“La ‘ndrangheta davanti all’altare”: Chiesa complice o resistente?

GERACE (RC) – Un prete, un magistrato, un’archivista, due autori/editori. La cornice della Chiesa di San Francesco d’Assisi recentemente restaurata a Gerace e un tema insidioso su cui discutere. La fortuita coincidenza del 20° anniversario dell’uccisione di don Pino Puglisi. Questi gli ingredienti della presentazione del libro-inchiesta “La ‘ndrangheta davanti all’altare”, Sabbiarossa Edizioni, organizzata dall’associazione “Cultura e Tradizione per lo Sviluppo del Territorio” Onlus, in collaborazione con la trasmissione “Leggendo tra le righe” di Radio Touring 104 e il Comune di Gerace.

Un mix di voci ben assortite che ha saputo affrontare con chiarezza e lucidità il rapporto controverso e apparentemente impossibile tra Chiesa e ‘ndrangheta, analizzandolo secondo le diverse chiavi di lettura date da don Giacomo Panizza e da Nicola Gratteri, da Cristina Riso dell’archivio stop ‘ndrangheta e da alcuni degli autori, dalla musica e dalle parole del rapping&playing book di Mad Simon e Enzo de Liguoro.

“L’idea del libro – ricorda Paola Bottero, autrice ed editrice – nasce da una contaminazione, da un incontro organizzato proprio per confrontarsi sui confini esistenti tra potere mafioso e potere ecclesiastico. Confini in alcuni casi abbastanza labili”. Dalla figura carismatica di don Italo Calabrò e dalle sue parole nasce il dibattito, che si trasforma presto in analisi e in ricerca e prende la forma del libro. Un decalogo che alla luce dei dieci comandamenti racconta numerosi episodi di cronaca della storia malavitosa calabrese in cui la verità del Vangelo viene smarrita e travisata. Ma dalle pagine emerge anche l’operato dei buoni pastori che, come don Giacomo Panizza, don Ennio Stamile e don Pino Demasi, vivono nella propria quotidianità l’impegno di testimoni coerenti e coraggiosi.

“La Chiesa ha un ruolo fondamentale come avamposto di legalità – racconta Alessandro Russo, altro autore ed editore presente – e dimostrare con forza da che parte sceglie di stare è un elemento chiave per non correre il rischio di mandare messaggi sbagliati ai giovani”. Le parole forti possono fare paura ai mafiosi perché contribuiscono a far perdere loro potere e prestigio agli occhi delle comunità. E più delle parole possono le azioni di quei preti che si sporcano le mani per dimostrare concretamente il loro essere accanto a chi lotta, a chi denuncia, a chi imbocca la strada della giustizia. Cristina Riso ricorda ad esempio tutte le esperienze legate alle cooperative di lavoro sui terreni confiscati o la rete di associazioni cattoliche che hanno riempito le piazze di Reggio Calabria dopo la seconda guerra di ‘ndrangheta. Perché “è vero – secondo le parole di don Giacomo Panizza – che le comunità devono essere guidate da buoni pastori, ma è altrettanto importante che questi siano affiancati e stimolati quando serve da buoni cristiani. C’è da mettersi insieme, tutti.”

Un punto di vista a cui il giudice Gratteri prontamente ribatte, facendo presente alcune scelte a suo dire infelici della Chiesa, quali il ritardo nella scomunica della ’ndrangheta pronunciata da monsignor Bregantini, o la mancanza di una sola parola di condanna della criminalità organizzata tra quelle pronunziate da Benedetto XVI durante la propria visita pastorale a Lamezia Terme nel 2011. “Manca la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa”.

Una coerenza che deve essere ricercata ed auspicata non solo nella Chiesa, ma in ogni settore della società civile e delle istituzioni. Una riflessione che tocca ciascuno di noi e che deve essere ampliata e condivisa in ogni ramo delle nostre comunità. Non si può più chiudere gli occhi o far finta di niente. Non si può più delegare ad altri o esprimere sterili critiche. Il cambiamento viene dalle scelte concrete di ogni cittadino consapevole.

 

 

Mariacristiana Guglielmelli

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *