Al Teatro “A.Rendano” stravince la musica di Giuseppe Verdi

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5 DIC 201 1- Dopo una lunga e trepidante attesa, giorno 2 e 4 Dicembre, al teatro “A. Rendano” di Cosenza si sono riaccese le luci della ribalta.

Il Nabucco, terza opera di Verdi ma la prima che lo rese famoso nel mondo, ha inaugurato la 52esima stagione lirico-sinfonica del teatro, la prima targata dal direttore artistico Albino Taggeo nominato lo scorso Agosto.

Il tema prescelto, che caratterizza l’intera stagione lirica, è quello dell’Unità Nazionale; e la dimostrazione tangibile viene data non solo dall’opera stessa ma anche dalle note dell’Inno di Mameli, eseguito a sipario calato dalla neonata Orchestra semistabile, guidata dallo stupefacente Giovanni Pelliccia.
Novità assoluta di questa nuova stagione sono stati i sovratitoli presenti nella parte alta del sipario, un sussidio innovativo per permettere agli spettatori di seguire le parole del libretto di Temistocle Solera.

Sanguigna e volitiva l’interpretazione del soprano Francesca Patanè che ha rivestito i panni di Abigaille, dotata di una tecnica impeccabile e di una voce soave con grandi potenzialità soprattutto negli acuti.
Dominante e contemporaneamente struggente l’interpretazione dello statuario Carlo Guelfi (Nabucco), che nella prima parte dell’opera si è mostrato crudele ed arcigno, per poi riscoprirsi uomo comune con le sue paure e le sue debolezze.

Discreti e poco coinvolgenti Elia Todisco (Zaccaria) e Flaviano Bianchi (Ismaele), mentre Fenena, interpretata da Federica Bragaglia, è risultata quasi del tutto anonima; durante la rappresentazione, infatti, è stata spesso oscurata dalle due figure predominanti: Abigaille e Nabucco, ovvero il suo stesso padre.
Presenza interessante quella della cosentina Sarah Baratta che ha impersonato Anna, sorella di Zaccaria.
Protagonista per antonomasia di tutto il dramma è stato Il Coro del “Cilea” di Reggio Calabria, composto da sessanta elementi diretti da Bruno Tirotta, che ha impressionato il pubblico per l’equilibrio e la duttilità timbrica oltre che per un’indubbia capacità di amalgama vocale.

Il coro ha avuto la vigorosa abilità di condurre il pubblico in estasi durante l’esecuzione del “Va’, Pensiero”, tanto da indurre la sala gremita a richiedere un desideratissimo bis.
Deludente il corpo di ballo, non solo per la coreografia realizzata da Ilaria Dima e Antonio De Luca che è risultata scarna, ripetitiva e priva di pahos, ma anche per la scarsa qualità di movimento e per le carenti doti fisiche degli stessi ballerini.
Eleganti ed adeguati i costumi di scena realizzati da Francesca Pipi, magici i giochi di luce grazie a Giuseppe Ruggiero.
Fragorosi gli applausi da parte del pubblico a quest’opera ben rappresentata, grazie, soprattutto, alla regia del pugliese Luigi Travaglio che è riuscito a conciliare innovazione e tradizione.

Per concludere vorrei citare le parole della giornalista e storico della musica Pia Tucci: “Pur non essendo stato concepito con questo intento, possiamo dire che il ‘Va’, Pensiero’ è diventato il canto degli Italiani ”.

 Annabella Muraca

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