La passione per il calcio e la suggestione delle radiocronache nel nuovo romanzo di Scaramuzzino

REGGIO CALABRIA – Nel libro “Come quando ascoltiamo le partite alla radio. Storie di sport minuto per minuto” (SEI, Torino, pp. 210, Euro 12) Giovanni Scaramuzzino, calabrese di Roccella Jonica – da tempo nella squadra di “Tutto il calcio minuto per minuto” di Radio Rai – si mette alla prova come scrittore e va addirittura oltre, sorprendendoci nei panni di romanziere.

Dopo l’esordio con il particolare e avvincente “Fino all’ultimo chilometro. Il Giro d’Italia da una motocicletta” (Geo Edizioni), dedicato al grande ciclismo, qui Scaramuzzino spiazza l’ascoltatore, prima ancora del lettore, dando vita a una sorta di opera radiofonico-cartacea in più atti. È come se i protagonisti vivessero contemporaneamente le loro vicende e irrompessero sulla scena incontrandosi, sovrapponendosi, interrompendosi, completandosi e realizzandosi compiutamente proprio come il racconto in diretta di più partite alla radio. E gli stadi calabresi per una volta diventano una sorta di campo principale dell’opera evocando emozioni sempre suggestive.

Particolarmente indovinata, per esempio, la scelta di alcune figure portanti dell’opera: ecco un segretario scolastico che, grazie a una sciarpa a lungo tenuta riposta in un cassetto, riscopre, rivive e rielabora ricordi che si sublimano in un incontro che forse ha poco di casuale.

E poi il rapporto controverso, ma sempre speciale, tra genitore e figlio adolescente. Una storia delicata, suggestiva che si snoda tra le impalpabili onde radio e quelle ben più visibili del Mar Tirreno sul traghetto tra Toscana e Corsica.

Ma probabilmente il personaggio più intenso, controverso e drammaticamente più vero è Fabio, portiere di successo, che in una serata nebbiosa perde la strada di casa “rischiando” – invano, purtroppo – di ritrovare quei valori di uomo che un tempo l’avevano accompagnato, saldi e sicuri, prima di essere sacrificati sul volatile altare dell’effimero.

Il merito maggiore di Scaramuzzino è quello di essere riuscito, scrivendo, a fermare l’attimo e a fermare anche noi. Una sosta che ci “costringe” a riflettere, ma non una frenata brusca: un dolce rallentamento dopo che l’autore ha avuto l’accortezza di bussare e chiedere permesso.

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