“To The South of Things”: Presentata a Pentone l’Opera del Lametino Bongiovanni

Ph. Michele Marino

PENTONE (CZ) – Nei giorni scorsi Pasqualino Bongiovanni ha presentato la sua opera prima “A sud delle cose” nell’edizione bilingue italiano-inglese “To the south of things” nella Sala Consiliare del Comune di Pentone, gremita di pubblico e appassionata di Calabria e poesia.
L’evento organizzato dalla Pro Loco di Pentone ha riscontrato un enorme successo ed ha regalato ai presenti momenti di commozione e di ritorno indietro nel tempo.
Pasqualino Bongiovanni con i suoi versi tocca le corde più intime dell’animo, le piaghe più profonde che ogni Calabrese possiede.
Dopo i saluti iniziali da parte del presidente dell’Associazione Pro Loco Vitaliano Marino e del consigliere comunale  Angelina Capicotto si è entrati nel cuore dell’evento celebrativo.
Pasqualino Bongiovanni giovane poeta di Lamezia Terme (Cz) ha già ricevuto numerosi premi per la sua opera ed è stato paragonato ai grandi della letteratura italiana e ad uno in particolare che ha donato molto alla nostra Regione: Franco Costabile.
L’attaccamento alla  propria terra ed il desiderio di raccontare di ogni cosa che le appartiene, è uno dei tratti che li accomuna in assoluto.
Tramite gli ospiti seduti alla tavola rotonda l’uditorio ha avuto la possibilità di entrare nei meandri della poesia di Bongiovanni e di coglierne ogni aspetto.
Enza Andricciola docente di lettere classiche a Roma , esperta e critica della poesia di Bongiovanni, ha sottolineato le tematiche più importanti trattate dal poeta, dando le chiavi per comprendere al meglio certi pilastri, come il concetto di “Sud” che non è solo geograficamente inteso , ma che diviene una “condizione”, un fardello pesante per coloro che vivono in terre come la Calabria ma che non accettano silenziosamente il ruolo marginale che gli è stato affidato. Il poeta racconta senza mezzi termini le difficoltà e  le miserie di ritrovarsi in ogni “Sud”.

RESISTERE:Per resistere/non sempre/è necessario/essere/pietra nel pugno/scoglio in tempesta/roccia nel vento./Si può,/forse con più coraggio,/resistere docili/come primula al gelo.
Giuseppe Villella professore di lingue e letterature straniere ha curato la traduzione in inglese dell’opera, pubblicata a Thunder Bay – Ontario nel 2013, e che  in precedenza era stata tradotta e pubblicata in spagnolo. Per presentare le edizioni il poeta si è recato dapprima in Argentina  e poi Canada dove ad accoglierlo ha trovato comunità di emigrati italiani.
Villella ci ha fatto capire come minuzioso ma anche sorprendente sia il lavoro di traduzione di una poesia dall’italiano all’inglese e come certi significati diventino più carichi e come la lingua restituisca note inaspettate.
Durante il corso della serata sono state lette alcune tra le poesie più belle della raccolta da lettrici madrelingua inglese, figlie di italiani emigrati in Canada, Mirella Rubino e Teresa Marino; e da giovani pentonesi, Sofia Marino, Maria Tarantino, Antonia Marino, Emanuela Pugliese, Amerigo Marino.

A SUD DELLE COSE:In silenzio/torniamo/dove il mare,/in inverno,/ha colori/sporchi/di sabbia e di sale,/e onde schiumose,/che opacizzano occhiali,/mosse da un vento d’Africa/saturo di polvere./Dai  finestrini/giungiamo/a Sud,/dove una madre consuma/ad un focolare/la sua gioventù,/ed un bimbo piange/al suono lento/
e grave/delle campane./Dove le preghiere/sono lunghi mormorii/avvolti in scialli neri./Dove la vita è silenzio,/e la morte, una colpa./Dove il sorriso/è il peccato di una ruga,/ed il pianto,/gocce di sudore nei campi./Così/torniamo a Sud,/a sud delle cose,/dove l’amore è muto/e si dà solo ai Santi.
Altro ospite della serata è stato Franco Santopolo, biologo ed esperto di questioni sociali calabresi, che ci ha raccontato tra storia e tradizione il fenomeno dell’emigrazione, flusso iniziato nell’anno dell’unità d’Italia il 1861, per accentuarsi negli anni 50′ e 70′ del 900 per non arrestarsi più e farsi ancora più forte oggi.
Un fenomeno che ha costretto centinaia di persone ad abbandonare la propria terra per mancanza di lavoro e di possibilità e portare nel cuore ricordi e legami indissolubili, a doversi adattare ad altre culture e sentirsi inadeguati in certi posti perchè Italiani e calabresi.

CANTO DEI NUOVI EMIGRANTI-(Omaggio a Franco Costabile):Non chiedeteci altro!/Abbiamo serrato/le lacrime/con grimaldelli/di rabbia,/con niente./Abbiamo chiuso/con vergogna/tutte le vocali/ampie e sgangherate./Abbiamo imparato/
a ripiegare/in una valigia/la vita,/a riporre/ordinatamente/l’anima/in una  scatola./Abbiamo/titoli di speranza/chiusi nella cartella./Cantiamo/musiche a memoria./Bussiamo a tempo/e rispondiamo al ritmo/di qualsiasi pretesa./Svoltiamo/ad ogni nome/segnato sulla carta;/scendiamo alle fermate richieste./Paghiamo il giusto,/prendiamo il resto,/e basta.
Una testimonianza commovente e condivisa da molti nel pubblico è stata quella di Maria Pugliese Potestio che ha raccontato la sua partenza per le Americhe da giovanissima. Oggi a distanza di molti anni sente un richiamo fortissimo verso il suo paese e vi ritorna per molti mesi . Ha parlato di una ferita che non si è mai riemarginata che la fa soffrire ogni volta che lascia i suoi luoghi natii e ai quali pensa con nostalgia.
La poesia di Bongiovanni ha quindi accomunato tutti.

Ogni donna ha ritrovato le proprie mani ed il proprio mondo che una strofa ha  rievocato, conducendo a sensazioni antiche.

MANI DI DONNE:Erano livide e fredde/le mani delle donne/curvate a lavare lungo il fi ume/o alle vasche di cemento/al Muraglione./Unghie consumate/a raccogliere olive/
tra foglie secche/e pietre d’arenai,/a raschiare la terra/(come galline e cani)/per scovare patate/o in cerca di cicoria e talli/lungo i sentieri./Erano mani di donne/
a infuocare i forni,/a impastare/la farina con l’acqua/e la fatica col sale./Mani a sfogliare vigne/come pagine di calendario/e di un anno intero/da strappare amaro./
Mani pazienti/a rammendare la vita,/mani a tessere/dentro al telaio./Mani forti/
ad ammaccare il pane,/il pane duro e nero/dentro al mortaio./Mani azzurre/
a sciogliere al pozzo/la pietra del verderame,/mani d’inchiostro/immerse nel mosto/
in cerca di raspi/da ripulire./Mani bambine/che portano il sonno/tenere e dolci/
mani a cullare,/giunte e silenti/nelle notti fredde/sotto le coperte/mani a pregare./
Erano queste/(e lo sono ancora)/le mani di molte donne:/mani amorevoli e calme/
che pure non vennero/sfiorate mai/da due labbra d’amante,/da un bacio galante/
o una carezza appena./

Dedicarsi alla poesia, ad incontri come questi che Pasqualino Bongiovanni ha donato alla comunità pentonese, significa riappropriarsi  della propria identità di calabrese, di resistere alle vicende anguste della vita e del tempo, che molto si può portare nei luoghi in cui ci si  reca spesso contro la volontà ma per il bisogno di vivere una vita dignitosa. Non è cancellando dalla propria parlata una “cadenza” linguistica forte per la vergogna di essere riconosciuti,  che si cancella l’essere calabresi.
Calabresi si nasce e si resta con orgoglio.

Maria Emanuela Marino

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