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Arresti Rende, i magistrati: “Minate le regole democratiche”

CATANZARO – “Un sistema fortemente inquinato dalla criminalità organizzata, un’amministrazione pubblica piegata agli interessi del clan”. Così il procuratore facente funzioni di Catanzaro Giovanni Bombardieri ha sintetizzato il quadro emerso dall’inchiesta che ha portato all’arresto di dieci persone tra politici e affiliati alla cosca di ‘ndrangheta Lanzino-Ruà, egemone in provincia di Cosenza. I particolari dell’operazione sono stati resi noti durante una conferenza stampa cui hanno partecipato, oltre a Bombardieri, l’aggiunto Vincenzo Luberto, il comandante provinciale dei Carabinieri di Cosenza, col. Fabio Ottaviani, e il maggiore Michele Borrelli. L’inchiesta, condotta da Luberto e dal pm Pierpaolo Bruni, si è avvalsa di intercettazioni telefoniche e ambientali, dichiarazioni di alcuni collaboratori e racconti forniti da soggetti interni al Comune di Rende, funzionari e politici, sentiti dagli inquirenti come persone informate sui fatti. Ciò avrebbe consentito di ricostruire “la sistematicità di condotte illecite” in un periodo di tempo che va dal 1999 al 2014. I politici coinvolti avrebbero garantito, in cambio di voti, concessioni, appalti e assunzioni agli esponenti del clan Lanzino-Ruà. Al centro del “sistema Rende” vi sarebbe stata la cooperativa “Rende 2000”. “La coop – ha detto Bombardieri – era completamente in mano alla cosca, tanto che parte delle retribuzioni veniva versata nella ‘bacinella’ per le spese del clan”. L’ex sottosegretario al Lavoro Sandro Principe, anche dopo aver lasciato il ruolo di sindaco, avrebbe continuato a “influenzare fortemente l’agire dell’amministrazione”. Vittorio Cavalcanti, che lasciò prima della fine del mandato la poltrona di primo cittadino, “ha riferito – ha detto Bombardieri – delle forti pressioni subite da parte di Principe, che voleva continuare a dirigere l’amministrazione convocando autonomamente i funzionari e addirittura impendo al sindaco in carica di prendere la parola in un dibattito pubblico. Le ‘regole rendesi’ dovevano continuare a essere rispettate”. Bombardieri ha poi citato l’intercettazione in cui Cavalcanti, sfogandosi con la moglie per i continui interventi di Principe, esclama: “Mi dice che devo fare il sindaco e non il procuratore. Vorremmo – ha aggiunto il procuratore – che i sindaci facessero le persone oneste e che si occupassero del bene comune dei cittadini in modo da evitare l’intervento della magistratura”. Di “mercificazione del pubblico” ha parlato Luberto. “Ci sono conversazioni – ha detto – che offrono uno spaccato terribile della frustrazione dell’interesse pubblico. Le assunzioni venivano gestite in collusione con il clan, i manifesti elettorali venivano affissi dai lavoratori socialmente utili delle coop coinvolte nell’inchiesta. Questa è stata la realtà di Rende”. Soddisfazione per l’esito del lavoro investigativo è stata espressa da Ottaviani. “Questa indagine – ha detto – va a svelare l’atto più grave che possa commettere la criminalità organizzata, quello di minare il diritto dei cittadini a governarsi secondo le regole democratiche”.

Locri, interdittiva per un magistrato del tribunale

LOCRI (RC) – Agevolava alcuni professionisti, mediante l’assegnazione di consulenze oltre la percentuale consentita dalla legge. Per questo Luciano D’Agostino, magistrato in servizio nella sezione lavoro del tribunale di Locri, è stato raggiunto da un provvedimento di misura interdittiva di sospensione dalle funzioni, emesso dal Gip di Catanzaro e notificato dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria del capoluogo regionale. Le indagini, condotte dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, sotto la direzione del Procuratore aggiunto Vincenzo Luberto e del sostituto Fabiana Rapino, hanno rilevato anche alcune anomalie nella gestione di processi trattati nei confronti della società Equitalia. In tali circostanze, pur in presenza di interesse proprio, il giudice non si sarebbe astenuto dalla pronuncia di sentenze. Il provvedimento emesso nei confronti del giudice Luciano D’Agostino comporta l’effetto della sospensione dall’esercizio delle funzioni di magistrato e l’interdizione da tutte le attività ad esse inerenti.

Sparita la moglie del boss Michele Bruni

 (COSENZA)- Edyta Kopaczynska, moglie del boss Michele Bruni (deceduto nel 2011 per l’aggravarsi di un’ulcera gastrica sanguinante), sembra essere evaporata. Da una decina di giorni non si hanno più sue notizie e c’è subito chi scommette sul suo pentimento e sul fatto che abbia cominciato a “cantare” davanti ai pm Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni. La donna di origine polacca che parla il dialetto cosentino, condannata a sei anni per associazione mafiosa, avrebbe quindi deciso di passare nella squadra che combatte la ‘ndrangheta ? Secondo qualche osservatore la sua volontà di aiutare la giustizia è il frutto di uno stato di isolamento alimentato dalla morte del marito, del cognato Luca Bruni e del suocero Francesco Bruni (soprannominato “Bella-bella e fondatore della cosca). Soffocata e sofferente, Edyta Kopaczynska è sul punto di pentirsi ? La sua fedeltà sta vacillando? Ancora nessun commento dai Palazzi di Giustizia.

Il sindaco Mario Occhiuto vicino al magistrato Vincenzo Luberto nel mirino della criminalità organizzata

COSENZA, 16 LUG 2012 – “E’ con sgomento e angoscia che ho appreso del piano della criminalità organizzata di compiere un attentato contro il magistrato Vincenzo Luberto”.
Il sindaco Mario Occhiuto esprime a nome suo e della Giunta la massima vicinanza al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro da tempo nel mirino delle cosche, come emerso peraltro dalle ultime rivelazioni nei processi in corso.
“Le istituzioni – dichiara il primo cittadino – hanno il dovere di sostenere gli uomini e le donne che quotidianamente si impegnano in prima linea, mettendo a rischio la propria vita, per liberare la Calabria dai tentacoli della ‘ndrangheta che come un’ombra, spaventosamente, frena la crescita di questa terra, spesso vanificando gli sforzi di chi lavora per cambiare le cose. E’ soltanto in una società dove vigono rispetto, equità e regole che può esserci sviluppo. La lotta al malaffare, che trova sulla sua strada persone impegnate a combatterlo, deve essere una lotta comune di civiltà. Rivolgo dunque un sentito invito al giudice Luberto a non abbattersi poiché non è solo, proseguendo l’opera di bonifica morale che da anni porta avanti con grande orgoglio dei calabresi onesti”.