Archivi tag: Shame di Steve McQuenn

Falso Movimento presenta Shame di Steve McQuenn

In questo ottavo incontro de ‘La Versione’, di apertura del nuovo anno – in linea con la politica di ‘Falso movimento’ tesa a non appiattirsi su temi concilianti, puntando invece a porre interrogativi (più che a dare risposte) – ho pensato di osare… e così di sottoporre all’attenzione del pubblico del cineforum (sempre interessato e sensibile ai temi forti e disturbanti) una pellicola che non lascerà indifferenti, e della quale nella scorsa stagione (in talk show e salotti della tv generalista) se n’ è parlato in maniera fuorviante.

Si tratta di Shame – secondo lungometraggio del regista Stevie McQueen – il quale non è un film scandalo sul sesso (semmai, paradossalmente, sulla sua mancanza) , e non è neanche un film sul narcisismo del trentenne bello e ricco, bensì è un film sull’assenza, sulla solitudine, la disaffezione, l’alienazione.

Il regista, anziché spiegare le mancate emozioni (come farebbe un presuntuso maestrino), ci fa invece vivere, in una New York patinata ma sempre luminosa e affascinante, il senso di vuoto e di mancanza del protagonista, attraverso la forza e potenza visiva delle immagini e della fotografia, in una parola: il cinema (a cui si associano le incantevoli e consequenziali Variazioni di Goldberg di J.S.Bach).

L’attore feticcio di McQuenn (un perfetto e alienato Michael Fassbender, fratello putativo di Bud Clay di The Brown Bunny, incontrato nel nostro primo appuntamento de ‘La Versione’) è Brandon, un giovane e benestante, con un lavoro trendy, un super-attico a Manatthan; veste bene, è bello e affascinante, fa jogging, frequenta ristoranti e locali di lusso.

L’atmosfera (adattata ai giorni d’oggi) sembra quella di “American Psycho” dello scrittore Bret Easton Ellis , in cui Paul è uno yuppie, che veste Armani, va in palestra, si cura con creme, ma è alienato e solo.

I tempi sono cambiati, è l’era di internet, che da formidabile strumento di comunicazione e conoscenza, è diventato, specularmente, un mezzo di alienazione, che Brandon sfrutta appieno, passando ore (sia a casa che al lavoro) su siti porno, scaricando di tutto e di più.

Il suo mondo è caratterizzato dal sesso sui siti; e quando passa dal virtuale al ‘reale’ lo fa con delle prostitute o con rapporti occasionali.

McQueen ci consegna dunque l’archetipo dell’individuo post-moderno, il quale, privo di basi culturali solide (Brandon infatti non si interessa a nulla) e di fiducia nel mondo, è incapace di vivere sentimenti reali.

Brandon è appunto uno zombie, che vive la sessualità nel suo aspetto più tragico, in un interscambio tra virtuale e reale volto a determinare solo disaffezione, e mai appagamento (sia fisico sia spirituale); vaga per la città, agisce meccanicamente, non dialoga, non comunica, non ha amici, nè interessi; esemplificativa è la scena di mancato sesso con una affascinante collega: non essendo virtuale e non essendo una prostituta, c’è la possibilità/rischio di aprirsi all’altro… e Brandon quindi fugge, così come fugge dal rapporto con la sorella Sissy (la Carey Mulligan di Drive, la ricordate?), che irrompe nella sua vita, chiedendo ospitalità.

Ma anche con la sorella, Brandon è incapace di intrattenere un rapporto reale; la rifiuta, le ripete che non può prendersene cura, la richiama alle sue responsabilità (pur sapendo che lui stesso non si è assunto la responsabilità più importante: affrontare l’esistenza)

L’approccio dei due è nettamente differente; ad un passato ingombrante (di cui non è dato sapere) rispondono, l’uno, attraverso un tenersi tutto dentro, che sfocia nel silenzio e in un sesso compulsivo, alienante e tutt’altro che poetico; l’altra per mezzo di gesti forti, grida, richieste esplicite di aiuto e comprensione.

I mondi dei due fratelli si toccano, ma non si incontrano; esploderanno entrambi, l’uno in senso fisico, l’altro sotto il profilo interiore (esemplificativa è una delle scene finali in cui l’espressione di Brandon, in un menage a troi sulle note di Bach, è di disperazione, anziché di piacere e godimento).

Shame – come anticipato – non è un film sul sesso.

E’ invece una pellicola sulla solitudine e sulla impossibilità di provare sentimenti; i movimenti meccanici dei rapporti sessuali, la fissazione per i siti porno e per i rapporti occasionali, sono solo un veicolo, non il tema (la disaffezione); tema che procede incessantemente e inesorabilmente – per mezzo del pedinamento dei gesti piatti e routinari di Brandon nei gironi infernali dello squallore – verso il suo epilogo: la doppia esplosione (di fratello e sorella), spunto forse (e si spera), di un nuovo inizio che magari cancellerà la vergogna (Shame) di non essere capaci di provare emozioni e sentimenti.