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Percentuali drammatiche dietro l’incremento della mortalità sul lavoro

unnamed (1)I numeri sono agghiaccianti e lo sono ancor più quando si rilevano le percentuali d’incremento della mortalità rispetto allo scorso anno. Perché se a marzo l’aumento delle vittime sul lavoro era pari al 4,4 per cento, nel mese di aprile si è arrivati a sfiorare il 14 per cento. Percentuali drammatiche dietro alle quali c’è il tragico racconto delle vittime così come del dolore delle loro famiglie; e sono 223 i lavoratori che hanno perso la vita da gennaio ad aprile di quest’anno contro i 196 nello stesso periodo del 2014; 305 contando anche i lavoratori deceduti in itinere (erano 269 lo scorso anno). Nitida e precisa la proiezione elaborata dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre – sulla base di dati Inail –in cui risulta evidente l’emergenza morti bianche in occasione di lavoro soprattutto nel Nord del Paese con la Lombardia che fa registrare 37 vittime e il Veneto 24. Sul podio purtroppo, però, trovano spazio anche il Centro e il Sud con la Toscana e la Campania, dove si sono verificati 19 infortuni mortali. Seguono la Sicilia con 17 morti sul lavoro, Piemonte e Lazio (16), Emilia Romagna (15), Puglia (12). Sono invece 8 le vittime rilevate in Umbria e in Abruzzo, 7 nelle Marche, 5 in Liguria, 4 in Basilicata, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Calabria e Sardegna.  Per quanto riguarda invece il rischio di mortalità più elevato rispetto alla popolazione lavorativa, il dato più sconfortante giunge dall’Umbria con un’incidenza di 22,3 ed è più che doppia rispetto alla media nazionale di 9,9. Seguono quindi: Basilicata (22,2) e Abruzzo (16,3). Sopra la media nazionale stanno anche il Veneto, la Toscana, la Campania, la Sicilia, la Puglia, le Marche. L’11,2 per cento degli incidenti mortali si è verificato nel settore dei trasporti e magazzinaggi, il 10,8 per cento nelle attività manifatturiere, il 10,3 per cento in quello delle costruzioni; il 7,6 per cento nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione autoveicoli e motocicli. La fascia d’età più colpita è quella compresa tra i 45 e i 54 anni con 80 vittime su 223. Le donne che hanno perso la vita nei primi quattro mesi dell’anno in occasione di lavoro sono state 13 (6 in più rispetto a marzo). Gli stranieri deceduti sul lavoro sono 33 pari al 14,8 per cento del totale.  A livello provinciale la capitale a guidare la triste classifica con 12 morti bianche, seguita da Milano (11), Treviso (8), Bari (7), Perugia (6) Benevento, Varese, Cuneo, Palermo, Salerno, Brescia e Ravenna (5).

Sono 1515 le vittime sul lavoro in tre anni

MESTRE (VE) – Nel 2013 in aumento le morti dovute al ribaltamento di un trattore, 40 vittime in più rispetto al 2012. Intanto nella maggior parte dei casi di morte per caduta dall’alto – e in base alle informazioni disponibili – i lavoratori non avevano indossato dispositivi di protezione individuale adeguati.

“Più di 1500 vittime del lavoro negli ultimi tre anni sono un bilancio davvero drammatico, ma ci auguriamo che i numeri che raccontano l’emergenza nel nostro Paese diventino uno strumento in più per indirizzare le politiche nazionali e regionali ad adottare provvedimenti maggiormente efficienti per la sicurezza dei lavoratori. Soprattutto nelle aree più a rischio, ovvero il Sud e le Isole”.
Mauro Rossato, Presidente dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro di Vega Engineering esordisce così nella presentazione del Rapporto Triennale Morti Bianche che raccoglie tutti i dati degli infortuni mortali avvenuti nel territorio nazionale da Gennaio 2011 a Dicembre 2013.

Una mappatura dettagliata – 50 pagine corredate di grafici e commenti tecnici – in cui si rileva come a morire sul lavoro siano soprattutto i lavoratori più esperti. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli infortunati avevano un’età compresa tra i 45 e i 54 anni (354 vittime nel triennio) insieme agli ultrasessantacinquenni (346). Ed è proprio quest’ultima fascia d’età la più coinvolta dal dramma nel settore agricolo: nel 2013 il 48,6% dei lavoratori (101), 2012 il 43% (77 casi) e nel 2011 il 42,5% (93 casi).

La principale causa di morte in agricoltura è il “ribaltamento di veicolo/mezzo in movimento” (124 nel 2013, 84 casi nel 2012, 101 nel 2011), nello specifico, molto spesso si tratta del ribaltamento di un trattore con 119 casi nel 2013 (su un totale di 130 casi avvenuti per ribaltamento), 79 casi nel 2012 (su un totale di 97 casi), 97 casi nel 2011 (su un totale di 121).
Un aumento preoccupante e significativo sullo stato dei veicoli agricoli. “Spesso, infatti, gli incidenti si verificano a causa dell’inadeguatezza dei vecchi mezzi agricoli utilizzati per lo svolgimento dell’attività – segnala Rossato – mezzi che non sono stati sottoposti ad adeguamenti e alle più recenti indicazioni di settore”.

E a rischio è anche il settore delle “Costruzioni”, anche se in termini assoluti, ha subito una forte diminuzione dei casi nell’ultimo anno: 84 casi nel 2013, 120 casi nel 2012 e 122 nel 2011; ma è probabile che il decremento registrato sia dovuto alla crisi economica che ha colpito il mercato dell’edilizia.

La causa di morte più frequente in questo settore è la “caduta di persona dall’alto” (42 casi nel 2013, 64 nel 2012 e 61 nel 2011). E gli infortuni più numerosi sono conseguenti a cadute da altezza compresa tra 1 e 10 metri; confermando che non servono grandi altezze per morire e segno che non sono state adottate le misure di sicurezza previste per tale tipologia di lavoro.
“In base alle informazioni disponibili sulle morti per caduta dall’alto – precisa il Presidente di Vega Engineering – il lavoratore non aveva indossato dispositivi di protezione individuale adeguati. Questo fenomeno ha dimostrato la scarsissima attenzione ancora oggi posta alla corretta “progettazione” del lavoro in quota, il quale deve prevedere adeguate opere provvisionali e/o dispositivi di sicurezza di trattenuta al fine di tutelare i lavoratori”.

Le donne decedute sul lavoro nel 2013 sono state 19, mai così tante negli ultimi quattro anni; più che raddoppiate rispetto al 2012 quando erano 9.

Analizzando le modalità con cui si perviene all’infortunio mortale, è possibile rilevare spesso una grave carenza di cultura della sicurezza.
“Non è mai sufficiente ripetere che questo aspetto impatta non solo sulla sensibilità del lavoratore in merito ai rischi, ma anche e soprattutto sull’errata scelta delle modalità esecutive del lavoro (procedure) e, più in generale, – continua l’Ingegner Rossato – sulla non corretta progettazione del lavoro (per esempio, in merito alla scelta delle attrezzature adeguate, di idonei apprestamenti e di dispositivi di protezione), trascurando completamente la preventiva predisposizione di idonee misure necessarie a salvaguardare la sicurezza di chi opera”.
Per questo si invitano gli amministratori del nostro Paese e tutti gli operatori della prevenzione degli infortuni sul lavoro ad investire sulla continua formazione dei lavoratori, a tutti i livelli aziendali senza trascurare lo studio delle modalità con le quali si giunge all’infortunio per aiutare i tecnici impegnati nella valutazione dei rischi e nella riduzione degli infortuni.