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Senso dei luoghi e coscienza della città. Occhiuto, Sgarbi e Teti su centro storico e dintorni

COSENZA – Prendi tre vecchi amici, sul Lungofiume, a parlare di arte, di storia, di centro storico, dell’importanza dei luoghi. Il noto critico d’arte Vittorio Sgarbi, neo assessore al centro storico, il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto e l’antropologo Vito Teti ieri sera insieme a discutere in maniera filosofica, leggera, conviviale sul senso dei luoghi nella coscienza di se e della Città, proprio come tre amici di vecchia data. IMG_20160721_012439Vito Teti, rilanciando una certa idea di Cosenza come metafora della Calabria, con i suoi due fiumi dal carattere fortemente simbolico, ha parlato dell’opportunità di rilanciare i piccoli borghi, sfruttando la carica utopica del passato: «La gente non ha più il mito della modernità. Vuole visitare le cose antiche e ha una certa coscienza del ritorno. Da questo assistiamo anche al ritorno dell’agricoltura». Il noto studioso però avverte: «So che mi danno del pessimista ma devo però dire che ci sono ormai dei paesi irrecuperabili. Dobbiamo quindi partire dai centri dove esiste ancora una certa vitalità. Centri che si sono salvati involontariamente per il mancato intervento di politici e studiosi. Il centro storico ha le potenzialità per attrarre le piccole comunità. Da qui la necessità di un progetto politico serio e duraturo, ma anche dell’impegno del singolo e delle associazioni». Nella diatriba fra il partito Alarico Sì e Alarico No, Teti sa bene da che parte stare: «Io sono per le botteghe si o le botteghe no».
Vittorio Sgarbi raccoglie gli spunti di Vito Teti, portando il discorso su Cosenza e sul suo centro storico: «Ci sono luoghi morti e luoghi che non lo sono ma che hanno in sè corpi morti, come Cosenza. Il centro storico cosentino era moribondo ma Occhiuto – che Sgarbi definisce un amministratore illuminato – gli sta dando un senso. Non possiamo fallire, fra cinque anni dobbiamo mostrare un volto nuovo del centro storico. Immaginiamo anche una Città degli artisti». IMG_20160721_012515

Più tecnica e pratica l’analisi del Mario Occhiuto architetto: «Quella della centro storico è una questione complessa con i suoi problemi di accessibilità e strutturali. Poi c’è un problema demografico dovuto ad anni di politiche attive che hanno portato all’abbandono. Il nostro obiettivo è invece quello di puntare su politiche attive di ritorno, a partire dal recupero dagli edifici pubblici, dalla valorizzazione delle risorse esistenti per creare delle attività, come noi abbiamo fatto con il Crati e con il Busento e i loro ponti storici». Il primo cittadino insiste sulla necessità di riqualificare e recuperare il centro storico, inteso come dimensione romantica e identitaria di un luogo, e di valorizzare la leggenda del tesoro di Alarico come risorsa turistica per Cosenza, divenuta terzo centro calabrese per numero di visite dopo Tropea e Reggio. «Installeremo la statua di Alarico a cavallo sulla confluenza dei due fiumi», dichiara il sindaco che a differenza di Sgarbi, come noto del resto, sul celebre bottino ha la sua idea: «Sono convinto che il tesoro ci sia». Ai posteri l’ardua sentenza. Agli artisti dei BocsArt il compito di chiudere la serata.IMG_20160721_012544

 

“Piccole storie di periferia”: a Vibo la presentazione del nuovo libro di mons. Luigi Renzo

VIBO VALENTIA – Il prossimo 6 giugno alle 18 presso il Polo Culturale Santa Chiara sarà presentato il volume “Piccole storie di periferia”, ultima fatica di mons. Luigi Renzo, edita da Rubbettino. A conversare con l’autore saranno l’antropologo e docente dell’Unical Vito Teti e Antonio Cavallaro, responsabile dell’Uffico Stampa Digital presso Rubbettino. Il racconto del libro nasce dal desiderio di rivisitare luoghi e situazioni di un vissuto lungo anno, attraverso la selezione di quattro “piccole storie di periferia”. Obiettivo del volume, dunque, è quello di costituire un punto di partenza, uno stimolo per un recupero della coscienza civica, il cui filo conduttore resta un grande amore per la Calabria, poichè oggi più che mai si rischia di smarrirsi.

 

 

Laurea ad honorem a Satriani, incontro tra antropologia e letteratura

RENDE (CS) Oggi, presso l’University Club si è tenuta la cerimonia ed il conferimento della Laurea ad Honorem in Filologia Moderna a Lobardi Satriani, importante politologo ed antropologo calabrese. Celebrazione ricca di emozione e ricordi nei confronti di colui che ha rappresentato uno dei pilastri dell’Università di Arcavacata, prima ancora che per lo sviluppo delle discipline antropologiche. Il Magnifico Rettore, Gino Mirocle Crisci, ha dato avvio alla celebrazione, commosso anche lui davanti a uno dei padri fondatori dell’Università. Il Direttore del Dipartimento degli studi Umanistici, Perrelli, ha preso poi la parola, parlando dell’evento come di “una giornata che conclude un ciclo“: il Professore Satriani è stato Preside di Lettere e Filosofia e con lui si chiude un cerchio importante nella vita della nostra Università. Tra i diversi argomenti trattati dal Professore Satriani, nota Perrelli, il tema più forte è sicuramente quello delle tradizioni popolari e la Calabria descritta dall’autore è sicuramente una terra diversa rispetto a quella odierna. Il Professore vibonese rappresenta una stagione gloriosa della Struttura rendese ed il conferimento della laurea non rappresenta soltanto un riconoscimento al suo lavoro ma è soprattutto un monito, un esempio da seguire e perseguire.

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L’intervento del Professore Perrelli è stato un momento per rivivere il passato di un mondo accademico che è stato partecipe di un forte cambiamento, mutamento che ha portato ad Ingrandire la Struttura e ad accogliere molte più facoltà ma che sicuramente rappresenta una Realtà diversa rispetto a quell’Università piccola e forte che era prima.  L’importanza di Satriani all’interno dell’intero panorama accademico è rappresentata dal suo modello antropologico che prevede la collaborazione dei diversi saperi. In un momento in cui i saperi si sono frantumati, l’interdisciplinarità rappresenta un grande punto di forza. Il secondo intervento è stato tenuto dal Professore Vito Teti che, allievo di Satriani, ha mostrato entusiasmo e commozione nel poter essere partecipe di questa gioia. Parole ricche di emozione e compiacimento hanno aperto un discorso che è partito dal passato e dai ricordi che fanno capire cosa abbia potuto significare la figura del docente nell’educazione antropologica del Professore di Etnologia.

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Satriani non è soltanto un professore noto per i corsi di Antropologia ed Etnologia tenuti in Calabria ma la sua fama è conosciuta in ambito internazionale. Il professore Teti ha tracciato poi alcuni punti chiave del lavoro di Satriani.

In un’epoca in cui si parla di essere nel posto giusto al momento giusto, il punto di forza del Professore è stato “l’attardamento”. Dopo circa un cinquantennio dal suo lavoro ci si rende conto che Satriani aveva ragione, le sue teorie sul Folklore rappresentano un elemento importantissimo all’interno del panorama antropologico. Nell’era del digitale e della globalizzazione ci si è resi conto di come in realtà la cultura popolare debba essere reinterpretata come elemento di contestazione. Un altro elemento cardine è il passato come utopia e come punto di riferimento; significativo in questo senso “Il Ponte di San Giacomo”, opera che mostra come il Cordoglio non debba essere considerato come qualcosa di frammentario e da escludere ma come una rivendicazione di un’alterità. L’utopia nella sua opera non è da intendersi come qualcosa di inarrivabile  bensì come isole di intimità in posti di sofferenza.

Satriani non è solo un antropologo importante, è stato Senatore e Presidente di importanti battaglie per la nostra terra. Siamo davanti alla visione anti-accademica di un accademico: “l’antropologo deve prendere parte quando è necessario“. Satriani è  (come direbbe Gertz) un antropologo autoriale, è un interprete della letteratura e come tale porta con sé una responsabilità: prendere la parola dell’altro significa farlo in maniera scientifica e umana. Vi è una forte correlazione tra letteratura e antropologia, non esiste una grande letteratura che non abbia uno sguardo sull’uomo. L’antropologia di Satriani è Autobiografia, l’inquietudine dello studioso corrisponde all’inquietudine di una terra. Gli interventi si concludono con la Laudatio del professore Librandi che ha mostrato come l’opera dell’autore abbia favorito una nuova concezione critica della cultura popolare. Quello che oggi viene dato per scontato è frutto di un lavoro difficile compiuto da molti studiosi. Satriani è partecipe di questo processo grazie al suo invito ad essere curiosi e alle sue ricerche sulle tradizioni. “Un mondo senza storia” viene rielaborato in un complesso di tradizioni, ad ogni cultura viene ridata la sua dignità.

Successivi al conferimento della Laurea, i ringraziamenti di Satriani, che conclude la giornata con i suoi ricordi e la sua gioia nell’aver ricevuto un tale riconoscimento. Dopo aver ricordato un passato ricco di confronti importanti, il Professore ha confessato con la sottile ironia che lo contraddistingue di aver avverato dopo 50 anni il sogno di potersi laureare in Lettere. Satriani, riprendendo le presentazioni fatte, afferma l’importanza degli incontri: la storia e la biografia di una persona sono frutto di ciò che ci lasciano le persone incontrate. L’antropologia  dev’essere un’antropologia sentimentale ma anche un’antropologia che assuma la pluralità dei linguaggi e delle diverse tecniche di veicolazione: si può comunicare in maniera diversa. La comunicazione cambia, i confini tra identità e alterità cambiano e l’antropologo non può non tenere conto di queste cose. L’antropologia per Satriani dev’essere una disciplina che aiuti al rispetto della propria e altrui identità. Un’antropologia che tenti di cercare l’oggettività, che tratti l’uomo come fine e non come mezzo, uno sguardo sul mondo che rifiuti la subalternità: antropologia del Tu, del Noi, dell’Io, che si faccia carico del mondo e dei sogni dell’uomo.

Concetta Galati