Strage Capaci,che il ricordo servi a costruire una società basata sul rifiuto della mafia

CATANZARO –  Nel giorno dell’anniversario  della strage di Capaci,in cui vennero uccisi dalla mafia il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo ed i poliziotti della sua scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani,è doveroso dedicare un ricordo a tutte le vittime della criminalità, ai magistrati, alle forze dell’ordine, a tutti coloro che hanno sacrificato il bene supremo della vita nell’adempimento del dovere. La memoria, però, non deve essere una pur doverosa celebrazione di quei Servitori dello Stato che hanno sacrificato il bene supremo della vita per l’affermazione della Giustizia e della Legalità, ma deve servire alla costruzione continua di una società in cui vedere affermati i valori del rispetto delle regole, della responsabilità, del rifiuto della mafia e delle sue logiche di violenza e di prevaricazione. Tra la primavera e l’estate del 1992 la criminalità ha spazzato via con il tritolo le vite di uomini e donne che hanno creduto fino in fondo che fosse possibile realizzare un futuro migliore da consegnare alle giovani generazioni. Uccidendo Falcone, Borsellino, uomini e donne delle scorte – voglio citare Emanuela Loi, prima donna assegnata a quel tipo di servizio – la criminalità ha soprattutto cercato di soffocare ogni speranza di rinascita per terre come quelle del nostro Sud, tanto baciate dal sole quanto oscurate dalla coltre di una criminalità che insanguina le strade, avvelena il territorio, sfregia tutto ciò che c’è di bello, consuma ogni risorsa, brucia ai nostri giovani le opportunità di realizzare i propri sogni mettendo a frutto i loro talenti, le loro competenze, le loro energie. Ecco allora che la memoria serve a parlare a quei giovani con il solo linguaggio credibile: quello dell’esempio. L’esempio di magistrati, di appartenenti alle forze dell’ordine e, perché no, dei tanti amministratori onesti che, compiendo il proprio dovere senza piegarsi alle intimidazioni e ai ricatti e senza accettare compromessi e connivenze, rappresentano il primo baluardo contro la pervasività della criminalità in ogni aspetto della vita quotidiana della comunità. Tenere acceso il fuoco della memoria oggi è doveroso, non soltanto perché molte verità sulla stagione delle stragi sono ancora da scrivere e vanno dissipate le ombre su inaccettabili coinvolgimenti di pezzi infedeli dello Stato. E’ doveroso perché la guerra contro chi difende la legalità, la convivenza civile, la democrazia nel nostro Paese non è ancora consegnata alla storia, ma è una realtà quotidiana. Una guerra forse meno eclatante ma certo non meno preoccupante, fatta di minacce, di tentativi di condizionamento, di violenza e di disprezzo per chi veste una divisa, per chi è chiamato a difendere la legalità e la sicurezza dei cittadini, per chi in qualunque altro ruolo – amministratore, imprenditore, professionista, semplice cittadino – si schiera contro la criminalità e ogni forma di ingiustizia.  La lotta alla mafia non può essere delegata soltanto alla magistratura e alle forze dell’ordine, ma è un dovere quotidiano della politica, delle istituzioni, di ogni singolo cittadino.

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