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[#NerdGames] Una banana per amico: My Friend Pedro – Recensione

Quando per la prima volta giocai alla versione flash di My friend Pedro nel lontano 2014, sentivo che qualcosa di buono poteva uscirne. La grafica grezza un po’ grunge richiamava i platform sparatutto ultraviolenti di una volta come Madness combat e il gameplay strizzava l’occhio a The Matrix.

Ma come si è evoluto?

DeadToast Entertainment resta a capo del progetto, aiutato e distribuito da Devolver Digital (Hotline Miami), il cui supporto è evidente: pazzia, soundtrack, ultraviolenza e scelte fuori di testa. Perché questo gioco, parliamoci chiaro, è fuori di testa.

UNA BANANA CHE UCCIDE LENTAMENTE

Il no sense regna sovrano dall’inizio alla fine. Il protagonista è l’unico a vedere Pedro, una banana parlante che fluttua qui e lì dando suggerimenti su cosa fare, sulla situazione e la storia. La trama si sviluppa su di un piano orizzontale dove all’inizio ci si vuole solo vendicare di colui che ci ha catturato, per poi continuare con organizzazioni sempre più grandi (e strambe) che ci danno la caccia.

John Wick, is that you?

La storia matura così, tra sparatorie e uccisioni, ma ha dei picchi a mio parere piuttosto profondi. Se infatti all’inizio troviamo la solita trama da vengeance story, nel proseguire degli stage, la narrazione si muove anche in un senso verticale, dando delle pillole sociologiche, come ad esempio combattere gli “haters” di Pedro, persone che sanno solo giudicare e screditare e che, alla morte, vanno verso il paradiso. Non solo sparatorie, quindi, ma anche spessore politico e critica al contemporaneo. Proprio come i livelli nelle tubature in pieno stile Super Mario dove si annidano nemici di nuovo stampo: i giocatori nostalgici diventati troppo violenti per colpa dei videogiochi. Pedro, il nostro amico banana, ce ne parla come di una tribù che si è separata dalla società perché non voluta.

GAMEPLAY, TRA UCCISIONI E ROMPICAPO

Ma basta parlare di storia, parliamo del comparto tecnico di questo titolo.

Il gameplay ha meccaniche di difficile apprendimento, è difficile articolarsi sia con il GamePad (provato con pad XBoxOne) che con mouse e tastiera. Se da una parte abbiamo tutti i tasti a disposizione per manovrare il personaggio e una difficoltà a prendere bene la mira, dall’altro abbiamo troppi tasti da usare e poche dita per usarli. Insomma, ovunque ti giri prendi un rastrello nei denti.

Il sistema di gioco è quindi è un po’ difficoltoso ma, dopo qualche livello, si inizia a prenderci la mano rinunciando alla fantasia combattiva. Gli scontri sono molto veloci se non si utilizza lo slow motion, ma rallentare il tempo ti permette di essere più preciso e creare spettacolarità nelle uccisioni che donano Punti Stile: una valuta molto simile a quella di Devil May Cry che a fine livello ti assegna un voto da S a C a seconda delle uccisioni stesse. Piroettare per schivare proiettili, dividere le armi, utilizzare oggetti ambientali o fare delle entrate in scena drammatiche fanno accumulare punti che vengono poi moltiplicati per il numero di uccisioni fatte in breve tempo.

Questo sistema prende anche l’accezione tipica del rompicapo simile a quella di Hotline Miami dove uccidere i nemici con una strategia portava al punteggio massimo. Tuttavia non è così importante, il gioco non ricompensa per voto basso o uno alto ed è soltanto un modo per entrare nella leaderboard mondiale.

Oltre i punteggi, il gioco riesce a rinnovarsi stage dopo stage lungo i suoi 40 livelli aggiungendo gradualmente armi, oggetti scenici utilizzabili e perfino uno skateboard con cui fare combo al limite dell’assurdo. Ci sono anche dei livelli che subiscono un cambio repentino di gameplay come quello della moto o la picchiata che rinfresca l’attenzione del giocatore.

UN GRAFICA ANNI ’90 DA MIGLIORARE

L’aspetto estetico e grafico di My Friend Pedro lascia molto a desiderare. Stilisticamente sembra un gioco della metà degli anni ‘90 con personaggi pupazzosi e poligonali, si recupera di poco con le scenografie che però risultano ripetitive quasi allo stremo. Meglio non parlare delle animazioni poi. Seppure siano basate sulla fisica, il gioco spesso e volentieri si comporta come una parodia del ragdoll con movimenti scomposti dei personaggi. Ad essere sincero però, la velocità con cui si procede nei livelli non ti fa quasi accorgere di queste mancanze piuttosto evidenti appena ti fermi un attimo a guardare.

una picchiata con un tipo vestito da babbo natale che parla dell’internet

La soundtrack, eseguita per lo più da Navie D, ricalca moltissimo le sonorità di Hotline Miami con un elettropop anni ‘80 di altissima qualità. L’unica pecca è forse la mancanza di una canzone virale, una di quelle che continueresti ad ascoltare in loop una volta finito il gioco.

IL PUNTO

My Friend Pedro è un gioco che ti tiene incollato allo schermo per tutte le sue 3-4 ore di durata senza prendere una pausa. Dentro di sé ha però il rimpianto del “si poteva fare di più”. Il comparto grafico è davvero scadente e anche se media con la fantasia e il divertimento del gioco, l’occhio vuole sempre la sua parte anche in questi contesti. I controlli di gioco sono poi scomodi e inutilmente difficili. Mi tornano alla mente Shank, Deadbolt o Katana Zero e penso che questa volta mancasse poco per piazzarsi più in alto in graduatoria.

Voto: 7

Daniele “Ink” Ferullo

Hooverphonic a Cosenza per il Be Alternative Festival

Gli Hooverphonic fanno tappa a Cosenza in occasione del Be Alternative Festival. 

L’evento si terrà nella meravigliosa location offerta dal Castello Svevo della città Bruzia il prossimo 25 luglio. 

La band belga porterà dal vivo l’attesissimo nuovo album Looking for stars, progetto che ha sancito il debutto della nuova cantate diciottenne Luka Cruysberghs e il ritorno sulle scene degli Hooverphonic. In precedenza, famose le hit che hanno segnato le ultime generazioni come Mad About You e Anger Never Dies. La band conta un background di premi prestigiosi, come gli 8 dischi d’oro e i 5 dischi di platino per i loro ultimi lavori.

Tra i gruppi più famosi degli ultimi vent’anni, la scelta di inserire la nuova voce nel progetto ha portato una brillantezza in più: Cruysberghs è stata vincitrice di The Voice Of Flanders 2017, portata dal coach Alex Callier, leader e produttore della band. Con la nuova cantante, la band ha deciso di intraprendere un percorso sonoro differente dagli anni passati, conservando la forza espressiva che li ha consacrati nel panorama internazionale e guardando al futuro, tra note sinuose, tonalità intense, territori inesplorati, brani trip-hop, canzoni funky psichedeliche e temi morriconiani.

Miriam Caruso

[#NerdReview] Aladdin Vs Aladdin – Trova le differenze

La febbre dei live-action Disney continua al cinema e questa volta è toccato ad Aladdin.

Dopo aver visto al cinema il remake di Aladdin diretto da Guy Ritchie, sono andato a ripescare il vecchio classico del 1992. Già in sala qualcosa non mi tornava e alla fine del rewatch avevo le mani che prudevano: dovevo scrivere!

Quando si utilizza la formula del rifacimento in live-action si tende a cambiare sempre qualcosa nella storia o nella forma della narrazione. Nel caso di Aladdin, però, cosa è cambiato davvero?

A un primo occhio, magari per qualcuno che non vede il cartone da tempo, sembrerà che sia tutto pressoché simile: canzoni, personaggi, atmosfere… Ma per chi invece ha rivisto da poco il cartone, le differenze sono piuttosto evidenti, a partire dall’inizio.

INTRODUZIONE: CHE FINE HA FATTO IL MERCANTE?

L’intro del film ci porta nei mari orientali, con Will Smith che racconta una storia ai propri figli su di una nave per poi continuare con la canzone “Le notti d’Oriente”, che resta simile alla versione originale. La differenza nell’introduzione è palese: nel cartone originale, la storia veniva raccontata attraverso delle gag comiche di un mercante, introducendoci ai misteri di Agrabah e alla magia dell’Oriente.

Un altro mercante scomparso è quello nella scena nel bazar. Qui, quando Jasmine regala del cibo ai due bambini senza pagare, non è il grosso energumeno barbuto del cartone a cercare il pagamento, bensì suo cugino che stava tenendo d’occhio il banco per lui.

UN NEMICO PIÙ CONVINCENTE: JAFAR CONTRO TUTTI

Una delle grandi differenze tra cartone e live-action è sicuramente la figura del cattivo. Jafar è qui molto più giovane e riesce a ipnotizzare le persone anche senza il suo bastone magico. Convince, infatti, Aladdin a entrare nella caverna di sua spontanea volontà con la promessa di grandi ricchezze.

Altra differenza è nel suo background. Infatti, scopriamo il passato del cattivo che, come il protagonista, in origine era un ladro e saltimbanco che, grazie all’astuzia e all’imbroglio, è riuscito a raggiungere il palazzo acquisendo il titolo di Visir. Così, il personaggio ha ora una motivazione evidente per diventare il sultano di Agrabah, ossia quella di non essere mai più secondo a nessuno.

JASMINE, UNA NUOVA LEADER

La principessa di Agrabah subisce un restyling sia come abbigliamento che come carattere. Seppure già nel cartone animato del 1992 fosse una principessa combattiva, in questo film si riscopre una leader e si fa portavoce della libertà e dei diritti delle donne. Non solo una moglie, quindi, ma anche una possibile regina che potrebbe apportare delle migliorie al regno se solo la legge tradizionalista potesse essere cambiata.

Una forza, quella di questo personaggio femminile, forse dovuta alla riscrittura di un retroscena passato e all’inserimento di un dettaglio relativo alla madre, che nel cartone viene quasi ignorata. Qui, infatti, la madre di Jasmine ha finalmente una storia: proviene dal vicino regno di Sherabad (lo stesso regno che Jafar vuole conquistare) ed è morta assassinata per le sue ideologie.

IMMENSI POTERI COSMICI IN UN MINUSCOLO SPAZIO VITALE!

 

Un’altra delle grandi differenze tra il cartone e il film è di sicuro la presenza di Will Smith. Se nel cartone originale il genio veniva interpretato da Robin Williams (doppiato in italia da Gigi Proietti), grande artista comico che ha dato una connotazione delicatamente parodica e divertente all’essere blu, Will Smith invece percorre un’altra strada, più vicina ai suoi personaggi tipici.

Più irriverente, piacione e anche un po’ trash: la sua potenza attoriale è senz’altro uno dei punti cardine di tutto il film. Il suo genio, al contrario della versione originale, ha un debole per le donne e infatti s’innamora di uno dei due personaggi creati per questa pellicola, Dahlia. Altra differenza è che al termine del film non diventa un genio libero di usare i suoi poteri, ma un essere umano normale, chiudendo così il cerchio aperto con l’introduzione.

NUOVI PERSONAGGI PER NUOVE SCENE

La presenza di Dahlia e Akim non passa inosservata. La prima, l’ancella della principessa, è in quasi tutte le scene comiche ed è inoltre la donna di cui s’innamora il genio, mentre Akim ha il ruolo della guardia scelta del Sultano ricevendo una storia e l’importante scelta nel finale.

UN FINALE TUTTO NUOVO E MENO “ACTION”

La storia si muove nella stessa direzione: Jafar prende la lampada ed esprime gli stessi tre desideri del cartone animato, ma ci sono delle differenze piuttosto pronunciate tra le due pellicole. Differenze che rallentano il ritmo, ma danno anche la possibilità ad altri personaggi di sbocciare.

Tre sono le differenze essenziali:

  1. Jafar resta umano per tutto il tempo, non si trasforma in un gigantesco serpente.
  2. Iago si trasforma in un enorme pennuto* che insegue Aladdin e la lampada per Agrabah.
  3. Jasmine, con una nuova canzone, convince Akim e dimostra di avere le capacità di un Sultano (viene tagliata così la scena in cui Jasmine seduce Jafar).

*Sapevi che la trasformazione del pappagallo di Jafar è in realtà un omaggio a una delle creature mitologiche dell’antica Persia? Il Rok!

I DETTAGLI CONTANO!

Ci sono ancora piccoli dettagli che rendono differente il cartone dal live-action, come ad esempio le regole per esprimere i desideri. Nel cartone “Voglio essere un principe” andava bene come desiderio, invece nel film il genio richiede una frase più specifica e di strofinare la lampada ogni volta che se ne esprime uno.

Spero di aver saziato la vostra sete di curiosità e vi lascio con la versione originale di un divertente video che sta spopolando sui social ultimamente!

Ricordatevi di seguirci sulla pagina Facebook Nerd30  per altre notizie e curiosità sul mondo nerd!

Daniele Ferullo

[#NerdReview] Le terrificanti avventure di Sabrina parte 2, la recensione

E’ da poco uscita su Netflix la seconda parte delle Terrificanti avventure di Sabrina, serie ispirata al celebre telefilm anni ’90 e che trova riscontro anche in un’avventura a fumetti dell’Archie Comics.

Abbiamo vissuto tutte d’un fiato le 9 puntate di questa seconda stagione, tanto attesa dai fan del genere horror/adolescenziale, giungendo a idee abbastanza contrastanti sul godimento di questa serie. Ma partiamo da principio e delineiamo la trama degli episodi. Ovviamente, attenti agli spoiler!

La Trama

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Ci siamo lasciati nella prima stagione con tre rivoluzioni importanti per Sabrina: la firma del libro del Signore Oscuro, la separazione da Harvey Kinkle e la decisione di addentrarsi anima e corpo nell’accademia delle arti oscure.
Ora Sabrina, con un look molo più dark, decide di studiare seriamente la magia, immergendosi totalmente nella vita dell’accademia, prendendo una pausa dalla Baxter High. In questo suo percorso viene ostacolata da lord Blackwood, figura maschilista e conservatrice. Con il prosieguo degli episodi si fa chiarezza sul reale rapporto tra la protagonista e il Signore Oscuro, legame che porterà a far luce sul destino dei poveri genitori di Sabrina e sullo scopo che coinvolge la giovane in una profezia apocalittica.

Il Commento

Le atmosfere di questa seconda parte si sono fatte molto più cupe rispetto alla precedente, le ambientazioni hanno dato piena soddisfazione ai fan del dark, creando contrasti forti tra il mondo chiaro degli umani e quello cupo delle streghe. Se nella prima parte si sono appena delineati i tratti dell’accademia delle arti oscure, in questa seconda stagione ne abbiamo una visione completa. I personaggi finalmente trovano uno spazio di approfondimento, acquisendo pregi e difetti. La protagonista in sé mostra i tratti tipici di un’adolescente in cerca di risposte, pronta in prima persona a sacrificarsi per chi le sta accanto. In alcuni casi è esasperata la consapevolezza di essere una strega, con poteri troppo grandi per una sedicenne, ma ciò servirà a demistificarla, rendendo ancora più forti i suoi connotati umani. Per quanto riguarda Nicholas Scratch, nuovo fidanzato di Sabrina e stregone, servirà a distaccarla e a spingerla a compiere decisioni sul sentiero magico, creando non pochi dubbi nella testa della giovane donna.

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Altra figura di spicco sarà quella di Miss Lilith/Wardwell. Antagonista perfetta, Miss Satana è un personaggio con una forza incredibile, che spingerà Sabrina a compiere inconsapevolmente il cammino voluto dal Signore Oscuro,  trovandosi al suo fianco in risvolti anche inaspettati. In questa seconda stagione ne apprezziamo la sensibilità, il cuore ferito e la forza di donna indipendente, la stessa che si era inchinata al cospetto di Lucifero e che ora potrebbe essere pronta a dominare l’Inferno. Non a caso, la donna sarà in grado di creare un “uomo” da uno spaventapasseri, un Adamo che potrà camminare ed eseguire il suo volere grazie alla presenza di una costola di Lilith al suo interno, un richiamo biblico che capovolge i ruoli.

I temi trattati sono molteplici, quello più evidente è la sfumatura altamente femminista della serie, che trova terreno fertile in un’opera dedicata al mondo della stregoneria: di contro, Lord Blackwood è la sfaccettatura del maschilismo e della disparità di genere per eccellenza. Sabrina sarà quella lancetta che farà crollare il predominio del mago sull’accademia, contrastandone il potere e spingendolo verso equità con la forza dell’intelletto. Altro chiaro segnale del maschilismo è esercitato nei confronti di zia Zelda, sposa/bambola di Lord Blackwood, sarà la famiglia a liberarla dalla soggezione dell’uomo.

Altro tema, vicino alla disparità di genere, sarà quello che coinvolgerà Susie Putnam, che non riesce a riconoscersi nel mondo femminile e deciderà di diventare Theo. Una storia che ha un inizio travagliato, fatto da un inizio discriminatorio all’interno della scuola, che trova confortante e giusto epilogo nell’accettazione e le scuse da parte di chi la perseguitava. 

Il ritmo delle puntate è travolgente, i colpi di scena si susseguono con velocità, lasciandoci alcune volte frastornati, ma comunque attaccati allo schermo. Le nuove capacità di Sabrina portano un dislivello ai limiti del blasfemo, in alcuni casi, nella narrazione della storia. Ma stiamo parlando comunque di una serie rivolta ad adolescenti, quindi stemperata in alcuni casi con trovate ironiche anche abbastanza ridicole. Sto parlando delle sfide poste dal Signore Oscuro alla giovane strega, che spesso e volentieri non verranno accomodate per incomprensibilità e leggerezza.

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I risvolti creepy non mancano, soprattutto quelli che la coinvolgeranno sia Lilith che la stessa protagonista, ma ne sentivamo anche il bisogno. Il sangue scorrerà a fiumi, la morte è un elemento che comunque non può scostarsi da una serie che punta al mondo horror, ma non tutto è irreversibile.

Il punto di debolezza

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Il punto di debolezza per eccellenza della serie è, a mio avviso, il Signore Oscuro. Una figura che si mostra in fin dei conti debole nella sua manifestazione finale. Avevamo aspettative alte: Lucifero è stato venerato per secoli, nella sua chiesa, eppure è il più umano di tutti, tanto da farsi prendere sotto scacco dagli altri personaggi della serie.

Comparto tecnico

Per quanto riguarda gli effetti speciali adoperati nella serie, abbiamo un’impennata di qualità eclatante: l’accrescimento di poteri ha richiesto una forza di effetti incredibile, che è stata degna delle aspettative. Le musiche ci mantengono in quel mood cupo, con uso di bassi e archi che creano la giusta tensione nello spettatore.

In conclusione

Sabrina è un’opera godibile, che intrattiene lo spettatore adolescente tanto quanto il nostalgico degli anni ’90. Le donne sono la forza che spingono la trama a una risoluzione, toccherà alle Spellman ricostruire la chiesa della notte e a Lilith l’inferno stesso. Alcuni buchi di trama ci lasciano spaesati, ma nulla di rilevante a tal punto da non farci apprezzare la serie. La terza stagione vedrà l’inizio delle riprese questo 29 aprile, intanto è certa la conferma anche di una quarta stagione.

Gli episodi della prima e seconda parte della serie sono disponibili su Netflix.

 

Miriam Caruso 

[#Manga] Paradise Kiss, la recensione dell’opera di Ai “Nana” Yazawa

Paradise Kiss è un manga che non ha bisogno di presentazioni.

Uno dei maggiori successi dell’amatissima Ai “Nana” Yazawa, che mescola in modo assolutamente perfetto il mondo della moda con la commedia romantica, più adulta rispetto agli standard dei manga josei (genere indicato alle giovani donne) nel periodo in cui è uscito. Paradise Kiss, infatti, è apparso per la prima volta serializzato sulla rivista giapponese di moda Zipper (citato spesso all’interno del manga) del 1999 al 2003, come spin-off dell’amatissimo “I Cortili del Cuore”, famosa opera dell’autrice da cui è stato tratto un anime di successo trasmesso anche in Italia.

LA TRAMA

La protagonista è Yukari Hayasaka, studentessa liceale in pieno periodo di esami preparatori per l’ingresso all’università, la cui vita viene sconvolta dall’incontro con quattro studenti dell’Istituto d’arte Yazawa. Yukari si innamorerà del loro leader, il carismatico Joji, che sconvolgerà la sua vita con una proposta inaspettata: sfilare come modella!

IL COMMENTO

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Vera protagonista è la moda: dal punk allo sweet lolita, dallo stile vittoriano a quello da dandy: ogni personaggio ha il suo stile ed è caratterizzato in maniera realistica e coinvolgente. In l’occasione dei suoi 20 anni, anche la Planet Manga ha deciso di ristampare in un unico e corposo albo tutti e cinque i volumi della serie, sostituendo l’edizione deluxe uscita nel lontano 2008, ormai fuori catalogo.

L’edizione si presenta con una copertina gialla su cui risaltano gli splendidi disegni dell’autrice, anche se il bianco scelto per il titolo risulta un po’ troppo “sgargiante” accostato a un colore come il giallo (seppur non crei particolari problemi di lettura); la copertina cartonata e ruvida al tatto e non è stata forse la scelta ottimale in cui contenere questa enorme quantità di pagine (poiché è molto morbida e la paura che si possa piegare e rovinare costringe il lettore a fare più attenzione quando lo si maneggia), ma tutto sommato fa il suo dovere, rendendone l’apertura comoda e non difficoltosa.

All’interno le pagine sono bianchissime, ma anche sottilissime, molto più dell’edizione deluxe che invece risultano più resistenti (anche se di qualità inferiore); i dialoghi, molto piccoli all’interno dei baloon nelle edizioni precedenti, qui sono stati ingranditi e ciò permette una lettura più godibile e meno stancante; tuttavia, risulta evidente che non c’è stato un lavoro di revisione degli stessi e sono presenti errori di battitura che (probabilmente) erano presenti anche in passato. Anche la dimensione in altezza è rimasta invariata.

In sostanza, è un’edizione senza infamia e senza lode, equilibrato dal punto di vista della qualità –prezzo (25 euro), seppur sarebbe stata gradita qualche pagina a colori e un’attenzione in più per correggere sviste che avrebbero reso vincente la riedizione di un’opera di questo calibro.

Vittoria Aiello

[#CiNerd] Shazam! – Recensione: la DC punta sulla leggerezza

Dal fumetto al cinema, Shazam! porta la gioia nel mondo DC.

Quando parliamo dell’universo DC Comics, siamo portati a pensare alle tinte scure di Batman, alla gravità delle scelte di Superman o alla lunga vita e le lotte di Wonder Woman.

Sebbene soprattutto con Aquaman la DC abbia provato a percorrere una strada più “allegra”, possiamo dire che Shazam! sia un passo ulteriore verso la spensieratezza e la meraviglia, cosa che solo un Capitan Marvel avrebbe potuto fare.

CHI È SHAZAM?

La storia di Shazam inizia tanto tempo fa. Il personaggio nacque nel 1940 in seno alla Fawcett Comics, ispirato al supereroe che stava diventando icona della cultura pop americana: Superman. Da allora, il personaggio è stato continuamente modificato nel corso dei decenni fino ad arrivare allo Shazam! visto al cinema. Per dire, durante un certo periodo in cui i diritti del personaggio non poterono essere legalmente mantenuti (prima si chiamava davvero Capitan Marvel!), molte altre case editrici provarono a cavalcare l’onda della sua enorme fama. Tuttavia, alla fine la spuntò la DC Comics che acquistò legalmente i diritti per la pubblicazione del personaggio, mentre la Marvel ottenne quelli per il nome. Così ebbe vita “Shazam!”.

TRAMA

Finita la premessa storica, iniziamo a parlare del film.

Billy Batson (Asher Angel) è un orfano che scappa da ogni famiglia in cerca della sua vera madre, che però non riesce a trovare. Viene adottato poi da una coppia che vive in una casa-famiglia e qui fa la conoscenza dei suoi nuovi fratelli e sorelle. Billy è solo un ragazzino di quindici anni, non ama la compagnia degli altri e ha sempre vissuto di espedienti, ma un giorno tutto cambia. Scappando da dei bulli incontra in metropolitana il mago Shazam (Djimon Hounsou) che gli trasferisce tutti i suoi poteri, diventando il campione del bene. Acquisiti poteri mitologici come la forza di Ercole, i fulmini di Zeus, la velocità di Mercurio e la resistenza di Atlante, Billy si trasforma nel suo massimo potenziale: una versione adulta (Zachary Levi) che mantiene la coscienza e l’intelligenza del ragazzo.

Nonostante i vari tagli alla storia originale, Shazam! si districa bene tra le tematiche spigolose della vita nelle case-famiglia, delle adozioni e della povertà. Le affronta con leggerezza, ma senza mai cadere nel ridicolo. Billy Batson infatti è abituato alla povertà e anche con i poteri di Shazam, più che fare il supereroe, cerca di guadagnarsi da vivere con balli e selfie a pagamento. Non ci sono nel film profondi buchi di trama, sebbene alcune scene lascino interdetti sulle scelte del protagonista, che sembra “istupidirsi” non appena apprende il concetto di famiglia. Difatti, ci troviamo davanti un film per famiglie, in cui l’affezione tra fratello, sorella e genitori fa da netto contrasto con la solita moda del supereroe che vuole lasciare il mondo all’oscuro della propria esistenza.

COMMENTO

Per quanto riguarda la parte iniziale del film, possiamo forse fare una piccola analogia con Spider-Man: Homecoming. Simile è l’atteggiamento di apprensione alla scoperta dei poteri in Peter Parker e Billy Batson ed entrambi contano su una spalla. Per Billy l’aiuto dell’amico “nerd” Freddy è fondamentale per comprendere quell’universo supereroistico che non conosce a fondo. Ricordiamoci, infatti, che il mondo in cui il film si sviluppa è condiviso con Superman, Batman, Wonder Woman… e ci sono molteplici riprove all’interno della pellicola stessa.

Tasto dolente è rappresentato dal villain. Non ci troviamo di fronte a un nemico di grande spessore, la sua storia è simile a quella di tanti altri e forse egli pecca di infantilità, anche più del protagonista stesso, che però ha quindici anni. Una visione estesa della storia originale del Dottor Sivana avrebbe sicuramente dato al personaggio una dimensione migliore rispetto a quella del burattino presente in questa versione cinematografica, ma il dado è tratto.

COMPARTO TECNICO

Nonostante il film duri poco più di due ore, avvengono dei salti in avanti nella storia poco congrui: il montaggio avrebbe potuto essere migliore. Alcune scene sono per lo più inutili e di puro intrattenimento ludico. Tuttavia, Shazam! non pecca di lentezza e ciò rappresenta comunque una grande differenza rispetto ad altri film del DCEU che invece sono sia di fama che di fatto molto più pesanti.

Buoni gli effetti speciali: l’altissima saturazione del costume (che riproduce la versione originale del 1940) non urta gli occhi, ma rende l’idea di supereroe fuori contesto. La colonna sonora è tipica del film di supereroe, con alcune citazioni sia nelle scene che nelle musiche a Superman e agli altri eroi DC. È possibile notare, un po’ come in Teen Titans Go, la presenza di moltissimi easter eggs e citazioni alle altre testate fumettistiche. Fate attenzione quindi ai poster, alle magliette del co-protagonista e ai dettagli per trovare qui e lì riferimenti acculturati.

IL PUNTO

Se dovessimo piazzare Shazam! su di una scala nella vita della DC, potremmo constatare che qualche gradino è stato risalito. C’è da dire che in ogni caso più in basso non si poteva andare! Non mi fa sperare in un cambio di registro della DC riguardo il mood delle sue pellicole: i personaggi stessi della casa editrice (almeno quelli di punta) sono per lo più tetri e molto seri e questo gioca e giocherà sempre un ruolo importante nell’elaborazione delle sceneggiature.

Tuttavia, sento di essere speranzoso, forse una luce s’è accesa e possiamo risalire dal seminterrato da incubo in cui la DC ci aveva fatto sprofondare.

Daniele Ferullo

Note D’Artista al via – Fino al 5 aprile omaggio ad Alfonso Rendano

Si è svolta nella giornata di oggi all’ISS Lucrezia Della Valle la conferenza stampa per Note D’Artista.

Evento dedicato alla memoria di Alfonso Rendano che coinvolge molte delle realtà culturali ed artistiche della città di Cosenza, Note D’Artista è organizzato dall’associazione Gommalacca Factory e patrocinato dal Comune di Cosenza. La cinque giorni di manifestazione pone al centro della sua programmazione i luoghi e la conoscenza storica dedicati al grande compositore di Carolei.

Durante la conferenza stampa si sono susseguite le dichiarazioni di Dario Della Rosa, pianista di Brunori S.A.S, dell’assessore alla cultura della Regione Calabria Maria Francesca Corigliano, dell dirigente alla cultura del comune di Cosenza Gianpaolo Calabrese. Insieme a loro, il Professore del Conservatorio “S. Giacomantonio” di Cosenza Nicola Pisani, la Professoressa Gabriella Naso e la musicologa Antonella Barbarossa. Il punto in comune dei discorsi dei partner e degli ospiti è stato relativo all’importanza che eventi del genere hanno per la città e la regione tutta, in quanto riportano alla luce e alla conoscenza dei giovani la storia dei grandi artisti dell’hinterland e di come abbiano scalato la vetta fino alla fama nazionale.

“Voi sapevate, prima di oggi, chi fosse Alfonso Rendano?” ha esordito il maestro Nicola Pisani verso gli studenti presenti alla conferenza. “No” è stata la risposta univoca dei giovani adolescenti alcuni dei quali partecipanti al Workshop di Quirino Calderone organizzato in occasione dell’evento. Questa risposta è stata il fulcro dell’intervento dell’assessore Maria Francesca Corigliano che si è soffermata sull’importanza che progetti come Note D’Artista hanno per il territorio e per i giovani che attraverso queste iniziative possono venire a conoscenza del passato della loro terra.

L’evento si protrarrà fino al 5 aprile con la serata conclusiva che vedrà alle 19.00 Francesco Di Bella esibirsi nella Sala Quintieri del Teatro “A. Rendano” di Cosenza, un appuntamento intorno a cui ruoteranno diverse attività, tra cui uno spettacolo itinerante a cura del Parco Tommaso Campanella, un concerto in cui ascolteremo le sonorità di Alfonso Rendano mentre diversi illustratori tra cui Gianluca Gallo, Quirino Calderone e Roberta Cerise Bordone svolgeranno delle residenze d’artista.

Un concerto unico, quello di Francesco Di Bella, durante il quale il cantautore sarà accompagnato da Alfonso Bruno, storico chitarrista partenopeo, e dagli studenti del liceo musicale ISS Lucrezia Della Valle. Archi e fiati, pianoforte e voce, coordinati dal pianista Dario Della Rossa, creeranno delle sonorità uniche per ripercorrere i brani più celebri scritti dall’ex frontman dei 24 Grana.

Un evento da non perdere per tutti gli appassionati di musica che vogliono riappropriarsi di una conoscenza che si stava perdendo nel tempo.

Vi invogliamo quindi a partecipare ai tanti eventi e a visitare il sito dell’evento.

Qui, tra le altre cose, potrete trovare il programma completo.

Daniele Ferullo

[#NerdReview] Love, Death & Robots – Recensione

Love, Death & Robots è la nuova serie antologica animata sbarcata su Netflix questo mese.

Si tratta di episodi autoconclusivi di breve durata dal sapore fantascientifico e distopico, destinati a un pubblico adulto. Creatore dell’antologia Love, Death & Robots è Tim Miller, giè regista di Deadpool. Insieme a lui alla produzione David Fincher, la mente dietro Fight Club, House of Cards e Mindhunter.

Diciotto sono gli episodi di cui si compone la serie, arrivata su Netflix il 15 marzo. Ciascuno di questi, narrando una storia a sé stante, è di durata variabile, compresa tra i 6 e i 17 minuti. Per la sua stessa natura, Love, Death & Robots si presta a una sana sessione di bingewatching, che oserei definire compulsivo. Sì, perchè questo prodotto è così accattivante che si lascia divorare in breve tempo, saltando da un episodio all’altro senza soluzione di continuità.

E proprio riguardo la successione degli episodi, Netflix è stata sommersa dalle polemiche. Gli utenti, infatti, si sono trovati di fronte a quattro ordini differenti, tanto che la piattaforma è stata accusata di favorire una pratica discriminatoria, servendosi di informazioni personali degli utenti… che di fatto Netflix non può conoscere. Invece, la successione degli episodi è personalizzata, in base alla compatibilità con le preferenze degli utenti che la piattaforma streaming acquisisce con i dati delle visioni. Un test, insomma, per rendere più soddisfacente e personale l’esperienza.

L’ANIMAZIONE

Love, Death & Robots, come il titolo suggerisce, è una raccolta di corti animati di genere fantascientifico che hanno in comune tre tematiche: amore, morte, robots, sebbene questo trittico non sia sempre presente. Del resto, dovendo scegliere una parola per descrivere la serie, quella sarebbe: varietà. Una varietà che si dilata dal livello narrativo, sconfinando in quello grafico.

Infatti, il lavoro grafico della serie è, senza esagerare, eccellente e la rende un capolavoro dal punto di vista visivo. Ogni episodio è costruito con una tecnica differente: si passa dall’animazione giapponese vecchio stile a una di tipo occidentale contemporaneo, dallo stile animato sporco ammirato in Spider-Man: Into the Spider-Verse alla grafica videoludica, passando per un sapiente mix di attori in carne e ossa e mirabile cgi. Spesso, guardando gli episodi, il dubbio aleggia nella mente: ma saranno attori reali? E se un dubbio simile si palesa, la cgi non può che essere ottima. In alcuni casi, il realismo dell’animazione è notevole e l’alternanza con la tecnica del cartoon o la giustappozione tra i due mezzi non può che esprimersi in una piccola gioia per gli occhi.

FANTASCIENZA E CONTAMINAZIONI

I diciotto corti che compongono Love, Death & Robots esplorano l’universo distopico, proponendo in alcuni casi esiti in apparenza surreali che sembrano perfino sfociare nella risata spontanea. La fantascienza è qui mescolata con l’history drama, con il black humour, il soft porn e il fantasy, senza dimenticare la dimensione horror e splatter. In realtà, un sottile filo di umorismo, ora latente, ora esplicito, impregna gli episodi. Sta allo spettatore decidere se accogliere quell’amara ma sottile riflessione. Perchè, oltre la bellezza delle animazioni, oltre lo sviluppo delle storie, un velo di leggera angoscia cade sullo spettatore attento. Si gode della bellezza visiva dell’episodio e subito se ne ingurgita un altro, perchè la brevità spinge a volerne di più. E, così, quasi non si avverte la sensazione di disagio che ogni corto lascia, perchè “tanto non succederà, il futuro è ancora lontano”.

Quindi, io vi chiedo: “E se il futuro fosse oggi?”.

Le buone potenzialità che possano fare di Love, Death & Robots un piccolo capolavoro del genere fantascientifico ci sono tutte, ma è un dovere ammettere che il lavoro di animazione raggiunge risultati migliori rispetto allo storytelling. I corti sono quasi tutti adattamenti da racconti brevi di narratori contemporanei (Joe Lansdale, Alastair Reynolds e John Scalzi), ma quello che propongono assume il sapore del già visto. Bastino tre esempi di antecedenti. Innanzitutto, Black Mirror, di cui l’antologia sembra essere una sorta di controparte animata e breve. Poi, Ai confini della realtà che assume qui un gusto futuristico e cyberpunk. Infine Animatrix, lungometraggio del lontano 2003, che raccoglie nove corti animati ispirati a Matrix, in cui ciascun episodio è realizzato con una diversa tecnica d’animazione, dalla grafica computerizzata fino al cartoon tradizionale.

LA SCELTA DEL CORTO

Ciò che distingue Love, Death & Robots da altri prodotti del genere è la scelta del formato corto. La realizzazione dei cortometraggi non è semplice: bisogna concentrare la storia in un minutaggio minimo. E per storia s’intende una vera storia, che abbia un inizio, una fine, uno sviluppo e che soprattutto funzioni. Inoltre, è necessario costruire dei personaggi che in pochi minuti sappiano afferrare le corde dell’empatia nel pubblico, che si immedesimi oppure li condanni.

E, in tal senso, proprio la scelta del corto rappresenta per l’antologia Netflix un pregio ma anche un limite. Il pregio è l’aver avvicinato il pubblico a un tipo di pellicola che, perlopiù, è fruita da un pubblico di appassionati del genere. Pellicola che si colloca nel genere dell’animazione, sdoganando lo stereotipo che la vuole destinata ai soli bambini (un percorso che Netflix affronta già volentieri). Del resto, pur convenzionali, le storie che i corti raccontano sono godibili, fanno del loro meglio per attivare il meccanismo della riflessione umoristica. D’altra parte, optare per il corto ha fatto di Love, Death & Robots una preda ideale del bingewatching, alimentando quella fame chimica che stimola l’abbuffata, trangugiando gli episodi in un solo, lungo boccone.

I CORTI

I diciotti corti animati sono uniti da un filo conduttore: amore, morte e robots, anche se, come già detto, il trittico non è sempre presente. Molti di questi episodi sono adattamenti da racconti brevi di narratori contemporanei, per questa ragione non è l’originalità ciò che emerge dalla visione. Per quanto si tratti di racconti sconosciuti ai più, le soluzioni narrative messe in atto rispondono al criterio del già visto, a vantaggio della varietà di racconto e del lavoro grafico. Non mancano i plot twist inaspettati e, in alcuni casi, per quanto abbiano parvenza di definitezza, gli stessi finali lasciano uno spiraglio all’interpretazione.

Scene di nudo e sesso, combattimenti robotici, sequenze realisticamente crude,  sangue, violenza, scenari apocalittici, metafore, umorismo nero, sprazzi di riflessione filosofica: ecco cosa vediamo. In un mondo sfasciato, in città alla Blade Runner, nello spazio infinito, su pianeti lontani, razze e specie diverse, etnie differenti, robot senzienti convivono, s’incontrano e si scontrano e, sullo sfondo, aleggiano le domande che l’uomo da sempre si è posto su se stesso, sulla vita, sul suo posto nel mondo.

AMORE, MORTE, ROBOT… E POI?

Molteplici i temi toccati che, in un modo o nell’altro si riallacciano a quanto il titolo promette. Tre robot lancia, ammantata di comicità, una critica all’egoismo del genere umano, proiettato alla distruzione. Il dominio dello Yogurt avverte e ammonisce sulla tendenza umana all’annullamento e alla pigrizia. Buona caccia, gioiello steampunk, riflette su quanto la tecnologia soffochi l’essenza autentica dell’umanità. La notte dei pesci, corto dalla fotografia e dai colori sublimi, riflette con taglio onirico sullo smarrimento dell’individuo e sull’idea di morte.  Dolci tredici anni abbozza e lascia in stato embrionale il tema dell’umanità delle macchine. Abbonda la dimensione guerresca e militicare in questa fantascienza animata, a voler richiamare l’immaginario di Alien.

Alternative storiche, il corto più divertente, risponde al “cosa sarebbe successo se” proponendo morti bizzarre e surreali di Hitler. Oltre Aquila, la storia di una navicella finita fuori rotta, diviene una riflessione sulla speranza e sulle apparenze salvate a fin di bene. Su tutti, spicca Zima Blue, il corto più poetico e filosoficamente alto. Riflette sulla vita e sull’arte, sull’insoddisfazione di sè e sulla ricerca di una identità propria.

Nulla di innovativo, nei contenuti, ma l’impatto visivo e i messaggi che alcuni corti trasudano valgono la visione e fanno di Love, Death & Robots un prodotto di qualità.

P.S. A giudicare dalla quantità di mici presenti negli episodi, gli autori della serie devono amarli moltissimo… chissà, forse un giorno i gatti conquisteranno il mondo!

Francesca Belsito

Google Stadia, in arrivo la nuova “console” per giocare in streaming

Al GDC 2019, la Mountain View ha presentato per la prima volta Google Stadia. 

La nuova “console” per il cloud gaming permetterà agli utenti di giocare direttamente in streaming da pc, tablet, smartphone o tv senza l’ausilio di altri componenti, purché si disponga del sistema Google Chrome.

Con Google Stadia non ci saranno più hardware da posizionare vicino al televisore, o meglio non ci saranno fisicamente, infatti Google mette a disposizione degli utenti i terminali che elaborano il flusso di dati per il gioco in streaming, detti Stadia GPU. Questi “componenti” saranno dotati di un processore custom X86 da 2,7 Ghz con 16 GB di RAM e una potenza grafica di 10,7 teraflops.

La cosa più interessante però, da questo punto di vista, è che il giocatore una volta acquistato Stadia non dovrà più preoccuparsi di aggiornamenti hardware per tenere il passo delle altre console, infatti se ne occuperà Google dei vari upgrade. Ovviamente per godere a pieno del servizio streaming sarà necessario soddisfare alcune condizioni di connessione internet, infatti si deve disporre minimo di una connessione a 25 Mbps.

Ma la vera domanda che si pongono i videogiocatori è: quali giochi saranno disponibili per Stadia?

Ancora non si ha un vero “catalogo” dei giochi disponibili, ma sappiamo che alcune delle Software house che hanno stretto accordo con la Mountain View sono Ubisoft, id Software, Tequila e Q-games.

Infine (ma non meno importante) per quanto riguarda costi ed uscita non si ha ancora nulla di certo, Google non ha lasciato trapelare nulla al riguardo e molto probabilmente dovremo aspettare questa estate per maggiori informazioni.

Carmine Aceto

Roka presenta il nuovo singolo di Alberto Giovinazzo

CORIGLIANO ROSSANO (CS) – Produzioni, ormai affermata etichetta discografica calabrese, presenta un nuovo artista della propria scuderia.

Lui è Alberto Giovinazzo, classe 2002, proveniente da un piccolo paese della provincia di Potenza, San Chirico Raparo. Il singolo porta il titolo “Tra me e me”, e dà  voce a tutte quelle persone che, a causa delle circostanze territoriali e culturali non possono esprimere in pieno il proprio pensiero dal resto della gente.

A primo impatto sembrerebbe una tematica superficiale ma, purtroppo, essa è abbastanza diffusa, in particolare nelle piccole comunità e realtà chiuse.

Il  brano assume un carattere profondo, sia dal punto di vista testuale che da quello musicale: insieme essi rappresentano inizialmente la confusione e la difficoltà nel reagire ma nella parte conclusiva del brano le parole e la musica indicano chiaramente il continuare ad essere se stessi nonostante i giudizi altrui e le circostanze sfavorevoli.

Su Alberto

Alberto, grazie alla partecipazione ad un concorso locale, all’età di cinque anni,  viene invitato dai genitori  a coltivare un talento che mostra sin da subito e che ben presto diventa una passione vera e propria, fonte di felicità e di espressione d’animo.

Le  prime lezioni di canto arrivano nel 2012, nelle quali non sono mancati gli ostacoli che però gli permettono di maturare fortemente e di capire ben presto che il campo della musica non è poi così “raggiante” come appare, ma, temerario, prosegue il suo percorso, partecipando a concorsi di livello nazionale ed internazionale provando anche l’esperienza televisiva live e in studio;  continua a studiare canto ed  inizia ad acquisire tecniche di canto lirico applicate però al pop; ma  il genere al quale il giovane artista si sente legato è il cantautorato italiano che lo travolge con il suo fascino, con la purezza dei suoni e con la capacità di trasmettere temi profondi attraverso semplici parole.

Alberto inizia ad ascoltare i grandi della musica italiana quali Modugno, Guccini, Fossati, Mia Martini, De Andrè ma inizia anche ad interessarsi al genere musical e allo swing di Michael Bublè con un obiettivo principale che è alla base del suo essere artista: dare un’importanza particolare al testo.

Nel 2017 porta a compimento un progetto discografico con la creazione di quattro brani di cui tre inediti e uno edito. Da allora inizia a coltivare la passione per la scrittura come esigenza di espressione arrivando a scrivere, ad oggi, per la prima volta, un brano inedito di suo pugno in occasione del concorso “Area Sanremo Tour”, dove arriva tra i finalisti di Area Sanremo e  dove ha l’occasione di incontrare il team Roka Produzioni.

Ad oggi l’artista, nonostante la sua giovane età,  si definisce un “ infinito pensatore” perché non può far a meno di riflettere per sviluppare così un proprio pensiero e una propria personalità. Ed è proprio da queste riflessioni che nasce il brano “Tra me e me” che descrive il punto di vista attuale dell’artista , analizzando minuziosamente il mondo e la gente che lo circonda trovando quasi un senso di incompatibilità con essi.

Il brano, scritto dallo stesso Giovinazzo, e che vede le collaborazioni di Giuseppe Di Tella (Musica) e Ciro Barbato (Arrangiamento) è da oggi, disponibile su tutti i principali Digital Stores, e il videoclip, girato a Napoli da Roberto Aiena, è visualizzabile sul canale You tube di Roka Produzioni, Etichetta Discografica. Non ci resta che ascoltare e sostenere questo altro nuovo progetto. Buona musica.

Link you tube: https://www.youtube.com/watch?v=ny4HKwXwiG4