Alarico I, la leggenda calabrese.

Alaricus in latino, compare per la prima volta nelle cronache nel 390 quando, giovane principe della dinastia dei Balti, guidò i Visigoti, gli Unni ed altre tribù provenienti dalla sponda sinistra del Danubio nell’invasione della Tracia, culminata con il saccheggio di quella provincia. “Il re di tutti”, significato del suo nome, nacque nel 370 d.C. c.a. Acclamato nel 395 duce dei visigoti allora stanziati nella Pannonia e nella Mesia come foederati di Roma, invase la Macedonia, la Tessaglia, il Peloponneso e l’Epiro inserendosi abilmente nella discordia esistente tra i successori di Teodosio, Onorio e Arcadio e i rispettivi ministri, Stilicone e Rufino. Ricevette la nomina di magister militum dall’imperatore romano d’oriente Arcadio garantendo autonomia per il suo popolo a patto che cessasse le ostilità e le scorrerie. Nel 400 Alarico invase l’Italia dove, dopo aver varcato le Alpi Giulie, devastò le province di Venezia, Liguria ed Etruria, espugnando diverse città toccando perfino Mediolanum, l’allora capitale dell’impero, dove fu fermato dal generale Stilicone nel 402, comandate in capo dell’esercito romano d’occidente e protettore del nuovo imperatore Onorio. Fu stipulato un trattato con il quale Alarico, obbligato a ritirarsi di buon ordine dall’Italia, si impegnava ad asservire l’impero d’occidente. Tuttavia a tre anni dalla sconfitta, Alarico invase Verona e venne fermato ancora una volta dal generale Stilicone e si trovò nuovamente costretto a rinnovare il trattato di alleanza con il vincitore il quale grazie ad esso poteva assicurarsi un forte alleato contro l’impero d’oriente. Rientrato in Epiro, Alarico ricevette tributi da Stilicone il quale non voleva avere problemi sui confini orientali dell’impero, in particolare nel maggio del 408, quando deciso il generale si recava verso Costantinopoli rimasta senza un reggente a causa della morte di Arcadio, fratello dell’imperatore Onorio, nell’intenzione di conquistare finalmente l’illirico orientale. Seguirono numerose battaglie sanguinose e molto difficoltose per il generale Stilicone che si trovò a fronteggiare una nuova personalità scesa dall’antica Britannia ormai ribellatasi l’anno precedente, un certo Flavio Claudio Costantino, noto alla storia come futuro imperatore Costantino III. Nell’agosto di quell’anno Stilicone a causa di trame e intrighi venne messo a morte, causa tradimento, e per Alarico questo significava l’aprirsi nuovamente la strada per un ritorno nei territori italiani. Senza l’aiuto del cognato e futuro re, Atatulfo, impegnato in Pannonia, Alarico invase nuovamente l’Italia giungendo a Ravenna ed esigendo dall’imperatore un tributo annuo e un’insediamento nel Nordico ma senza successo. Arrivò allora fino a Roma accerchiandola non con l’intenzione di attaccarla ma come dimostrazione delle sue capacità. La città, difesa dalle sue fortificate mura, non cedette ma il prezzo fu altissimo: una pesante carestia e una forte epidemia di colera. Tolto l’assedio, Alarico rientrò in Toscana ottenendo dal senato romano l’elezione di Attalo Prisco come correggente di Onorio e la carica di magister militum dell’occidente. Ma quando Onorio nominò Saro generale, la nomina ambita dal re goto, e dopo l’attacco del nuovo generale ad Atatulfo e l’inadeguatezza di Attalo Prisco nella pianificazione della conquista africana, Alarico perdendo la pazienza mise in atto le sue minacce e nella notte del 24 agosto del 410 d.C. Alarico dei Balti entrò con il suo esercito a Roma passando per Porta Salaria. Seguirono tre giorni di saccheggi e violenze. Successivamente i barbari abbandonarono l’Urbe e si diressero verso il Sud della penisola con la probabile intenzione di raggiungere le coste africane per nuove invasioni e conquiste. Ma ecco l’imprevisto: Alarico, allora quarantenne, colto da improvvisa malattia, morì pare nei pressi di Reggio. Ed ecco che qui entra in gioco la leggenda: si narra che i Visigoti per evitare che mani romani potessero violare la tomba del loro re, deviarono il fiume Busento, nei pressi di Cosenza, e seppellirono nel suo letto Alarico in armi, insieme al suo cavallo ed al suo immenso tesoro, pare 25 tonnellate d’oro e 150 di argento, ripristinando successivamente il normale corso delle acque. Infine, gli schiavi utilizzati per deviare temporaneamente il corso del fiume vennero uccisi perché non rivelassero il segreto.

 

 

CURIOSITA’

 

♦ Durante la seconda guerra mondiale questo fu il nome (in tedesco Unternehmen Alarich) assegnato al piano di invasione dell’Italia progettato dagli alti comandi germanici e poi messo in atto successivamente all’8 settembre 1943, data in cui fu reso noto l’Armistizio tra il regno d’Italia e gli anglo-americani che avevano invaso e occupato la Sicilia.

 

♦La leggenda di Alarico e della sua sepoltura nel Busento ha ispirato la poesia di August Graf von Platen, “Das Grab im Busento” (La tomba nel Busento), con una rappresentazione romantica della morte e della sepoltura di Alarico. La poesia è stata tradotta in italiano da Giosuè Carducci.

 

La tomba nel Busento

Cupi a notte canti suonano

Da Cosenza su ‘l Busento,

cupo il fiume gli rimormora

dal suo gorgo sonnolento.

Su e giù pel fiume passano

E ripassano ombre lente:

Alarico i Goti piangono

Il gran morto di lor gente.

Ahi sì presto e da la patria

così lungi avrà il riposo,

mentre ancor bionda per gli omeri

va la chioma al poderoso!

Del Busento ecco si schierano

Su le sponde i Goti a prova,

e dal corso usato il piegano

dischiudendo una via nuova.

Dove l’onde pria muggivano,

cavan, cavano la terra;

e profondo il corpo calano,

a cavallo, armato in guerra.

Lui di terra anche ricoprono

E gli arnesi d’or lucenti;

de l’eroe crescan su l’umida

fossa l’erbe de i torrenti!

Poi ridotto ai noti tramiti,

il Busento lasciò l’onde

per l’antico letto valide

spumeggiar tra le due sponde.

Cantò allora un coro d’uomini:

“Dormi, o re, nella tua gloria!

Man romana mai non violi

La tua tomba e la memoria!”

Cantò, e lungo il canto uditasi

Per le schiere gote errare:

recal tu, Busento rapido,

recal tu da mare a mare.

 

 

♦A 70 km da Cosenza, nella cittadina di San Giovanni in Fiore, durante alcuni scavi molto recenti nei pressi della Chiesa Madre, in pieno centro storico quindi, sono stati rinvenuti due scheletri che da subito hanno suscitato l’interesse di non poche importanti personalità e la gara per stabilire di chi si tratti è già partita. Secondo la professoressa Christine McKee, visiting professor dell’Università Internazionale del Messico, uno dei due scheletri apparterrebbe niente meno che al re visigoto! La spiegazione della McKee sul perché ciò sia probabile al contrario della leggenda del Busento è chiara:

“[..] la tomba di Alarico e il suo tesoro non furono portati nel fiume Busento ma nella città cosiddetta “dei giusti”, da latino “ius-iuris”, diritto, che è San Giovanni in Fiore, e Fiore è nient’altro che una traduzione errata di iuris. Studi più remoti evidenziano che quell’area selvaggia della Sila era il posto più sicuro dove seppellire Alarico e il suo tesoro, poiché quel luogo è chiaramente indicato nell’Apocalisse di Sofonia, il cui testo venne riscritto poco prima della morte di Alarico. Nel tesoro di Alarico, sepolto al di sotto della sua tomba, c’era una parte importante del tesoro del tempio di Grusalemme che nel 70 d.C. fu portato a Roma, successivamente saccheggiata da Alarico. Non è un caso che San Giovanni in Fiore sia conosciuta nel mondo come “la nuova Gerusalemme”.”

 

 

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