‘Ndrangheta stragista, in aula emergono gli intrecci tra clan ed eversione nera

REGGIO CALABRIA – E’ proseguito dinnanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria – presidente Bruno Muscolo – l’esame, da parte del  Procuratore aggiunto della Dda Giuseppe Lombardo, del vice-questore in servizio alla Dia, Michelangelo Di Stefano, in ordine al duplice omicidio dei carabinieri Vincenzo Fava e Antonino Garofalo, assassinati in servizio il 18 gennaio del 1994 mentre erano di pattuglia nei pressi dello svincolo autostradale di Scilla (RC). Un duplice omicidio che è costata la condanna all’ergastolo in primo grado al boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano e al capo ‘ndrangheta di Melicucco, nella piana di Gioia Tauro, Rocco Santo Filippone, quali presunti mandanti, nel quadro di un più vasto progetto di destabilizzazione delle istituzioni statali ad opera dei servizi di sicurezza deviati, di logge massoniche spurie, di ‘ndrangheta e Cosa nostra.

Di Stefano, nel corso delle precedenti cinque udienze aveva parlato anche del progetto di fondazione del movimento Lega meridionale per l’Unità nazionale, ben visto da Cossiga, Andreotti, dalla P2 e dall’ex segretario dello Ior ai tempi di mons. Marcinkus, mons. Donato De Bonis. Sul tema aveva ampiamente reso testimonianza in primo grado il testimone di giustizia Antonio D’Andrea che si era avvicinato su sollecitazione di mons. De Bonis al progetto, per poi allontanarsene, rifiutandouna grossa somma di danaro per continuare a seguirne gli sviluppi politici. Michelangelo Di Stefano, sollecitato dalla domande del Pubblico ministero, ha ripercorso le attività e i contatti con ‘ndrangheta e Cosa nostra di noti elementi dell’estremismo di destra, come Pierluigi Concutelli e Stefano Delle Chiaie, individuati a Nizza, in Costa Azzurra, nel dicembre del 1975, pochi mesi prima dell’omicidio del magistrato romano Vittorio Occorsio, assassinato da Concutelli nel luglio del 1976.

L’investigatore ha inoltre ricordato che proprio a Nizza fu battezzato il figlio di Giuseppe Graviano, con una cerimonia celebrata all’interno dell’Hotel Meridien, sulla Promenade des Anglais. Nella stessa città , secondo l’accusa, gravitava il pregiudicato reggino Vittorio Antonio Canale, personaggio che avrebbe incontrato più volte nel carcere di Parma il boss di Platì, Domenico Papalia, in violazione del regolamento penitenziario.
 

Nel corso dell’udienza è stata ribadita la figura centrale di Antonino ‘Nino’ Gangemi, di Gioia Tauro, detto ‘u signurinu’ per l’eleganza nel vestire, di cui ha parlato ampiamente il collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio. Gangemi, ‘consigliere’ ascoltatissimo del defunto capostipite “Mommo” Piromalli, era uomo di riferimento di Cosa nostra nella Piana di Gioia Tauro. Alla sua morte, la sorella di Pippo Calò si recò a Gioia Tauro per chiedere al fratello Domenico di proseguire nel ruolo già svolto dal congiunto.

Il processo riprenderà il prossimo 30 marzo con il controesame delle difese

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