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Vittorio Cappelli, La Belle époque italiana di Rio de Janeiro

Non erano molti o di gran valore i bagagli che ad ogni partenza i meridionali portavano dietro seguendo le rotte migratorie oltre oceano. Molto più prezioso era invece il «bagaglio umano» che periodicamente lasciava il Mezzogiorno d’Italia per emigrare alla ricerca di fortuna. Il desiderio di riscatto, unito alla speranza di costruire un futuro migliore, portò questo oceano umano di calzolai, marinai, venditori ambulanti, sarti, piccoli commercianti e liberi professionisti a partire verso il loro personale El Dorado e a lasciare, tracce profonde nel tessuto economico e socio-culturale dei paesi oggetto della loro emigrazione, come ad esempio il Brasile. Questa è la storia che ci racconta Vittorio Cappelli nel suo ultimo lavoro La belle époque italiana di Rio de Janeiro. Volti e storie dell’emigrazione meridionale nella modernità carioca. Una storia fatta di tante partenze, ma anche di esemplari figure di meridionali, che onorarono il loro paese all’estero. Fra questi Antonio Jannuzzi originario di Fuscaldo il quale costruì una buona parte di Rio de Janeiro e Pasquale Segreto, noto come il «ministro del divertimento». Già nel primo ventennio dell’Ottocento a Rio de Janeiro viveva una piccola colonia d’italiani a cui nel 1820 si aggiunse un gruppo di deportati proveniente dalle galere napoletane che in seguito «vissero agiatamente col commercio o con qualche mestiere» e «oltre trenta [di loro] fecero tanta fortuna da essere considerati ricchi negozianti» (p. 9).

Leggere la storia del Brasile tra gli anni che vanno dal primo ventennio dell’Ottocento all’unità d’Italia, significa per molti aspetti, anche rileggere una pagina interessante della storia politica, economica e culturale del Regno delle Due Sicilie. Il matrimonio di Teresa Cristina di Borbone, sorella di Ferdinando II, con d. Pedro II, coronò infatti anche dal punto di vista dinastico questi legami. Il suo viaggio in nave da Napoli per Rio de Janeiro durò ben tre mesi. L’imperatrice napoletana nella sua nuova patria «manifesta qualità culturali insolite per una donna, nel mondo aristocratico di quel tempo. Ella mostra, infatti, precise competenze musicali […] grande competenza e vivo interesse per l’archeologia» (p. 14). A lei si deve la formazione a Rio de Janeiro della maggiore collezione archeologica classica di tutta l’America Latina formata da circa 700 pezzi. Se la storia di Teresa Cristina di Borbone in Brasile può sembrare eccezionale, per il fatto che ella appartenesse alla dinastia regnante, le storie di Pasquale Segreto e di Antonio Jannuzzi parlano la vita quotidiana di migliaia di emigranti nelle «altre Americhe». Il primo originario del Cilento, emigrato a Rio dal 1883, era arrivato in Brasile adolescente «senza un soldo e vivendo di attività ed espedienti più o meno illegali» (p. 46), lo lasciò a 52 anni, per il sopraggiungere della sua morte, su una carrozza di prima classe in stile Luigi XV. Per circa un quarantennio Pasquale Segreto, il «fabbricante di allegria», il «ministro del divertimento», con le sue iniziative sociali, fatte di scommesse, lotterie, case da gioco, di cafè chantant, cinema e teatri, caratterizzò la belle èpoque tropicale a Rio de Janeiro. La sua morte ci fornisce però elementi sufficienti per individuare un’ascesa sociale che l’adolescente, senza un soldo, del piccolo borgo di San Martino, vicino al comune di Laureana Cilento (Salerno), era riuscito a costruirsi nella grande Rio de Janeiro.

Antonio Jannuzzi era invece di Fuscaldo e aveva raggiunto il Brasile qualche anno prima di Segreto, nel 1874, dopo una breve permanenza in Uruguay. Quella di Antonio Jannuzzi è la storia di una famiglia che emigra, vari fratelli e zii, anzi di una comunità Fuscaldo che «in solo dieci anni […] perde malgrado l’alto tasso di natalità, un migliaio di residenti, pari all’11%» e che coinvolge anche «i centri vicini, da Paola ad Acquapesa, […] San Lucido» (pp. 62-63). In Brasile il capomastro di Fuscaldo, insieme al fratello Giuseppe, costruì una solida impresa di costruzioni con un capitale di 200 contos de reis, guadagnandosi la «stima dei più importanti architetti e costruttori» (p. 65). La sua ascesa sociale non fu certo una passeggiata, sarà intervallata infatti da «grandi successi e gravi disastri», che non impediranno però ai Jannuzzi di affermarsi tanto che sarà ricordato come «l’italiano che ha costruito mezza Rio de Janiero».   Il libro di Cappelli che rappresenta un nuovo contributo agli studi sull’emigrazione italiana nelle «Americhe», ci racconta una storia diversa dell’emigrazione meridionale che spesso nel nostro immaginario è fatta solo di disperazione e stenti, ma che per molti rappresentò il momento della rinascita. Oggi si parla di “fuga di cervelli”, ma il presente richiama in talune congiunture il passato in cui si rispecchia e che aveva come protagonisti altri membri delle stesse famiglie: «i mericani».

Nello stesso tempo è un libro che invita lo studioso, il turista o il semplice cultore di storia in visita a Rio de Janiero a leggere tra le pietre dei palazzi e delle chiese, le “firme” di tanti calabresi come i Jannuzzi o di ascoltare, tra i vicoli delle grandi strade carioche, i dialetti di altrettanti meridionali come il cilentano Segreto. Storie, che con questo libro rivivono.

Giuseppe Ferraro

Annalisa Alvisio