi personaggi, che definire memorabili sarebbe riduttivo, le cui vite susciteranno un interesse nettamente superiore a quello per il rakugo stesso. Se dovessimo sintetizzare il tutto diremmo che Rakugo è la perfetta fusione tra vita e arte, dove l’una influenza l’altra e dove l’una non può fare a meno dell’altra.

 

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Nel lungo flashback della prima stagione assistiamo alla vita di Sukeroku e Kikuhiko, alla loro amicizia-rivalità, la  ricerca di uno stile personale nel rakugo e nella vita. Una storia veramente meravigliosa, divertente, struggente, emozionante, per uno dei flashback più belli che si siano mai visti in un anime. La forza dei due protagonisti è tale da suscitare un interesse assoluto per la vicenda, con il supporto di personaggi di contorno caratterizzati alla perfezione, che fanno da “incastro” tra le loro vite.

personaggi rakugo

Miyokichi, Konatsu, Yotaro, Amaken, Ani-san, tutti questi personaggi daranno ulteriore forza all’anime, che proseguirà con la seconda stagione, attraversando l’intero periodo Shōwa.

Io non ho mai pensato che il rakugo potesse sparire. Voglio dire… Una cosa così bella non potrà mai sparire.

 

APPARATO TECNICO

Sul lato tecnico abbiamo una serie eccezionale sotto tutti i fronti. La regia è fantastica, soprattutto nelle scene di rakugo, dove abbiamo l’utilizzo delle inquadrature più disparate per mantenere salda l’attenzione sul racconto. In aggiunta a questo abbiamo un lavoro sensazionale da parte dei doppiatori protagonisti, che in questa serie hanno potuto dare sfoggio di tutti i colori della loro voce, con il loro continuo zapping tra un personaggio e l’altro all’interno del rakugo. Le animazioni sono fluide, pulite e senza sbavature, partendo da un character design veramente intrigante, che riesce a dare ai personaggi una valenza estetica di ottimo livello. Bello in generale il comparto musicale, con un occhio di riguardo alla splendida opening della seconda stagione.

IN CONCLUSIONE

Rakugo è un anime sensazionale, l’ennesima prova che l’animazione è un’arte che può veramente dare tanto.

Vediamo di far aumentare le appena 60 mila visualizzazioni complessive su VVVVID!

Antonio Vaccaro

https://youtu.be/rMWOuwFpF-g

[#Nerd30Consiglia] Shinsekai Yori

Torna il nostro consueto appuntamento con la rubrica dei consigli anime del mese!

Questa volta con un anime targato A-1 Pictures, uno studio d’animazione parecchio altalenante nelle sue produzioni, ma che in questa occasione è riuscito (almeno sul lato narrativo) a sfornare un’opera eccezionale.

Stiamo parlando di Shinsekai Yori (From The New World), adattamento animato in 25 episodi dell’omonimo romanzo di Yusuke Kishi, andato in onda sulle reti giapponesi tra il 26 settembre 2012 e il 23 marzo 2013.

Trama

Ambientato in un Giappone futuro di mille anni, Shinsekai Yori racconta le vicende di Saki, una ragazza del 66º distretto di Kamisu. In questa epoca tutti gli umani possiedono potenti abilità di telecinesi e vivono in modo idilliaco in villaggi agrari. Nonostante la paura dei genitori che non potesse svegliare il potere dentro di sé, Saki ottiene i suoi poteri all’età di dodici anni e si unisce ai suoi amici Satoru, Maria, Mamoru, Shun e Reiko all’accademia per sviluppare i poteri. (fonte Wikipedia)

 

shinseki yori

 

IL COMMENTO

Shinsekai Yori è un’opera veramente meritevole, soprattutto per gli interessantissimi temi trattati e per la trama, che va a svolgersi in tre diversi periodi temporali, in cui assisteremo alla crescita fisica e mentale dei vari personaggi.

Come può l’uomo creare una società perfetta? Le nostre credenze sono veramente nostre o ci sono state imposte? L’uomo è veramente una creatura privilegiata o è solo una presunzione infondata? Noi esseri umani siamo destinati a vivere tenendo a distanza il prossimo per non fargli del male, oppure ad unirci per combattere qualcosa che è più grande di noi?

 

shinsekai yori

 

Quella che a mio avviso è la grande forza degli anime migliori è la capacità di far porre tante domande allo spettatore, di farlo dubitare delle sue certezze o di farlo entrare in una profonda riflessione su temi a volte sottintesi nella vita di tutti i giorni.

Shinsekai Yori ha questa grande capacità di trattare temi maturi e interessanti.

Prendendo in considerazione il tema “società”, notiamo come l’anime si soffermi sulla sete di potere insita in ogni essere umano, che chi governa tenta di tenere sotto controllo, anche con mezzi non proprio ortodossi. Ma tenere un leone in gabbia è la giusta soluzione per renderlo docile?

Un altro argomento trattato dall’anime è la persecuzione dei più deboli, che da sempre ha contraddistinto l’animo umano e che è uno dei motivi che spingono a combattere una guerra. Questi possono essere più che validi, ma dall’altra parte c’è sempre qualcuno che ha delle ragioni altrettanto valide. L’anime insegna a non essere superficiali nel giudicare gli altri, ognuno ha le proprie ragioni e, anche se ci crediamo esseri superiori, siamo tutti esseri umani e possiamo sbagliare.

Ovviamente un anime così riflessivo deve necessariamente avere una narrazione lenta, ma Shinsekai Yori riesce a coinvolgere anche nei momenti più sommessi, grazie alla sua straordinaria capacità di farci soffermare su quello che è lo spirito umano.

I PERSONAGGI

I personaggi sono tutti fantastici e hanno una grandissima evoluzione nel corso dell’anime, in particolare la nostra protagonista Saki, che si farà portatrice di tutti i dubbi che accompagneranno lo spettatore nel corso della visione. In generale abbiamo un gruppo di amici veramente ben strutturato, ognuno con le proprie ragioni e la propria umanità. Nel complesso la trama è veramente ben architettata ed originale, quindi un altro punto a favore.

APPARATO TECNICO

L’apparato tecnico di Shinsekai Yori è un punto leggermente dolente. Partendo da un character design veramente troppo semplice, si dipanano delle animazioni abbastanza scadenti, con i personaggi disegnati in maniera bidimensionale, senza particolari ombreggiature o dettagli che possano enfatizzarne l’espressività e delle linee a volte troppo spigolose. La situazione peggiora ulteriormente nei campi lunghi, dove vediamo delle linee letteralmente “buttate lì” senza particolare cura.

maria saki da shinsekai yori

 

La regia dell’anime è buona, se non altro sul lato storyboard, e in parte riesce a mettere una pezza alle animazioni. Magnifiche invece le ost.

CONCLUDENDO

Shinsekai Yori è un anime che non avrà una confezione grafica eccezionale, ma è senza dubbio un’opera eccellente sul piano narrativo e dei temi trattati.

Consigliato come al solito a chi cerca altro dall’animazione, magari qualcosa che faccia lavorare il cervello e lo spirito.

Antonio Vaccaro

[#CiNerd] “Omicidio all’Italiana” di Maccio Capatonda, la recensione

È tornato Maccio Capatonda e anche questa volta non sbaglia un colpo.

Partito dal web con semplici trailer parodie, passando per la serie tv Mario trasmessa su MTv, nel Gennaio del 2015 il regista e attore abruzzese Marcello Macchia è sbarcato per la prima volta sul grande schermo con Italiano Medio, film che ha acceso molto l’opinione della critica. Il 2 Marzo 2017 è arrivato in tutte le sale Omicidio all’Italiana, nuovo film scritto, diretto e interpretato dallo stesso Marcello Macchia, con la partecipazione del solito Herbert Ballerina (Luigi Luciano) e del resto della sua crew.

TRAMA

omicidio all'italianaLa storia si svolge nell’inventato Acitrullo, piccolissimo paese abruzzese che deve lottare contro lo spopolamento. Per contrastare il fenomeno e rendere famosa la piccola cittadina, il sindaco Piero Peluria inscena l’omicidio di una contessa del paese, morta in realtà per cause accidentali. Acitrullo sarà così invasa da giornalisti e turisti incuriositi dall’accaduto.


Chi segue Maccio dalle origini è abituato a vedere ben altro rispetto al nuovo film. Ciò che ha da sempre caratterizzato le sue produzioni è il surrealismo esagerato e la comicità spinosa, falsamente e volutamente grossolana, ma in realtà molto sottile. Si veda Italiano Medio, ad esempio: è chiara la critica alla società italiana condotta attraverso scene nonsense e volontariamente forzate sul piano della razionalità, tutte funzionali sia al divertimento del pubblico che alla critica, a volte anche feroce, verso l’italiano medio, nascondendo dietro l’intera opera anche una leggera malinconia. Ovviamente un gran bel prodotto.


Diverso il discorso per Omicidio all’Italiana.

Questa volta il regista abruzzese, pur impregnando il film con il solito sagace surrealismo, lo ha inframmezzato con un realismo più tangibile e percepibile. Sarà forse per l’inserimento nel cast di attori italiani di un certo calibro, come Nino Frassica e Ninni Bruschetta, ma nel nuovo lungometraggio si sente una certa differenza rispetto al passato. Non è una critica, anzi, è la dimostrazione che, anche sperimentando, Maccio non ne sbaglia una.
Nonostante ci sia stata tale evoluzione, il film regala al pubblico il solito Capatonda critico, ironico e “sporco” nei confronti della società italiana. Mentre in Italiano Medio erano le persone comuni che entravano nella televisione, in Omicidio all’Italiana è la televisione che entra nella quotidianità della gente comune: attraverso le indagini sul presunto omicidio Marcello Macchia mette in scena, ovviamente esagerando, come il mondo televisivo riesca a costruire teatrini e spettacoli su qualsiasi vicenda, anche su delicati casi di omicidio; si veda ad esempio tutta la troupe di “Chi l’acciso?”, parodia di ben noti programmi tv.

omicidio all'italiana 3Oltre alla solita vena sarcastica e all’ormai familiare umorismo nero, il film prevede anche importanti colpi di scena e un certo excursus psicologico da non sottovalutare, ad esempio il cambiamento di Marino Peluria, il fratello di Piero, la maturazione del loro rapporto e di altri personaggi che pian piano si andranno a delineare sempre di più all’interno della trama. Tutto ciò gestito, ovviamente, sotto la visione surrealistica di Capatonda, che potrebbe ingannare lo spettatore a un primo impatto, mostrando personaggi statici ed esclusivamente comici.
Dal punto di vista interpretativo nulla da dire, tutto il cast del film si è rivelato, come sempre, all’altezza di ogni ruolo, anche per gli attori che si approcciavano per la prima volta alla “realtà” di Marcello Macchia, come Roberta Mattei e Sabrina Ferilli. Per non parlare di un immenso Rupert Sciamenna (Franco Mari) a cui basta qualche frase in scena per far cambiare colore allo sceneggiato.

IN CONCLUSIONE


Omicidio all’Italiana è una perla del cinema italiano moderno: non la solita commedia nostrana basata su stereotipi che ormai si ripetono da anni di pellicola in pellicola, ma un film di livello superiore che fa della iperbolica crudezza il proprio punto forte. Maccio Capatonda non si è mai limitato a semplici critiche, ma è sempre andato oltre, spiattellando sullo schermo, quasi senza pietà, quella che è l’Italia oggi.
Una ragione in più per vederlo? Chi ha visto la serie “Mario”, sempre scritta, diretta e interpretata da Macchia e la sua crew, dovrebbe aver già capito che i protagonisti sono proprio i fratelli Peluria presenti nel telefilm. Inoltre è anche presente il personaggio Salvo Errori (Pippo Lorusso), figura del giornalista ripresa dalla serie tv.


Film assolutamente consigliato. Buona visione!

                                                                                                                            Paolo Gabriele De Luca

[#CiNerd] Split, la recensione

Uno dei film più interessanti usciti in questo periodo è senza ombra di dubbio Split.

Ultima fatica del regista di origine indiana M. Night Shyamalan, famoso per aver diretto pellicole straordinarie come Il Sesto Senso (1999) e Unbreakable – Il predestinato (2000).

Gli ultimi anni del regista sono stati abbastanza travagliati, con l’uscita di pellicole sottotono come L’ultimo dominatore dell’aria (2010) e After Earth (2013), film comunque viziati da una produzione molto costosa e che quindi non davano al regista la possibilità di esprimere la sua vena autoriale. Dopo il buon The Visit (2015) ecco che assistiamo al ritorno del vero Shyamalan, quello che ci ha stupiti con i primi film della sua carriera. Ma andiamo con ordine. Prima, però, vi avviso: questo pezzo contiene alcuni spoiler.

Trama

Il film inizia con il rapimento di tre ragazze da parte di Dennis, una delle 23 personalità che risiedono nel corpo di Kevin Wendell Crumb (James McAvoy), che dopo un abuso infantile ha sviluppato una grave patologia di disturbo dissociativo dell’identità (DID). La sua psichiatra è convinta che in alcuni rarissimi casi il cambio di personalità possa provocare un cambiamento fisiologico. Nel frattempo assistiamo ai tentativi di fuga delle ragazze, mentre nel corpo di Kevin si sta sviluppando una ventiquattresima personalità, quella più pericolosa.

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Il caro Shyamalan è tornato e lo ha fatto con il buon gusto che lo contraddistingueva nelle sue prime pellicole. Il film è un’esplosione di momenti al cardiopalma.

Tutto ciò è dovuto ad una gestione pazzesca della tensione, che si mantiene sempre costante, ma che raggiunge dei picchi altissimi in alcuni momenti. Il tema principale della pellicola è senza alcun dubbio il modo in cui le persone combattono il dolore, trattato con grande raffinatezza da Shyamalan, che inserisce di tanto in tanto dei flashback sul passato della coprotagonista, interpretata dalla bravissima Anya Taylor-Joy, che tira fuori una prova attoriale molto convincente. L’attrice dimostra di essere particolarmente portata per il ruolo di ragazza provata psicologicamente, come aveva dimostrato anche nel fantastico The Witch (2015) di Robert Eggers. Niente a che vedere comunque con la prova di McAvoy, che tira fuori una recitazione di un’intensità veramente incredibile, con il suo continuo “zapping” tra una personalità e l’altra. L’attore aveva dimostrato un discreto talento nelle passate pellicole, ma in questa si è davvero superato. Speriamo vivamente che venga considerato per una candidatura all’Oscar come miglior attore nella prossima edizione degli Academy Awards.

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La trama scorre molto bene, mantenendosi su binari realistici fino ad un certo punto, per poi sfociare in una soluzione narrativa abbastanza inverosimile, ma che trova spiegazione nel finale, che purtroppo non tutti potranno capire. Infatti nell’ultima scena vediamo David Dunn (Bruce Willis), protagonista di Unbreakable – Il predestinato, altra fantastica pellicola di Shyamalan. Scopriamo quindi che Split è ambientato nello stesso universo di Unbreakable, in cui esistono alcuni individui fuori dal comune, in pieno stile fumettistico. In questo Split vi sono alcuni riferimenti chiari ad Unbreakable, come un treno (probabilmente collegato all’incidente ferroviario all’inizio del film con Bruce Willis), oltre alle due locandine, entrambe con delle vistose crepe.

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Questo farebbe sperare in un terzo film collegato al franchise, che unirebbe i destini dei protagonisti dei primi due.

Piano Tecnico

Sul piano tecnico abbiamo come al solito un grande lavoro in regia da parte di Shyamalan, che riesce a creare tensione con il solo utilizzo della macchina da presa. Su questo piano il regista è sicuramente uno dei più talentuosi del cinema moderno. Le sue inquadrature sono ben studiate, accompagnate da un montaggio sapiente e ben dosato per la scena in questione. Oltre a questo abbiamo una grandissima cura nella fotografia, ad opera di Mike Gioulakis, che aveva lavorato nel bellissimo It Follows (2015) di David Robert Mitchell. Le musiche contribuiscono ad elevare la tensione della scena.

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Un plauso per l’ottimo lavoro in fase di doppiaggio, in particolare il bravo Massimiliano Manfredi, che non fa pesare l’assenza di Stefano Crescentini, che ha doppiato McAvoy in buona parte dei suoi film.

Concludendo

Split è un thriller veramente fantastico, che riesce a tenere incollati alla poltrona dall’inizio alla fine. Consigliamo di recuperarlo in sala fin quando è disponibile.

Non ve ne pentirete.

Antonio Vaccaro

 

[#Anime] Your Name (Kimi no Na wa), La recensione

L’uscita di Your Name nei cinema italiani è stato sicuramente uno degli appuntamenti più attesi dai fan dell’animazione giapponese.

La pellicola di Makoto Shinkai (distribuita in Italia da Dynit e Nexo Digital) ha ottenuto un successo stratosferico in Giappone, diventando il quarto maggiore incasso della storia nipponica, dietro film come Frozen, Titanic e La città incantata. Tutto questo ha messo addosso una forte curiosità nei fan italiani, che si sono mobilitati in massa per visionare la pellicola, complice l’ottima campagna coupon (da parte di VVVVID, J-Pop e altri) e per acquistare il biglietto a prezzo ridotto.

Trama

Mitsuha Miyamizu, una studentessa delle superiori che vive nella piccola cittadina di montagna di Itomori, è stufa della sua vita monotona: vorrebbe essere infatti un affascinante ragazzo di Tokyo. Sua madre è morta, mentre suo padre, il sindaco della città, è quasi un estraneo. Vive così in un tempio insieme alla sorella minore, Yotsuha, e all’anziana nonna Hitoha, che fa la sacerdotessa. Successivamente Taki Tachibana, anche lui uno studente che però vive nel centro di Tokyo e svolge un lavoro part-time nel ristorante italiano Il giardino delle parole, si sveglia nel corpo di Mitsuha, senza sapere che quest’ultima si è svegliata proprio nel suo corpo. (fonte Wikipedia)

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Il Commento

Partiamo subito dicendo che la visione del film è stata soddisfacente sotto ogni punto di vista, nonostante i 10,50 euro pagati per il biglietto ridotto.

Prima del film abbiamo un messaggio di ringraziamento da parte di Shinkai ai fan italiani, che purtroppo dice un paio di paroline di troppo, quasi spoilerando la direzione presa dal finale.

In ogni caso il film è stato una bella sorpresa dall’inizio alla fine.

Ovviamente tenterò di parlare del film nel modo più diretto e oggettivo possibile, cercando di non farmi trascinare da quello che è stato il mio grandissimo appagamento emotivo, che credo sia stato condiviso dalla stragrande maggioranza delle persone che lo hanno visto.
Alcuni hanno gridato al capolavoro, parole che condivido se si parla di “capolavoro emotivo”, ma un po’ meno se si parla di “capolavoro intoccabile”. Infatti il film soffre di alcuni difettucci di scrittura che Shinkai si è sempre portato dietro dalle pellicole passate, che ad oggi non gli hanno permesso di creare un film che sia veramente un capolavoro dell’animazione.

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In ogni caso si parla di un film straordinario, che unisce momenti divertenti a momenti tristi. Tra l’altro il buon Shinkai ha deciso di lavorare molto sulla tensione, soprattutto nel finale, cosa che non aveva quasi mai fatto nei film passati. Quando parlo di “appagamento emotivo” mi riferisco proprio alla grande varietà di emozioni che il film è in grado di suscitare, portando lo spettatore ad uno stato di totale immersione nella vicenda. Shinkai è veramente un maestro quando si parla di trascinare emotivamente i suoi spettatori.

In sala la gente rideva, piangeva, si esaltava.

I due protagonisti sono caratterizzati abbastanza bene, anche se non in maniera equilibrata. Infatti si nota una leggerissima predilezione per il personaggio di Mitsuha, che viene approfondita maggiormente rispetto a Taki. Dopo la visione del film è la protagonista femminile quella che rimane maggiormente impressa, ma la cosa non può essere considerata un difetto, visto che è il personaggio su cui si concentra l’evento più importante del film.

Il tema più interessante è senza dubbio la connessione tra due persone, che viene espressa simbolicamente con un filo intrecciato. Shinkai stesso, prima del film, spiega che ognuno di noi ha una persona importante, distante nel tempo e nello spazio, che prima o poi entrerà a far parte della propria vita. Un tema non molto originale, ma trattato con grandissima sensibilità dall’autore.

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Un difetto che si può riscontrare nella pellicola è un’eccessiva voglia di sintetizzare l’evoluzione del rapporto tra i due protagonisti.

Magari tramite intermezzi musicali che sono molto belli a vedersi, ma che nel complesso non giustificano il loro affetto reciproco. Uno può anche dire che era destino che fosse così, ma questo fa comunque perdere una certa quadratura del tutto. Stessa cosa per la trovata sul tempo, che è sicuramente interessante, ma viene difficile credere che nessuno dei due abbia visto la data quando si trovavano nel corpo dell’altro.

In ogni caso si parla di difetti che non vanno ad inficiare assolutamente la visione. Un punto in più per il ristorante italiano in cui lavora Taki, intitolato Il Giardino Delle Parole.

Apparato tecnico

Quando si parla di Shinkai e Comix Wave bisogna solo levarsi il cappello di fronte alla bellezza visiva della pellicola. La regia di Shinkai è ottima come al solito, con delle bellissime scene in camera 3d e dei campi lunghi veramente spettacolari, anche se credo che possa ancora migliorare con il tempo, perché si notano dei fondali leggermente statici rispetto a quelli dei film precedenti, inoltre non ci sono guizzi registici particolari, ma più una messa in scena di mestiere. Nonostante la staticità, i fondali risultano dettagliatissimi, quasi delle fotografie.

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Le musiche dei Radwimps sono semplicemente stupende e sono uno dei motivi per cui la pellicola è così emotivamente potente. Il doppiaggio italiano è in perfetto stile Dynit, quindi ottimo su tutti i fronti.

Concludendo

Your name è un fantastico film d’animazione, adatto a tutti perché tutti abbiamo un cuore che vuole provare emozioni. Un’esplosione di colori, di momenti magici e toccanti. Se non siete riusciti a vederlo in sala, aspettate pazientemente il bluray, perché è un crimine vedere un film simile in bassa qualità.

Antonio Vaccaro

[#Games] Pony Island ad un anno di distanza, la recensione

Nome: Pony Island

Genere: Scorrimento orizzontale, Sparatutto, Puzzle

Sviluppatore: Daniel Mullins Games

Piattaforma: Steam

Pony Island è stato un pensiero fisso (anche se recondito) dal momento in cui è stato pubblicato attraverso Steam GreenLight. Avevo già sentito parlare sui network underground delle sue stranezze, ma non ero riuscito fino ad ora ad approcciarmi ad esso. Nato per una Jam di 48h, la Ludum Dare Game Jam, la sua fama ha costretto Daniel Mullis a continuare lo sviluppo fino al rilascio effettivo sulla piattaforma di Gabe. Humble Bundle ha messo questo titolo nei suoi pacchetti e non potevo non sfruttare l’occasione di giocarci.

Storia: 8,5

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Quando ci si approccia a videogame con tematiche adulte si ha sempre quell’atmosfera di pesantezza e angoscia, quell’aria di criptica filosofia esistenzialista che complica le cose fino a rendere la storia una matassa ingarbugliata e intricata, in cui il giocatore, dopo circa 20-30 ore di gioco, riesce a fare il primo passo nella trama.

Certo, negli indie di ultima generazione stiamo trovando un’inversione di marcia, ma in generale la pesantezza è palpabile. Pony Island si pone in maniera diversa: è un esperimento di Storytelling videoludico che non si vedeva dai tempi dei flash games di Edmund McMillen (raccolti poi nella Basement Collection per Steam), che facevano della loro semplicità il mezzo per una storia ricca di tematiche e angoscianti retroscena.

Si presenta così semplice, quasi infantile: un uomo in una sala giochi si avvicina ad un cabinato ed inizia una partita a Pony Island, un gioco in cui non bisogna fare altro che correre e saltare degli ostacoli. Già dai primi step iniziamo a scoprire l’inquietante verità: il programmatore del gioco è il diavolo e desidera l’anima dei giocatori per dimostrare quanto sia bella la sua creazione.

Gameplay: 8,5

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Impersoniamo per quasi tutto il gioco un piccolo pony che salta, vola e spara laser di codice binario dalla bocca; il resto è intervallato da varianti di puzzle game e minigiochi che cambiano lo stile del sistema e del gameplay. Si ha perfino la possibilità di messaggiare con Lucifero e con il Profeta della salvezza per scoprire segreti e visioni. Tutto è funzionale, semplice e immediato in una quasi completa mancanza di HUD e un’assenza quasi totale dell’utilizzo della tastiera.

La periferica usata infatti è per il 90% mouse, come ci suggerisce il disclaimer all’inizio, e con esso avremo modo di esplorare gli anfratti del gioco e di trovare la chiave di volta della storia. Interessanti alcune scene che utilizzano delle tecniche considerabili di MetaGameplay, che cerca di sfruttare innovazioni visive e stratagemmi informatici per far cadere il giocatore in tranelli e trappole.

Grafica: 8

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La buona parte del gioco è in WireFrame, quella tecnica grafica che delinea le silhouette con righe e forme geometriche rudimentali. Questo stile retrò si sposa molto bene con sezioni più evolute e ancora meglio con la struttura della storia, riuscendo a rapportare in modo significativo la malvagità del gioco ed il suo aspetto satanico. Questo però non è da considerarsi come una limitazione degli sviluppatori, in quanto il gioco tende ad evolvere anche l’aspetto grafico, ad integrare sezioni colorate e perfino sezioni in 3d. Il Motore Grafico utilizzato è uno dei più in voga negli ultimi anni ed ha reso possibile la creazione di un titolo dinamico ma, allo stesso tempo, omogeneo nei diversi stili.

Musica & Audio: 7

Jonah Senzel è il compositore e musicista. I toni di Pony Island sono variabili e mutevoli proprio come il gioco stesso, ma Jonah è riuscito a creare molti temi musicali, ognuno adatto alla sezione, amalgamandoli con il gameplay a tal punto da creare delle basi ritmiche in alcune scene. Gli effetti sonori per lo più sono presi da Freesounds, ma questo non rende minore lo sforzo del compositore! Alla fine la libreria sonora di un gioco in stile retrò è molto esigua e sicuramente gli avrà fatto risparmiare molto tempo.

Alla Fine Dei Conti:

Pony Island è un gioco che scende giù come un cocktail spacciato per analcolico. Scende come acqua fresca, ma lascia il bruciore per lunghi attimi. Fa riflettere sulla programmazione dietro i videogiochi e sullo sforzo emotivo e fisico che ne deriva; cerca di parlare al giocatore demonizzando il ruolo di programmatore, ma al contempo passa ad esso tutta la sofferenza nel creare contenuti innovativi, diversi ma insieme contestuali. Tutto è riassumibile in effetti con la modalità principale e in fondo metafora della programmazione videoludica: Corri come un pony cercando di saltare gli ostacoli ed eliminare i bug solo per arrivare al traguardo finale: l’apprezzamento delle povere anime dei videogiocatori.

“Se i giocatori mi dicessero che gli piace non ruberei le loro anime” cit. Satana

Daniele Ink Ferullo

[#CiNerd] Assassin’s Creed The Movie, oltre la polemica

Per la visione di questo titolo ho atteso alcuni giorni. Isolata in uno spazio a prova di spoiler, recensioni, polemiche e quant’altro, mi dovevo predisporre psicologicamente alla visione di Assassin’s Creed – The Movie.

È necessario, a mio parere, doversi “preparare” alla visione di un videogame a cui si è tenuto, a cui si tiene e forse si terrà ancora per molto altro tempo (sempre se non peggiorano ulteriormente) presentato su di un supporto o media diverso da quello per cui è nato. Quando finalmente sono entrato in sala, ho riaperto i canali con il mondo, scoprendo l’inevitabile sanguinolenta guerra tra fan, giornalisti e GiornalistiFan.

Qui di seguito, quindi, NON TROVERETE nessuna polemica, ma una recensione reale, concisa ed effettiva del film, priva di sentimentalismi o affezioni che uccidono la verità e fanno scaturire solo una sterile polemica.

Assassin’s Creed è di base una storia che parla di eventi e fatti che si sviluppano dalla creazione del genere umano fino ai giorni nostri. Un mondo parallelo dove ogni persona ha nel proprio DNA i ricordi ancestrali dei propri antenati. In questo mondo, delle persone/divinità/alieni/entità hanno creato degli artefatti per controllare il genere umano, chiamati “frutti dell’eden” poiché provengono da quello che si pensi sia il Paradiso cristiano. Da qui nasce la fratellanza degli Assassini, uniti al fine di risvegliare le masse, aizzare rivoluzioni e smuovere le torbide acque della tirannia di qualunque natura. Dall’altra parte ci sono i Templari, una società simile alla massoneria (da cui trae ispirazione) che desidera ottenere il controllo globale tramite la coercizione psicologica e il sistema legislativo. I due gruppi si scontrano in sanguinolente battaglie dall’inizio dei tempi, in un’eterna lotta per la libertà e il potere.

Questa è la trama di tutta la serie, il concept, il plot. Tutti i videogiochi, romanzi e fumetti ruotano su questo tema principale, ed è ovviamente presente anche nella pellicola.

michael fassbender

Il film di Assassin’s Creed è ben fatto: Justin Kurzel, già regista di altri titoli in cui è presente l’attore protagonista Michael Fassbender, ha portato sullo schermo quest’opera cercando di essere il più fedele possibile e inserendo al suo interno molte (moltissime) citazioni dai diversi capitoli della saga. Preferisce dare rilievo alla fotografia rispetto ai dialoghi e dà in mano al protagonista, Cal Lynch, la nostra inesperienza di questo mondo, che viene presentato ai nostri occhi per la prima volta.

Per la prima volta…

Assassin’s Creed, seppur viva nel “presente”, ha la peculiare e famosa sezione in cui si torna nel passato alla scoperta delle posizioni degli artefatti divini. Questa parte è divenuta, andando avanti nel tempo, un nucleo portante della saga e ha soppiantato il presente. Questo film cambia rotta (come Edward Kenway con la propria nave) ed inserisce spezzoni dell’antichità in un film prettamente ambientato nei giorni nostri. Sfrutta questi elementi per riparare a quello che è una profonda “lacuna scientifica” dei videogiochi: il rapporto con il passato.

I ricordi, come il passato di ognuno di noi, non si cambiano e Kurzel ha deciso di tagliare l’interazione con esso rendendoci spettatori (come lo è il protagonista) di questo tuffo indietro nel tempo. Utilizza un nuovo Animus, che permette alla persona inserita di muoversi effettivamente nello spazio presente e con esso ritornano i fantasmi dell’osmosi, impiegati anche questa volta come metafora e realizzati egregiamente con effetti in computer grafica.

assassins volo

Effetti che permeano il film, riempiendo i buchi tipici dati dall’impossibilità di ricostruire in un set l’Andalusia del 1400; le proiezioni olografiche e i tanti altri effetti non disturbano la vista e non sforano nell’impossibile. Seguono le scene di Parkour (immancabile compagno della saga), dialoghi sul limite della filosofia e messaggi diretti allo spettatore, che rendono questo film quasi meta-cinematografico. Un po’ come lo era una delle sezioni famose di Assassin’s Creed 2, dove Minerva, con la scusa di parlare a Desmond attraverso Ezio, interloquisce direttamente con il giocatore per smuoverlo dalla passività.

Ma questa è un’altra storia.

La colonna sonora è emozionante, travolgente ed adatta ad entrambi i tempi storici. Cita più volte quella dei videogiochi (anche grazie alla presenza di Jesper Kyd nel dipartimento musicale guidato da Jed Kurzel) e si conferma uno dei frammenti indispensabili per la resa della saga, come d’altronde lo sono le grandi panoramiche dall’alto, che si susseguono ogni volta che il protagonista raggiunge un punto sopraelevato (metaforico o meno).

Marion Cotillard, Michael Fassbender e Jeremy Irons rendono appieno le loro parti e trasmettono, come solo degli attori di altissimo livello sanno fare, le istruzioni del regista e della sceneggiatura, impersonando i loro ruoli con precisione e dedizione. Anche gli assassini secondari (Michael Kenneth Williams, Callum Turner, etc.) interagiscono egregiamente, anche se il primo citato spicca maggiormente rispetto al secondo per via della sua meccanicità nei movimenti durante le lotte, caratteristica che vediamo a volte anche in Fassbender e che forse potrebbe essere voluta.

Riassumendo passiamo ai voti:

  • la fotografia si prende un bell’ 8 per la spettacolarità di colori e luci;
  • Regia impeccabile, forse migliorabile in qualche scelta, tuttavia non male quindi assegno un 8;
  • La sceneggiatura aveva un compito difficile e purtroppo in qualche scena poteva essere sviluppata diversamente e si guadagna un 7;
  • Colonna Sonora eccellente quindi 8;
  • Degli attori è inutile parlare, con questo calibro non si può che dare un 8, soprattutto per Marillon Cotillard che è stata fantastica; Fassbender forse un po’ statico nelle espressioni.

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E con questo concludo la mia recensione, sperando di non avervi annoiati né aizzato al fuoco dell’hate. Se così è, scrivetelo!

Miriam Caruso

[#Anime] Yuri!! on ice, il pattinaggio si fa arte animata

CI sono opere che passano inosservate, altre che arrivano tra le vette delle più vendute, con oltre 35 mila copie in Blu-ray  andate a ruba in soli 3 giorni e altre 15 mila nella versione DVD.

Se qualcuno, anche solo un paio di mesi fa, mi avesse detto che mi sarei ritrovata ad amare un anime sportivo, probabilmente lo avrei preso per matto. Come al solito, però, l’animazione giapponese ha la particolarità di sorprendermi e questa volta galeotto è stato Yuri on ice.

Anime invernale di soli 12 episodi, Yuri on ice (o meglio Yuri!!! On ice) ha debuttato il 5 ottobre e si è concluso il 21 dicembre, riempiendo di recensioni positive il web, in particolare i social come Twitter e Tumblr.
Il brevissimo anime sportivo è stato prodotto dallo studio MAPPA, diretto da Sayo Yamamoto (già conosciuta per la sua precedente opera Lupin III. La donna chiamata Fujiko Mine) e illustrato da Mitsurō Kubo. Degno di nota il fatto che le coreografie su ghiaccio presenti in praticamente tutte le puntate dell’anime sono opera di un ex pattinatore giapponese, Kenji Miyamoto.

 

 

La trama non è troppo complessa, ma comunque gradevole; certo non straordinaria, ma curata, scorrevole e appropriata per un anime sportivo, concentrando il focus principalmente sul pattinaggio artistico e le sue sfide.

Yuri Katsuki è il protagonista principale e comincia la sua storia in un modo piuttosto comune nel genere:

il fallimento totale.

Rappresentante giapponese del pattinaggio singolo maschile e finalista nel prestigioso Gran Prix, Yuri si ritrova a sbagliare platealmente, in preda all’ansia, tutte le sue performance su ghiaccio, finendo ultimo in classifica. Scoraggiato e fuori forma, il pattinatore giapponese si ritirerà con la coda tra le gambe nella sua città natale dove tre bambine del posto lo riprenderanno di nascosto mentre riproduce perfettamente una delle coreografie di Victor Nikiforov (leggenda vivente del pattinaggio su ghiaccio) diffondendo poi il video su internet. Video che finirà sotto gli occhi di Victor stesso, il quale deciderà così di mollare tutto per diventare il nuovo coach di Yuri.

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Essendo un anime sportivo, la maggior parte della storia si basa ovviamente su allenamenti, prove e competizioni. Le esibizioni dei personaggi principali, e non solo, rendono con estrema cura il valore artistico di questo sport, ponendo particolare enfasi sulla passione, i sacrifici, i sogni e soprattutto l’amore di coloro che la praticano, piuttosto che sulla semplice competitività e il desiderio di “essere il migliore”. Queste caratteristiche, ma non solo, distanziano Yuri on ice da altri anime dello stesso genere.
Infatti, diversamente dai soliti “spokon” (come il ben più longevo e popolare Haikyuu), Y.O.I. esce dal contesto scolastico, dando una visione globale e più realistica del pattinaggio artistico, basandosi su gare esistenti e ispirandosi ad atleti reali, rinunciando quindi a mosse speciali (di esempi qui ce ne sarebbero tantissimi ma, per andare sul classico, forse solo i giovanissimi non ricordano i tiri speciali e le acrobazie in Holly e Benji/Capitan Tsubasa) e azioni che sfidano la logica e le leggi della fisica.

I personaggi sono la parte più importante di quest’anime: Yuri Katsuki è una persona anche troppo normale, piuttosto mediocre, senza particolari abilità, non geniale, non un talento naturale, è estremamente semplice identificarcisi in lui soprattutto se si è propensi all’ansia e a cali di autostima. La sua mancanza di fiducia nelle proprie capacità compromette le sue abilità sportive e lui ne è assolutamente consapevole; sa di non essere all’altezza di alcuni dei suoi sfidanti, ha problemi che non riesce a risolvere ed è insicuro e umorale. Tutto questo, nel corso della trama, viene costantemente messo in moto da Yuri in maniera inconsapevole e, andando avanti nella storia, questo diviene palese e illustrato in maniera divertente e intelligente.


Victor Nikiforov, il coprotagonista, è la perfetta controparte di Yuri. Campione mondiale per cinque volte di seguito e figura leggendaria dello skate moderno. Victor è rilassato, sicuro di sé, disinvolto e a volte spietato nel suo essere sincero. Le rispettive differenze e il loro condiviso amore per il pattinaggio artistico rendono la loro relazione dinamica e naturale, piacevole da seguire. I due personaggi imparano a conoscere loro stessi e l’altro, sviluppando via via una relazione sempre più intima, che si lascia intendere essere romantica. È probabilmente questa sottotrama sentimentale che ha dato una spinta in più alla popolarità dell’anime, rendendolo un vero e proprio caso sul web e facendogli guadagnare il titolo di “primo anime con una rappresentazione positiva di una relazione omosessuale”. Per quanto la definizione non sia propriamente corretta (ci tengo a citare No 6, bellissimo anime distopico del 2011), sicuramente Yuri!!! on ice si merita una menzione speciale per essere riuscito a sollevare uno scalpore che i suoi predecessori non erano riusciti a creare grazie all’irresistibile carisma dei suoi personaggi e alla quasi utopica tranquillità dell’ambiente in cui vivono.

Victor e Yuri si muovono in un mondo dove non sembra esistere la piaga dell’omofobia e i loro gesti d’affetto pubblici attirano al massimo qualche sguardo curioso.


Altro punto che ha attirato l’attenzione positiva del pubblico è l’eterogeneità etnica dei personaggi.

Non capita molto spesso di vedere l’America rappresentata da un ragazzo latino o di trovare personaggi importanti di un anime provenire dalla Russia, dal Canada, dalla Svizzera o addirittura da paesi come il Kazakistan o la Thailandia, che difficilmente hanno visibilità nei media. Oltretutto il range d’età molto ampio dei personaggi, variando dai 15 anni di Yuri Plisetski ai 27 di Victor, dà la possibilità di vedere rappresentati diversi gradi di maturità e consapevolezza, che risultano splendidamente evidenti nelle interazioni dei personaggi.

Dal punto di vista tecnico, Yuri!!! on ice è notevole, nonostante uno stile altalenante. In linea di massima i disegni sono molto belli, curati e ricchi di particolari, soprattutto nei primi episodi. L’animazione dei movimenti è magnifica, le esibizioni dei personaggi fluide, eleganti, realistiche.

Una vera e propria opera d’arte a volte.

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Purtroppo non sempre, soprattutto durante le coreografie di personaggi secondari, dove i tratti del viso vengono semplificati un po’ troppo, le proporzioni del corpo si perdono, le inquadrature hanno angolazioni strane se non insensate.
Tutto sommato però, considerando l’enorme budget che un progetto del genere avrà richiesto e il lavoro di qualità svolto nei punti giusti, si può comunque apprezzare lo sforzo evidente che è stato posto in questo anime.


Veniamo ora a quello che è secondo me il reale punto di forza di Yuri!!! on ice: la colonna sonora.


Le musiche sono varie e originali, partendo dall’opening per arrivare alla ending. Ogni esibizione su ghiaccio si adatta perfettamente al suo sottofondo musicale e ogni traccia è perfetta per il personaggio che la danza.

La serie ha anche attirato commenti positivi tra figure rilevanti del pattinaggio artistico su ghiaccio. Tra i vari fan dell’opera si annoverano nomi come Johnny Weir, Evgeni Plushenko, Masato Kimura e l’attuale campionessa mondiale del pattinaggio singolo femminile Evgenia Medvedeva (che ha anche reso pubblica una sua foto in cosplay da Yuri Katsuki, entusiasmando i fans e le due autrici di Y.O.I.).

Per concludere, Yuri!!! on ice è un’opera semplice e piacevole che riesce ad alternare con successo momenti sciocchi e divertenti ad altri di grande eleganza e raffinatezza e che, pur mancando il tipico dramma e suspense a cui i giapponesi ci hanno abituato negli anni, riesce comunque a interessare, colpire e commuovere, tenendo incollati allo schermo.

Nel suo piccolo, riesce a dare una nuova visione del mondo, a far conoscere e apprezzare uno sport affascinante come il pattinaggio sul ghiaccio, o magari a “fare storia”, come amano scrivere i fan sul web citando la sigla.  

Paola Maria Helena Greco

https://youtu.be/qh-Olq7caGU

[#Anime] Haikyuu!! – La recensione

Tra gli anime più attesi dell’ autunno figurava sicuramente la terza stagione di Haikyuu!!

Un adattamento animato dell’omonimo manga sportivo di Haruichi Furudate, pubblicato sulla rivista Weekly Shonen Jump a partire dal febbraio del 2012. L’anime è realizzato dallo studio Production I.G. e attualmente conta due stagioni da 25 episodi ciascuna e una terza da 10 episodi. In questa recensione parleremo dell’anime in generale, quindi non ci concentreremo solo sulla terza stagione.

Trama: Dopo aver assistito a una partita di pallavolo, il giovane Shoyo Hinata si pone come personale obiettivo di diventare “Il piccolo Gigante”, soprannome dato a un piccolo ma tenace giocatore della squadra del liceo Karasuno. Entrato nel club di pallavolo della sua scuola media, affronta insieme alla squadra il torneo interscolastico ma lui e i suoi compagni devono inchinarsi di fronte a una forte squadra guidata da un formidabile giocatore di nome Tobio Kageyama, chiamato “Il Re del campo”. Desideroso di arrivare ai vertici e di prendersi la rivincita su Kageyama, Shoyo continua a praticare la pallavolo anche alla sua entrata alle superiori, dove però trova nel club scolastico proprio il suo rivale Kageyama. (fonte Wikipedia)

Partiamo subito dicendo che Haikyuu!! è veramente un ottimo anime sportivo. Nonostante i classici stereotipi del genere spokon, l’anime riesce a raccontare una storia abbastanza matura e coinvolgente. Quello che colpisce al primo impatto è uno “pseudo-realismo” abbastanza intrigante all’interno delle partite di pallavolo. Quindi non aspettatevi schiacciate che sembrano onde energetiche o palloni che si ovalizzano e vanno a rallentatore, ma soltanto qualche rallenty o qualche situazione al limite. Nonostante questo le partite risultano essere spettacolari, grazie anche ad un ottimo lavoro sul piano tecnico (di cui parleremo più avanti).

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I personaggi hanno delle buone caratterizzazioni e un ottimo sviluppo, sia nei rapporti con gli altri characters, sia nel legame con la pallavolo, concentrandosi soprattutto sul concetto fondamentale di fare squadra.

Non sempre è la squadra con i sei giocatori più forti a vincere, ma quella in cui i sei giocatori si uniscono per formare la squadra più forte.

Per quanto un singolo possa migliorarsi, non deve mai dimenticare di avere dei compagni che possono tirar fuori il meglio dalle sue possibilità. Inizialmente notiamo una simbiosi quasi perfetta tra Hinata e Kageyama (nonostante i continui litigi tra i due), ma questa successivamente va ad estendersi a tutta la squadra, creando un gruppo coeso, in cui ogni membro svolge il suo compito per il bene della squadra.

Oltre a questo Haikyuu!! si concentra sull’importanza di avere un rivale che possa spingerci a dare il massimo, oltre ad un tema abusatissimo come quello di fare il proprio meglio al fine di perfezionarsi, ma che raramente è stato gestito così bene in un anime sportivo.

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Un grande punto di forza di Haikyuu!! è l’ottima gestione dei rapporti con gli avversari. Di solito in un qualsiasi shonen (sportivo e non) gli avversari sono quasi sempre dei veri e propri nemici, una scelta probabilmente volta ad enfatizzare un’accesa rivalità. In Haikyuu!! gli avversari possono essere una fonte di apprendimento per migliorarsi ulteriormente, possono essere rivali in campo ma amici fuori dal campo, sempre accomunati da una grande passione per lo sport. L’autore riesce a gestire molto bene le situazioni “fuori dal campo”, riuscendo a far capire allo spettatore quanto lo sport vissuto con genuina passione possa essere un veicolo per stringere legami sia con i compagni che con gli avversari.

Sul piano puramente tecnico abbiamo un anime veramente ben realizzato.

La regia è ben dosata e riesce a potenziare visivamente ogni azione di gioco, con l’utilizzo di alcune inquadrature dal basso che esaltano le schiacciate, in cui i giocatori sembrano volare per catturare il pallone in cielo. Le varie scene sono montate con sapienza, riuscendo a rendere spettacolari le partite, ma allo stesso tempo semplici da seguire. Oltre a questo abbiamo l’utilizzo di alcune carrellate veramente mozzafiato.

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Una delle carrellate più belle in assoluto.

Le animazioni della Production I.G sono sempre ottime, nonostante la ripetizione di alcuni cut con al massimo qualche piccola modifica, ma niente di insopportabile.

Per quanto riguarda il comparto sonoro abbiamo un lavoro magistrale da parte del cast di doppiatori, che riescono a trascinarti quasi come se stessi guardando una partita vera, con le loro esultanze grintose ed esaltanti.

Bellissimi gli effetti sonori di gioco.

Le musiche sono molto interessanti e riescono a dare un’ulteriore mano di colla al tutto.

Concludendo, Haikyuu!! è un ottimo anime sportivo, adatto anche a chi non ama particolarmente la pallavolo. Attendiamo con impazienza la quarta stagione, che si preannuncia veramente esaltante.

 

Antonio Vaccaro

Belzebù pensaci tu: l’invocazione di Salvo Mizzle

Torniamo ad occuparci di musica dal sottosuolo italiano.

Dopo Francesco Motta è il turno dell’opera seconda di Salvo Mizzle, artista proveniente da quella stessa Puglia che ci ha già fatto conoscere Amerigo Verardi e i più recenti Fonokit.

Viene subito da pensare quanto sia ironico che un album intitolato Belzebù pensaci tu sia stato registrato proprio a San Giovanni Rotondo, la città di Padre Pio. Eppure questa invocazione, che in realtà non ha nulla di satanico, arriva proprio dall’alto: sono le atmosfere psichedeliche di Cielinfrarossi, suggestivo biglietto di presentazione di un cielo squarciato che potrebbe preannunciare l’inizio di una nuova fase o almeno una resa dei conti. Si passa subito al singolo scelto per presentare l’album, Canemorto, in cui una voce compressa usa i giochi di parole per denunciare quella insopportabile tendenza del “pesce grosso mangia pesce piccolo” tanto caratteristica dei tempi nostri. Sfogo che trova seguito nella successiva Detestare (Devi rivendicare tutto / devi farti del male / detestare / affondare forte / prenderti il sale del mare), per proseguire con una delle perle di questo lavoro: Che stile. Qui Mizzle ci mostra con ottimi risultati la sua capacità di mischiare sonorità diverse, complice anche la presenza ai violini di Nicola Manzan/Bologna Violenta.

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Atmosfere più lievi ed altre più distorte accarezzano la struttura dei brani successivi e tra questi emergono l’accoppiata pianoforte-sax di Perpendicolare e la più particolare Non è brutto ciò che è brutto ma è brutto ciò che piace. E c’è anche una ghost track. In definitiva, Belzebù pensaci tu di Salvo Mizzle (alias Salvatore De Padova) è un lavoro con tutte le caratteristiche dei primi album, che offre una capacità interessante di mischiare sonorità differenti in maniera sapiente. Il tutto dal respiro parecchio internazionale. Oltre che a ricondurlo a sonorità di Moltheni, Paolo Benvegnù e Marco Parente, si possono trovare infatti ricordi dei Belle and Sebastien e di gruppi che devono molto alla psichedelia, come (addirittura) gli Stereolab. Un album che sicuramente sarebbe interessante sentire anche in una veste acustica.

Gianluca De Serio