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La primavera di una donna araba inizia dalla danza del ventre

satin rouge 3(1)ROMA – Un 8 marzo originale è in programma al Cineclub Alphaville di Roma (Via del Pigneto, 283) dove a chiudere la rassegna Femminile/Plurale, domenica alle ore 21 per l’undicesimo incontro del ciclo I capolavori sconosciuti secondo Ugo G. Caruso verrà proposto il film Satin rouge (Francia – Tunisia 2002) della regista tunisina Raja Amari.

In effetti può sembrare  un tantino sorprendente “l’incursione” di Caruso in una ricorrenza come quello della Festa della donna, tanto da far  pensare che il cineclub diretto da Patrizia Salvatori abbia voluto prendere le distanze dall’ormai trita retorica femminista e dai soliti rituali a base di mimosa. Cosa c’entra con l’ 8 marzo un tipo come Caruso, campione come pochi altri di certa cultura maschile con quei suoi gusti  decisamente “virili” (l’avventura in tutte le sue declinazioni, il jazz, il calcio) oltre che per il suo stesso stile di vita e per la sua nota avversione a tutti gli “ismi”, femminismo compreso? Formatosi negli stessi anni in cui si affermava il movimento delle donne, il curatore della rassegna dei capolavori sconosciuti confessa la sua delusione nei confronti delle proprie coetanee, colpevoli secondo lui di non aver portato a termine il processo di emancipazione, ritornando nella prassi quotidiana a modelli tradizionali ma pretendendo invece l’attenzione e il rispetto dovuto a chi ha compiuto un radicale cambio di status. Una critica “da sinistra”, di vaghe ascendenze marcusiane secondo la quale le donne al di là di una deleteria imitazione dei peggiori comportamenti maschili, ormai dismessi dagli uomini più avvertiti, tipo la competitività sul lavoro o l’arrivismo sociale, partite inizialmente come un movimento di liberazione, sfociando nella contrapposizione col maschile delle frange più dure, hanno finito per divenire, loro malgrado, l’ennesimo movimento sessuorepressivo. Questa in sintesi la provocazione di Caruso, “politicamente scorretta” e insolitamente fastidiosa poiché non liquidabile come posizione maschilista tout court, bensì venata di un’intransigente misoginia “di sinistra” di marca libertina. Ce n’è, come si vede, per un dibattito al calor bianco. Si spera comunque che in nome dell’amore per il cinema di qualità, cinefile e cinefili ritrovino la concordia. Ed in effetti Satin rouge è un titolo che per motivi diversi potrebbe piacere ad uomini e donne, pur senza metterli d’accordo. Satin rouge racconta di Lilia, una giovane vedova che nella Tunisi odierna conduce un’esistenza dimessa dedita alla casa e alla figlia adolescente, Salma. Finché una sera, cercando di sapere qualcosa in più sul conto di Chokri, un percussionista che frequenta la figlia, scopre un mondo affascinante a lei sconosciuto fino a quel momento, il cabaret “Satin rouge” dove si svolgono spettacoli di danza del ventre. Dapprima, per i suoi atavici timori, cerca di fuggirne ma poi grazie all’incoraggiamento di alcune ballerine, si farà coinvolgere sempre di più. In questo modo riscoprirà la sua femminilità prorompente a lungo mortificata e si riapproprierà della giovinezza non vissuta. Ma andrà oltre, sfidando la rigida morale corrente e rivendicando per sé il diritto all’erotismo nel finale così carico di allusioni da sconcertare anche un pubblico europeo. Vincitore del ventesimo Torino Film Festival, escluso invece dalla Biennale del Cinema arabo a Parigi, Satin rouge è stato censurato in Tunisia e resta un film scandaloso e inaccettabile per i rigidi dettami della cultura musulmana. Opera al femminile, fatto da donne, dove lo sguardo attinge direttamente al gusto muliebre, il pregevole è originale film di Raja Amari ha il suo punto di forza nella straordinaria delicatezza e sensualità della protagonista, la bellissima (come in tanti altri titoli) attrice palestinese Hiam Abbass, insuperabile archetipo di matura femminilità mediterranea.
Insomma, il film perfetto per attrarre uomini e donne nel segno del cinema di qualità e per dar luogo ad una celebrazione finalmente irrituale dell’ 8 marzo.