More e Centro Antiviolenza Lanzino insieme per un “nuovo” teatro. Intervista a Dario De Luca

Dario De Luca di Scena Verticale

COSENZA – Il Progetto More è diventato un’isola felice, un’isola che c’è, un luogo di ritrovo in cui tutti “assorbono” la cultura viva e sana, è un piccolo isolotto che contiene un mondo tutto da scoprire, un pianeta che non smette mai di stupire, insegnare, affascinare. Ogni settimana la sala del Teatro More è gremita, si scorgono volti che ormai riconosci anche ad occhi chiusi, sono i volti di tutti gli affezionati frequentatori della “baldoria” culturale del venerdì sera.
Il 28 febbraio si darà inizio al terzo atto del More, nuova viscerale stagione in collaborazione con il Centro Antiviolenza Roberta Lanzino, nuovo cartellone e nuovi  spettacoli con tematiche di genere da analizzare, sminuzzare, sviscerare.
Ad indicarci il nuovo percorso da seguire Dario De Luca fondatore, insieme a Saverio La Ruina, di Scena Verticale.

Dario… sei attore, regista e drammaturgo con una serie di premi poggiati sulla tua scrivania. Come e quando nasce la tua passione per il teatro?
La passione è nata da ragazzino, grazie alla frequentazione costante del teatro sin da piccolo. I miei genitori e mio zio Umile (Umile Montimurro, responsabile amministrativo dell’allora Consorzio Teatrale Calabrese) mi hanno sempre portato a teatro, sia al Rendano che al Morelli – più tardi da solo conobbi anche il Teatro dell’Acquario – per cui il teatro è uno spazio che ho sempre vissuto con grande familiarità. Non ho mai subito il ricatto culturale di non capire quello che vedevo o di sentirmi  inadeguato. Certo ho visto tante cose inadatte o “pesanti” per un ragazzino, ma la magia del palco, di quelle storie vissute dal vivo,  hanno sempre vinto sulla possibile sensazione di noia che poteva sorgermi. Credo fortemente che abituare i bambini al teatro sia il miglior modo per appassionarli ad una forma d’arte senza pari.

Nel 1992,con Saverio La Ruina, hai fondato la compagnia Scena Verticale. Com’è nata questa collaborazione?
Ci incontrammo io e Saverio agli inizi degli anni 90. Tra la fine del 90 e l’inizio del 91. Io ero appena uscito dalla scuola di teatro del  Centro Rat-Teatro dell’Acquario e Saverio tornava ad avere un piede in Calabria dopo essere già stato in compagnia con Leo De Berardinis e Rem&Cap.  L’incontro avvenne poiché tutti e due fummo “precettati” per far parte di una compagnia che stava appena nascendo a Cosenza, dalle belle speranze ma che già nel nome aveva il suo destino segnato. Si chiamava Teatro della Tempesta e naufragò miseramente dopo appena un anno dalla nascita. Mi piace ricordarlo perché il lato positivo di tutta quella balorda vicenda fu che io e Saverio ci incontrammo. E l’incontro fu sia umano che lavorativo. Incontrandoci sul lavoro trovammo fin da subito un bell’affiatamento. I nostri sogni parlavano la stessa lingua, terreno comune su cui poggiare le basi delle nostre piccole-grandi utopie artistiche. Non ci spaventava il lavoro e ci convincemmo che potevamo provare a costruire una nostra piccola compagnia rimanendo in Calabria. Donammo le dimissioni dalla Tempesta con la promessa che avremmo costruito un nostro percorso. C’era anche un regista franco-magrebino con noi, Tarak Hamman, che poteva essere nostro sodale ma con il quale vivemmo un periodo di collaborazione di solo un anno. Era l’estate del  1992. Io avevo 23 anni. Capii fin da subito che con quell’estate se ne andava la mia giovinezza, intesa come spensieratezza e leggera incoscienza, ed entravo definitivamente nel mondo adulto e lavorativo.

Dal 1992 ad oggi cos’è diventato più semplice e cosa, invece, più complesso?
I primi anni furono anni di intensa costruzione.  I primi spettacoli girarono per anni nelle scuole elementari, medie  e Istituti superiori della nostra regione e della Basilicata. Lavorare nelle scuole era un modo per dare continuità ad un mestiere difficile da svolgere nella Calabria teatrale degli anni novanta e in fondo, nel nostro piccolo, contribuivamo a creare un nuovo pubblico che imparava a vedere e apprezzare il teatro già dalla più tenera età. Quei nostri spettacoli divennero  “palestra” costante per riflettere sul nostro agire teatrale, sullo strumento corpo-voce dell’attore, sul pubblico, sulla relazione con esso, sullo spazio scenico, sull’organizzazione e sulla vendita di un prodotto culturale. Avevamo iniziato questa avventura per fare gli attori e poco a poco ci ritrovammo a imparare ad essere organizzatori, impresari di noi stessi, progettisti, amministratori e poi ancora tecnici, registi e autori di teatro. Per molti anni Scena Verticale fummo solo Saverio ed io. Ci furono anni molto duri e bui, ma non ci fiaccarono né i sacrifici né la lunga gavetta. Oggi siamo una struttura più solida. Da anni il nostro lavoro è affiancato dal lavoro di Settimio Pisano, direttore organizzativo della compagnia, del festival Primavera dei Teatri e della Residenza More a Cosenza; da quello di Tiziana Covello, amministratrice e responsabile contabilità di tutti i nostri progetti. Così come è preziosissimo il lavoro di Rosy Chiaravalle e Loredana Ciliberto.  Ci sono attori, musicisti, tecnici e maestranze che, pur non essendo dentro Scena Verticale, hanno legato spesso e volentieri il loro percorso artistico al nostro (Gianfranco De Franco, Giuseppe Oliveto, Ernesto Orrico, Marco Silani, Giuseppe Vincenzi, Gennaro Dolce, Gaetano Bonofiglio, Rita Zangari). Sono amici che conosciamo da tempo con i quali c’è una sintonia oltre che artistica, umana.
La complessità del lavoro rispetto agli inizi sta senza dubbio nel confermare una qualità nei nostri progetti che non faccia rimpiangere dei bellissimi traguardi raggiunti nel tempo. Essere capaci di continuare a confrontarci con un pubblico che ha sviluppato delle aspettative sul nostro operato, sia per quanto riguarda il percorso artistico che quello di operatori culturali.

In molti hanno lasciato e continuano a lasciare la Calabria. Tu, invece, sei sempre stato tra quei pochi che hanno deciso di restare. Cosa ti spinge a rimanere senza perdere mai la speranza?
Ci sono alcune cose che già pensarle diventa impresa. Cose su cui nessuno scommetterebbe un centesimo. Una di queste è quella di decidere di far teatro in Calabria. Nuova drammaturgia e ricerca; l’organizzazione di un festival della scena contemporanea. E invece a volte può accadere che fai nascere una compagnia e che diventi, col tempo, riconoscibile; che la tua poetica sia in grado di raccontare un territorio oscuro e inedito come la Calabria; che un dialetto sconosciuto e complicato diventi lingua teatrale; che organizzi un festival che diventa un luogo apprezzato e importante per il dibattito teatrale nazionale. Ti assicuro che tante volte perdi le speranze e tante volte ci siamo sentiti scoraggiati e un po’ mortificati. Una volta pensavo che se ci stai in una terra devi impegnarti a renderla migliore. Altrimenti in posti come la Calabria non è neanche il caso di rimanere ed è meglio andar via. Oggi penso che questo discorso si possa estendere a tutta l’Italia, per cui chi decide di andarsene deve fare delle valigie molto capienti e guardare a luoghi davvero lontani. Altrimenti resta e si rimbocca le maniche. Il segreto è considerare il tuo posto, sempre è comunque, il centro del mondo.

Parliamo un po’ del Progetto More e del grande successo che continua a riscuotere soprattutto tra i giovani. Ogni venerdì sera il Teatro Morelli è pieno zeppo di spettatori ed ogni messa in scena è sempre una fantastica sorpresa. Gli spettacoli non solo piacciono sempre ma insegnano tanto. Qual è il segreto delle vostre scelte e del vostro successo?
Non esiste una formula precisa. Nessun segreto. Nessuna magia. Solo una grande attenzione verso la scena contemporanea e verso gli spettacoli che proponiamo in cartellone. Le scelte non sono mai casuali, ma sempre frutto di una ricerca attenta, che portiamo avanti frequentando il teatro nazionale e non.  La formula del venerdì sta funzionando, il Morelli è diventato un punto di incontro, non solo per gli spettacoli teatrali. Gli spettatori sono stimolati a frequentarlo, trovando un’offerta molto varia, che parte dal teatro ma, appunto, tende a diversificarsi, spaziando dai laboratori di musicoterapia e quelli di editoria, dalle lezioni della Scuola di teatro ai concerti. Il nostro pubblico è anche molto variegato e l’età davvero trasversale. Al More trovi adolescenti e spesso anche bambini (soprattutto dopo il successo della Scuola di teatro), trovi i quarantenni, ma trovi anche tanta gente over sessanta. Gli spettatori penso apprezzino il fatto di poter trovare da noi anche la possibilità di ascoltare un buon concerto e sorseggiare una birra, ma in un contesto che non è dispersivo, come invece succede spesso nei locali. Chi viene per assistere ad un concerto sa che l’attenzione principale è verso la musica (anche per questo le scelte musicali sono attentamente programmate al pari di quelle teatrali), e che questa non è solo contorno per una chiacchiera e una bevuta, ma è la protagonista, intorno alla quale poi si può anche imbastire un discorso di convivialità, che però non deve mortificare il lavoro e il talento dei musicisti. Forse un altro punto di forza può essere ricercato nella continuità della nostra programmazione. In effetti già dal primo anno di attività della Residenza stiamo cercando di fare una programmazione di ampio e lungo respiro, che dia la possibilità di intraprendere discorsi più articolati e che riesca a intercettare la necessità del pubblico di trovare dei punti fermi, come sono diventati ormai i nostri venerdì teatrali e come spero diventino i mercoledì musicali.

I giovani sono la vostra forza. Secondo te perché amano il More, così come altre compagnie che propongono spettacoli sperimentali, mentre disertano gli appuntamenti con tutto ciò che è tradizionale?
Penso che gli spettacoli che vengono disertati sono quelli che non dialogano con il pubblico del XXI secolo.  Spesso nei teatri di tradizione si propone un repertorio che si è cristallizzato in una sorta di fermo-immagine perenne su titoli e autori consolidati, che non convince e intrattiene più neanche lo stanco pubblico degli abbonati.  Vogliamo prenderne atto e rinnovare questi cartelloni? In questi ultimi vent’anni una gran quantità di piccole realtà indipendenti ha sopperito, con il proprio operato, a quello che per decenni non hanno fatto le stabilità e le stagioni dei grandi teatri, tranne in rari e isolati casi; dando visibilità a tutto un movimento teatrale che altrimenti non avrebbe avuto spazio. Il sistema teatrale istituzionale (e metto dentro il calderone Stabili Pubblici, Stabili Privati, Stabili d’Innovazione e Circuiti) non ha voluto, e ancora non vuole, vedere che ci sono fior di artisti e un numero incredibilmente vasto di pubblico che si confronta sull’oggi, parlando la stessa lingua e che ha sancito un rinnovamento e un ricambio generazionale nel panorama teatrale italiano che, come giustamente dice Renato Palazzi (critico del Sole 24 Ore e studioso di teatro), non ha eguali in Italia perlomeno da quarant’anni. Vogliamo prenderne atto?

Il 28 febbraio inizierà nuovamente il More. Siamo arrivati all’atto III, puoi darci qualche piccola anticipazione?
Anche il programma di questo atto terzo, oltre all’attenzione verso i linguaggi del teatro contemporaneo, sarà caratterizzato da  scelte che ricadono spesso su spettacoli con una forte aderenza alle problematiche della contemporaneità tout court e non solo di quella strettamente teatrale. Come del resto è stato per alcuni degli spettacoli ospitati nella scorsa stagione, che affrontavano tematiche forti ma di pressante attualità, come ad esempio la pedofilia. In questo nuovo atto viene dato uno spazio ancora più ampio ad un’altra tematica per tanti versi “scomoda”, come quella della violenza di genere. La stagione 2014 del More si aprirà infatti con un ciclo di tre spettacoli racchiusi sotto il nome “Progetto donna”, un progetto teatrale che vuole anche essere testimonianza di un impegno reale, da concretizzare prima di tutto attraverso la sensibilizzazione del pubblico intorno a questo tema. Il “Progetto donna”  prevede, nello specifico, la messa in scena di tre spettacoli che narrano vicende molto dure, consumate spesso nello stesso ambito familiare e acuite il più delle volte da un destino di solitudine nel quale le protagoniste vengono relegate. Da questa idea è nata una  collaborazione molto importante e significativa con il Centro antiviolenza Roberta Lanzino. Una collaborazione che sarà inaugurata da un incontro tra la nostra compagnia e le donne del Centro antiviolenza, un incontro aperto anche a tutti coloro che vorranno partecipare e al quale parteciperà anche Saverio La Ruina, che è autore e protagonista dello spettacolo col quale apriremo il “Progetto donna” e l’intera nuova stagione. L’incontro si terrà giovedì 27 febbraio, alle ore 17.00, presso la sede del Centro antiviolenza di Via Ernesto Fagiani.
La Residenza teatrale proseguirà poi il suo lavoro fino a fine maggio, con un fittissimo programma di laboratori, spettacoli, concerti e una serie di eventi conclusivi che intorno al 20 maggio vedranno la realizzazione degli esiti dei laboratori e della Scuola di teatro e la nuova edizione del festival Teatrabile, dedicato al teatro che si impegna nel disagio.

Annabella Muraca

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