Italiani in Albania, Albanesi in Italia

Cosenza – Un nuovo monologo per gli appuntamenti del venerdì al Teatro Morelli, un nuovo monologo struggente, toccante, intimo portato in scena da Saverio La Ruina della compagnia Scena Verticale, un monologo che ricorda la storia di intere generazioni di Italiani intrappolati in Albania in un periodo a cavallo tra la fine della seconda guerra mondiale e l’avvento del regime dittatoriale.

Uno spettacolo ispirato a storie vere, storie strazianti di gente rinchiusa nei campi di concentramento e dimenticata per quaranta lunghi anni, storie rimaste lì tra filo spinato, baracche condivise, speranze spente da generali con “divise grigie e verdi che ricordano la merda”; storie consumate e mai raccontate, storie vissute tra torture e prigionia. Saverio La Ruina ha portato così in scena la storia di un popolo, la storia di gente nata nel posto sbagliato e calpestata, annichilita, defraudata per la sola colpa di essere Italiana.

Un album di volti da studiare, da spolverare, da ripetere a rotazione nella mente per non dimenticare chi, in quel campo, ha espiato la sua ingiusta pena a colpi di torture, sevizie, imposizioni e ricatti.

Gente diventata numero in quel campo di concentramento grigio e anonimo, gente figlia di un sistema di asservimento che non ha però annientato il desiderio di sognare, di immaginare

Saverio La Ruina, Foto di Angelo Maggio

l’Italia mai conosciuta, di dipingere la propria vita con colori vivi, sgargianti, luminosi; il regime dittatoriale ha lasciato una scia di terrore ma non ha annientato il desiderio di innamorarsi, di fare figli, di stringere amicizie vere e sincere.

Il campo di concentramento ha trasformato l’uomo in cosa ma non ha cancellato in lui la voglia di conoscere un padre di cui non ricorda nemmeno il volto, una patria portata nel cuore ma

mai avvistata, un senso di autonomia sempre assaporato, una voglia incontenibile di libertà, di sentirsi come i piccioni che volano in cielo e scelgono da sé la propria direzione e di essere, soprattutto, padroni di se stessi, cittadini del mondo anche correndo il rischio di essere definiti Italiani in Albania e Albanesi in Italia.

Si accendono le luci, si apre il sipario e si entra in un film mai visto ma nonostante tutto familiare, un film che va a ritroso per renderci partecipi di una tragedia immane e che per questo va centellinato come quando si beve un liquore troppo forte che brucia in gola, come quando si contano le gocce da diluire in acqua per evitare l’assuefazione. Sì un film da seguire “a sorsi”, da analizzare fotogramma per fotogramma per riconoscervi i volti dei nostri concittadini che potrebbero essere quelle dei nostri padri, delle nostre madri, dei nostri fratelli, dei nostri nonni.

Annabella Muraca

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